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CES/^RE CANTU
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IO li MiiM
STORIA D'UN GHIBELLINO
* MILANO
Librcvia di educazione e d' istruzione
DI PAOLO CARRARA
1879.
Proprietà letteraria dell' Editore.
PROEMIO
— -«G«§>»--—
E]
1
Ezelino, immanissimo tiranno, che
fia creduto liglio del demonio.
Ariosto, III, 33.
L
1 tempo degli anni 1222, Adelaide, moglie che fu del
terzo Ezelino da Romano, sentendosi in fine di morte,
chiamò al letto i due figliuoli suoi, e in questa sentenza
favellò: — Ezelino ed Alberico mi€i, un arcano io-
tenni sempre chiuso in fondo al cuore, ma forza mi è rivelar-
relo innanzi ch'io mi parta per sempre dal mondo.Ed è che voi
non siete altrimenti figli di chi vi deste a credere fin qua. Udite.
Una notte, mentre io dormivo allato al mio sposo, fui dibotto
svegliata da una mano che mi teneva ai capegli, e mi brancicava,
e m'accorsi che il demonio m'aveva fecondata. Né fu l'unica
volta. Frutto di questi abbracciamenti foste voi: né ad uom
vivo io ne feci motto sin oggi. Se non che ora, sul punto di
andare là dove m'aspetta il vero vostro genitore, ho voluto
rendervene consapevoh, ed insieme accertarvi che diverrete
tali da non essersi mai trovati uomini peggiori, né più scevri
d'ogni hontà; con gli inganni e colla forza salirete a gran
signorìa; poi con tristo fine, voi, le vostre donne, i vostri
figli perirete. Tanto io vi preconizzo a nome del padre vostro,
a cui vi lascio raccomandati »
— 5 —
CA^TU — Ecelino.
mR^-™ ~~ ---glljì
rr-b PROEMIO ^ '-n
In quei tempi stessi, un buon servo del Signore mirò i
cieli aperti, e il Verbo Incarnato, che ad una moltitudine di
angeli, intorno a lui librati a volo, diceva: • — ■ Vi sono conte
« le scelleraggini degli uomini della Marca Trevisana ; negletta
« la religione: dapertutto izze di Guelfi e Ghibellini, e ferità
« di tiranni, e scostumatezza di plebi, tanto che è colma la
« fatale misura di mia pazienza. Ho dunque deliberato farne
« giusto giudizio. Ma come trovare un ministro abbastanza
« severo del mio provocato furore ? »
E un angelo rispose che opportunissimo a ciò tornerebbe
Ezelino, uom perfido, iniquo, e s'altri mai sitibondo di sangue:
e cosi dicendo lo presentava al divin Verbo. E il divin Verbo,
consegnò a costui una spada sguainata; e gli disse: — Or bene,
« a te commetto le mie vendette; va; e guai alla Marca Tre-
« visana! »
E un eco si diffuse tra i cori celesti, ripetendo: — Guai,
« guai alla Marca Trevisana ! »
Lettori : vogho lodarvi per vere simili fole? Ma poiché corre-
vano allora per le bocche, credute come oggi si credono, altre J
baje non meno assurde e assai meno schiette, io le ho riferite |
acciocché dal bel principio vi sia chiaro qual fosse l'uomo, di /
cui imprendo a raccontare; acciocché sin dal hmitare vediate )
quella perpetua mescolanza delle cose eterne colle contingenti, \
dell'invisibile che governa col visibile ch'è governato; e Top- ^
( posizione dei due spiriti d'allora: truce ferocia in alto, pietà {
\ credula e benefica al basso: angeli e demoni, frati e tiranni, (
; viventi insieme sopra la terra, gli uni a moltiplicar le colpe. /
l gli altri ad espiarle; gli uni a crescere le lagrime, gli altri a \
tergerle, o far almeno che gli occhi si volgessero al cielo (
Perocché, in un secolo che vide il sommo della gloria e delle (
l sventure italiane; fra costumi tanto discosti da questi nostri i
) odierni, resi lisci ed uniformi dalla mano della civiltà passandovi )
\ e ripassandovi sopra ; fra una politica, non di cabala come oggi, )
) ma di violenza ; fra caratteri di forza individuale tanto mag- {
) giore quant'era minore la vigoria pubblica; quando ogni uomo i
l aveva da far conquiste intellettuali e morali; quando, essendo )
> meno complicata la società, })iù grande e attuoso mostravasi (
) l'individuo; spiccò fra gli altri Ezelino, ricco di potenza, di \
à valore, di sagacia, di perseveranza, come carico di delitti e )
_n -6- P — I
STORICI D EZELINO
d'abbominazioni, sicché il nome suo, nei libri e nelle popolari
tradizioni, rimase quale paragone di fiera virtù e di pessima
tirannide; forse aggravato oltre il giusto da' suoi nemici, certo
mal discolpato da chi lo tentò.
E quanto egli fosse, basterebbe già a dimostrarlo il vedere
che, in tempi di si poche lettere, nessun altro ebbe tanti nar-
ratori de' fatti suoi, come nessun altro de' tempi moderni ne
avrà quanti Napoleone. Coi quali istorici conviene facciamo
conoscenza, perchè ci siano mallevadori del racconto.
E primo va nominato Rolandino. Il costui padre, padovano
di nascita, notaio di professione, registrava man mano gli
avvenimenti giornalieri, come alcuni costumavano per testimo-
nianza ai nipoti, in tempo che i libri erano una carità. E quando
suo figlio toccò i ventitre anni, gli affidò questi appunti, ingiun-
gendogli di ridurli astoria. Obbedì Rolandino: e nel Memoriale tem-
porum defactis in Marchia et jrrope ad Marchiani Tarvisanam,
raccontò i casi dal 1188 al 1260. Il Vossio lo giudica superiore
a tutti i cronisti contemporanei per ordine, perspicuità, industria,
e principalmente per prudenza ed incorrotta fede: giuib'zio
esagerato, e che si adotta dai compilatori di storie letterarie, (
J soliti a star a detta per non pigliarsi la noia di verificare. )
l Venuto al fine del suo libro, Rolandino il lesse agli scolari, )
) bacellieri, maestri e dottori delle arti liberali in Padova, i quali l
l'approvarono nel 1266, quando cioè vivevano ancora tanti )
( partecipi ai fatti narrati. >
/ Sarà questa una prova bastante di sua veridicità? ,
] Bisognerebbe non vedessimo noi pure tuttodì imbaldanzire )
) la menzogna sui fatti contemporanei, sulla cronaca paesana,
} sulle azioni de' nostri più vicini, tanto più calunniate e frantese,
j quanto più alte sono ed esposte agli sguardi le persone cui si
/ riferiscono. Poi nelle letture e declamazioni pubbliche, facciansi
) in piazza o in chiesa, in iscuola o in parlamento, è sciagura-
ì tamente convenuto si deva cercar l'effetto, non la verità ; e >
) uscendone, ammiratori e detrattori, ragionano se il discorso era
) bene o mal fatto, se blandì le passioni del giorno, e non se vi
'' fosse 0 no verità e ragione. E il nostro Rolandino è retore >
) come un accademico, sofista come un gazzettiere : e da passionato *
', guelfo ipinse non si potrebbe più fosco il ghibellino tiranno, ^
\ ostentando quel coraggio che sì poco costa quando s'esercita >
rrU PROEMIO
f
contro il caduto, e quella generosità che non vai nulla quando non
è che un blandimento o forse un sacrifizio all'opinione corrente.
Guelfo anche lui e frate era il jNlonaco Padovano, che
stese una cronaca dal 1207 al 1260, esagerato nelle cose,
negletto nelle forme.
i Paris da Cereta, nella Cronaca Veronese, raccontò col
( calore e colla vita propri di chi fu testimonio di veduta, e che
{ indarno si vorrebbe emulare da chi viene dappoi.
I La vita di Riccardo conte di Sambonifazio; la cronaca
( d'Asti e quella di Nicolò Smerego vicentino ; il XllI libro della
/ Storia Veneta di Lorenzo de' Monaci trattano pure degli Ezelini,
scarsi d'ordine o di veracità: se ne occupano l'Ongarello, i
Cortusi, la Scardeone, il Salimonio e gli altri cronisti di Padova
e della Marca, e un Chronicoìi veronejtse manuscritto nella
biblioteca di quel Gino Capponi, che tutti gli scriventi vogliono
nominare per farsi gloria di potervi aggiungere mio amico.
Più tardi Antonio Godi vicentino, in una cronaca dal 1194
al 1260, narrò le afflizioni, le stragi, le oppressure, gli stupri,
i saccheggi a cui fu in preda la patria sua; messe esuberante \
sempre a chi tratteggia le vicende italiane. \
Volete cambiato il tono? pigliate in mano Gerardo Maurisio, (
causidico vicentino, testimonio oculare dei fatti , e panegirista \
inesorabile d'Ezelino e de' suoi; giacché non vi dev'essere nessmi |
Tiberio senza il suo Velleio Patercolo. Fin nei nomi va egli a (
rifrugare i vanti; e in Ezelino trova Ecce linit, perchè tanto )
bene fa a' suoi amici; in Alberico Albus color od Albus riccus, ^
da Romano perchè rodimi manus ai nemici loro. Che se alle (
smaccate adulazioni sue volessimo pure trovare una scusa, ;
inclinati come siamo a non creder mai uno storico mahgnamente (
bugiardo o vigliaccamente servile, questa sarebbe il non aver )
esso condotto il racconto se non dal 1183 al 1297, anno in
cui Ezelino, presa Padova, gettò la maschera, dandosi aperta- !
mente a conoscere il brutale che era. Forse allora il Maurisio )
mori ; forse per prudenza o vergogna o dispetto si tacque, dopo j
avere (dic'egli) perseverato a predicare i signori da Romano \
come se fosse dell'Ordine dei predicatori, eppure senza cavarne (
un bruscolo di compenso. Tristissima condizione di chi rinnega {
l'opinione più generosa, e si trova mancare persin la mercede \
che unica sperava !
ma^
) Pietro Gerardo da Padova, contemporaneo di Ezelino, è
i nome supposto, sotto il quale Sebastiano Fausto da Longiano,
J amico e in parte emulo dell' mfame Pietro Aretino, nel 1545
pubblicò una storia, desunta il più da Rolandino. Pure v'ha
chi crede costui copiasse veramente un testo antico, rimutan-
done la lingua, la quale ridusse non priva di bontà; massime
chi il paragoni agl'imbratti odierni.
Tal è l'opinione dell'erudito eppure arguto Apostolo Zeno,
nelle note alla presuntuosa Biblioteca, del Fcmtanini, volume II,
pagina 128, edizione del 1804. Asserisce aver avuto egli stesso
fra mani un codice, certamente anteriore al Fausto e che alla
fine porta scritto: — E mi Pietro delli Gherardi, cittadin
« di Padova, habito in centra delli Falarotti, ho notate tutte
« le sopraditte cose fìdelmente secondo che sono accadute, per
« trovarmi a questo tempo infelicissimo nel numero delli vi-
« venti: ma se havesse volato o possuto narrar ogni cosa, haria
« fatto maggior volume che la Bibia, tante sono state le sce-
« ler.ite opere di questo crudelissimo et imanissimo tirano. Il
« qual, per vero et legallissimo conto tenuto da diversi nostri
« padovani, si trova sotto la sua tirannide haver in varj tempi
« fatto morir da morte violenta più di undici milia padovani (
« di varie condicioni et sesso ». A ogni modo, non cosi seri- )
vevasi a Padova al tempo di Ezelino, benché a Firenze già ^
scrivesse Ricordano Malaspini.
Francesco Grossi di Vicenza pubblicò una Istoria di Ezelino,
che dice compilata dietro parecchie storie antiche, e stampata
a Venezia il 1622, ma è una copia di quella del Fausto.
A poemi e tragedie porse soggetto Ezelino, anche appena
caduto. Ferreto vicentino, nel carme De Scaligerorum origine,
ne espone la immanità in versi che, fatta ragione ai tempi;
non sono spregevoh. Albertino Mussato, uno dei ristauratori
degli studi classici, ne dedusse la tragedia più antica eh' io
conosca fra le moderne, tutta a racconti più che ad azione;
non so se mai sia stata messa sulle scene, come non so se i
precettisti di allora avranno trovato ad opporgli l'avere tolto
a suggetto un'azione recentissima.
Da tutti questi trasse Giambattista Verci la Storia degli
Ecelini (Bassàno, 1779), in tre discreti volumi radunando quanto
k^ poteasi mai desiderare sul conto loro, discutendo con pacata \
^ . eIs
rrTl PROEMIO Li H
r ^ "^
critica ogni punto controverso e, quel che gli da singoiar pregio,
stampando tutti i documenti relativi agli Ezelini. La compagine
materiale della storia sua non lascia nulla a desiderare; se
altrettanto la filosofia, se buone sieno ed opportune e sagaci
) le riflessioni, se valide le scuse recate pel suo eroe, lo vedranno
{ procedendo i nostri lettori.
) Toccare di cose italiane è impossibile senza nominare con
I riverente gratitudine il Muratori ed il Sismondi, l'uno che
j raccolse quanto potevasi a' suoi tempi per l'edifizio della storia
i patria; l'altro che a quella congerie accostò la favilla di Pro-
) meteo; deplorabile solo dell'avervi adoperato stizze ghibelline
I e miopia protestante. Di questi due, l'uno professò ad Ezelino
) un aborrimento forse trascendente, perchè nemico alla Casa
{ Estense di cui esso Muratori si fé' storico e panegirista; l'altro
} nella Storia delle re-piibhliclie Italiane mendicò scuse al tiranno,
) ma con si debole convincimento, che nell' operetta posteriore
\ sul Risorgimento, i progressi e la rovina della libertà in
) Italia, convenne appieno sulle atrocità di quello.
' Ai dì nostri s' ingerì il prurito di rintegrare la memoria
l di personaggi indegnamente giudicati ; ma se questo per molti
' fu un atto di mera giustizia e di quel coraggio che si vuole
^ ^a combattere opinioni tradizionalmente autorate; in altri divenne
; un farnetico di moda ; e per essere nuovi non badarono ad
; esser veri. Non invano dunque aspetteremo che anche la
) memoria di Ezelino venga riabilitata (come dicono) da qualcuno
/ di qua' lodatori d'eroi e di cause che non saranno mai la nostra,
né ( io credo ) quella dell' Italia. Intanto un difensore suo re-
centissimo, e anch'egli lodato per moda o perchè forestiero, il
; tedesco Leo, scrive :
) — Fosse Ezelino vissuto in un tempo e fra un popolo, ove
« una morale rispettata, un diritto in vigore ed universalmente
« riconosciuto avessero offerto norme alla vita pubblica e privata,
^< lo splendido suo operare, l'estensione del suo genio, l'amor
« suo della giustizia e il suo carattere 7iaturahnc7ite benevolo,
^^ « l'avrebbero proposto all'ammirazione come il più nobile fra
{ « gli uomini. Ma a quell'età e in un paese come l'Italia, dove
) « tidto era egoismo e confusione, ove ciascuno non f<icea se
) « non ciò che credea non poter evitare, le più ricche doti
« naturali non parvero concesse ad Ezelino che per renderlo
i
n - 10 -
)
7=-h STORICI D EZELINO ^ ^H
« il nemico degli uomini, e trascinarlo nella via del cattivo
« genio ». 1 x-
A'oi crediamo fermamente alla potenza dell'umana volontà;
tanta, che le circostanze ponno alleggerirne, ma non iscolparne
i traviamenti, ^'oi crediamo che molte glorie e molte infamie
sieno a spostare, ma ciò non per contraddizione sofistica e per
capriccioso paradosso, bensì col cambiar punto di aspetto, e
invece di osservare la storia dalle finestre vetriate dei palazzi
principeschi o dalle specole retoriche, mettersi m piazza alla
pien'aria, col popolo, e vedere che cosa egli dovesse sofi-nre,
o-odere giudicare. Ora noi crediamo che il popolo assai patisse
da Ezelino e dai tirannetti suoi pari; ma a fronte di lui e dei
suoi scorgiamo un'altra serie di persone, a cui la stona let-
teraria non fa mente e che furono benedette da quella gene-
razione, quanto esecrati coloro cui essa storia decretò le sue
immoralità. E noi siamo iti a cercarne le tracce, non più in
istorici ed accademici che popolo non sono e il popolo non
intendono e non ne sono intesi, ma (si vorrà perdonarcelo?) m
cronicacce di frati, in leggendari, in sacristia.
Dietro a tale confessione, vi sarà ancora chi ci domandi
perchè noi, dopo tanti, vogliamo rimetterci a raccontare d'E-
zelino ?
Noi non torcemmo mai da un argomento perchè lo sapessimo
trattato da altri; ciascuno al suo modo. Ragioni poi di questo
assunto, chi volesse almanaccarle, ne troverebbe parecchie, che
potrebbero essere e non essere vere:
0 per secondare l'andazzo odierno di narrare atrocità e
sangue;
0 per contrapporre la fiera e taciturna attività d allora
alla accidiosa e ciarliera mansuetudine odierna ;
0 per cercare le opinioni del giorno in quelle di tempi
remoti ; j- ij. •
0 per esplorare il giudizio del pubblico, a norma d altri
lavori.
Fors' anche, osservando come taluni, per rispetto alla storica
dignità, sopprimono i particolari del racconto, e staccano i per-
sonaggi dal teatro su cui operarono, togliendo così la viva
mobilità e la verità efficace, a segno da credere che la viva ^
/ impressione prodotta dallo spettacolo dei fatti non potesse )
Ìp ■ — "à
' b PROEMIO
f
ottenersi che col romanzo, volemmo sperimentare se nella
storia, senza alterarla, si potesse introdurre l' interesse del
romanzo.
Diranno che non ne usci né storia, né romanzo? E sia:
r improspero successo farà egli gran meraviglia nella odierna
fecondità di aborti ?
Questo sappiamo, che, non disposti ad applaudire la mal-
vagità comunque sublimata, né vilipendere la virtù comunque
oppressa, convinti che, nella lotta fra la coscienza e le opinioni,
a quella si deva sagrificare; amanti del nostro paese non in
solo pindarico vaniloquio , persuasi che l'umanità procede fra
i patimenti e le abnegazioni dell'individuo, abbiamo creduto
cosa non vana a noi ed ai nostri fratelli di patria il raccontare
quei tempi. Il pubblico, non quelli che illegalmente parlano a
nome del pubblico, giudicherà il nostro lavoro; e se non vi
trovi né bellezza, né opportunità, lo riproverà con quel giudizio
che è il peggiore, il silenzio, la dimenticanza: se altrimenti,
ci auguri buone circostanze di tempo e di vita per condurre
maggior fatica, di cui questa non è forse che un saggio.
Milano, il 1 novembre 1833.
i
POSCRITTA.
"1
Ciò io scriveva ora fa quindici anni, e quali, anni ! e un
romanzo potrei tessere sulle avventure che corse questo me- ì
desimo raanuscritto. Stava egli sul mio scrittojo aspettando lo \
stampatore che doveva quel giorno pigliarlo, quando invece entrò \
un commissario della polizia austriaca, e insaccatolo con moltissime
altre carte, lo portò in prigione come l'autore. Quivi fu sofi-
sticamente rimuginato da un inquirente letterato, e perciò '
arguto e malevolo. Sol dopo molti anni, in forza d'una rivoluzione, \
-,2- ni
r
VICENDE DI QUESTO LIBRO U "-j- 1
quel manuscritto tornò alle mie mani, e tornò a me un intervallo
di obbligato riposo per rincorrere lavori antichi, e gustare il
piacere che si prova a riconoscere nelle opere giovanili sé
stessi, più immaginosi, più intolleranti, più assoluti, ma sempre
gli stessi. Fortune, studj, speranze, disastri, amici, nemici,
dovrebbero avere migliorato in me il modo di vedere, di giu-
dicare, di esporre : certamente ora concepirei diversamente e
quelle imprese virili e quei fecondi dolori della seconda lotta
tra il feudalismo scassinato, la Chiesa concussa e il municipio
rigenerante, e quelle conseguenze che tardi la Presidenza deduce
dai posati principi. Eppure mi dà cuore di avventurare al
pubblico un lavoro antico, dopo quelli verso i quali non era esso
che un esperimento. Sempre istruttivo anche quando non sembra
che curioso, è lo spettacolo dei tempi forti; e il vedere quella
profondità di convinzioni, quella perseveranza di intenti, quella
selvaggia energìa di mezzi, quella franchezza nella violenza e
nell'astuzia; fa singolare contrasto con noi d'oggi, impazienti
nei desiderj e fiacchi nell'attuarli; agitantici senza tregua, e
impotenti a riuscire : che ci querehamo d'ogni piccolo sconcio,
e facilmente ci rassegniamo a gravissimi; coli' immaginazione
esigiamo senza misura, poi non reggiamo agli sforzi e sacrifizi
che sono inevitabili per raggiunger neppure lo scopo ragionevole;
non più angeli, non più demoni; ma che Dante porrebbe al
vestibolo del suo inferno o alle falde del purgatorio : pieni del
resto d'una boria sfolgorata che ci fa sprezzatori d'un passato
il quale preparò i beni d'oggi, e fantasticanti un avvenire,
verso il quale tendiamo con piedi podagrosi e braccia rattrap-
pite: — se non che ci spinge una forza tanto più viva, quanto
più inette sono le nostre volontà.
R settembre 1848.
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rrb VICENDE DI QUESTO LIBRO . ^ "-jn
SECONDA POSCRITTA.
Decisamente questo libro è destinato a vicende bizzarre.
Le parole sovrapposte sentivano lo scoraggiamento dei
falliti tentativi del 1848. Fra il terrore del governo militare
che pesò d'allora suU' Italia, osai stampare questo lavoro. Come
suole, passò inavvertito ai maestri, non al popolo leggente;
sicché, dopo comparso s'un giornale, indi in un volume a Torino,
volle ristamparsi a ^lilano, quando, tolta la censura preventiva,
restava però la punitiva. Il censore diede un voto così avverso
a quest'opera, che venne proibita non solo, ma confiscata. Invano
si ricorse a Vienna, e si mostrò che l'edizione torinese correva
anche in Lombardia: la decisione fu irrevocabile, anzi essen-
dosene riportato un brano in una mia raccolta di letteratura,
bastò perchè anche questa fosse colpita di irremissibile divieto.
È bene notare che la principale accusa addotta dal censore
cadea suU'esser quel libro troppo guelfo : segno che l'Austria
e i suoi cagnotti avevano conosciuto il vero carattere dell'op-
posizione guelfa in Italia ; sicché il vederla poi caninamente
osteggiata da coloro che ne pasteggiano i frutti, potrà un giorno
attestare come anche le cause più magnifiche s'impiccioliscano
nella cabala degli ambiziosi e nelle meschine personalità delle
consorterie. Né forse il libro viene disopportuno anche adesso
a mostrare come a torto del medioevo si ammirino solo gli
assassini, i tiranni, gli Ezelini, e si deridano gli eremiti, pii,
sant'Antonio e Giovan da Schio. E in ciò e in troppe altre mate-
rie suona differente il giudizio de' gaudenti e quel de' soffrenti,
dei rngionacchianti e degli opranti, degli ambiziosi e del popolo.
E noi ci ostiniamo a stare col popolo, malgrado la proscrizione
e de' censori austriaci e dei loro successori.
Il novembre 1863.
K -"- ^
Sli^^^
r
CAPITOLO PRIMO
GENERAZIO^'E DI EZELIXO
la quella parte della terra prava
italica , che siede infra Rialto
e le fontane di Brenta e di Piava,
Si leva un colle, e non sorge molt'alto,
là onde scese già una fiamella che
fece alla contrada grande assalto.
Dante , Faradiso, IX,
Barbari distruttori dell' imperio romano —
Perdóno , o lettore , se risalgo tant' alto : la
storia è cosi fatta, che non ha un principio asso-
luto ; sicché il maggior filosofo del secolo passato,
Yolendo raccontare quella del ducato di Brr.nn-
swick, si trovò condotto a ragionare della creazione
0 formazione del mondo. Io comincio più in qua , e dico che
i Barbari , distruttori dell' imperio romano , irrompevano sul
nostro paese divisi in bande , ciascuna delle quali obbediva a
un capo, eletto da essa volontariamente. Accintisi a lontane
e vaste imprese , trovarono necessario un generale supremo ;
r elessero , e gli ubbidivano durante la guerra ; ma tornata la
pace , non v' avea ragione di tenerglisi obbligati ; si fissavano
sopra i terreni conquistati , ciascuno come in dominio proprio,
confondendo la potestà politica colla ]iroprietà territoriale , e
non legati fra loro e col capo se non pel caso della difesa co-
mune 0 per imprese che in comune decretassero. Così le estre-
— 15 —
nrri capitolo primo lJ 4n
mìtà prevalsero al centro , il dominio baronale a quell' unità )
suprema , che ricordavano esservi costituita al tempo dell'ini- (
perio romano. \
Carlomagno, re de' Franchi , con forte spada ed alti ac-
corgimenti cercò di ricostruire in Occidente quest' unità ,
posandola sovra base venerabile , qual è Y unzione pontifizia.
Ma r imperatore non diveniva già padrone dell' Italia , come
mostrano credere coloro che incolpano i papi d'avere qui isti-
tuito un dominatore straniero. Era l'unto di Dio, al quale il
pontefice affidava l'esercizio della podestà temporale, a lui
stesso attribuita da Dio : imperatore dunque per elezione e per
consacrazione , che in conseguenza poteva essere deposto se
violasse que' patti che giurava.
Tal era il diritto : quanto al fatto , pochissimo egli poteva
neir Italia , la quale dapprima ebbe re particolari , da poi fu
sbranata tra una infinità di signori , ciascun de' quali teneva
sovranità piena , o quasi piena , s' un piccolo territorio , dove'
esercitava diritto di vita e di morte , levava tributi , det-
tava leggi , facea guerra quanto oggi i re di trenta milioni di
sudditi.
Quest' è il sistema feudale , costituito però non tanto da
questo sminuzzamento , quanto da una gerarchla , digradante
dal sommo all' infimo. Di questa scala stava in cima Iddio ,
unica fonte legittima d' ogni autorità. Egli aveva trasmessa
al sommo pontefice la podestà spirituale e la temporale , sic-
ché da questo vicario di Dio in terra derivava ogni dominio.
Ed esso pontefice aveva affidato la spada, cioè la podestà tem-
porale , all' imperatore , che cosi rimaneva signore di tutta la
teri-a. Ed egli questa terra distribuiva a grandi signori , col-
r obbligo di prestargli fedeltà sempre , omaggio in pace, ser-
vigi in guerra, del resto vi facessero quel che voleano sì nel-
r amministrazione, si nella giustizia, come donni e padroni.
Questi signori spartivano il loro estesissimo dominio tra altri,
i quali imponevano gli obblighi medesimi: questi poi suddivi-
devano il loro territorio ad altri , pure obbligati egualmente. {
Cadeva bisogno di guerra? L'imperatore mandava l'ordine, \
il hanno , ai maggiori vassalli ; questi il trasmettevano ai mi- )
nori, i minori agli infimi: e ciascuno veniva al posto desi- (
agnato , col prestabilito numero d' uomini e di cavalli, lesti per \
7=-h GENERAZIO^'E DI EZELINO LJ 'TH
ì la guerra, con viveri quanti occorressero pel tempo prefinìto
{ al loro servigio.
Così accanto alla società feudale sviluppavasi la munici-
pale , disposta però anch'essa feudalmente, e applicata ora
soltanto ai vinti , ora anche ai dominatori.
Quando nella discendenza di Carlomagno non si trovò più
principe degno , 1' impero fu tramutato in re tedeschi , e Ot-
tone il Grande volle in Italia dar lustro alla corona, la quale
veramente era un cerchio di metallo che valeva soltanto a
proporzione della testa che circondava. Egli seppe tornare ad
obbedienza i grandi feudatari d'Italia che se n'erano di-
sabituati , e per reprimerli favorì i signori ecclesiastici ed i
Comuni.
Siffatto sistema vedeasi compiuto di là dall'Alpi , m modo
da assorbire ogni altra forma di dominio e d' amministrazione.
I\Ia in Italia fra i soggiogati viveva , se non altro , la tradi-
zione del diritto romano , secondo cui il potere sociale non si
sfrantumava, matenevasi accentrato nel capo ; vivevano città
che mal avrebbero potuto venire sminuzzate fra signorotti; vi-
veva qualche reliquia di forme municipali, con cui si ammi-
nistravano da sé alcuni paesi, quantunque sotto al dominio
d' un signore. Agli imperatori garbava il conservare e invigo-
rir queste forme , giacché impedivano che i feudatari , coll'op-
primere i popoli , ingrandissero a segno da pigliare baldanza
a disobbedire ; laonde con loro decreti confermavano le fran-
chigie che quelle comunità avessero conseguito per usanza o
per patto o per usurpazione : e i Comuni , per ottenere la
conferma dei vecchi privilegi o la concessione di qualche nuovo,
damano denaro all' imperatore ; gli davano soldati per le sue
guerre ; tenevano in soggezione i feudatari vicini , di che gli
imperatori si trovavano giovati.
Prelati e vescovi aveano anch' essi gran luogo nella società
feudale , perchè possessori di ampi terreni ; ma non potendo
trasmetterli per eredità , non acquistavano 1' orgoglio clie na-
sce dalla durata , ad ogni vacanza sottentrandone un nuovo. j
Questo , secondo i canoni avrebbe dovuto esser eletto dal pò- k
polo e confermato dal papa ; ma gli imperatori aveano troppi \
modi , se non di nominare , almeno di far nommare chi ad ^
essi garbava. )
l3]r^^"--~~-~~— --^ ---s][di
fr~b CAPITOLO PRIMO ^pì
Tra siffatta gente di Italiani antichi e di sopragiunti do-
minatori , tutta agitantesi nel desiderio dell' indipendenza per-
sonale, scendeva il re di Germania Corrado II nel 1026 per
farsi tìngere imperatore. Fra i baroni che lo seguivano era
Ezelo di Arpone i, tedesco, probabilmente bavaro, di stirpe
salica , che menava una banda di cavalieri , da un solo cavallo
ciascuno : ed invaghitosi (facil cosa) del sorriso onde il cielo
guarda la bella patria nostra, disegnò di fermare qui sua stanza:
e per guiderdone dei servigi resi , ebbe in feudo dall' impera-
tore la giurisdizione di Onara, e più tardi quella di Romano.
Queste terre e le altre , che saranno principale teatro dei
nostri racconti , formano parte della Marca Trevisana , come
intitolavano quel tratto dell' Italia settentrionale, che giace
tra il Mincio, il lago di Garda, le Alpi, il Tagliaraento , la
marina veneta e il Po; che poi fu ristretto ai territorj, mo-
dernamente chiamati di Feltro, Belluno, Cadore, Treviso. Marca
propriamente significa terra di confine, e soleva affidarsi ad un
signore de' più potenti , detto perciò mm^h-graf margravio in
Germania , marchese da noi , affinchè valesse a tener la bi-
lancia fra i due vicini. Così era del Veronese e della Mar-
ca Trevisana. Il castello di Onara , a dodici miglia da Bas-
sano , era piantato sui confini di Padova , la quale, mal gar-
bandosi di questo vicino, nel 1199 distrusse afi"atto la fortezza.
Romano è villaggio sul tenimento di Asolo, tre miglia a greco-
levante da Bassano. Ivi dalle radici dell'Alpi levasi un colle ,
su cui è posto un castello , inespugnabile per posizione e per
arte. Avvegnaché di verso levante , mezzodì e ponente, la sa-
lita tira sì ripida, che mal presumerebbe guadagnarla alcun.
L' arte poi avea scosceso e munito quanto vi fosse d' agevole,
non lasciando accesso che da tramontana, ove si vinceva l'erta
per angusti e tortuosi viottoU, anche questi interrotti da ponti
e da serraglio. I quali come tu avessi superato , eccoti doppio
ricinto di mura in quadro, con torri , spaldi a baluardi spor-
genti : tra una cerchia e 1' altra stanziavano i soldati; nel più
interno sorgeva il palazzo con un' alta torre.
Quale trovava Ezelo T Italia ? Come un caos dove si coz-
zano gli elementi che non presero ancora il loro assetto, e in
m^^
Forse da ìlctzm cacciare Nei Niebelunrjen Attila è chiamalo Elzel.
— 18 —
GE^^ERAZIO^'E DI EZELII^O
f
cui r occhio vulgare non vede che confusione. Da una parte
gì' imperatori aspiravano a convertire la supremazia feudale
in vera prerogativa regia. Parapetto ad essa i baroni , capi-
tani della gente conquistatrice , fosse la longobarda primitiva,
fosse la succeduta franco-italica , fosse la tedesca , studiavano
) a crescere l' indipendenza , e inoltre convertire il dominio po-
\ litico in dominio reale e personale privato. Erano questi una
\ vera nazione , cinti da gente propria , e distinta affatto dal
( popolo , cioè dai conquistati , i quali languivano spogli di
^ diritti , in arbitrio d' un signore immediato , ed agognavano
ricuperare i possessi antichi e , se non altro , avere un ap-
poggio contro del feudatario nell' imperatore che su questo
tenea sovranità. La lotta fra tali elementi impedi la tirannide
pura al modo antico , e creò la libertà odierna.
E in feudi era tutta spartita 1' alta Italia : più robusti
quelli al confine , che poi a poco a poco assorbirono i minori.
Ma il confine suo toccava d' ogni parte a paesi dell' impero
germanico ; solo all' estremo lembo occidentale s' univa colla
Provenza , rilevante però anch' ella dall' Impero. E l'Impero
^ stava pur esso squarciato in un' infinità di signorie, che , in-
l vece di fondersi come la Francia nell' unico dominio regio ,
) acquistarono ciascuna la sovranità territoriale , tanto che ,
) appena mezzo secolo fa , costituivano trecensettanta signorie
( fra ecclesiastiche e secolari. Questo stato moderno può dar
) idea di queir Italia al tempo che discorriamo.
; Chi v'entrasse dal lato d' occidente, trovava fra l'Alpi i
ì conti di Savoja , che poco a poco acquistarono il Bugej , lo
) Sciablese, porzione del Fucigny, del Vallese, del paese di Vaud;
) poi di qua dall' Alpi il ducato d' Aosta , la vai superiore
' dell' Isero o Tarantasia , il marchesato di Susa e Torino ; e
non appartenevano ancora all'Italia, in cui poi doveano primeg-
S giare. Seguivano ad essi i marchesati di Saluzzo e ^Monferrato ;
\ di là fino alla costa ligure spingeansi quei del Finale e i
del Caretto. A' piedi dell' Alpi Leponzie i contadi della Me- )
solcina , di Bellinzona , di Locamo dominavano la testa del )
lago Maggiore , disputati fra i vescovi di Como, i Rusca, i l
Sax. In capo al lago di Como, i contadi delle Tre Pievi e di >
Chiavenna; più in su le varie signorie della Valtellina e del \
àBormiese ; a lato le bergamasche e le bresciane delle valli \
n ■ -.0- ni
nrh CAPITOLO PRIMO lJ '— 1
d' Imagna , Brembana , Seriana , Scalve, Calepio, Caraonic?. , )
Troiiipia munivansi di una tela di fortezze. Altrettante nelle (
gole del Trentino ne tenevano i Castelbarco, i Vanga, i d'Arco, ì
i Lodroni. Le Alpi Giulie erano protette dal patriarca d'Aqui- *
lea , che da Udine governava il Friuli e parte dell' Istria. I
conti di Carintia si protendevano assai fra il paese italico, e
talvolta dominarono anche Verona, amando gì' imperadori che
quel varco d' Italia fosse in mano di Tedeschi.
Minori contadi spartivano 1' interno paese ; i Collato , i
da Camino, i Camposampiero nel Vicentino e nella Marca Tre-
visana ; i Sambonifazio nel Veronese , i Gavelli nel Polesine di
Rovigo, cioè nella penisola tra il Po e 1' Adige ; poi verso il
Po e Cremona i Pallavicino; nel Pavese i Longoschi, i Gam-
barano, i Lomellini, i Beccaria; sul Piacentino Scotti e Landi;
nel Parmigiano i Rossi ; sul Reggiano i Carpineti , i Fogliano,
i Pico , i Correggio , senza parlare de' più lontani.
Fu detto che ogni fantaccino francese porta nel suo
zaino il bastone di maresciallo : cosi potea dire che ciascuno
di questi principotti avesse probabilità di divenire re d'Italia;
0 almeno della superiore. Ma mentre il duca di quel piccolo tratto
che si chiama Isola di Francia tra la Senna e la Loira, si ag-
gregò tanti possessi da divenir re della Francia intera, la
quale così si trovò nazione, noi sappiamo che la regione dove
accaddero i fatti del nostro racconto fu poc' a poco occupata
da Venezia , e più tardi Venezia con essa fu assorbita da fore-
stieri. All'unità mancò il concetto, mancarono le opportunità;
e finché 1' avvenire pendeva incerto, chiunque si sentisse forza
di braccio e di volontà , non aspirava ad altro che ad ottenere
prevalenza sovra i vicini.
Chi visiti la Marca Trevisana , e via via sino ai deliziosi
colli Euganei , e specialmente il braccio di questi che si pro-
tende da levante a settentrione , trova dappertutto vestigia di
) castelli. Frano i nidi dei feudatari, che là dentro stavano come
} proprietarj , patriarchi , signori ; non riconoscendo altre leggi
che le proprie: non altro limite al fare che la potenza di fare.
'l Di qui r individuale orgoglio , e il sentimento della persona-
^ lità , che perdutosi nell' educata tirannide romana , allora ri-
} nacque. Il feudatario , superiore e straniero ai sudditi , perciò
à isolato e diffidente , ha la guerra e la caccia per unici studj ; S
_n -«- ai
Sentendosi in flne di morte, chiamò al letto i due figliuoli suoi...
Pag. 5.
I a FEUDITI ITALIANI. IL FEUDATARIO Ù
r
giacché il feudo non è una proprietà come le altre, che basti
possedere e trasmettere, ma conviene difenderlo, combattere,
tenersi a livello dei pari e in diffidente soggezione del sovrano.
E perchè le attinenze fra vassallo e signore si reggeano col-
r unico vincolo della fedeltà, non di qualsifosse costrizione so-
ciale, ne veniva quell' aspetto di nobile lealtà, che facilmente
si ammira nel viver d'allora, ma dal quale il cielo ne scampi.
Tale dobbiamo figurarci il vivere di Ezelo e della sua di-
scendenza. Coi pari trattava come oggi si fa da nazione a na-
zione per via d' ambasciatori , e nel dissenso , colla forza ar-
mata. L'imperatore stesso non avea mezzi permanenti a tener
in freno que' feudatarj , non concentrazione amministrativa ,
non tribunali , non truppe stabili ; man mano che nascesse il
bisogno convocavasi un esercito , ergevasi un tribunale , s'im-
poneva il tributo; era eccezione quel che adesso è regola e
consuetudine ; eccezione 1' obbedienza.
Neppure tra loro i feudatarj formavano né un corpo né
una federazione ; ma ciascuno , sovrano del proprio feudo ,
non aveva idea d'un potere pubblico, se non le volte che l'im-
peratore, scendendo in Italia , convocava in qualche vasta pia-
nura (a ^Marengo per esempio o a Roncaglia) tutti i feudatarj,
i quali del resto , se la decisione non andasse loro a garbo ,
la ricusavano , e resistevano nei castelli. Unica legge insomma
era la convenzione , unica garanzia la forza e la resistenza
personale : ed Ezelo sapeva bene colla spada farsi rispettare
da amici e da nemici.
Cosi isolato , il feudatario si restringe colla sua famiglia,
nella quale stanno 1' erede del nome e delle forze di esso ;
e la moghe , unico essere che sia pari a lui. Laonde in quei
castelli , tane di tanti oltraggi alla natura , si rinnovellò lo
spirito di famiglia , annichilito dall' egoismo pagano ; e il de-
siderio di trasmettere il possesso per eredità , e 1' importanza
della moglie , che rimaneva dominatrice allorché usciva dal
campo , e che allora appunto da feinnuna cominciò a chia-
marsi donna, avviavano a più generose idee sociali.
Ma se il feudatario manteneva devozione verso il signor
sovrano, non conosceva doveri verso gl'inferiori, né alcun tri-
l)unale giuridico gliene poteva imporre. A' piedi dell'aerea ròcca
affollavansi i tugurj dei villici , servi in diverso grado . senza
3 ' - 21 - q
Caxtu — E;eUno. o —
à
CAPITOLO PRIMO
diritto né garanzia ; per forza e per abitudine sottomessi a
quella volontà capricciosa ; non collegati coi vicini per veruna
lego-e , per verun interesse : con sorte distinta , quasi altret-
tante nazioni diverse. La consuetudine feudale gì' incatenava
a quella gleba , a quella ròcca eh' era la capitale del picco-
lissimo impero , e guardavano come straniero il camperello
limitrofo. Eppure questa servitù giovò all' avvenire : perocché,
mentre negli ultimi tempi romani la gente si era raffittita
nelle città , lasciando ridursi la campagna a vasti deserti, usu-
fruttati da pochi schiavi , allora la popolazione fu novamente
diffusa su tutto il paese ; allora creato il villaggio.
In mezzo a questo vulgo soffrente collocavasi il prete , il
pievano ; un uomo vulgare , spesso ignorante , ma per carat-
tere e per indole benevolo e benefico, aborrente dalla forza
a cui egli pure trovavasi esposto , amico de' poveri dai quali
riceveva il pane , e coi quali lo compartiva , e che egli assi-
steva dal nascere fino alla morte , e ne santificava i patimenti
colla benedizione. Poco sapeva egli, ma avea letto il vangelo
e imparato i canoni , e veduta quella dottrina tutta popolore
(V un Dio nato da artigiani, adorato dai pastori e persegui-
tato dai re ; che scelse gli apostoli fra i pescatori , e riprovò
i magistrati e i sacerdoti. I preti aveano moltiplicato le feste,
giorni in cui il popolo -riposava da fatiche durissime e non
compensate ; aveano fatto sacri i contorni della chiesa per-
chè vi potesse rifuggire il debole inseguito , e tenere mer-
cato, sicuro dalla prepotenza; sui trivi aveano piantato croci,
il cui aspetto frenasse il violento , aveano acceso lumicini alle
immagini e ai tabernacoli , perchè, oltre la devozione , illu-
minassero le vie nella notte : aveano insegnato inni da can-
[ tare e preci, la cui uniforme cantilena, senza fatica imparata,
l risparmiasse le mormorazioni e le bestemmie ; avevano istituito
) le decime, per cui dal frutto del campo dovuto al padrone si
S sottraeva una parte che , deposta nel presbiterio , ne usciva
( a sollievo del povero. Nella chiesa poi intimavano al prepo-
; tento che / grandi saranno firandenìenie puniti ; ^ fra il
<, canto dell' esultanza ripeteano che il Signore depone i po-
2 Poleiitrs poicnter tormenta paticnfiir , Sapienza , v. 7.
- S2 - n.
i
ÌJ^^ '^t^'
IL VULGO. IL CLERO. LE IMMUNITÀ Ui^
tenti dal seggio 3; anzi introdussero una messa contro i ti-
ranni. *
E questo prete , posto sotto al castello di un forte e in
mezzo ai deboli , poteva assai , perchè formava parte d' un
corpo che era il preciso opposto del feudale; d'una repubblica
estesa quanto il mondo , avente un capo indipendente dalle po-
testà terrestri; e munita non di forza , sicché colla forza po-
tesse essere abbattuta , ma di santità , di opinione , di con-
cordia. Il barone che avesse stesa la mano s' un prete ,
guai a lui ! avrebbe avuto contro di sé richiami dell' intera
Chiesa, e maledizioni che lo perseguitavano anche di là della
tomba.
Quanto più non doveano valere queste genti di chiesa allor-
ché si trovavano ristrette in un Ordine religioso, e coabitavano
in conventi? Per quella previdenza che pone il rimedio accanto
a ogni male , quanti erano i castellotti tanti erano i mona-
steri ; e noi che guardiamo ora senza paura i primi , possiamo
gettar sugli altri 1' inerudito disprezzo; non cosi i popolani
nostri padri, pe'quali il convento significava il rifugio nelle per-
secuzioni, il consiglio nelle deliberazioni , il magistrato ne' li-
tigi, il conciliatore nelle differenze, il ministro della miseri-
cordia divina non solo , ma di quella carità che oggi si allam-
bicca in regolamenti e teoremi , e che allora profondeasi forse
senza discernimento , ma non in modo che alcuno morisse di
fame mentre si discuteva sui modi più scientifici di alimentarlo.
Siccome allorquando una malattia diviene epidemica, tutte
le altre ne assumono il carattere, cosi è di alcune grandi isti-
tuzioni sociali, e così fu allora della feudalità, talmente iden-
tificata colla società , che anche la Chiesa dovette vestirne le
forme. E veramente alla forza materiale sarebbe stato al)ban-
donato il mondo se non fosse soccorsa la Chiesa , la quale eser-
3 Dcposuil polentcs de sedi' , nel Musinifical.
* Vedi in Muratori. Anti(iuilutes Medii yEvi , difis, LIV , p. 729. Il prc-
fazio dice : Omnipolens n'Icrue Deus , respice jrojìilhis in faciem ecclesia' tum
quop- de suorum gemil contritione memlvorum. Essel namque toìerahilius si qenlili
f/ladio ferienda iraderelur incursione maìoruvi. Ne pravis, Dowiiie ^ prcna cumu-
lelur (eterna; nolisque eonini sit infesfadonibus onerosa, dinlur illorum non sine
prevalere severitatem. Per Christiim , de.
ì
— 23 —
-ejt3
citava im' autorità morale, diffondeva 1' idea di una regola ,
d'una legge superiore alle convenzioni umane; e separando il
poter temporale dallo spirituale, aprì a tutti un campo dove
fossero franchi dagli impiegati e dai militari , assicurò la più
sacra delle libertà , quella della coscienza.
Ma le migliori istituzioni in atto si contaminano , e per-
dono di queir ideale, di cui alimentavansi all' origine.
In tempo che i possessi territoriali erano l'unica fonte del-
l' autorità, anche i prelati dovettero cercarli, e con ciò si
trovarono avvoltolati negli interessi mondani. La virtù di al-
cuni , r essere depositar] di tutto il sapere sopravissuto , la
venerazione pel loro carattere, i beneficj che diffondeano tra
il popolo , il robustissimo sostegno dell' opinione , facendo che
il clero divenisse potente ; giacché ne' tempi agitati l' autorità
è di chi r esercita , non di chi ne ha il titolo ; ed è crassa
ignoranza, se non fosse maligna menzogna, il non voler vedere
in questo fatto necessario che un' usurpazione, una serie mil-
lenaria di ambiziosi ordinamenti.
Da chi , in grazia , gli ecclesiastici sottraevano il potere
dai signori prepotenti , cui unica legge era il capriccio.
Che cosa usurpavano ? il diritto di resistere alle pre-
potenze.
Noi li malediciamo ripetendo clie il regno loro noti è di
Questo mondo, ma allora la plebe (che vero popolo non vi era)
considerava come una benedizione il poter passare , dal domi-
nio brutale d' un padrone , a quello d' un vescovo , il quale
non colpiva colla spada , ma correggeva col pastorale ; non
giudicava a capriccio, ma secondo il diritto; aveva la confes-
sione come espiamento ; non adoperava atroci castighi , non
barbare prove. Salutare mediazione fra 1' imperante e i sudditi,
non trasmessa per eredità, ma per elezione , cioè data ai più
degni. A noi che e' inginocchiamo davanti a una libertà tutta
politica, tutta negativa, tutta antagonismo , sa di strano l'udire
che il clero , e a capo suo il papato, fu sempre l'oppositore
più sincero come più efficace della prepotenza: eppure tutta la
storia e là per dire che quella di esso era la causa del pen-
siero contro le sciabole , del popolo contro i tiranni.
Di rimpatto gì' imperatori (già lo accennammo) più volen-
tieri investivano del dominio questi ecclesiastici che non i ba- j
rEZELINO I. LE CROCIATE D L-i
\ roni , e un primo passo fu il concedere 1' immunità : cioè che
I • il circondario della città ( clie chiamavano camperie o corpi
santi) fosse esente dalla giurisdizione del conte regio, e sotto-
messo a quella del vescovo. Più non ci volle che un passo per-
chè il vescovo si facesse attribuire 1' intera giurisdizione sulla
città. xSon pochi erano quelli che usciti dall' aristocriizia e al-
levati neir armi , anche dopo prelati menavano i proprj vas-
salli in campo , per quanto ne esclamassero i pontefici e i
santi, che vedevano da ciò lentata la disciplina e guasti i co-
stumi. I più sottinfeudavano il territorio a qualche signore se-
^ colare , che li corteggiasse nelle solennità, ne guidasse gli e-
\ serciti al hanno , combattesse per loro anche ne' giudizi quando
il duello era una prova giudiziaria.
Tanto fece il vescovo di Vicenza. Tra gli ampi suoi pos-
sessi contava, sin prima del mille , Bassano, lieta cittadina s'un
colle dolcemente declive , lambito dal Brenta e protetto a set-
tentrione dalle montagne , che gli danno letizia di arie e va-
rietà di prospetti. Di questa egli investi il novello signore di
Onara e di Romano , dandogli piena balia sulla città , sicché
v' avesse impero di toga e di spada, arbitro di far leggi,
tutti giudicare , imporre gravezze , pedaggi , creare gli uf-
fiziali, insomma gli atti della sovranità: ma ponevagli patto
che, sopra i santi vangeli, giurasse fedeltà e vassallaggio a
lui vescovo ; a servigio suo militasse qualvolta richiesto ;
allorché radunavasi la curia de' vassalli , andasse a fargli
omaggio.
Ezelo , divenuto signore di Bassano , ivi prese abitazione
sopra la piazza comunale , e fu questo il primo fondamento alla
futura grandezza di sua famiglia. Sposò una Gisla , di gente
longobarda : corteggiava gli imperadori , i quali , per tener-
selo amico, gli largivano onori , poderi , giurisdizioni, e con-
fermavano quelli eh' egli avesse usurpati ; ed egli a vicenda ,
per tenersi in grazia cogli ecclesiastici , era largo di laute
donazioni. E quando io dico donazioni, non crediate accenni
qualche poderuccio o poco denaro, come quello onde oggi si fa
clamorosa generosità a una chiesa o ad un ospedale. Ezelo,
di concordia colla famiglia dei Camposampiero , per suffragio
dell' anima sua regalò in un tratto alla balia di s. Eufemia da
A'illanuova censessantotto masserie , ed ogni masseria (stando
■"^
CAPITOLO PRIMO
ai calcoli del Muratori) corrisponde a venti campi padovani 5 e
iDsieme le bestie e i servi e le ancelle , tenuti in poco mi-
glior conto elle le bestie.
Anche Ezelo ed Alberico, figli e successori di lui, per ri-
medio dell' anima loro e per conseguire da Dio il cento per
per uno , largheggiavano beni e giurisdizioni ai frati , "magni-
fico monumento , dice il Verci , della lot^o pietà: della quale
non so se sarà ricompenso il tanto aumentare ch'essi fecero
in ricchezze. 11 primo di loro mori senza figliuoli; il secondo
generò una Cunizza ed un altro un Ezelo, detto per diminu-
tivo Ezelino , e per difetto di lingua il Balbo , uomo che di-
venne de' più famosi a' suoi tempi. Lo storico Maurisio lo qua-
lifica ricchissimo , savio , discreto , liberale , modesto , facile ,
piccolo , placido , benigno a' supplichevoli, truce ed orrido mo-
deratamente a' rei , di costumi integri , di scienza e virtù so-
pra tutti fornito.
Questo ritratto vi provi, se non altro, come sia vecchio
negli scrittori il mestiere dell'adulare, e come quella che Tacito
chiama coscienza della storia, non diversa dalle altre co-
scienze, sappia transigere coli' interesse e co' sentimenti.
Era a' tempi suoi ardentissimo il fervore delle crociate,
che per tre secoli furono la vita della società europea. Anche
queste imprese rimangono una stravaganza inesplicabile, come
tutto il medioevo , a chi veda sempre a fronte due società
differenti, l'ecclesiastica e la guerresca (badate ch'io non
dico la civile); l'una che pensava, l'altra che faceva; l'una che
dirigea, l'altra che compiva. Una nuova barbarie peggior della
precedente perchè portava anche la mina della religione e
della famiglia; quella barbarie che da dodici secoli pesa sulle
parti più belle dell'Asia e da quattro sulle più belle d'Europa,
e per cui la schiavitù, gli harem, gli eunuchi, i muti, i veleni
sono ancora il diritto d'un popolo intero, questa musulmana
barbarie, dico, minacciava l'Europa. Opporvisi come poteva
questa, sbriciolata fra quel milione di Stati che vedemmo, senza
^ Un cnmpo padovano ili involo 8'tO si divide, in 4 parli da tavolo 10, e
ogni tavola i» sesti, ciascuno da 6 piedi (piadraii; ed eiiuivalo a porliclie nuove
censuarie, 3.86.
À
j^ - 2G - a
I — 1^ EZELINO I. LE CROCIATE ni
un potere centrale che volesse, senza forza unita che eseguisse?
Soccorse dunque l'unica autorità che su tutti valesse, l'eccle-
siastica; e di quanti papi vissero dopo Urbano II nessuno cessò
d'affaticarsi per muovere o l'entusiasmo o la politica europea
alla liberazione di Terrasanta, e di cooperarvi colle forze, colla
parola, almen col desiderio.
Il gran pensiero penetrava intera la società, e il fanciullo
al paterno focolajo, udiva indicare come il maggior segno di
fede operosa, di amore supremo, di pie speranze il contribuire
a liberar la Palestina; nelle scuole, nelle chiese eccitavansi a
ciò gli spiriti ; chi saliva nei gradi dell'ecclesiastica gerarchia
dovea proporsi di rimettere pace e insinuar penitenza, acciocché
di conserva principi e popoli si drizzassero a quell'intento. Chi
sarebbe potuto sottrarsi al concorde impulso ? Non era gentil
cavaliero chi non volesse impugnare le armi e, segnato dalla
cro^e, passar oltremare a combattere i Saracini, e tentare la
liberazione di Gerusalemme. Così la gran lotta fra il cristiane-
simo e la religione di Maometto, fra il progresso e il deterio-
ramento, fra la croce e la mezzaluna, fu portata a decidere
sul suolo dell'Asia, invece d'aspettarla in Europa; e tutte le
volontà, nel nome del dio dei forti, furono unite a respingere
quel nuovo torrente di barbari, e ripararne per sempre la
cristianità.
Sia però sapienza il riderne, perchè ne rise qualche scrittore
fìlosofista: noi ammiriamo il trionfo dell'estrema esaltazione
sopra l'estrema inettitudine dei mezzi, in que' combattimenti
giganteschi, in quelle fami che distruggevano eserciti interi.
Una forza arcana sospingeva sempre nuovi armati dell'Occidente
in Oriente, come alcuni secoli prima dal Settentrione sul Mezzodì ;
donne, vecchi, fanciulli, monache avventavansi con ardore pari
all'imprevidenza: non si munivano di pane ma di fede; più
che nelle armi confidavano ne' miracoli; Dio lo vuole, e Dio
manifesta la sua volontà con segni visibili; le miriadi di pel-
legrini vedono angoli cauv.uinare alla lor testa; un'oca, una
capra insegna loro il sentiero; né vi perdono fede benché ne
siano menati nei precipizi.
Avvenimento universale, europeo, eppur nazionale ; conforine >
alla fede non men che allo spirito di lotte e d'avventure d'allora. j
Dipoi sottcntra il calcolo: i Crociati stimano e lodano i Mu-
■^-eJ0
rp-Q CAPITOLO PRIMO
sulmani, patteggiano con loro; non più le idee religiose operano
spontanee, ma le convenienze della politica, i ragionamenti, il
tornaconto, e finiscono in triche di gabinetti. Pure il fine supremo
era ottenuto; ne seguivano anche di secondar]: come avviene
de' viaggiatori, i Crociati doposero molti pregiudizi vedendo
altri costumi; dall' incivilimento greco e maomettano dedussero
il meglio per affinar qui le arti, i costumi, le opinioni. Anche
lo stato sociale ne risenti, poiché molti feudatarj vendettero
i possessi e i servi per aver denari all' impresa, o morendovi
lasciarono i piccoli concentrarsi ne' grossi: i plebei convissero
co' più grandi , imparando gli uni a comandare gli altri ad
obbedire; ognuno sentiasi uomo, e come tale comprendeva
di poter pretendere rispetto ; s'allargò il commercio marittimo,
si ravvicinarono i popoli, si ruppero molte catene ; quel periodo
fu singolarmente fecondo di ricchezze, di libertà, di cognizioni
all' Italia.
1117 Ezelino il Balbo assunse anch'esso la croce, quando Luigi VII
di Francia e Corrado III imperatore, ascoltando il fervoroso
appello di san Bernardo, lasciarono le comodità e le pompe dei
propri regni per andar ad estendere quello di Cristo. Ezelino
guerreggiò a Damasco e ad Ascalona; vinse un terribile Sa-
raceno; poi, ita r impresa al rovescio che ognun sa, tornò in
patria colle reliquie de' suoi. Vuole la tradizione che, nel tornare,
còlto da grave procella votasse un tempio a Maria Vergine,
che fabbricò di fatto in Bassano, e che poi fu dai Francescani
dedicato al loro fondatore.
Uno dei frutti delle crociate è 1' aver accelerato lo stabi-
limento dei Comuni , e sviluppato questo antico elemento del-
l' italiana società. Accennammo come i vinti rimanessero quasi
affatto stranieri ai vincitori, regolando da sé soltanto quegli in-
teressi di cui il vincitore non si brigava. Le città erano debolissime
sotto la conquista ; e il feudalismo le ridusse a mero vassallaggio ;
pure vedemmo come vi acquistassero importanza i vescovi ,
legame tra il vincitore e il vinto. Al crescer dell' industria le
città conseguirono ricchezze , e con queste il bisogno di assi-
curarle contro la prepotenza feudale. Tornarono dunque a si-
stemarsi giusta le tradizioni romane ; cercarono la conferma
dei diritti , che in fatti non erano se non salvaguardie contro
i feudatarj ; quali sarebbero che i cittadini possedessero li-
— 28 —
I COMUNI
beramente , che nominassero da sé i proprj giudici, che i
litigi risolvessero secondo statuti proprj ; che potessero an-
dar e venire ai mercati senza esser derubati , e solo pagando
i pedaggi prefissi. Il barone negava ? insorgevano a forza e lo
cacciavano.
Questo movimento unanime non era concertato , bensì
spontaneo e locale ; nasceva da parità di bisogni ; laonde fu
dappertutto guerra del popolo delle città ai signori feudali.
Ogni guerra deve pur avere un termine ; e quando un'età
si ostina ad un intento , non riposa che non 1' abbia ottenuto.
Conveniva pertanto accordarsi, e quei trattati di pace fra i si-
gnori e le città erano la costituzione municipale. GÌ' impera-
dori qualche volta vi si mescolavano , e per le ragioni dette
favorivano piuttosto le comunità , le quali così trovavansi da
essi appoggiate neh' acquisto di loro franchigie. Le comunità,
essendo animate dai medesimi interessi , stringevano lega tra
loro , e per tal modo , senza previa congiura , ma per biso-
gno del tempo , cacciavano di ciascuna città i ministri o messi
regj che la governano ; prendevano a riordinare le istituzioni
municipali, che, attraverso la barbarie, erano almeno nella tra-
dizione sopravissute per congiungere gli antichi coi nuovi ita-
liani ; gli uomini , resi migliori dall' operar in comune e per
la pubblica cosa, crescevano in civiltà e in numero ; dappertutto
si stabilivano governi municipali.
I conti 0 feudatarj rimanevano tuttavia alla campagna ,
e in quel che da ciò appunto trasse il nome di contado ; in-
comodi vicini, che impacciavano le comunicazioni colle città ,
ne intercettavano i commerci , e all' occasione potevano anche
affamarle. Primo studio delle città fu dunque il deprimerli ,
da principio col dare ricovero a tutti i villani che dalla co-
loro tirannia fuggissero , poi coli' osteggiarli direttamente.
Per un tratto ogni cosa fu guerra de' borghesi contro
nobili e vescovi e conti. Non figuriamoci in tutto ciò nulla di
astratto ; non teoriche di (Hritti dell' uomo , non grucce di
accademiche costituzioni , non concetti di nazionalità , affatto
estranei al tempo. Erano mere difese individuali, parziali in-
surrezioni contro i piccoli capi , oscure rivolte contro oscuri
signorotti ; ma mentre dal nostro teorico campeggiare non ri-
Itano cbo izze e confusione , da quel d' allora usci la rige- )
q|
CAPITOLO PRIMO
nerazione d' un popolo intero , il mutamento dei servi in uo-
mini , dei proletarj in cittadini , la premura pe' carapagnuoli ,
sin allora ignota al mondo. Gli oppressori non ressero contro
la moltitudine : e dopoché o colla persuasione o più spesso
colla forza dell' armi erano stati sottomessi , doveano patteg-
giare colla città di abitare almeno due o tre mesi 1' anno
entro le mura, il che equivaleva a sottoporsi ai giudizi citta-
dini , non impedire sulle loro terre il passo alle milizie dei
municipj, ricevere presidj nei castelli, venir in aiuto delle città
nelle guerre : in compenso di ciò ricevendo la cittadinanza ed
i diritti che 1' accompagnano fra un popolo libero.
Ezelino , non sappiam bene se colle buone o a viva forza ,
fu indotto anch' egli ad accomandarsi alla città, ed aveva casa
e diritto di cittadino in Vicenza , in Padova , in Treviso. In
Vicenza il suo palazzo stava in via del Colle, merlato, con torre
che aveva una porta nella mura della città, gran segno di
potenza ; palazzo che fu poi convertito in chiesa e nel con-
vento dei Domenicani , ed ancora si addita. In Treviso l'aveva
sulla piazza del Duomo : a Padova presso Santa Lucia , dove
lo mostrano tuttora. In fine anche Bassano, vendicatosi in li-
bertà, non gli lasciò se non Tessere primo fra' pari. Attesoché
i signori , anche fatti cittadini , conservavano quella premi-
nenza che suol venire dalla nascita e dalla consuetudine del co-
mando, fu egli chiesto podestà in paesi diversi, ove dicono facesse
regnare l'ordine e la tranquillità: in lui furono compromesse >
importanti quistioni, (
Le transazioni però della prepotenza col diritto sono di ^
rado sincere. I signori , che si vedevano impediti nel loro do-
minio assoluto , mal credendosi compensati dai vantaggi e da-
gli onori che godevano , occhieggiavano ogni occasione per de-
primere la potenza dei Comuni e rilevare la propria. Buon
destro ne porse ad essi Federico Barbarossa imperatore di
Germania quando , forte d' eserciti , di carattere , di valore ,
di ambizione, scese in Italia. Aveva egli letto che gì' impera-
tori romani concentravano in sé tutte le prerogative regie ; (
che Carlomagno e qualche suo successore aveva esercitato )
potere su tutta 1' estenzione del dominio , e volle anch' esso )
rimettere i baroni alla soggezione , e all' obbedienza le città , ^
< sottrattesi ormai e impossessatesi della libertà. >
Ma la libertà è germe, che, qualora metta radice non
per trama di pochi , ma per proposito d' un popolo intero ,
più non si svelle. A chi non sono conosciute le lunghe guerre
del Barbarossa nel nostro bel paese, i molti assedj, la distru-
zione di Brescia, di Crema, di Milano? In queste imprese egli
si valse dell' ajuto feudale dei baroni e dei conti, e di Ezelino
il Balbo , non già favoreggianti allo straniero , come cianciano
gli storici sentimentali , ma obbligati a portar 1' armi pel si-
gnore, che a questo patto gì' investiva del feudo; pel signore
che era della nazion loro stessa, durando quegli stranieri al suolo
su cui avevano piantato dimora. Altri ancora vi erano indotti
da promesse e donativi *'.
Col braccio di costoro , Federico fiaccò le città lombarde,
e a governo di esse pose creati suoi, stranieri i più, che
r onta dell' obbedire a forestieri facevano più grave coli' ab-
bandonarsi a libidini , ad avarizia , a superbia , ad ogni per-
verso talento.
Però non è finita per un popolo finché gli animi non siano
corrotti. Gli Italiani sapevano maneggiare le armi e non av-
vilirsi della sventura , e presto scossero dalla cervice quel
giogo , espulsero i governatori , riordinarono i reggimenti re-
pubblicani ; poi dalla trista esperienza avvisati che la forza sta
neir unione , giurarono la Lega della Lombardia , della Marca
e della liomagna. Presero parte a questa anche molti signo-
rotti , disgustati dal sovrano dacché lo videro o esorbitar di
pretenzioni o sfavorito dalla fortuna ; ed Ezelino era di tanto
nome che , con Anselmo di Dovara , venne gridato capitano
generale delle città collegate , e per ridurre l' imperatore a
miti consigli prima dell' esperimento delle armi, gli stette as-
siduo ai fianchi, e lo risolse ad un compromosso, dopo fallito
il quale, l'imperatore baciò in bocca lo stesso Ezelino; tanto
la sventura avealo ammansato. Ma ben presto i popoli capirono
che tali accordi del potere brutale colla opinione vincitrice
sono astuzie per aspettare luogo e tempo alla frodolenta ria-
( <■' Frdoi-ico I assegna 24 lire l'anno a Uliiarico o Federico D'Arco per fe-
{ (Iclc servigio resogli, e aflìnchè gli prestino omaggio e fedeltà contro olii clie
,' sia, ed abbiamo per nemici i nemici di lui, e nominatanienie i Vicentini, Ve-
V ronesi , Padovani , Veneziani. Codice Ecrliniano, N. 28.
S-p
— 31 —
r CAPITOLO PRIMO D
' zione. Perciò s' avventarono nelle armi con queir augurio che
è r ottimo , il combattere per la patria. Prima cura di esse era
stato prepararsi di armi , come fa chi bene e davvero vuol fian-
cheggiare la causa della libertà. Gli eserciti di Federico, ben-
ché agguerriti, benché resi confidenti dalle vittorie , non res-
sero a fronte di guerrieri collettizi e nuovi, ma forti nella con-
ii76cordia del volere e nella santità della causa loro: e ad Ales-
sandria ed a Legnano furono rotti affatto: — vittorie che sono
delle poche , che si possano ricordare senza vergogna dell' u-
manità , e per le quali poterono nella pace di Costanza ve-
dere riconosciuto alle città il diritto di stabilirsi un governo
a comune , eleggere consoli e magistrati proprj , amministrare
a loro prò le regalie , e continuare nelle consuetudini patrie.
Anche qui non si stipulavano dunque franchigie metafìsi-
che e costituzioni esotiche; ma tutti vantaggi positivi , indi-
geni, storici, la conferma dei titoli acquistati, la libertà di
obbedire spontanei e dignitosi , il diritto di conoscere i pro-
prj affari , di provvedere al proprio meglio.
Se , entrati in questo racconto , vi e' indugiamo , ce ne
farai colpa , o lettore ? Si bello è quel momento delle patrie
storie, brutte nel resto di misfatti e di guai, che ci lasciamo
andare volentieri alla dolcezza del ragionarne qual volta ci
occorre; poi era necessario ad intendere meglio quel che diremo.
L' ordinamento che allora le città si diedero consisteva
neir assemblea generale del popolo , vero sovrano ; e in un
governo, investito di potenza quasi arbitraria, come accade
allorché dal popolo direttamente deriva. Eh oh i bei tempi che
sarebbero potuti cominciare per l' Italia se avesi?e saputo usar
bene della libertà ben conquistata ! Ma di troppo eterogenei
elementi era composto il Comune. Ristretto in prima ai soli
proprietarj, corpo prisàlegiato anche sotto la servitù, ben pre-
sto vi s' introdussero i mercadanti e i dotti e i magistrati.
Da poi vi s' inchiusero i feudatarj , che vi portarono orgoglio
di razza e abito di comandare , e di non sottoporsi alle leggi,
ma soltanto alla forza. Costoro , come fece Ezelino , si forti-
ficavano nella città , al modo che aveano fatto alla campagna,
e continuavano dagli uni agli altri le nimicizie ; mentre i bor-
ghesi , che avevano soltanto domandato quiete e sicurezza ,
<c volontieri lasciavano le armi e le magistrature a questi si-
i
rrb LEGA LOMBARDA Q
gnori , che e' erano avezzi e ne avevano il tempo , e che spesso
ne traevano occasione di soperchiare e tiraneggiare.
Altrove al contrario ne prendeano gelosia , e comincia-
vano contese da classe a classe ; contese che si estendevano
anche fuori del Comune ; laonde 1 nostri volsero in sé stessi
le armi impugnate contro lo straniero , né prima furono li-
beri che nemici. Già durante le guerre contro Federico , si
combattevano fra loro pei diritti e per le ambizioni , stimolati
anche dai Tedeschi , che nelle discordie nostre videro sempre
la loro salvezza ; e per toccare dei fatti soltanto ove ebbe
parte Ezelino , esso guidò i Trevisani a vincere quei da
Céneda : quindici anni dopo fu rotto e vòlto in fuga da essi
Trevisani , sollecitati a danno di lui dall' imperatore. Della
qual fuga rinfacciato da alcuno come di grave onta, rispose :
— Meglio è si de a, qui fuggi Ezeìino; di quello che qui
E zelino fu preso o morto ».
Ma di queste fraterne baruffe avremo a piangere in que-
sto scritto: e dopo tanti secoli ne piange ancora in fatto l'I-
talia tutta.
Ezelino il Balbo nella pace di Costanza fa espressamente
ricevuto dall' imperatore nella pienezza della sua grazia, ri-
mettendogli ogni offesa. Egli generò quattro figliuoli. Giovanni
e Gisla vissero , come il più degli uomini , senza lasciare
memoria di sé: Cunizza fu moglie a Tisolino da Caraposan-
piero , famiglia di cui tornerà spesso discorso ; e in testamento
legò ai monaci di Campese cento lire , più un cero e cenqua-
ranta soldi d'oro o vogliam dire zecchini, per un' anniversa-
ria messa solenne , cento soldi da distribuire ai chierici e po-
veri che v'assistessero , ad ogni monaco soldi cinque per
messa , e due per uno a cinquanta altri sacerdoti.
Ci baderemo di più sull' altro figlio , Ezelino anch' egli ,
cognominato poi il Monaco quando , sullo scorcio di sua vita,
si ritrasse dal mondo. Menò egli quattro mogli, fiore di nobiltà,
che la prima fu Agnese dei marchesi d'Este, morta in breve so-
pra parto ; la seconda , Speronella figliuola di Delesmanno e
sorella di Delesmanino , la quale somigliò alle famose della
Grecia eroica.
Allorché Federico I avea posto a governo i suoi Tedeschi ,
V sedeva luogotenente di lui in Padova un tal conte Pngano ,
rr-Q CAPITOLO PRIMO ^ "TI
esoso ai nobili non meno che a' plebei. Costui pose gli occhi ^
sovra la Speronella , giovinetta di appena quattordici anni ,
ma già maritata in Giacobino di Carrara "7. Le pose gli oc-
chi addosso ; né guari andò che 1' ebbe rapita e sposata. I
net suoi, giustamente indignati ch'ella fosse capitata allo straniero,
al tiranno, al rapitore, macchinarono contro di esso con quei
molti che nella Marca fremevano di tale dominio: onde venne
stabilito di cacciare , a un dato giorno , tutti quei prepotenti
stranieri.
]i6t I Padovani scelsero la vigilia del san Giovanni, giorno di fe-
ghi- stoso concorso ; e con tale pretesto radunati, come parve il destro,
^°'^* diedero nelle armi ; toccarono la campana a martello , suono
terribile che più volte gli Italiani opposero alle trombe dei ti-
ranni; e insignoriti della città, strinsero d'assedio Pagano. S'era
egli ricoverato nella ròcca di Pendice, posta nei colli Euganei,
fra Torreglia e Teolo sulla cresta merlata d'un nudo scoglio,
da cui ancora le sue rovine si mostrano minacciose ai riguar-
danti. Quale doveva apparire allorché era nido del prepotente
e prigione di generosi ? Pagano , non avendo speranza né in
proprie forze, né in alleati, per inespugnabile che fosse, presto
la cedette ai Padovani, che, esultanti della ricuperata libertà,
decretarono che, in memoria del fatto, ogni anno si festeggiasse
quel giorno, e tutti a fiori, sporgendosene gli uni agli altri,
corressero cantando lungo 1' esultante Medoaco. ^
La Speronella, cui non dovea gran fatto rincrescere il mutare
di marito, fu allora legata ad uno dei Traversari: e poco stante
passò a Pietro da Zaussano; col quale rimasta tre anni, se ne
fuggi ad Ezelino da Romano, che la sposò per bella e per buona.
Incontrò che questo nuovo sposo , condottosi una volta a Mon-
selice ed ivi accolto con ogni maniera di miglior cortesia da
Olderico da Fontana , come ritornò a casa non sapeva rifinire
di lodare alla moglie l'accoglienza ed insieme la persona del-
l' ospite suo, e le maschie bellezze vedutegli nel bagno. Scon-
sigliato! La mal onesta donna ne venne in tanto desio, che per
messaggi fu presto intesa con Olderico, e còlto il tempo, fuggi
7 CoiTO|rp:o l'anonimo del Cronico Patavicino colle riflossioni del Brunacci,
De Facto Marchia'.
— 34 —
EZELINO IL MONACO. SPERONELLA
da Ezelino, ed in Monselice godette della mal lodata vigoria del
garzone.
Avremo in questa donna un tipo dei costumi signorili di
allora, quando siasi aggiunto che, dopo cinquantun anno di vita
così scostumata, morendo lasciò legati pii a quante chiese e
spedali dell'intorno le corsero a mente nel memore giorno ^.
Perduta la donna sua senza grande rammarico, Ezelino pensò
a nuove nozze. Era morto di quei giorni Manfredo conte di Al-
bano e di Baone, il maggior ricco dei contorni in monte o in
piano, lasciando di sé unica erede la figlia Cecilia di quattor-
dici anni. Come questa arrivò ai venti, Spinabello da Landrigo
tutore di lei propose a Tisolino da Camposampiero di tirarsi cosi
lauta dote in casa, sposando la Cecilia a suo figliuolo Gerardo.
La proposta die pel genio a Tisolino; ma volle prima averne
parere cogli amici, e congiunti, e principalmente con Eze-
lino Balbo suocero suo , che ancora viveva. Il quale , cono-
scendo quanto il partito riuscirebbe vantaggioso pel proprio
figliuolo , abusò della confidenza , e prevenendo il genero ,
mandò promettere a Spinabello più grossa ricompensa qualora
facesse maritare la figlia col suo Ezelino. Come detto cosi
fatto , ed essa , con grossa scorta condotta a Bassano , venne
solennemente sposata ad Ezelino.
Qual dispetto provassero i Camposampiero del danno e dello
scorno, voglio lasciarvelo pensare. Legatesela al dito, spiavano
r occasione di farne vendetta ; e la fortuna mandò tempo al
loro proposito. Un bel giorno la sposa cavalcava con poca fa-
Jiiiglia a visitare non so che poderi sul Padovano e salutare
certi parenti suoi : ed ecco Gerardo da Camposampiero le si
fa incontro , salutandola benvenuta , e sotto vista di far onore
alla parente , se la conduce ne' suoi palazzi. Come quivi l'ebbe
in potere, l'oltraggiò villanamente: venuta la mattina, chiamò
il più creduto fra i servitori del marito di essa, e mostratagli
r onta fatta alla padrona, — Va (gli disse) ed annunzia al
8 In esso testamonlo la Sporondla lascia cento lira per edificare una casa ai
poveri sul monle della Stufa. Forse fu cosi detto perdio v' avesse stanze riscaldate
col vapore delle acque termali di Albano', celebri in antico , poi cadute (juasi in
dimenticanza, e tornate ora in tanta riputazione.
A
JJ . -3r. - UL
» signor tuo che l'ho onorato secondo erano degne le opere sue:
» e che, qualora perseveri a procedere meco di simil tenore, se
> questa volta mi sono lordato dell' onor suo, un'altra mi la-
» vero nel suo sangue. » E cosi gli riconsegnò la contaminata.
L' enorme oltraggio fu radice di gravi e lunghi mali a
tutta la Marca per le nimicizie inviperitesi delle due famiglie.
Ezelino ripudiò la donna , a cui però il fatto clamoroso non
tolse di trovar nuove nozze negli Ziani di Venezia , poi altre
illustri ; si poco i grandi guardavano pel dilicato in simili af-
fari; ed egli cercò sposa Adelaide dei conti di Mangona in
Toscana , detti i conti Rabbiosi. Splendidissime accoglienze fu-
rono fatte in Bassano alla sposa, che le meritava si per le
famose genti ond' era stretta, si perchè era delle più avve-
nenti donne d' allora, si ancora pel molto sapere suo. Giacché
ella era se altri mai addottrinata in una scienza di capitale
pregio, r astrologia giudiziaria: ed almanaccando le congiun-
zioni, le cose, gì' influssi dei pianeti , seppe esporre in versi
alcune profezie , oscure quanto bastava perchè potessero , dopo \
il fatto , essere trovate veritiere. Aggiungono ancora che ,
avendo co' suoi magisteri indovinato a qual fine riuscirebbero
i suoi figliuoli, tal crepacuore ne concepì che più non fu ve-
duta ridere.
Questo sia detto delle mogli d' Ezélino il Monaco. Quanto
a lui , r encomiatore suo ?^laurisio ce lo dà come stupenda-
mente illustre per fatti , prudenza e facondia ; pari al gran ge-
nitore in costumatezza e senno , superiore in eloquenza, nella
quale , come in ricchezza , sovrastava a quanti viveano allora.
Era il tempo che i Comuni d' Italia , assicuratasi la libertà ,
ponevano ogni ingegno a superarsi a vicenda colle guerre e
colle ambizioni, governandosi non secondo la scienza delle cose,
della quale mancavano affatto , ma secondo l' impeto popolare,
le fazioni degli oligarchi , i maneggi del clero e le subdole arti
degli imperatori. Sebbene per patto dichiarate libere, le città
non si credevano sottratte affatto alla supremazia imperiale:
e gl'imperatori, dicendo estorti per forza i privilegi, miravano
di continuo a cincischiarli. Funesto di mezzo fra la tirannide
e il franco stato: nel quale, sotto titolo di proteggere i di-
ritti imperiali 0 di abbatterli, si venivano le città l'una l'altra
straziando.
— 36 —
Il principio religioso che qui aveva suo centro, chiamava )
air unità tutte le parti d' Italia ; ne la impedivano la bellezza {
e la ricchezaa di ciascuna, Verun conquistatore vi si era re- )
so preponderante , come aveano fatto i Franchi nelle Gallie, ';
gli Angli 0 i Normandi nella Bretagna. Nessuna città preva- ì
leva a tutte le altre; ma ogni paese era fertile, era atto al )
commercio; sentiva di poter bastare a sé, poter aspirare ad l
esser capitale, avendo cittadini intelligenti e coraggiosi, e mezzi /
a riuscirvi. Pertanto la nazionalità degli Italiani e restringeasi ;>
sulla piccola cerchia del nativo paese ; Genova non sentiva bi- ■
sogno a ragioni d' unirsi a Napoli , né Milano chiedeva cosa
veruna a Firenze o a Roma; uno era parmigiano o fiorentino,
collo stesso orgoglio ond' altri è tedesco o francese, anzi con
quel maggiore affetto che si professa ad una patria poco estesa. ;
Solo la lunga educazione della sventura fa conoscere ed ap- (
prezzare la solidarietà delle nazioni , costituite dalla posizione )
naturale, dall'origine comune, dalla storia, dalla favella. I ',
pensatori più avanzati del tempo che descriviamo non con- l
cepivano in altro modo il patriotismo; e Dante stesso, cui >
e debitore il sentimento nazionale , non lo intendeva in modo \
tanto più esteso che i confini della signoria toscana , anzi /
fiorentina. )
Pertanto esistevano le une accanto alle altre una quantità )
di forze discordanti : ma tutte operose ed efficaci. Sovra tutto *
poi si ergevano il papato e l' impero ; e i fautori di quello chia-
mavansi Guelfi, e di questo Ghibellini: nomi che servirono di
pretesto a inimicizie e battaglie ereditarie : e che in fondo rap- '
presentano le idee per le quali oggi ancora si combatte o al- )
meno si dibatte : la libertà e 1' indipendenza d' Italia. (
Secondo la definizione d' un caldo Guelfo d'allora, Gio- )
vanni Villani , « quelli che si chiamavano Guelfi, amavano lo ;
» stato della Chiesa e del papa : e quelli che si chiamavano ^
» Ghibellini amavano lo stato dell' imperio e favorivano F im- )
» peratore e suoi seguaci »; e nei primi prelaveva il desiderio ;
di vendicarsi della dinastia Sveva liberticida, e vedere la fran- s
chezza dei Comuni districarsi da ogni legame forestiero; i Ghi- <
bellini credeano che questo pretendere ciascun paese alla li- ^'
berta senza dipendere da un paese superiore , recherebbe a
discordie, le quali logorerebbero gli Italiani colle proprie forze. ')
5n ■ -3,- niB
Ì^Jl^ ^^
Cantu — Ezelino. 3
0
Gli uni volevano 1' indipendenza dell' Italia , e die potesse a
talento ordinare iproprj governi; gli altri aspiravano all'unità, {
come unico modo di farla concorde entro , rispettata fuori , do- \
vesse pure scapitarne la fortuneggiante libertà. (
Erano dunque due partiti generosi, e con aspetto entrambi \
di equità , sicché sarebbe difficile il risolvere oggi con quale >
dei due stesse la maggior ragione. Tanto più difficile a chi non ]
sappia trasportarsi in quei tempi , e separare il principio dall'uso )
e dall'abuso fattone. Gli illustri personaggi che si infervoravano )
del sentimento ghibellino , o erano provisionati degli impera- l
tori" come Pier dalle Vigne , o idolatri dell' antichità come i )
giureconsulti , o trascinati da passione come Dante , il quale , )
sbandito da città guelfa , si fece ragionato propugnatore della J
parte avversa. Eppure nei suo libro Della Monarchia , ove , )
senza servilità d' animo, assoda la più sfrenata tirannide, bra- \
ma egli bensì che 1' Italia riducasi sotto un imperatore, ma
vuol che questo sieda in Roma. Chi più ghibellino del Ma-
chiavello? eppure con magnanimo voto conchiude l'abomine-
vole suo libro. D* altra parte i diritti regj intendevansi allora
ben altrimenti da oggi , non importando meglio che una supre-
mazia, in nulla pregiudichevole alle particolari libertà. Pertanto
i Guelfi, vagheggiando la teocrazia in terra, mostraronsi più im-
maginosi , probi ed utopisti ; i Ghibellini sentendo che le so-
cietà sono fatte per uomini, apparivano più reali e pratici: lo ■
spirito democratico dei primi pendea verso 1' indipendenza in-
dividuale e lo sregolamento ; 1' idea ordinatrice degli altri li
portava alla forza e alla tirannide , ma in fondo la loro è la
causa stessa , la stessa divisione che appare in tutta la storia,
e che oggi ancora avviva gli Italiani pensanti , fel)bricita i
turbolenti.
È natura delle sètte di svisare il più onesto scopo, e do-
v' era la ragione mettere il torto , o abusandone , o esage-
rando , o traviando. I signori , che i perduti diritti ambivano
ricuperare, non ne vedeano modo che coll'appoggiarsi all'impe-
ratore e sostenere le pretendenze; sempre poi amavano meglio
dipendere da esso che non dai borghesi , villani rifatti , o da
un frate che li dirigeva. Chiarivansi dunque Ghibellini, istiga-
vano r imperatore a calare in Italia, e per contrariare al papa
furono sin veduti favorire agli eretici. J
■ — b GUELFI E GHIBELLINI
^
Tutti i tentativi di generale indipendenza in Italia si fe-
cero in nome del papa ; fosse la Lega Lombarda nelle varie
sue fasi ; fosse poi la Lega Toscana , o quella che vedremo
contro Ezelino. ÌNIa anche nel senso dell'unità, niun altro che
il papa poteva , col paragonar la Chiesa universale all' impero }
romano , concepire una vasta unità cattolica. (
I papi grandemente potevano nella bassa Italia per l'alto (
dominio sopra la Sicilia; nell' alta, pei molti che vi conserva- ;
vano odio agli Svevi ; dappertutto per le insinuazioni del clero l
e massime dei frati, motori del sentimento e guide dell' opi- /
nione , la quale può tutto nei governi a popolo. L'imperatore )
non valeva sulle repubbliche se non colla forza delle armi , \
giacché non è facile guadagnare tutta una gente , sempre gè- >
Iosa di chi possiede 1' autorità ; al pontefice all' incontro non >
restava che 1' efficacia della persuasione. Ma poiché anch' egli ì
principiava e disponea d' eserciti , e spesso , come uomo , ab- )
bandonavasi a private passioni , anche i Guelfi sposavano ta- \
lora una causa , non perchè giusta e giovevole alla libertà , \
ma perché a quella aderiva il pontefice. ^
Anche uno scrittore , dalle cui opinioni noi dissentiamo \
in troppi punti ^ , dice che il vero partito italiano era il )
guelfo: tedesco il ghibellino, il quale perì dacché cessò d' es- )
sere tedesco e feudale , e si risolse in tirannia pura. I Guelfi
professavano un principio ideale ; i Ghibellini la devozione del-
l'uomo all'uomo. I Guelfi erano stretti logici, amanti la Chiesa
finché questa amò le franchigie; livellatori che bandivano guer-
ra ai castelli, pace alle capanne: ma poi abbattuto l'elemento
militare, per amor di pace urbana vi surrogarono le bande
mercenarie , non meno funeste e tiranniche.
ì\è quelli crediate meri nomi di fazione ; ma aveano Comune
e sindaci proprj ; nascevasi d' un tal partito , e diserzione pa-
reva il passare ad altro ; i trattati si facevano a nome della
repubbhca e della fazione: a Firenze coi beni tolti ai Ghibel-
lini espulsi si formò una borsa particolare onde mantenere e
invigorire la parte avversa , e un magistrato particolare fu po-
sto ad amministrare questa massa (jiiclfa , eleggendosi ogni
{ ^ ìMicHKLET, lìist. de Fianco, III, 35. .'
\^P^ ^ ; - '" - ^nl
Q
a CAPITOLO PRIMO
due mesi tre capi , con un consiglio secreto di quattordici
membri ed un gran consiglio di sessanta, tre priori, un teso-
riere, un accusatore de' Ghibellini ; consorzio regolare e perma-
nente, armato e ricco, che si sostenne quanto la repubblica.
Molti però erano Guelfi o Ghibellini per abitudine , per
esempio , per eredità , per emulazione ; o per potere , sotto
r ombra del trono o della tiara , acquistarsi il favore di una
fazione , grandeggiare , soperchiare.
Tardi mutaronsi in nomi vani senza soggetto; e uomini e
città li cangiavano dalla state al verno , e ne fecero pretesto
di rancori privati e di battaglie, sbranandosi fra sé finché riu-
scissero all' ultimo conforto degli stolti, il servaggio di tutti.
Dei Ghibellini nella Marca Trevisana stava a capo Ezelino:
i Guelfi v' erano denominati marcheschi perchè seguitavano i
marchesi d' Este : e teneano vivo il fuoco della disunione con
piccole guerre , piccole paci , non distinte una dall' altra se
non dalla diversità dei nomi e dei luoghi, né efficaci ad altro
che ad indebolire il paese. La più tenue cagione metteva rissa
fra gli uni e gli altri : e tosto le campane toccano ad accor-
r'uomo; tutti , dai diciotto ai sessant' anni , prendere le armi,
chiudere le case e le botteghe , serragliare gli sbocchi delle
vie : delle contrade , le piazze , i fortificati palazzi bagnansi di
sangue : una parte ne va col capo rotto , costretta ad abban-
donare la città in balia de' vincitori , che, nell' insolenza della
vittoria , diroccano torri e palazzi ; più a scherni che a barba-
rie strapazzano i prigionieri; intimano il bando ai vinti, e in-
nalzano a Dio ringraziamenti per aver ucciso maggior numero
di fratelli.
I vinti riparavano in paese ove la loro fazione avesse il
sopravvento : e colà rinnovate le speranze si pel numero cre-
scente e deliberato ad ogni estremo , come sogliono i fuoru-
sciti , si per la negligenza subentrata ne' vittoriosi dopo il pri-
mo bollore , sì per le intelligenze conservate in paese , piom-
bano armati sovra la patria , devastano i campi , rompono gli
argini , sviano le acque dai mulini , tagliano i ponti ; il sac-
cheggio comincia le ostiUtà , le finisce una battaglia 'o.
^0 II 6 aprile 1189 i Comuni di Solagna , Proveda, Sannazzaro, Cismone,
G - -IO - D-
GUERRE INTESTir^E
In questa non cercare 1' ordine con cui 1' odierno incivi-
limento ridusse a insigne maestria l'arte dell'ammazzarsi. Tutto
operava il valor personale , acquistato e nudrito in frequenti
esercizj ginnastici, nelle giostre, nelle gualdane , nelle briglie
private. Si fa dunque giornata: i fuorusciti vincono , assalgono
la città , ed alla volta loro rincacciano i nemici , diroccano abi-
tazioni , cantano a Dio lodiamo. Frati e vescovi sovente s' in-
tromettevano a queste izze come apostoli di pace , strappando
di mano le spade fratricide : altre volte , cangiato il pastorale
nella spada, 1' apostolato in grido di guerra, aizzavano gli ac-
caniti , e facevano pii^i sanguinose e fiere le stragi ^i: il papa
cogli anatemi maledicendo una parte , incorava 1' altra a gua-
dagnarsi il paradiso collo sterminarla: — Poveriltaliani , quanto
sangue prezioso fu sparso ! Torrenti di lagrime lo bagnarono
poi, ma senza lavarne la macchia, o scontarne la maledizione.
Fra il tramestio delle parti , cinque famiglie singolarmente
grandeggiavano nella Marca.
Già nominammo i signori Estensi, padroni di Gavello, del
Polesine di Rovigo, di Este, Montagnana , Badia ed altre no-
bili terre , e assai potenti nella jNIarca di Verona , oltre i lar-
ghissimi tenimenti sul Bresciano, il Cremonese, il Parmigiano,
la Lunigiana , il Modenese ; il Piacentino ; e fin verso Tortona
si spingevano a confinare coi INIarchesi del Monferrato.
I Sanbonifazio , ricchi ed autorevoli, continuavano ad inti-
tolarsi conti di Verona, sebbene più non vi conservassero om-
bra dell' autorità che v' aveano esercitato i padri loro avanti
che la città si affrancasse : tenevano la parte guelfa contro i
/lontecclii ghibellini , i quali dominavano le colline che ancor
ne portano il nome.
Canipose, Villa doli' ospodal dol Tempio, giurnrnno fedeltà a' Vicentini , promet-
tendo di non entrare in trama per guastare i membri o la vita ai consoli di Vi-
cenza , e sapendola , palesarla : non tagliar viti, olivi , alberi domestici, nò bruciar
case; né tirare con mangano, trabocliello, prederia, balista, arco : né portare spa-
da 0 ferro fraudolento nelle città e noi borgbi : non aiutar ad ammazzare un uo-
mo , purché non sia uno sbandito , ecc., ecc.
11 Giordano da Clivio, arcivescovo di Milano, nel 1110 convocò innanzi a
Sani' Ambrogio il popolo , e fattosi sulla porta , intimò che starebbero chiusi i
tempi 7 sospesi i sacramenti lintantochè non l'osse dichiarata guerra a morte ai
Comaschi.
^-eli^
s-r
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P
, -in CAPITOLO PRIMI) Q"
LU ^ -.^_.^_-_^_^
) Terzi conteremo i signori di Camino, gran possidenti nel
) Trevisano, ed ora in lotta or in lega con Conegliano e Céneda.
\ Seguono i Camposarapiero , famiglia tedesca , venuta giù
( coir imperatore Enrico il Santo , e che prese il nome dal ca-
; stello che fabbricò presso un' antica chiesa di san Pietro , at-
) torno al 1025, nel territorio di cui era infeudata, un dieci mi-
glia a settentrione di Padova, e divenne famosa per valentia
di braccio e per vasti dominj nel Padovano e nella Marca di
Treviso , della quale ebbe 1' avogaria , cioè di esser assistente
al vescovo nelle funzioni di Conte. Poco .valeano ancora quei
dì Carrara , destinati a ingrandirsi al decader degli altri ; ma
pii^i famosi erano quei di Romano , che vedremo soverchiare
gli altri , e da ultimo rimanere soverchiati.
Versando nel più vivo di tali dissidj , Ezelino il Monaco
ne profitta per acquistare dominio sulle città della Marca. Pri-
mieramente procurò farsi tiranno di Treviso, ma scoperto, n'ebbe
il bando. In Verona si rese potente coli' offrirsi capo alla fa-
zione de' Montecchi , in odio agli Estensi e ai Sanbonifazio. In
Vicenza, volta a soqquadro dalle parti de' Maltraversi e dei
Vivaresi , capitanò quest' ultimi finche in onta sua eletto un
podestà della fazione contraria , si udì intimare lo sfratto. E
quantunque , fiancheggiato anche dal vescovo , corresse alle
armi e funestasse di sangue e d' incendj la bella città e le be-
riche pendici, pure, respinto, dovette rimanersene fuori. Si
precipitò egli allora sopra Bassano e i dintorni, ch'eransì messi
ad obbedienza dei Alcentini , ma che desiderando sottrarsene,
favorirono Ezelino, il quale li tenne sotto la protezione de'Pado-
vani ; e protezione allora come adesso , significava signoria.
Questi servigi davano ad Ezelino molta influenza in Padova,
ma per quanti ordigni aguzzasse, non riusci ad ottenervi giu-
stizia dell'affronto recatogli nella sua donna dai Camposampiero :
che anzi questi, essendosi congiunti cogli Estensi, trionfarono
dell'emulo. Animata da essi, la Lega Lombarda citò in Mantova
1194 Ezelino a restituire Bassano a Vicenza; ma egli co' Padovani,
non ponendo mente alla Lega, menò i prodi Bassanesi a scon-
figgere i Vicentini. Se non che questi, alleati coi Veronesi, lo
ridussero a posar le armi, dare statico il proprio figliuolo, e
riconsegnare Bassano ai Vicentini. Poco andò che l'ebbe ricu-
perato, ma i nemici prevalsi costrinsero i Padovani a correre )
— 12 — n — 1
m
devastando i poderi degli Ezelini, e assalito il castello di Onara,
metterlo affatto al nulla, quasi per annichilar con esso la famiglia ^^^^
che ne traeva il titolo.
Di più in più se ne invelenivano gli sdegni; irreposata
agonia di Ezelino divenne il vendicarsi dei Camposampiero, e
vi riusci collo scorno e col sangue. Tisone Novello, di questa
famiglia, possedeva, unitamente a sua sorella Maria, il Castello
di Campreto, posto vicino di Loregia sul confine del Padovano
col Trevisano, e in ogni guisa soverchiava la sorella, la quale, \
desiderando vendicarsene e sottrarsi all'ingrata soggezione, né
valendole il diritto, deUberò consegnare la persona e le ragioni
sue ad Ezelmo. Accolse egli, pensate con qual contento, l'oc-
casione; ed avutala a sua posta, n'ebbe una figlia Adelasia.
Occupato quindi coll'armi il castello, ottenne dai messi imperiali
una sentenza che ne aggiudicava a lui la proprietà; indi, non
sazio dell'oltraggio fatto col tenersi una donna di tal condizione,
diede voce di aver cólta la Maria in fallo con uno di più che !
bassa mano, e cosi la rimandò scornata. Una parte e l'altra '
ricorse alle spade, e prendendovi impegno i parenti e i ligi,
dicono si trovassero in piedi ottantamila armati. Capiglie, di- )
struzioni, i soUti modi della guerra durarono a lungo, fiu quando \
s'interpose Gerardo vescovo di Padova, e li rappaciò. Diremo )
meglio : gittò un poco di cenere sui tizzoni, che a breve andare j
divamparono ancora ; giacché in prima s'ebbe a piatire sulle con- j
dizioni mal osservate, indi si ricorse agU assassinj. Eccovi il fatto. >
Una festa, splendida oltre l'usato, era bandita in Venezia, ì
la città libera, che, fra il deplorabile trambusto dell'Italia, (
sicura e possente riposava nelle sue lagune, spingendo il guardo )
verso l'Asia o per riceverne le tributarie ricchezze o per re- )
prirnerne le miuaccie. Le feste v'erano ed un avvedimento del
Governo che voleva addormentare il popolo sovra i rapitigli
diritti, e un'arte de' mercadanti per attirarvi gente a vendere,
a comprare, a scialare. D'ogni parte vi soleva accorrere popolo
e baronia, facendo ognuno a gara quel maggiore sfoggi di lusso
che potesse. Alla festa che dicemmo non volle mancare Ezelino 12 e,
e seco gran treno di famigli e undici cavalieri, divisati tutti
ad una foggia, e senza altro divario da lui se non clie quelli ^
portavano mantelli federati con preziosi vaj di Schiavonia, ed )
egli con ermellino. Passeggiavano tutti insieme sulla piazza, ;
13 —
jEL.
I □ CAPITOLO TRIMO
«^ — - - -
\ non ancora si stupenda, di San Marco, quando alcuni scherani
; gli assalgono, e credendo trucidare Ezelino, colgono in sua vece
< uno de' suoi seguaci. Era opera del Marchese e di Gerardo da
/ Camposampiero, che mai non distolse l'occhio dalla vendetta;
S insidiò più volte ad Ezelino ; due giorni interi appiattato attese
( un costui fedele per trucidarlo, e nel proprio castello tremava
/ e minacciciva.
) Sbuffante ira e vendetta, Ezelino tornò a' suoi poderi;
) né gli tardò occasione di ripagarsi. Perocché i Montecchi,
) 1207 scacciati di A^erona dal marchese d'Este, che se n'era reso
\ podestà ed aveva stretta lega coi Sambonifazio, ebbero ricorso
S ad Ezelino: egli in Bassano raccozzò gente assai, si diede mano
col potentissimo Salinguerra da Ferrara, ed assalita Verona,
; ne snidò il marchese e tornò in fiore la parte ghibellina si
) colà, sì a Ferrara, di cui prese il dominio a vicenda con Sa-
■ linguerra. L' Estense allora che fa? Da Lombardia, da Romagna,
dal Veronese, prmcipalmente da Mantova, raccoglie sforzo di
gente, e venuto segretissimo sopra Verona, il giorno di san Mi-
/ chele v'entra prima che se n'intenda; lunga e dura battaglia
', si combatte per le vie; in fine i Montecchi sono respinti, e le
< case e i poderi loro arsi e devastati.
( Rolandino aggiunge che Ezelino cadde prigioniero del
S Marchese, e sì egli, sì le dame e i cavalieri veronesi ebbero
( leale trattamento e furono amorevolmente rimandati. Tanta
/ generosità in uno che poc'anzi non isdegnava scendere fino
\ all'assassinio, era suggerita, se pur è vera, dalle leggi della
cavalleria, la quale dichiarava infamia l' incrudelire sui vinti.
\ Ho detto, se è vera: giacché altri storici taciono o negano il
j fatto, e, se guardiamo al seguito, pare a ragione. Perocché
( tosto dopo ritroviamo Ezelino ancora in armi, che con grossa
flotta va a soccorrere di cibi i Montecchi, chiusi nel castello
(U Garda dal Marchese; ma invano, giacché questi ebbe in ogni
( parte la meglio, e perseguitò per tutto il paese Ezelino ed i
• suoi. Alla riscossa questi recava ai nemici ed al paese il maggior
\ guasto che sapesse, con qual danno delle arti, dell'agricoltura,
) del quieto vivere, é facile immaginarlo.
j In questo mezzo Ottone IV, imperatore di Germania dopo
( che un opportuno assassinio ebbe tolto di mezzo l'emulo suo
^ Filippo, calava in Italia per farsi a Roma incoronare, e ricevere }
..., se questa volta mi son lordato dell'onor suo, un'altra mi laverò nel suo sangue.
E cosi gli riconsegnò la contaminata. ^'^^- ^- ^^^' *
k
EZELINO IL MONACO E GLI ESTENSI
l'omaggio dalle città e dai baroni. Fermatosi ad Orsanica del
Veronese, gli venne udito che Azzo d'Este ed Ezelino stavano
in violenta discordia.
Questo Azzo aveva sposato Alisia, figliuola di Rinaldo 12 prin-
cipe d'Antiochia, per la quale diveniva cognato di Mannello
Commeno imperatore di Costantinopoli e di Bela re d'Ungheria.
Ma più vantaggioso gli era stato il precedente matrimonio con
Marchesella degli Adelardi, famiglia potentissima in Ferrara,
coll'aiuto della quale erasi acquistato potenza tale in questa
città che, doma la fazione ghibellina guidata da Salinguerra,
era riuscito a farsi nominare signore dei Ferraresi con diritto
di fare il giusto e l'ingiusto (cosi impazziscono i popoli nello
sprecare la libertà) e di legarsi un successore ; primo esempio, 1208
troppo imitato, di città italiana legatasi a signoria d'un solo,
e fonte prima di quelle divisioni che im.pedirono all'Italia d'aver
mai più uniformità di leggi ed unità di Stato. Con Salinguerra (
esercitava dunque il Marchese continua lotta, ed ultimamente )
aveva veduto, per opera di quello, espulsi da Ferrara i suoi ^
partigiani; onde esso Marchese, che accingevasi ad irrompere (
sovra Bassano per combattere Ezelino, dovette accorrere a (
Vicenza per confermarsela in fede. Inseguito da Ezelino, era stato (
costretto a retrocedere, ma tenevansi tutti coll'armi in pugno }
e anelanti sangue.
Inteso di ciò, Ottone mandò ad Ezelino che, cessata ogni j
guerra, venisse a lui. Oljbedi questi, e ne fu accolto con ono- )
ranza straordinaria: ebbe una tenda più magnifica delle altre i
e accosto a quella dell'imperatore; cavalcava sempre a fianco 1209 |
di questo, e n'era con somma dimestichezza trattato. A quel
campo venne pure il marchese d'Este, accolto con ogni maniera
di cortesie; se Ezelino era il più caldeggiante per la parte
imperiale, Azzo era parente dello istesso Ottone ^^. Mentre
un giorno stavano entrambi in presenza dell'augusto, Ezelino
1^ Fu nel 1204: 0 di qui cominciò il nome di Rinaldo,- propagalo nella famiglia
estense, e elio il Tasso, por ispirilo d'adulazione, portò indielro lino alla prima
crociala.
^3 Discendevano entrambi da Azzo II niarclieso, stipile dei Guelfi italiani
e tedeschi.
,0 • — 15 —
CAPITOLO PRIMO U i— i
)
si alzò, ed espose i torti che aveva dall'altro ricevuti, esibendo ì
provarne la verità colla punta della spada. Il re allora tanto \
riuscì a calmarli: ma il domani sopraggiunse Salinguerra con >
cento cavalieri, e invece di procedere difilato alla tenda im- ì
periale, passò innanzi a quella del marchese, per mortificare )
collo sfoggio di tanta pompa il discendente di quegli Alberto )
ed Obizzo, che, quando a VenezLa, nel 1177, si maneggiava ì
la pace fra Alessandro papa e Federico I, vi erano comparsi )
con 180 persone di seguito, comitiva che nessuno eguaglia- )
va 14, Poi esso Salinguerra, venuto a' piedi di Ottone, recitò J
querela contro l'Estense: qui entrarono in parole, dalle parole f
alle sfide, onde, non che tutta l'autorità di Ottone, ma vi vollero ]
S le armi de' suoi per tenerli in freno. )
J Poco dopo cavalcava il Tedesco a diporto fra Ezelino ed >
> il marchese, e bramoso di metter joace fra quegli iracondi, l
\ voltosi ad Ezelino in lingua romanza gli disse: Sir Ycelin, j
) salutem li Marcliès. \
S Ed Ezelino, trattosi il cappuccio, disse : Signor Marchese, (
ì Dio vi salvi. >
^ Cui il marchese, senza scoprir il capo, rispose: Dio salvi i
\ voi pure. )
/ Allora Ottone, voltosi al marchese. Sire Marchcs, gli \
^ disse, salutem Ycelin; e quegli a testa coperta (il suo grado (
\ lo comportava) proferi: Dio vi salvi: e l'altro scoprendosi:
/ Così voi.
) Indi nel camminare venuti ad un angusto valico, il re trottò
( innanzi , essi rimasero indietro a fianco un dell'altro; e per
,' due migha ragionaronsi tanto amicamente , che al Tedesco
\ nacque sospetto non gli macchinassero qualche tiro; si poco
/ contava sulla loro lealtà. Quando però li richiese di che cosa
1* Raccomando ai romanzieri una cronaca, verace o no ma curiosa, dove
sono divisato UUtc le persone che intervennero a quel famoso congresso : vescovi
d'ogni paese, con 40, 60, 100 uomini di seguilo; i signoroni, i podestà: Ezeiino
con 30 uomini; nove capitanei di Treviso con 43, e soggiunge il cronista: de
zascuna citade de Lombardia e de la Marca ve fo catani e j)Osst'nli hoinciii, lo
nome e lo numero deli quali non saveno. Suma lo numero delle persone numerade
e i 50 principali nnminadi per nome, in /ut/o homeni 6590. Vedi Ulmo, lUst. (
della venula a Veiielia occuUamcute nel 1177 di papa Alessandro ìli, ecc., ecc., Ve- }
nezia 1629. }
L3f=
[TTU IL CASTELLO d'aMORE
avessero favellato , essi , vero o no , replicarono aver rincorsa
r antica loro amicizia , e come esso re fosse tra gli uomini il
più mansueto e virtuoso , ma insieme all' uopo il più austero
e tremendo.
Cosi egli ottenne che i due gran nemici si rappattumassero,
e ne esigette il giuramento. Debole argine a sbrigliate pas-
sioni.
Lo stesso Imperatore fece da Azzo d' Este rilasciare i pri-
gioni , punire i malevoli di Ezelino , e questo nominò podestà
di Vicenza. Il quale entratovi in signoria , bandì perdono ai
molti avversari che v' aveva : ma come con ciò ebbe tratti
nella rete i creduli , perfidamente gli imprigionò : quelli che
scamparono furono ben presto sulle armi , e la pace conciliata
dall' imperatore tornò in fumo.
Poi esso Ezelino ebbe da questi il governo di Bassano , 1211
primo passo alla futura potenza ; ed altri favori ancora , sin-
golarmente dopo che gli si fu chiarito nemico il papa , per cui
istigazione le città lombarde quasi tutte , ed Azzo estense si
voltarono contro l'Impero. Giovandosi di queste defezioni, Eze-
lino montava sempre più alto: massime dacché i due suoi grandi
emuH , il conte Sambonifazio e il marchese di Este , perirono
d' immatura morte , lasciando la loro fazione sotto capi ine- nor. )
sperti. Onde Ezelino di vittoria in vittoria, non curando le sco-
muniche del papa , domò i nemici e dettò la pace.
Pace come le altre , d' efimera durata. Che in quegli ani-
mi turbolenti la minima cagione bastava a rinnovar le risse ,
come una minutissima favilla dà il volo alla mina preparata. Di
quei giorni i Fiorentini indissero guerra ai Pisani per un ca-
gnuolo promesso e non dato al loro ambasciadore ^^; ed ai
Pistojesi, perchè sur una ròcca aveano poste due mani di mar-
mo , che faceano atto di sfregio verso la loro città; a tutti è
nota, pel poema del Tassoni , la guerra tra Bolognesi e Mo-
denesi a cagione d'una seccliia. Un accidente di poco più seria
importanza ridestò a battaglie la ]\Iarca.
I Trevisani avevano preparato una di quelle feste , tanto
splendide perchè rare , in cui allora si piacevano gli Italiani ,
E
'S G. ViLLAN, I,ib. VI, Cai). 2.
n . - 47 -
&
CAPITOLO PRIMO
1214 quanto oggi dei quotidiani teatri. V'erano stati invitati molti
cavalieri e borgliesi di Padova , e le dodici donne più belle ,
più nobili , più sporte ai giuochi , che fossero in questa città.
Le quali furono chiuse entro un castello , colle serventi e da-
migelle loro , acciocché le difendessero dall' assalto degli uo-
mini. Era il castello di legno , munito con vaj , grigi , ermel-
lini , zendali , porpore , sciamiti , scarlati , baldacchini ; corone
d'oro, crisoliti, giacinti, topazi, smeraldi ornavano ed insieme
difendevano dai projettili le teste delle donne. E i projettili de-
gli assalitori erano poma , datteri , pere , muscati , frittelle ;
un' amabile varietà di gigli e viole, poi oricanni di balsamo
e d' acque nanfe , ambra , canfora , cinamomo.
Da Venezia , da Padova, dal Friuli trassero i giovani al-
legri e volenterosi all' incruenta tenzone, ciascuno sotto lo
stendardo del proprio Comune. Qui , a prova gii uni degli al-
tri , con tempesta di doni , con molli parole e scoccando baci,
tentavano rimuovere le belle guerriere dalla difesa : ma era
nulla. I Veneziani , gente di traffici , indovinarono come far
breccia ; ed ammanendo un arma , che troppo spesso vince ,
non che le Danai , ma anche la maschile costanza , comincia-
rono a saettar fra esse dei lampanti zecchini. AH' inaspettata
pioggia si leva un oìi di meraviglia , e si suscita un'avidità di
ghermirne il più che ciascuna potesse : al che intente, le belle
si tolsero dalla difesa.
E già il gonfalone di San ^Nlarco s'avanzava sicuro per es-
sere piantato sugli spaldi del castello d' amore ; quando i Pa-
dovani , stizziti dell' altrui trionfo , e non accorgendosi con quali
arte fosse conquistato , s' accalcano anch' essi verso la porta
per montare i primi. Qui urto , ressa , scompiglio : dalla baja
si passa al serio ; comincia grave baruffa , tanto che i Pado-
vani mettono a brani il vessillo di San Marco. Non mi chie-
dete quanto se lo recassero ad onta i Veneziani ; e si lu ad
un punto di venire ivi stesso a sanguinosa battaglia. Per al-
lora si sospesero le ire : ma tornatisi alle case , Padova e Ve-
nezia presero interesse comune alla briga di que' pochi citta-
dini ; dichiararonsi guerra, e occupata Torre delle Bebbe fra
Chioggia e Cavarzere , cominciarono come Napoleone dall' im-
pedire il commercio , poi furono a guastare il territorio e le
navi con ruberie e rappresaglie ; tinche Padova conoscendosi
- 48 - D-
rr-^n IL CASTELLO D AMORE LI 'ri
m [jj
ineguale alla sposa dell' Adriatico , chiese pace. Il veneto se-
nato la consentì ; patto che fossero dati in balìa del doge ven-
ticinque fra i giovani , che nella festa aveano oltraggiato lo
stendardo del leone. I quaU giovani, anzi che patire danno né
vergogna di sorta, furono con cortesia ricevuti, e rimandati
senz' altro in hbertà. Ma secondo i bizzarri usi del tempo, fu-
rono condannati i Padovani a dovere ogni anno mandare a
"\'enezia , in determinato giorno , trenta galline i^.
Questo rito continuò quanto la repubblica : e il giorno che
le galline padovane arrivavano , era una baldoria per Venezia,
accorrendo un mondo di gente a veder lasciarle in libertà , e
tutti i Nane e i Zaneti , e le Zanze e le Nine 'di Castello o di
San Nicolò, dietro esse a cacciarle per le cale, pei campieti,
e prenderne allegria e sollazzo.
Oggi le feste di Venezia sono finite !
Anche a questa guerra prese parte Ezelino : ma doveva
da tante commozioni trovarsi stancato. Lo perchè , bramando
quella pace che viene così dolce e desideralnle quando il giorno ^
il giorno della vita volge a sera, fermò ricoverarsi in un sa-
cro ritiro. Stile di molti in quell' età, che, vissuti braveggiando
e furfantando , allo scorcio di loro vita si ritiravano in mona-
steri a dare a Dio gli ultimi anni, e porre un intervallo fra
i tumulti del mondo e la misteriosa quiete del sepolcro. L' età
sapiente , in nome della libertà , proscrisse cotesti ricoveri delle
anime stanche o dei cuori tribolati ; la società non sa che farne
di gente che prega per chi non prega ; ma se voi avete os-
servato i pugnali dei briganti sospesi alle Madonne di Roma ,
forse diverrete più tolleranti per quelle superstizioni, contro
cui r epigramma e lo spirito forte sono così facili che ces-
sano d' essere generosi , così volgari che cessano d' essere
arguti.
Ezelino, chiesta ed avuta licenza dal papa, in Ohero ,
villaggio del Accentino di là del Brenta, sei miglia presso Bas-
sano , si ridusse in una casa dei Benedettini di Campese, già da
16 Chioirgia ajuiò i Veneziani in quella guerra; lo perchè fu assolta da un
tribulo (li galline che ogn' anno portava [al doge , e autorizzata a eleggersi un
proprio podestà.
i
sta
gira — _„ ^ EH^
□ CAPITOLO PRIMO
lui lautamente dotata, ed ivi trasse il resto de' suoi giorni in
atti di pietà ; sicché molti di quelli che l'avevano bestemmiato
micidiale e quando in armi, l'avranno benedetto o gli avranno
perdonato sotto la nera tonaca. Forse la Casa di Romano potea
sperare la gloria d' un santo , come già 1' aveva 1' emula fa-
miglia di Camposampiero i"^ ; ma Ezelino col comando non
avea deposto 1' orgoglio della personalità , né concepita quel-
r abnegazione di se stesso che per un monaco è la prima virtù,
e virtù grande per chiunque vuol vivere bene col prossimo :
e cessato d' armeggiare, si intrigò di opinioni teologiche e die'
nell' eresia , tanto che fu scomunicato dal papa.
Ivi morì poi verso il 1235 ; e lasciò di sé tre femmine e
due maschi. Da Cecilia di Baone ebbe Agnese , che sposata nei
Guidetti, partorì un Giovanni e un Ansedisio, il quale trove-
remo ministro e consigliere dello zio. Da Adelaide gli nacquero
Palma Novella, sposata ad Alberto di Baone: Emilia od Imia,
fatta moglie di Albertino de' Conti governatore della Venezia,
la quale dovette aver a fare coll'uffizio dell'Inquisizione, giac-
ché questo, dopo morta, ne confiscò i beni; Sofia, maritata
con Enrico di Egna , poi col famoso Salinguerra : seguono
Cunizza, Ezelino ed Alberico, sui quali lungo sarà il nostro
parlare.
D
^7 11 beato Crescenzio , clie fondò il nionaslcro di Santa Cecilia in Padova
e la cliicsa di San Luca.
k
rBrP - 50 - n.
--NE^
CAPITOLO IL
PRIMA ETÀ' DI EZELI^"0
E quella fronte ch'ha '1 pel cosi nero
è Azzolino.
Dante. Inf., 12.
Necis procrnosticus ventrem lev.is
cruentus infons, fronte crudeli niinax;
terribili visu, atroxque portentiim indicans.
Mussato, Ecelinis.
a tale schiatta uscito, Ezelino III sovra gli altri
acquistò infelice rinomanza. Nacque egli ai
16 dell'aprile 1194: e per dire qui l'abito del
corpo suo, fu di mezzano taglio, nero, peloso,
grosso il capo , denti acuti , capelli tiranti al
rosso , occhi piccoli e vivi , aspetto terribile e
fiero , e sopra il gran naso aquilino gh spuntava una lunga
setola che, qualora montasse in collera, si rizzava ^: negli
atti composto ed elegante, dolce nel conversare, facile dicitore
quanto verun altro del suo tempo.
I primi anni versò tra quelle guerre o ladronaje fraterne,
che doveano alimentare in suo cuore 1' inclinazione feroce.
1
\
1 Benvenuto da. Imola. Comiiicnli a Dante.
— 51 —
CAPITOLO II.
Sotto SUO padre fece i primi passi nella carriera- del sangue:
e fin quando nel 1213 questi combatteva il forte d'Este, egli,
che allora chiamavasi Ezelinello, ebbe a comandare soldati col-
letizj delle parti di Bassano e di Pedemonte , e già (dice Ro-
landino) mostrava non comune finezza d' ingegno coli' ado-
prarsi fra' coetanei suoi ad inventar certi ingegni da scagliare
pietre -. Sciagurato tirocinio in una guerra dove era ordine
^ di mettere a ferro e a fuoco il paese , non altrimenti che se
j fosse terra di Saraceni. Poi nel 1220 assalendo i Vicentini,
{ ne tirò agli agguati l'esercito, triplo, e lo svolse in isbaratto;
l riempi di illustri prigionieri le carceri di Bassano , e ottenuti
} larghi patti , entrò in Vicenza trionfante , rimettendovi in es-
l sere la sua fazione.
( Quando poi il padre si ritirò quasi rinunciando al mondo,
f Ezelino ed Alberico ereditarono da lui vastissimi possedimenti,
\ un nome illustre , la capitananza d'una fazione, esempi di va-
^ lore, di perfidia , di vita, di generosità, 1' emulazione dei po-
i tentati vicini , un odio a morte contro i Camposampiero e
\ l'ambizione di signoreggiare estesamente; e il giovane Ezelino
) fu inteso esclamare che voleva fare in Lombardia imprese
i tali, da non essersene udite le pari da Carlomagno in poi ^
( Con animo siffatto non era a credere potesse durare in con-
^ cordia e in parità col fratello ; presto furono a dissensioni, per
\ accomodare le quali Ezzelino il monaco , padre di loro, uscito
J dal suo ritiro spartì in due porzioni i beni, diede ad ognuno
{ quello che la sorte gli attribuì, obbligandoli assegnare a cia-
' scuna delle figlie tremila lire di dote, e tramandare quei beni
j in perpetuo fedecoraesso ai maschi loro.
\ Nessuno di questi dovea goderne.
/ Così r uno dall' altro indipendenti, cominciarono a correre
^M
entrambi una via, la quale li menò ben altrove che là dove spe-
ravano. Tosto si avventarono tra le fazioni , che teneano vivo
neo-li Italiani l'odio fraterno, e negli stranieri la speranza d'in-
fiacchirli e domarli , come riuscirono. Il campo dove queste
allora si esercitavano era Ferrara. Copiosa d' ogni bene, dalle
2 ROLANDINO, L. 1, e. 12.
3 CORTLSII JJisloiia , e. 6.
pi
Passeggiavano tutti insieme sulla piazza, non ancora si stupenda, di San Marco
quando alcuni scherani gli assalgono Cap. I. Pag. 43.
FERRARA
città vicine e dal mare traeva abbondanza di vettovaglie; per
le bocche del Po le arrivavano navi (narra un cronista) cariche
fino al sommo dell' albero di mercanzie d' ogni lido. Senza che
andasse a Ravenna od a Venezia a cercare che le fosse me-
stieri , ogni anno , nel prato del Comune presso al Po, si te-
nevano due fiere , cui dall' Italia e dalla Gallia moltissimi trae-
vano , e moltissimi guadagnavano mercatando. Si lauto poi era
il fisco che , soddisfatto ad ogni spesa del Comune , rimaneva
che spartire fra i cittadini in ragione del censo.
Questa larghezza andò guasta allorché i Veneziani , con-
siderandosi padroni dell'Adriatico , che il loro doge sposava ,
pretesero che tutti i legni dovessero approdare ai porti ve-
neti ; lo perchè chiusero le foci del Po , cagione di dissìdi e
di guerre i.
Cosi il cronista: cui vogliamo accoppiare un altro cittadino
suo , che descrive gli usi d' Italia. « Ai tempi di Federico II
(che son pur quelli del nostro Ezelino) rozzi erano i costumi;
gli uomini portavano in capo mitre di squame ferree cucite
ai berretti , che chiamavano inaiate. A cena marito e moglie
mangiavano dallo stesso piattello: non usavano a mensa col-
telli ; non più di uno o due bicchieri avevano in casa : di notte
cenando , illuminavano il desco con lucerne o fiaccole , soste-
nute da un ragazzo , non conoscendo candele di sego o di ce-
ra. Gli uomini vestivano di pelliccie senz' altro sopra, o di lana
senza peli , con fascia di pignolato 5, Le donne , tuniche pure
di pignolato, anche quando andavano a marito. E degli uni e
delle altre rozze erano le portature; oro ed argento nessuno o
ben raro sulle vesti ; parco il vitto : i plebei tre volte la setti-
mana mangiavano carne fresca : a pranzo verdure cotte colle
carni; a cenai rilievi di carne rifredda: non tutti bevevano vino
l'estate : piccole le cantine, né vasti i granai; con poco denaro
credevansi ricchi. Con iscarsa dote si maritavano le ragazze ,
perché l'addobbarle costava ben poco: le fanciulle in casa erano
contente di una sottana di pignolato e d'una secca di lino;
il capo non ornavano preziosamente , ragazze fossero o mari-
'* VJiroiura parva fonar irmis ) Rrrum hai. Srrijif. Vili.
•■5 Tessuto (li lino e canapa.
_G • - "'3 -
Cantu — EzeUnt.
tate; ma le maritate bendavano le tempie e le guance con lar-
ghe fascinole. Gli uomini non si davano vanto che di armi e
di cavalli ; i nobili ricchi dell' aver torri 6.
Dicemmo come in Ferrara fosse montato in domini come Azzo ')
d'Este, il quale, oltre il marchesato da cui s'intitolava, possedeva )
ISIontagnana , Badia , Rovigo , il Polesine meridionale , la Gar- )
fagnana, ed il favore di tutti i Guelfi. Vivo ed assennato ca- (
pitano di questi fu Azzolino , suo giovane figliuolo e succes- /
sore ; ma il Salinguerra , capo de' Ghibellini , gli fu addosso e )
Io cacciò di Ferrara. Il marchese , per vendicarsi , raccolti amici \
d' ogni parte, accampò sotto la città presso al Po. Salinguer- >
ra, non credendosi bastevole per resistere , si volse all' in- (
ganno , e fece intendere al Marchece che esso poteva entrar /
sicuro in città per trattare della concordia. Quegli , credente )
come sogliono essere i giovani , venne con cento de' suoi più (
fidati : ma 1' astuto , cogliendo di que' pretesti che non man- ,■
( cano mai , come a dire prepotenza nel togliersi il vitto , ar- )
' roganza di risposte , disturbo delle cavalcature , fece toccare ^
a stormo , e addosso ai Guelfi. De' quali i più , fatto nodo, si /
camparono a viva forza ; altri restarono morti ; Tisolino da ^
Camposampiero , arrestato per via da contadini, vendette ca- \
rissimo la vita : giovine di splendide speranze , compianto per
tutta la Marca Veronese , e dallo stesso Salinguerra onorato
di splendide esequie.
Ma un' esequie di stragi gli preparava il suo amico Az-
zolino d' Este , che, a vendetta dell'inganno, tornò con grosse
i22òarmi sopra Ferrara, Eppure anche questa volta Salinguerra ,
con parole scaltrite, trasse in città Rizzardo da Sambonifazio,
uno de' più prodi alleati del suo nemico e ve lo tenne prigione.
Per lo che Azzolino , stremato di forze e di coraggio , si tolse
giù dall' impresa, e voltosi contro il castello della Fratta, che
Salinguerra avea edificato sul confine dei domini estensi , usò
le peggiori crudeltà su persone d' ogni sesso, di ogni età, per
espiazione dell' assassinio commesso. Così , che che delirino i
capi , il popolo sofl're.
Ad Ezelino , cognato suo , riferi tutti questi casi Salin-
L
6 r.iroi A r.n. Ferra rcsr.
guerra , e la slealtà del Marchese , provata anche al giusto
giudizio di Dio che lo rese perdente : il caso della Fratta e
r enorme uccisione d' uomini , donne , fanciulli inermi , chie-
denti mercè ; crudeltà , diceva , quale non si userebbe con
Giudei né con Saraceni ; e lo esortava a consigliarlo su che con-
venisse fare.
Ezelino abitava il più a Bassano, dove aveva eretta la
maestosa torre che grandeggia in mezzo alla città , e che al-
lora restava presso una porta della mura ; lo che aveasi per
gran segno di potenza. Ivi appunto ricevette la lettera, e cosi
vi rispose :
« Al sapiente uomo signor Salinguerra, padron suo reve-
» rendo a tutti i mortali , Ezelino da Romano sommesso e fe-
» dele amico suo , salute e gloria e trionfo de' nemici.
•< A due cose deve sopratutto intender ì' uomo in questa
» vita ; ciò sono , serbar fede agli amici e vivere con onoran-
» za. Per queste cause appunto io mi sento indissolubilmente
» con voi legato , in modo da mettere agli affari vostri non
» minor premura che a' miei propri. Inteso eh' ebbi 1' ecci-
» dio della Fratta , più non provai bene , né pace di me ; <
» ed allegrezza sincera non proverò fintanto che non mi venga !
» fatto di toglier vendetta del danno e del sangue. E da pu- ^
» sili anime il trasmodare nel dolore per le avversità: anzi il (
» cuor vostro si conforti, ed io con voi, che, Dio conceden- ■
j » te , non volgerà intero un anno, senza che facciamo opera
» di trafiggere d' acute punte i nostri nemici e 'balzarli nel (
) proprio precipizio. » ''.
) Spiando luogo e tempo alla vendetta , lì trovarono. I Ret-
l tori della Lega Lombarda , intesi a conciliare in pace quegli 1226 \
) animi efferati , aveano indotto Salinguerra a rimettere in li- i
berta il conte Rizzardo. Ma era appena tornato a Verona, che '^
( i Montecchi , istigati da Salinguerra e da Ezelino stesso, lo
S respinsero di città , sacclieggiando le case di lui e de' suoi. E ^
^ però Rizzardo invocò l'Estense, col quale, raccozzato un grosso ^
di soldati, cavalcò all'improvviso la città.- 1 Montecchi in di- 5
ligenza ne mandarono avviso ad Ezelino, il quale , avidamente )
CAPITOLO II.
abbracciando 1' opportunità di romperla col Sambonifazio, cavò
la spada e ne buttò via il fodero. Somma confidenza riponeva
egli nel valore de' Bassanesi, tanto che a petto loro giudicava
gli altri Italiani poco meno che femminette. Chiamati senza in-
dugio alle armi quanti potè , per disastrosissimo cammino at-
traversando la Yalcamonica, con palajuoli innanzi che spianas-
sero e colmassero , fra ghiacci e nevi arrivò improvvisissimo
addosso ai nemici. Come i Veronesi lo videro comparire ,
forti d'animo, gridarono: — All'armi, all'armi, è qua il ca-
valier Ezelino », e gliene affidarono il comando. Si fé' giornata, e
dopo lungo ondeggiare , la fortuna si pronunziò per Ezelino.
Il Marchese ritiratosi , e chiesti in aiuto i Mantovani , tornò ,
ma fu vinto ancora : Verona tripudiò per 1' oppressione de' fi-
gli suoi , e coir esaltare Ezelino fino ad eleggerlo podestà', gli
lastricò il cammino alla tirannia.
Queste ire si perpetuavano nel nostro paese per ambi-
zioni personali, e per una politica gentilesca, nutrita dall'am-
mirazione della Roma antica. La feudalità avea bensì miglio-
rato i signori , ispirando il sentimento della dignità personale
o della famiglia ; ma insieme infondeva mania del primeggiare,
intolleranza d' ogni freno , assoluta confidenza nella spada.
Vennero poi le repubbliche, le quali migliorarono anche il
popolo , traendolo fuor dei piccoli interessi , a vivere la vita
comune , a conoscere delle leggi , de' trattati , delle ammini-
strazioni pubbliche, ad allargare la propria esistenza quanto il
circolo della patria , e voler mostrarsi bene in faccia ai con-
cittadini. Mirabile era il disinteresse , tanto che que' Ferraresi
di cui vedemmo la rozzezza, si lamentavano di non essere tas-
sati abbastanza per la patria ^.
Quanto poi è spettacolo inusato a noi cotesto perpetuo
movimento di ire e di battaglie , altrettanto è la devozione
che mitigava quella fierezza. Davanti agli eserciti era tratto il
carroccio , sul quale grandeggiava il Crocifisso, nò si sarebbe
rotto guerra o mischiato battaglia senza prima invocare lo
Spirito Santo , e celebrare la messa sul sacro carro. Avanti la
^1
^ Chr. Ferrar. , pair. 453. ?
Di
G- qJil
-^r^
raia— — ™&[E]
PROSPERAMENTO DELLE REPUBBLICHE ni
battaglia « che fece 1' Arbia colorata in rosso », le città di
Lucca , Pisa , Siena si consacrarono alla Madonna.
I micidj fraterni erano dunque fatti meno atroci pe' senti-
menti che vi si univano; meno penosi perchè generati dapas
sione e da convinzione ; e perciò ben lontani dall' uccider le
anime , dal gettare in queir avvilimento a cui ci ridusse il
lungo riposo di secoli imbelli. Vorrei quelli paragonare a una )
bufera che devasta le campagne e schianta le case , poi la- J
scia rifiorire ogni cosa; questo all'aria metifica, che senza j
lamenti , quasi senza dolore , sfibra i corpi , e ad una vita di j
ì marasmo fa seguire una morte anticipata. )
} Anche dal poco che dicemmo, quanto vigore non appare '^
( in queste repubblichette ! Poi nell' interno ciascuna edificava /
mura , un palazzo del Comune, una cattedrale; logge ove adu-
narsi a discorrere , broletti ove il popolo tutto discutesse gli
affari della patria ; canali che agevolassero il commercio e
prosperassero 1' agricoltura. In Milano nel 1157 si spesero in
fabbriche 50 mila marche d' argento, che al conto del Giulini,
tornerebbero 20 milioni di franchi. Il naviglio grande , che per
30 miglia conduce le acque del Ticino a irrigare le pianure
ad occidente di quella città , fu intrapreso nel 1179 , indi nel
1257 ridotto abbastanza largo da portar navi ; primo esempio
in Europa di canali artefatti, ^'el tempo stesso cingevasi alla
città una mura con sei porte di marmo, e nel 1228 delibera-
vasi di edificare il broletto , ove disporre tutti gli uffizi. I Ge-
novesi nel 1226 al 1285 compirono le due belle darsene e la
grande muraglia molo ; nel 95 il magnifico acquedotto. Di quei
tempi i Modenesi tolsero a rifabbricare San Geminiano (1106);
scavarono il Panarello nuovo (1159) e il canal Chiaro; eres-
sero la torre della cattedrale , il palazzo del Comune , la rin-
ghiera ; spaziarono, selciarono, fognarono le vie e i porticati.
Lucca dilatò la sua cerchia nel 1260. In Reggio dal 1229 al
1244 si fece la mura per 3300 braccia , e uomini e donne ,
piccoli e gramU , rustici e cittadini venivano portando sassi,
sabbia , calcina. Brescia ampliava le mura, fabbricava le chiese,
e i monasteri di San Barnaba , San Francesco , San Domenico ,
San Giovan Battista ; finiva il broletto , dilatava la piazza del
duomo, conduceva tre canali dal ^Niella e dal Chiese per gli opi-
ficj, a cura del vescovo Bernardo Maggi. Tutte le città allarga-
D.
-H^S
rrb CAPITOLO ir. ^ ni
reno le mura, sicché cinsero anche cattedrali, che prima stavano
fuori; tutte si abbellirono, massimamente chiese, ove col pio zelo
accordavasi l'amor cittadino , considerando il tempio come la più
nobile e sensibile immagine della patria. Insomma, girate tutta
Italia , e domandate ai palagi , alle cattedrali, Chi vi ha eretto?
e tutte risponderanno , La libertà. E ognuna aveva alle porte
signori minacciosi, e vicino altre città di egual floridezza, ep-
pure compirono imprese quali neppur Venezia e Firenze dopa
che dominavano estesissimo territorio.
Aggiungete quelle splendide feste , di cui avemmo già
qualche saggio, e che, anch' esse manifestavano il sentimento
del viver comune , attesoché al riso e al pianto , alle esequie
e alle nozze si volea partecipassero tutti, mentre oggi si rac- •
chiudono nelle pareti domestiche e le gioje e i dolori.
Invece dunque di bestemmiare la libertà d'allora, ingrati
ai beni ch'essa ci trasmise , noi affermiamo che i guai venissero
dal non esser ella compiuta. Il popolo s'accontentò di assicu-
rarsi esistenza civile e cooperazione ai pubblici affari ; né mai
pensò (quel popolo della cui fierezza non si rifina di dire) a
decollare i primitivi gaudenti colla ghigliottina , come la filo-
sofica Francia nel 1793, o a scannarli come la serva Gallizia
nel 1846. I precedenti possessori erano chiamati ad accasarsi
in città , ma quivi essi mal sofi"rivano di trovarsi spodestati ,
e fomentavano passioni , e consigliavano secondo l' interesse
proprio , non secondo il pubblico bene. Il governo pertanto ri-
maneva un' oligarchia ; univa cioè gli sconci della libertà e
quelli della tirannide, con dominanti superbi verso gl'inferiori,
ligi al superiore: ogni città obbediva, od almeno seguitava un
signore , il quale poteva tutto; gli altri gentiluomini , sprezzando
il popolo, eppure non potendo mostrarsi vigorosi in faccia a
questo, brigavano il favore del potente come riparo, come glo-
ria. Di qui moltiplicate le fazioni , incerti i consigli , deboli le
risoluzioni , e il ben pubblico immolato al particolare. Tanto è
faticoso il rigenerare una nazione ! Che se que' padri nostri ,
ondeggianti ancora fra un' antichità di odi, di contrasti , di
guerra , e un avvenire di ordine , di quiete , d' amore ; senza
pratica dei sistemi fondati sulla cospirazione degli interessi e
dei poteri; agognanti pace , giustizia, francliigie, e non cono-
scendone le vie, in una libertà senza guarentigie, ove si spe-
^ -- ^
f°
I PAPI n
rimeritavano tutte le costituzioni , dove il popolo , volendo in-
tervenire personalmente agli affari, portava nelle assemblee le
avarizie , le invidie , le ambizioni , ogni passione del privato :
se , dico , peccarono spesso , abbiam diritto di tirar loro la
pietra noi, che finora e dopo sì gravi esperienze, non cono-
sciamo i modi di conciliare l' indipendenza de' singoli colla forza
di tutti ; e sì spesso dimentichiamo che la libertà è il diritto
LIMITATO DAL DOVERE ?
Ripeteremo come, di sopra degli interessi parziali e delle
ire dissocianti , si ergessero due podestà universali : 1' impe-
ratore , memore troppo della Roma antica ; il papa della Roma
moderna , rappresentante delle nuove età.
Ma quando si parla dei papi d' allora , non vogliasi para-
gonarli , non dico a Leone XII o a Gregorio XVI, ma né tam-
a Pio VII, anzi neppure a Pio IX, benché le speranze ch'egli
eccitò neir Europa sbranata e scredente possano dare una de-
bole idea di quel che operavano i pontefici nell' Europa catto-
lica e piena di fede ; e dove , nulla ancora essendo lo Stato ,
il movimento sociale era interamente diretto dalla Chiesa.
Dapprima la Chiesa, nell'irruzione dei Barbari, non pensò
che a convertire questi ; al che le giovarono e le austerità sue
e le abnegazioni e le pompe. Costituitisi i nuovi poteri , essa
salvò il suo col proclamare la distinzione della podestà tem-
porale dalla spirituale e l' indipendenza reciproca , sicché la
forza non avesse effetto sopra il sistema delle credenze, delle
speranze, dei doveri religiosi. Molti secoli ci vollero e sangui-
nose lotte prima che le due podestà si mettessero in quel!' e-
quilibrio su cui si fonda l' idea dello Stato. Ma fin da principio
i papi rappresentavano il potere morale contro il materiale,
e r indipendenza del pensiero ; e poiché violenza e iniquità ,
pura forza o sfacciata rapina dominavano la società temporale,
essi aspiravano al primato onde poter reprimerle ; e come in-
terpreti della giustizia e della verità , secondo queste voleano
regolare anche le relazioni mondane.
La Chiesa prescrive le decisioni individuali su punti di
fede , ma lascia campo alle discussioni ; e le tante eresie at-
testano il movimento delle personali opinioni, e la persistenza
della vita morale; nel governo ecclesiastico si fa continuo ap-
pello alla ragione , si pubblica ogni cosa con lettere, con mo-
— 59 —
j^;a^ ..-_-.. ^s^
rr-b CAPITOLO ir. ni
nitori , con encicliche , colle dispute de' Concili provinciali ed
ecumenici : pubblicità regolata , ignota al mondo d' allora. Era
cura de' pontefici il diffondere la morale evangelica , che por-
tava il miglioramento dei popoli. Ai principi e baroni che pre-
tendeano trattar la donna come un trastullo, imponevano essi
di rispettare la sentità del matrimonio. I mercati di schiavi
proibivano , e Alessandro III , nel 1167 , in nome d' un Con-
cilio, dichiarava la naturai libertà di tutti gli uomini ; mandava
in Prussia un legato per proteggere i soggiogati , e la libertà
de' matrimoni e delle successioni e i diritti d'uomo. Gregorio IX
nel 1229 rimproverava i signori polacchi che a vegliar tutta
la vita su falconi e uccelli di preda adoperassero i servi, per-
sone ricompre col sangue di Cristo. Alessandro III benedisse
la Lega Lombarda ed Innocenzo III la Lega Toscana, favorendo
cosi r indipendenza degli stranieri , e di dentro la costituzione
de' Comuni. Altrettanto vegliavano perchè la dignità imperiale
non divenisse ereditaria in una casa , ma si conservasse elet-
tiva; modo vero di serbare la libertà, e che non cessò finché
r Europa , fatalmente sbranata da Lutero , rinnegò quella do-
cilità che è insieme sapienza e virtù , e cessando di regolarsi l
per autorità e sentimento, vi surrogò i protocolli e gli eserciti.
GÌ' imperatori, al contrario , adoperavano senza riposo ad
assorbire la Chiesa nell' Impero ; a introdurre cioè quell'unità
che forma 1' obbrobrio della Turchia. Da qui la lunga lotta ,
cominciata da Enrico IV contro Gregorio VII, seguita dal Bar-
barossa contro Alessandro III , infine da Federico II e da'suoi
contro Innocenzo III e IV, come vedremo; lotta ove il filosofista
non vede che arroganza pretesca e futile quistione d' un rito
<1' investitura , mentre vi si disputava del diritto più prezioso
e della coscienza.
Abbiamo nominato i due personaggi che raoveano il mondo
nel tempo che noi descriviamo ; Federico II e lanocenzo III ,
giganti fra una generazione di forti.
Immaginatevi un bellissimo uomo, nobilmente nato, com-
plessione robusta, vasta memoria: finamente educato a Roma
e Bologna, parlava bene il francese , e scriveva insignemente il
latino ; conosceva la musica ; egli poeta e predicatore ; egli
teologo e giureconsulto: ben presto primeggia nel clero, e nella
vigorosa età di trentasette anni sale a capo di quella chiesa ^
^
I — '□ INNOCENZO III D
eh' era da per tutto , che , iniziatrice del movimento civile, da-
va al clero una lingua universale , ai laici la vulgare, ai prodi
la cavalleria , ai Barbari il vangelo , a tutti la verità incon-
cussa. Era Innocenzo III.
Quanti non doveano essere i doveri d' un pontefice ! Dare
0 rinnovare privilegi ad Ordini , a conventi , a chiese , o cas-
sare i pregiudicevoli ; introdurre feste, far mandamenti per la
purezza del costume , sentenze contro simoniaci ed eretici; con-
servar integro il patrimonio ecclesiastico ; impedire s' accumu-
lassero in un solo i beuefizj ; pronunziare generali decisioni di
fede e risolvere dubbj particolari e casi di matrimonio ; far ri-
spettare i decreti de' suoi predecessori ; revocar quelli carpiti
con frode ; frenare i despoti ; raccomandare funzionar] o po-
veri preti; approvar convenzioni fra ecclesiastici; proteggere
i deboli contro i prelati e capitoli arroganti ; confermare o ri-
vedere sentenze de' Legati ; ribenedire scomunicati ; canoniz-
zare santi. Fra lo sprezzamento feudale, i papi aveano stabi-
lito la teorica del potere e del diritto , emanati dall' intelli-
genza ; dato all' Europa il sentimento di sé stessa , e resala
una e solidale ; piantata la prima scuola politica, il primo po-
tere centrale. Gregorio VII posato i canoni della podestà
pontifizia sulle cose temporali : Innocenzo III si sentì capace
di metterli ad effetto , e fare che il pontificato operasse non
soltanto per salute delle anime e conservazione della verità
cattolica, ma ben anco del migliore governo della società
cristiana. Arbitro de' troni e de' popoli in tutta Europa, pro-
clamò i dogmi d'una giustizia, troppo ignota fra i deboli re
e i prepotenti signori del tempo. Quindi a lui ricorreasi da
tutte le parti : egli a tutte badava : ora al doge di Venezia
impone di ritirare un ordine troppo severo contro un privato;
ora a principi che vigilino alla sicurezza delle strade ; ad altri
f che non adulterino le monete, e non esagerino i 'tril)uti, o non
) impongano nuovi pedaggi ; a lui i giuristi domandano consulti;
( a lui aiuto i re , a lui le nazioni trafficanti rimettono i loro
) piati ; a lui il decidere sulle successioni ai troni ; a lui spesso
) le paci da combinare. Vigilava sugli orfani regi in Polonia ,
( in Norvegia , in Armenia , in Portogallo , in Ungheria : Cor-
I rado VI imperatore , rampollo di quella famiglia di Svevia che
da un pezzo contrariava i papi, muore, e tanta fiducia aveva
— 61 —
CAPITOLO II.
in Innocenzo III , che alla tutela di questo affida suo figlio Fe-
derico, capitano nato de' Ghibellini.
Per Innocenzo , tutta cristianità forma un'unità maestosa,
senza distinzione di razze. Nessuna legge è violata eh' esso
r ignori ; nessun diritto conculcato eh' egli non accorra a so-
stenerlo, 0 almeno a protestare. La libertà della Chiesa pro-
tesse contro la forza , nel quale intento difendeva pure gli in-
teressi dei popoli e vegliava che adempissero i doveri loro, al
tempo stesso che mantenevano i loro diritti. Prima raccoman-
dazione a' suoi Legati era d' aver occhio ai portamenti del clero,
sostenerne le ragioni, estirpare gli abusi , comporre le diife-
renze , e per quanto i tempi lo comportassero, frenare l'amor
del guadagno.
A Roma era allora recato il supremo appello, si può dire,
di tutte le cause importanti : onde pensate 1' occupato che do-
veva essere per darvi risoluzione ! Assisteva sempre ai conci-
stori dove erano dibattute , spesso udiva le parti egli stesso in
secreto ; esaminava gli atti ; addolciva coi modi le sentenze
eh' era obbligato portar contrarie. Abolì i giudizi di Dio, che
tentavano 1' Onnipotente a far miracoli ; e volle che al reo si
esponessero le imputazioni acciocché potesse giustificarsi; e non
solo le deposizioni , ma i nomi dei testimoni e le eccezioni e
le repliche « affinchè , per tacere il nome dell' infamante, non
si desse audacia a deporre il falso. » Delinquenti e assassini ob-
bligava venire scalzi a Roma, andar pellegrinando a Gerusa-
lemme , flagellarsi , non assaggiar carne per tutta la vita.
Eh , comprendo; le sono barbarie dell'età; la nostra il-
luminata conosce a tutto ciò un rimedio più eroico ; — la forca.
Queir autorità , stabilita nel cristianesimo per unire tutti
coloro che lo professano , tutelare i diritti , determinare i do-
veri di tutti , far rispettare le legittimità dal suddito o dal
principe , egualmente servi a Dio per la verità e la giustizia ,
era da Innoceozo proclamata con intima parsuasione. Vi univa
costumi irreprovevoli ; una fervorosa divozione nel celebrare
gli uffizi divini e nel predicare ; e le sue omelie il mostrano
versatissimo nelle sacre carte. Compose diversi inni , tuttora
cantati; scrisse un libro per istruzione dei principi; amò Atene
per lo antiche glorie, Parigi per l'Università, alla quale diede
ordinamenti e privilegi ; favori gli scienziati , protesse le arti,
— G2 —
INNOCENZO II r.
( rifiibbricando chiese e facendole dipingere ; a Marchione d' A-
) rezzo , il primo scultore e architetto de' tempi rinnovati, diede
( commissioni generose ; crebbe e ornò San Pietro e il Laterano,
< e fece sulle piazza di Nerva alzare la torre dei Conti , mera-
) viglia di quel tempo.
j Mentr' era cosi munifico ove il decoro lo richiedesse , non
< usava nessun fasto nella propria persona ; vendeva sin gli ar-
( redi più necessarj per far limosina ; destinò ai poveri i doni
) offerti nella chiesa di San Pietro e la decima di tutti i pro-
\ venti; i doni deposti , secondo il costume, a' suoi piedi, erano
) rimessi al limosiniere. Del tesoro che trovò fé mettere in di-
{ sparte una porzione pei casi impreveduti , il resto distribuì a
^ conventi di Roma, dotò tutti gli istituti di beneficenza; in una
) carestia mantenne ottomila poveri al giorno, oltre le distri-
\ buzioni per le case; molti ricevevano quindici libbre di pane
/ per settimana, alcuni presentavansi allo sparecchio per raccorrò
) i rilievi della sua mensa. Avendo i pescatori tratto dal Tevere
< tre bambini affogati , Innocenzo ne fu sì tocco , che stabilì pro-
; vedere a questi infelici ; rifabbricò ed estese 1' ospedale di
^ Santo Spirito in Saxia, dotandolo lautamente, e stanziando che
in perpetuo, 1' ottava dell' Epifania, il papa in solenne proces-
sione vi recasse il santo sudario , ed esortasse i cristiani alla
carità , dandone egli stesso esempio col distribuir pane , vino
e carne a quanti vi assistevano. Mille cinquecento malati vi
erano costantemente raccolti , oltre d' ogni condizione e paese
poveri mantenuti ; e la spesa se ne calcolò a cento mila scudi
r anno.
iJa cos'ha a fare Innocenzo III con Ezelino ?
Me lo chieda chi sa comprendere un uomo separato dai
suoi contemporanei ; chi per iscusa d'Ezelino addurrà che tali
erano i tempi. Eh no; Ezelino precipitò al peggio, mentre aveva
tanti mezzi da fare il meglio; al contrario Innocenzo, così po-
tente, non aveva armi proprie: in Roma stessa era contrastato
d<i' baroni, che dovè sottomettere un dopo l'altro. Allora volle
che gli officiali o giudici municipali a lui stesso giurassero
fede, non al popolo; tenne in soggezione molte altre città, e
per Italia diede favore ai Guelfi. Questi, principalmente appog-
giati dai Milanesi, irreconciliabili colla casa Sveva, voleano
'portar al trono Ottone d'Aquitania, mentre i Ghibellini favo-
jj • - C3 - q.
Q CAPITOLO II.
F^
rivano a Filippo di Svevia; e ne' dieci anni che durò il costoro
contrasto, gì' Italiani, non riconoscendo verun Imperatore, con-
solidarono vieppiù la propria indipendenza.
Abbiamo la lettera ove Innocenzo III discute il diritto dei
contendenti. A Federico nega la coronazione perchè fanciullo,
non dovendo l'Impero reggersi per amministratore, e la Chiesa
richiedendo un imperatore che la protegga: inoltre è re di
Sicilia, e unendo le due dignità, potrebbe tiranneggiare la Chiesa.
1218 Ripudia Filippo, perchè, succedendo al fratello Enrico, potrebbe
dar aspetto di ereditaria alla dignità imperiale ^. Ottone pre-
valse; ma la brutalità de' tedeschi soldati suoi concitò contro
lui i popoli d' Italia. Allora Innocenzo III credette tempo di
opporgli il suo pupillo Federico II, che aveva allevato in ogni
dottrina, e ch'era pure favorito dal re di Francia e dai principi
di Germania. Ottone adunque scomunicato, dovette reggersi
colle armi; e sul fin di sua vita gran pentimento ne provava,
come avremo a raccontare.
Morto lui, ottenne la corona imperiale Federico II, che è
un altro de' più grand'uomini del suo tempo, anzi della storia.
[ Superiore a quei che chiamava pregiudizj del suo secolo, non
l si sentiva disposto a piegar la fronte ai cenni del papa; e sì
/ in Germania cbe in Puglia e in Lombardia ingegnavasi di con-
) solidare o rintegrare la potenza imperiale.
l II vicino pericolo e l'odio contro il figlio dell'antico tiranno
} 1226 ridestò lo spirito di unione, assopito nelle città lombarde: sicché
i ^"' convenuti nella chiesa di San Zenone di Mosio mantovano, i deputati
( di Milano, Piacenza, Bologna, Verona, Brescia, Faenza, INIantova,
) Vercelli, Lodi, Bergamo, Torino, Alessandria, Vicenza, Padova,
^ Treviso, Crema, Ferrara e quelli del marchese di Monferrato
e dei conti di Biandrate, rinnovarono la Lega Lombarda a
comune difesa per venticinque anni. I rettori di questa, av-
visando esser primo fondamento della forza la concordia , ri-
misero in calma Verona, repristinandovi il conte Rizzardo e i
suoi. Ma le ire, quivi sopite, più violente scoppiavano in Vicenza,
ove la parte di Ezelino e del fratello rialzò il capo; e prese le
9 Epistola XXVI.
nril! SECONDA LEGA LOMBARDA LI 1—
( armi, distrusse ne' soliti modi i nemici, elesse podestà Alberico, )
; e cosi ridusse la città a colore ghibellino. )
) Eransi dunque i signori di Romano vendicati del marchese ' )
di Este e del conte Sambonifazio: restavano i Camposarapiero. )
Sul castello di Fonte, messo nel territorio di Asolo, appartenente 1228 )
a questi, piombò Ezelino improvviso, e con lieve fatica insigno- ^
ritosene, non potè cogliervi Jacobo, come sperava, ma si Gu-
j glielmo, suo figlioletto trienne. Appena il padre n'ebbe avviso,
} moltiplicò le querele, procurando che i Padovani volessero
■■ vendetta dell'affronto. Di fatto, convocata l'adunanza, numerosa
{ di nobili, di popolani, di matrone, essi decretarono guerra ad
^ Ezelino: il carroccio, gran carro adorno e sacro, intorno a cui
raccoglievasi il nerbo degli eserciti, e che infamia stimavasi il
perdere, fu tratto dalla cattedrale, ove in tempo di pace veniva
,' guardato, e con quello messisi in cam.po, mandarono a sacco
; le terre di Ezelino, assediarono lui stesso in Bassano, vantandosi
; risoluti di metter al nulla quella famiglia. Venezia, che dalle
j quiete lagune volgevasi pure alla Terraferma, su cui doveva
) fra breve acquistare dominio a mal suo costo, entrò mediatrice
) di pace, ed inviò ambasciatori a Padova, città, diceano questi,
j da non avere qual la pareggi oltre i monti e il mare per
( vantaggio di postura, abbondanza di ricchezze, intrepidezza di
I valore. Nulla profittarono però né coi Padovani, né con Ezelino,
il quale predicava di voler mostrare oggimai quel che potessero
la famiglia di Romano e Dio, giusto vendicatore dell' ingiustizia-
Cosi è. I tiranni non sannu ricordarsi di Dio, se non per
valersene all'oppressione dei popoli.
Si allestirono dunque armi tremende: e ne vennero stragi
e guasti: finché, 0 giovassero le pie e potenti persone intro-
messesi, 0 la vista de' gravi mali recati ed imminenti al Bassanese,
Ezelino piegò l'animo alla pace. Con grossa caterva cavalcò da
Bassano giù per l'alveo del Brenta: e fattosi a pochi passi
presso la riva su cui erano attendati i Padovani, giurò restituire
ai Camposampiero il castello di Fonte, e obbedienza e fedeltà
al Comune di Padova: girò un tremendo sguardo sui molti
Trevisani che erano negli accampamenti nemici, e voltò indietro
il cavallo, protestando di far su Treviso aspra vendetta prima
che un anno intero volgesse.
Per allora però gli fu forza dissimulare e rodere il freno,
a ' — 65
1^
CAPITOLO II.
cercò la cittadinanza di questa città, ed acquistatavi qualche
potenza, persuase si andasse a togliere Feltre e Belluno. Queste
sedevano in protezione de' Padovani: onde o l' impresa riusciva, ed
ecco venirne decremento ai Padovani: o falliva, e ad ogni modo
era gettata discordia fra le due città, con danno sicuro d'en-
trambe. I Trevisani lo ascoltarono, e guidati da lui, furono in
campo, ed ebbero le due città. Del che corrucciati i Padovani,
ed uscite a vuoto le insinuazioni amichevoli, presero le armi,
manomisero i beni de' Trevisani e di Ezelino, distrussero il
castello nobilissimo di Godego, scelto da questo per sua resi-
denza ; e, ricacciati i Trevisani entro le mura, tornarono vitto-
riosi in patria. I Trevisani, rifattisi, corsero a guasto de' Padovani,
ma li trovarono pronti alla -riscossa: si combattè; e se non
bastarono le armi ordinate, Padova fece uno statuto che, due
volte ogni anno, si dovesse uscire a devastar i terreni dei
Trevisani: e questi pure concessero facoltà a chiunque di dan-
neggiar il terreno padovano, anzi si dessero premi proporzionati
ai guasti.
Eccovi cari compatrioti, di che materie furono formate le
catene che strinsero poi miserabilmente la patria nostra.
Finalmente il papa ed i rettori della lega, con brevi e con
ragioni indussero i Trevisani a cedere le due città e pagare
le spese a Padova; e. gran meraviglia! per un anno intero,
dice Rolandino, non vi fu ne depredamento di terre, né scorreria
di nemici od insulto; ma copia d'ogni bene, e gaudio tale fra
le genti, che molti credevano ormai non dover essere più nella
jMarca nò sedizioni, nò guerre.
Tanto è facile il popolo a sperare, e perciò a trovarsi
deluso.
co —
sitg
7
CAPITOLO III.
GUERRE MU^'ICIPALI.
I fratelli hanno ucciso i fratelli
questa orrenda novella vi do...
Giù dal cercliio dell'Alpi frattanto
lo straniero gli sguardi rivolvé...
Affrettatevi, empite le schiere...
lo straniero discende — egli è qui.
E voglioso nei campi v'attende
ove il vostro fratello peri.
Manzoni, Carmagnola.
#) a distinzione più iniqua fra gli uomini, quella d
liberi e schiavi , fu il fondamento del vivere
civile in tutta la vantata antichità. Anche dopo
bandita quella celeste legge d'amore che dichiara
tutti gli uomini eguali, perchè tutti figliuoli d'un
padre, tutti redenti col sangue stesso, chiamati tutti alla stessa
sublime destinazione, lungo tempo sopravisse la schiavitù, come
avviene delle inveterate iniquità.
Il vangelo, che non veniva a iinprovisare rivoluzioni po-
litiche, ma le preparava col riformare gl'individui, aveva in-
giunto ai servi di rimanere servi, ma intanto pensò al loro
miglioramento morale, li rese responsali de' propri atti, e attese
a far I)uoni i padroni. Le sante massime dell'eguaglianza furono
poi attuato ne' lenti progressi della civiltà; e la ragione li
secondò, quand'anche non li promosse. Alessandro III nel 11G7
- 07 -
a CAPITOLO III.
S
1 III lina liolla di Alossnndro IV nel 1258 è iloUo: « Giacche gli uomini,
eguali per naliira, sono resi schiavi dalla servid'i del peccalo, sciiii)ra giusto che
ì quelli i (juali abusano del polerc concesso da Colui da cui deriva ogni podestà, siano
privati del loro potere sui servi. Perchè dunque ad Ezelino ed Alberico, sconinnicali
) da noi, possa venire alcun danno dall'averci disobbedito, dichiariamo con autorità
apostolica liberi i servi eie serve, co' tìgli ed i nipoti loro, che si sottraggano
S all'obbodicnza di que' due, in modo che possano avere peculio proprio, godere la
) libertà, come se fossero nati liberi, ecc., ecc.
^ Lo concedeva per far danno ad un nemico, ma intanto riconosceva un diritto
V ,i: „„
di natura.
— 68 —
a nome d'un Concilio, dichiarò che tutti i cristiani dovessero )
aversi sciolti da servitù, ma scorre sempre buon tratto fra il (
decretare e l'effettuare un passo dell'umanità. Ai tempi che ^
noi consideriamo, i grandi signori nutrivano ancora sui loro /
campi una moltitudine di servi, non più schiavi all'antica, cioè )
senza personalità né responsabilità; pure affissi alla gleba: si '.
vendevano insieme coi campi, ed erano considerati non altri- >
menti che cose i. Altri n'erano di condizione media fra servi )
e liberi, chiamati uomini di masnada, e destinati principalmente l
alle armi, e ad accorrere ogniqualvolta il signore li richiedesse ^
a suo servigio. Ai quali, in compenso, il feudatario concedeva (
a livello alcune terre; gente che, pel suo stesso mestiero fa- (
cilmente inclinava a rapine e violenze; onde il loro nome di >
masnadiere venne a sonare non altrimenti che ladrone.
Quando la Lombardia levò il capo, e i Comuni si vendi-
carono dalla feudale sudditanza in cittadina libertà, alla propizia
luce di questa risorsero i diritti conculcati dell'uomo, ed i
servi furono affrancati non più un per uno e per solo merito '■
spirituale, ma anche per interesse dei Comuni medesimi, che )
con ciò indebolivano i baroni. Ai campagnuoli questo vantaggio {
scese più tardi, perchè disuniti, ignoranti, stretti a combattere
dì per di colle urgenti necessità della vita. I signori e feudatarj, )
quanto fu in loro, impedirono questa che avranno chiamata
funesta innovazione e pericoloso comunismo; gli ecclesiastici
pure nicchiavano ad emancipare i proprj, sì perchè sapevano
di trattarli bene, si perchè con ciò venivano a deteriorare i
beni, di cui essi non sono che usufruttuarj, obbligati a migliorarli.
Ad Ezelino ed al fratello molti servi obbedivano e molti
Davanti agli eserciti era tratto il Carr:)Ccio ,sul (juale •,'randtì;,'siava il Ci.i.'ilisso,
né SI sarebbe rotto guerra^o uiiscliiato2balta£lia_seii2U-i)riiua invocare lo Spirito Santo-
Caf H. Pa£. 50.
^° L!!!I'_™ - ^
\ masnadieri. Questi ultimi, o mossi dall'inestinguibile desiderio ^
^ di libertà, o dall'esempio de' Comuni, o dalle istigazioni de' nemici ;
; dei loro padroni, si sollevarono in Bassano, dichiarandosi liberi 1-230 j
1 di sé, e che ai signori di Romano nessuna podestà competeva /
sopra di loro. Al grido di libertà accorse Alberico con alquanti )
j suoi fedeli, e sulle prime n'andò rotto: ma Ezelino, sebbene ì
ì avesse alcuna ruggine col fratello, inteso che si trattava dei /
> domestici diritti e della servitù, a conservar la quale i tiranni )
si tengono obbligati in solido, non tardò a venirgli in appoggio ;
disperse la paiate dei liberi, i quali si ricoverarono sulle terre
de' nemici del loro padrone. Anche allora patimenti, rotte, per- ',
dite della patria e della roba furono il guiderdone di chi ri-
; vendicava i diritti dell'umanità. Credettero alcuni potesse valer ,
( la ragione dove la forza non era bastata; e recarono lor querele
/ allo Zuliani, podestà in Vicenza. Questi citò gli Ezelini, ma poi
) sentenziò in loro favore: tant'è facile trovar la ragione dove {
\ sta la forza, due idee che gli uomini così diffìcilmente sanno
) separare: dico anche gli uomini che non vogliono esser detti '
\ vulgo. J
■' Ezelino, tornato a Verona, pose l'ingegno a soverchiare 1230 \
ì l'emulo suo conte Rizzardo di Sambonifazio. 11 Giustiniani , )
\ entrandovi podestà, volle mandare a Venezia i più riottosi del )
' paese, si per ostaggi di sua sicurezza, si perchè non turbassero \
' la pace; rimedio violento, eppur consueto. I più de' trascelti )
I erano fautori di Ezelino, 0 il divennero, come accade ai per- ^
; seguitati: onde s'insospettirono, 0 finsero, che il podestà se ì
\ l'intendesse coi Sambonifazio, e volesse toglier via i loro ;
nemici, e invocato Ezelino e Salinguerra, gridarono all'armi, giugno^
') Cosi in quei piccoli Comuni ogni forza era esterna ; esterno (
l il papa e l'imperatore per cui parteggiavano; esterni i podestà; /
} e veri arbitri del paese erano i tanti fuorusciti che lo sommo- )
\ veano colle intelligenze finché noi mutassero coU'armi. -;
\ I Montecchi guidati da Ezelino, i Guelfi col conte Rizzardo
( fecero battaglia sanguinosa per le classiche vie di Verona ; 1030 )
) il primo fu tanto fortunato da render prigioniero l'altro col {
{ fiore de' suoi fazionieri, espellere gli avversi e lo stesso Giusti- \
\ niani. (v^uesti allora e Gerardo Rangone di Modena, prudente >
j uomo e valoroso, postisi a capo dei fuorusciti, ricorsero ai \
^ Padovani. I quali di fatto, a voce comune gridata guerra, \
Un • -m- uM
CVntù - E-.elino. f,
-^Q . CAPITOLO III. L-1
r^
trassero fuori il carroccio, nel mentre stesso che i Mantovani,
istigati da Azzo d'Este, venivano a' danni di Ezelino. IN'è questi
dormiva, anzi apparecchiavasi alla difesa, principalmente col
iseitem. mettersi intorno i suoi prodi e fidati Pedemontani, cioè i Bas-
sanesi.
Primo atto de' Guelfi si fu lo sperperare la vendemmia
■ matura, poi assediare i castelli: Porto, Legnago, Buonvigo,
; Rivalta, la Tomba si resero ai Padovani, mentre i Mantovani
1231 procedevano sul A'eronese, senza però ardirsi d'assaltare la
città. Il verno, facendo cessare le armi, diede luogo alle trat-
tative: e riuscite sterili, alla nuova stagione ridecco Padovani
e Mantovani in campo : poco profittarono ; né col miserabile
sperpero del paese poterono indurre Ezelino a rilasciare i
^ prigionieri.
\ Alla fine s'interposero i rettori della Lega Lombarda,
< intenti, quanto era da loro, a due nobili fini, di respingere )
) l'invasore forestiero e di serbare in concordia i nazionali. A (
\ patti essi conseguirono che Ezelino tornasse in libertà il conte /
i Rizzardo e suoi fautori; e che Brescia, Mantova, ^'erona, Treviso, )
^ Padova, Ferrara giurassero mantenere la pace e soccorrersi a (
f vicenda. Queste infatto, per quanto ne sapesse lor male, rice- /
( vettero Ezelino in alleanza, e tolsero ai Padovani le armi che S
\ contro di lui avevano brandite risolutamente, \
\ Le città v'erano state indotte dal timore che quel da
{ Romano si accordasse con Federigo II imperatore contro la
( 1232 libertà del paese: ed Ezelino aveva aderito a quelle condizioni
\ soltanto per guadagnar tempo. Di fatto, col pretesto che la
( Lega favorisse i Sambonifazio a scapito suo, non le osservò i
) patti, ricusò condursi a Bologna per giurare fedeltà cogli adunati.
( Anzi sin dal gennaio, si egli che Salinguerra da Ferrara erano
\ stati a riverire in Ravenna Federico imperatore; e con lui
divisato ai modi di erigersi sulle ruine della italica libertà,
riducendo il paese a parte ghibellina, cioè a soggezione dei
Tedeschi.
Poi gettata la maschera, Ezelino ed Alberico si chiarirono
per l'imperatore; Alberico si condusse in Pordenone del Friuli
per esibirsegli ad ogni servigio, e intanto dargli Verona, chiave
d'Italia, che stava a sua obbedienza. Federico rispose umanis-
sime lettere ai due fratelli « che (dice lo storico Maurisio)
' I — h MAURISIO
lo ^^^^^ ^_
j impetrai io stesso a mie spese, ma di questi e d'altri servigi
) molti, aspetto ancora d'essere riconosciuto ». In queste lettere
■ì Federico li saldava nella causa sua; durassero contro gli av-
) versi, ma non essei'e tempo ancora di venire ai ferri, sintantoché
j egli non tornasse con più valide armi. E avendo il papa spedito
} ambasciatori a Ravenna dov'egli s'era posto per indurlo a pace
j coi Lombardi, esso gli evitò andando a Venezia: quivi rag-
\ giunto da loro passò in Aquileja, donde per mare nella Puglia.
" Di che tenendosi derisi i collegati, senza più che tanto curare
j le esortazioni che di là mandava loro perchè stessero quieti
né molestassero un tanto suo fedele, corsero sopra Ezelino e
) Verona, onde trarli dalla loro per accordo o per forza. A ciò
) singolarmente adopravasi sottomano il podestà di Verona, ch'era
■( Guido da Po: o almeno lo disse Ezelino per giustificare la
/ violenza con cui pose le mani addosso a costui, e con tutta la ^
) famiglia lo cacciò prigione: poi chiamato da Ostiglia un uffiziale (
; dell'imperatore, giurò in sua mano fedeltà all'Impero, e a nome /
,1 di questo prese possesso della città, sostenuto dal conte del |
j Tirolo e da due altri conti transalpini, venuti con cencinquanta j
\ cavalieri e cento balestrieri. )
j Le confederate, inteso di ciò, apersero la campagna; i
j Mantovani, fedeli ai Sambonifazio, tolgono ai Veronesi il ca- 122.3
stello di ISogarola, bruciano Ponte, Passero, Fragnano, Iso-
) lotta, Poverano, isola della Scala, Nogara; a vicenda Eze-
( lino li batte a Opeano; quei di Padova distruggono Bonadigo,
) e così si prosegue con varia fortuna tutto quell'anno, poi al
( nuovo maggio si ripigliano que' piccoli fatti che mai non me-
( navano a una decisione. E quantunque Federico, attesa la fede
\ pura ed il sincero amore di Ezelino e di Alberico, prendesse
l in protezione e difesa questi due, i servi, i castelli, le ville,
5 le possessioni, i beni loro, e guai a chi ardisse intaccarli;
'" quantunque i vescovi di Padova, Vicenza, Treviso, ligi al
) potente 0 confidando di conservar la pace, pubblicassero fra
il popolo que' privilegi e queste minacce, nessuno vi die retta;
( le terre dei due fratelli furono messe a soqquadro, e tutto
( quello « che Tagliamento ed Adige racchiude » andava in dis-
( sensioni e rabuffe.
; Ogni cosa terminò a vantaggio degli Ezelini. Perocché Al-
i berico, spalleggiato dai Trevisani, ruppe in giusta battaglia \
CAPITOLO IH. D H
qj
quei di Padova, e de' loro prigionieri stivò le carceri di Bas- |
sano e di Treviso ; Ezelino, inaspettatamente sortito di Ve- -
rena sopra i Vicentini , e preso Castel Sambonifazio, li mandò (
in piena rotta.
Ivi combatteva un tal Bonifazio da Orbana, indottovi
dallo storico Gerardo Maurisio , che gli dava del suo armi e ^'
cavallo. Il campione colla lancia sbarattava i nemici e ne fé- )
riva i cavalli , benché ciò fosse vietato come scortesia dai leali '
cavalieri : indi gettava via la lancia, e sfoderata la spada, gi-
randola a tondo , si cacciò fra la mischia e dirizzatosi ad un
nobile grande e forte cavaliero samaritano , lo prese pel collo
e lo trasse a' suoi, imperterrito fra un nuvolo di dardi, e con-
segnollo ad Alberico , che riconobbe in esso uno stretto pa-
rente. Il Maurisio , che prende molto a cuore la sorte dei ca-
valli, e più deplora un di questi andato a male che non molti
uomini , segue raccontando come Bonaccursi di Falzasse , per
invidia, feri dietro il palafreno del prigioniero, sicché , mentre
prima valeva oltre cento lire , non ne meritò da poi che quin-
dici : anche il cavallo dell' eroe Bonifazio rimase tocco nel piede
destro, e, soggiunge il Maurisio, « non ne potei più nulla rica- l
') vare. Un altro egualmente me ne guastò, cavalcando: eppure {
\ fin qua non ebbi compenso veruno ». Quel Bonifazio poi ri- j
; nunzio al secolo . e servendo a Dio , elesse 1' ottima parte. (
Battaglie fraterne, omaggio ai padroni, rispetti di cavai- (
leria, devozione , eccovi il secolo compendiato. Quando ogni j.
confine di diocesi , che dico ? d' ogni pieve era il confine d'uno (
Stato, ed ogni feudatario era un sovrano indi|)endente con di- j
ritto di spada e di forca, occasione di conflitti doveano ripul- (
lulare ogni giorno , quante oggi occasioni di processi civili; ;
istantanee le nimicizie, variabili le leghe, efimeri gli accordi, \
frivoli i motivi di rottura quanto in oggi quei dei duelli, altro (
genere di codardia , che gh insani potrebbero intitolar valore (
come la guerra d' allora. (
Facile tema retorico il declamare contro questi micidj, ma
la storia non dimentica che erano sintomi della vita, rin- 7
novata dopo secoli d' oppressione. E qual cosa più bella della j
vita? ma è difficile il regolarla , e trovasi più comodo lo spe- \
gnerla , come si fece poi ne' secoli d' oro. Allora la pace fu j
recata da coloro che avevano fomentato le ire; allora ogni
Wq m-^^^^i^^^ "^
(
potenza e volontà individuale fu assorbita nell'accentrameato :
allora raigliaja d' uomini divennero una macchina in mano di >
un uomo ; una giornata sotto i Soli di Spagna o sui geli di
Russia per causa sconosciuta costò più vite che non mille av- ì
visaglie d' un intero secolo per tutta Italia. Se poi sia vero j
che i fraterni conflitti tradissero la patria alla servitù stra- j
niera, ne dubiterà chi osservi qual lunga opera dovettero me- )
nare codesti oltramontani onde corrompere la patria nostra j
prima d' assoggettarla , e scassinare uno a uno que' Comuni i
che ne aveano formato 1' agitazione e il vanto , prima di pie- ^
garli alla neghitosa agevolezza del servire. )
^'essuno dica che vogliamo giustificare quegli eterni litigi, '^
i quali di fatto impedirono di creare un'opinione, di sviluppare '
il sentimento nazionale , d' accordarsi in una federazione di uni- \
versale utilità e comune difesa; e attribuendo importanza alla J
spada, cioè al barone sovra il mercante, all'uom d' armi sovra
il pensatore, spianarono la via ai tirannetti. Che se queste guerre
possono preferirsi a quella servitù taciturna , che gli adulatori j
dei re decorano col nome di autorità nazionale: se devono pre- (
ferirsi alla pace qualora si volgano a rialzare i diritti dell'uma- <;
nità, e salvare la terra natale, ad assicurare ai figliuoli quei ^
che sono beni supremi per l'uomo, la religione avita , le buone j
leggi, la patria, la libertà, allora sono miserabilissime quando }
mettono fratelli a cozzo con fratelli , senza che ne vantaggi la J
santa causa dell'umanità. Né tampoco giovavano a diffondere (
lo spirito militare , tanto necessario a nazione che si dee ri- \
generare. Questo non s' acquista in un giorno d' attacco o di ('
eroica resistenza, non nelle sommosse cittadine; ma domanda \
gli oscuri sacrifizj della caserma, delle marcie, delle veglie, della \
privazioni, le stanchezze, i calori, i geli, la fame, le malattie, j
lontano dal focolajo domestico e da una mano amica. Solo a si dura j
scuola s'imparano la costanza alle fatiche, la sommessiouo alla di- i
sciplina, l'ardore nell'assalto, la pertinacia nella difesa, la con- j
fidenza nel capitano, la fedeltà alla liandiera; quel corpo e cuore
di ferro che costituiscono il buon soldato, capace di francheg-
giare r indipendenza e la libertà d' un paese , o d'onorare al-
meno la causa che non può far trionfare.
a
D
' i
CAPITOLO lY.
PACE.
Nulla serve a f.ir ridere gli uomini di una
rosa, più che il ricordar loro che per altri
uomini quella cosa è seria ed importante ;
poiché ad ognuno sembra un segno evidente
della propria superiorità l'esser divertito da
ciò che occupa e domina le menti altrui...
Guai a noi se volessimo abbandonar tutto ciò
che ha potuto esser soggetto di derisione!
qual e l'idea seria, quale il nobile sentimento
che abbia potuto sfuggirla ?
MANZONI.
Oli crediate però che (li guerre soltanto si
vivesse allora e d'oltraggi; e noi di continuo
abbiam poste a fronte due società; una fiera
ed armata, l'altra benevola e sofferente; una
che moltiplica i dolori sulla terra, l'altra che
li diminuisce se può, od almeno li mitiga, e
li trasforma in occasioni di merito. I.a religione, non operosa di
lotte e di martiri , siccome ne' primi secoli; non arredata di
novelle prove da tutte le scienze, e purificata dai progressi della
civiltà come oggi : ma qual conveniva a gente, zotica di mente,
robusta di sensi,' mescolavasi a tutti gli atti della vita, alle visioni
della fantasia, alle aspirazioni del cuore, ai barlumi della scienza,
non meno che ai viluppi della politica; e prendea l'uomo pei
sensi e per la fantasia. Di qui i tanti miracoli, che si possono
tua
75 —
Sls^-
□ CAPITOLO IV. LJ L-,
k
compassionare come illusioni dei ere luli, ma che tornavano effica-
cissimi nelle vie della provvidenza, e consolanti per gli uomini che
pativano, cioè pel maggior numero. Guerre rinascenti, spesse care-
stie, fiumi sfrenati, ricorrenti epidemie, ecotestiEzelinieFederichi
e Buosi rendevano dura e mal assicurata la vita dei vulghi,
afi'ollati attorno alla fossa de' castelli, od aggruppati al santuario
e al monastero, ridotti men che uomini dalla forza e dalla
miseria. In quale scoraggiamento non sarebbero essi caduti se
un raggio di cielo, dilatando la prospettiva delle loro immagi-
nazioni, non avesse trasfigurato quelle miserie, e rialzato le
anime degli oppressi al livello di quelle de' padroni; se la fede,
o altri dica pure la superstizione, non avesse fatto discendere (
angeli e santi a udirne i lai e consolarli; se la natura selvaggia, ì
visitata cosi spesso da Dio, dalla Vergine, dai beati, non avesse <
offerto armonie sconosciute ed ineffabili consolazioni, e sommi-
nistrato pane allo spirito quando ne mancava al corpo!
Di mezzo al luttuoso trambusto della gente armata udivasi
tratto tratto alcuna voce intimare ai discordanti che posassero
le ire e concedessero pace, non al concittadino, non al conna-
zionale, ma al cristiano. Tra ferree volontà, indisciplinate ma
d' inconcusse credenze, siffattii voce non poteva proferirsi che
dalla religione, venerata dalle plebi, riverita dai signori, temuta
dai ribaldi; traviata è vero talvolta fin al punto di giustificare
i delitti, ma che pure, allorché la fiera ragione delle spade
imponeva silenzio ad ogni diritto, unica agli ostinati e superbi
poteva ragionare d'altri interessi che non quelli della passione
e della vendetta.
I pontefici, capi indisputati di tutta la cristianità e rap-
presentanti del senso comune e della giustizia, mandavano da
un estremo all'altro del mondo i loro decreti, ai quali si chi-
navano i re. Ministri loro, i frati spargevano nel popolo un
elevatissimo concetto dell'autorità pontifizia, ed insieme con
una folla di ubbie, di portenti non fìnti eppure non veri, falsi
eppure non fallaci, e creduti da quelle genti corrive ed ingorde
di vive impressioni, rendevano venerato il ministero dell'altare
come cosa più umana. E iierchò la pace è il primo bisogno
d'ogni società, intorno a questa s'industriavano essi principal-
mente. La croce, che qualche eremita piantava s'una crocevia,
il tabernacolo che un devoto facea rozzamente dipingere in
-| , . - "6
m^^
PACE
mezzo ai campi, divenivano il rifugio de' perseguitati, degli
oppressi, non meno die il sagrato delle chiese, o la canonica
e il monastero ^. I frati, battendo alla vegliata porta del ricco
come al tugurio del povero, spargevano dapertutto le idee
della misericordia, del perdono ai nemici, come condizione del
perdono che noi domandiamo al Signore.
Al leggere le meraviglie della costoro potenza, non vi pare
essere trasportati in que' secoli mitologici, dove, al suono delle
cetre, scendevano boschi e selve ad ascoltare i primi dirozzatori
delle società, e le pietre sommosse coordinavansi a formare
le mura di Tebe? Mei fondo del medioevo, in quel secolo del
mille che intitolarono ferreo, si diffusero pel mondo pii uomini,
annunziando che Dio li mandava intimare che, tre giorni per
settimana, ciascuno cessasse dalle offese. Oggi l'impone la
giustizia, lo comanda la legge, e per sempre: allora giustizia
e legge non si riconosceva che sotto la forma religiosa: e
quei mille regoli che non avrebbero obbedito a minaccia o a
pena, rispettavano la tregua di Dio. Dalla sera del giovedì
sino all'alba del lunedi era dunque riposo ai perseguitati : i
deboli, i minacciati potevano ritornare inoffesi alle loro case ,
alle dolci consuetudini '^.
1 Pochi conoscono una preziosa inscrizionf, infissa fuor della porla magL^iore,
(lell'airio di Sant'Aniijrogio a Milano, ove nel 1098 il vescovo Anselmo, d'accordo
col concilio (li Uitta la città (notate bene questo prezioso cenno di Comune in
tanta altezza di tempi) e sotto pena di scomunica, vuol che abbia pace e franchezza
da ogni molestia chi verrà alla festa dei ss. Protaso e Gervaso.
t IN NOMINE SANCTE TRINITATIS AD EJUS HONOREM ET SS. PROTASII
ET GERVASII M4RTIRUM, STATUTUM EST AB ARCHIEPISCOPO ANSELMO ET
EJUS A POSTER SUCCESSORrBUS, SUB NOMINE EXCOMMUNICATIONIS, ET CO-
MUNI CONCILIO TOTI US CIVITATIS, VT ^0>i LT'JEAT ALICUI HOMINUM IN
EORVMFESTIVrTATE PER, DIES TRRS ANTEA ET PER TRES POSTEA CUSTODIAM
TULLERE ET IN JUS SlUt PROPRIU.M USURPARE. ITERU.\i CONFIRMAVERUNT
PER OCTO niES ANTE FESTUM ET PER OCTO POST FESTUM FIRMAM PACE.M
OMNIBUS HO.MINIBUS AD SOLEMNITATEM VENIENTIBUS ET REDEUNTIBUS.
ADAM ET PAGANO HUIC BONO OPEM DANTIBUS. ANNO MIIC.
■2 Neirarchivio della cattcìlrale d'Aosta, al line d'un pantilìcale del X secolo,
è questo ricordo: Breve recordarionis de Iref/ua Domini, 'quain inter se religiose
rhrisliani cuslodlrc dt'ìwnl sminduiii cpisroporuiii praccejilum et bonoruia laicoruin
ronsrnsum. In primis tciicnda est frcfpia Dei, ne homo orrida! hominem, ri ne homo
(rodai senior^m siinm. Si rpiis hor prrralnn: frceril in Irer/ua Dei, profiujus 7Wn
rrmaneal in patria.
_D
— 77 —
lla^.
CAPITOLO IV.
Le crociate valsero non poco alla pubblica pace e alla
privata, giacché il primo mezzo di unir la cristianità contro
gl'infedeli era il sospendere le ostilità private: poi chiunque
avesse preso la croce restava sotto la salvaguardia della Cliiesa,
che ne garantiva la persona e gli averi. San Bernardo da
Chiaravalle, mentre predicava la crociata, venne a porre in
concordia Milano, Genova, Pavia, Cremona: e Dio lo prosperò
con mirabili effetti. Il beato Alberto mise in accordo gli
abitanti delle rive dell'Adda fra Brivio e vai San Martino,
quand'erano già per venire ai ferri. Il qual beato Alberto avea
fondato il convento di Pontida, ove poi, ad insinuazione di altri
frati, venne conchiusa la Lega Lombarda, cioè alla guerra che
ci fece servi dello straniero, surrogata la pace che ci redense;
e di là, alla guida d'un frate Jacobo, si mossero le città lom-
barde per ricostruire Milano distrutta , e liberare la patria
dal Barbarossa.
Nel Concilio lateranese IV, Innocenzo III aveva deciso non
istituissero più nuovi Ordini religiosi, acciocché tanta varietà
non paì'torisse confusione nella Cìiiesa di Dio. Ma non guari
dopo, esso papa vide in sogno la basilica di San Giovanni
Laternno tentennare e minacciar ruina : quando a sorreggerla
comparvero due uomini. Poco andò da quel sogno, ed ecco
vennero a chiedergli licenza di fondar Ordini nuovi due pii
personaggi, uno italiano, l'altro spagmiolo, Francesco e Do-
menico, ne' quali il pontefice ravvisò le sembianze che avea
sognate.
Un mercante d'Assisi, viaggiando in Francia come tanti
Italiani faceano allora, vi menò suo figliuolo, che imparò la
lingua di là per modo, che nel suo paese fu nominato il Fran-
cesco. Francesco attese al banco e al braccio, sinché, udendo
quel detto di Cristo, Chi vuol essere degno di me, getti ogni
cosa e mi segna, lasciò i traffici ed ogni bene terreno per
darsi tutto all'anima. Suo padre, che, da buon massaio, credea
colpa suprema di trascurare gì' interessi, fece che il vescovo
d'Assisi lo chiamasse per rimbrottarlo; ma Francesco se gli
presentò ignudo nato, protestando di rinunziar a tutto, nò
volere altro che seguire Cristo. Il vescovo non osò stornare
una vocazione tanto pronunziata, e fattolo vestire grossolana-
mente, il licenziò colla sua beaedizione. Francesco, lieto del-
- 78 - n
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TREGUA DI DIO D
l'inopia come altri delle dovizie, se ne partì accattando, soc-
correndo, cantando laudi, facendo discorsi che sempre comin-
ciavano con Dio vi dia la pace.
E pace, amore erano il costui carattere; una benevolenza
che abbracciava anche le infime creature, e da tutte traeva
occasione di lodar Dio e d' imparare ad amarlo. Le belle foreste
della vallata natia egli percorre cantando, e facendo invito
agli uccelli, che intitola fratelli suoi, perchè celebrino seco il
Creatore; prega le rondini, sorelle sue, a cessare il pigolio
mentr'egli predica: sorelle chiama le mosche, sorella la cenere:
la cicala che stride lo eccita a lodar Dio: alle formicolo rim-
provera di mostrarsi troppo sollecite dell'avvenire: vede un
verme sulla strada, e lo devia perchè non rimanga calpesto;
alle api nell'inverno procaccia del miele; campa tortore e lepri
dai cacciatori; vende il proprio mantello per riscattare una
pecora dal macellaio; il giorno di Natale volea si desse miglior
prebenda all'asino ed al bove; poi in quel sacro giorno predicava
in una stalla veramente, davanti a una greppia, e belava come
un pecorino nel proferir Betlemme; e leccavasi le labbra quando
pronunziava il nome di Gesù.
Eh via via! ridete a tanta semplicità. Eppure voi, voi allievi
dell'Enciclopedia, se questi atti li facesse un Ginnosofista o un
Pitagorico gli ammirereste; li stimereste se venissero da un
Quakero, o se Sterne gli attribuisse allo zio Tobia. Io non uso
due bilancie: io povero narratore non so che collocare quel
viso ascetico e sereno a fronte del ceffo di Ezelino e di Buoso
da Dovara « che pur col ciglio minacciano guai »; e senza
comandare alla vostra, gli tributo la mia ammirazione insieme
con Dante; l'ammirazione che si dee a chi ha robustezza per
opporsi ai pregiudizj e ai misfatti del proprio secolo.
Bernardo, cittadino d'Assisi, interroga Francesco se deva
abbandonar il mondo, ed egli. — Non chiederlo a me, ma a
Dio » E prende il vangelo, lo apre a caso, e la prima frase
che gli cade sott'occhio è: Se vuoi essere perfetto, rendi quanto
hai, e dallo ai poveri. Lo riapre e trova: — Se vai in viaggio,
non portar né bisaccia, uè nulla. Lo schiude una terza volta,
e legge: Chi vuol venire dietro me, neghi se stesso, prenda
la croce, e mi segua. Francesco esclama: — Ecco la regola
mia e di chi vorrà meco unirsi ».
Bernardo fu il primo, suo discepolo, poi Pietro da Catania
< ed Egidio: boffeggiati pel loro vestire grossolano, e presi a
\ sassi dalla popolaglia, che avrà fatto di cappello al marchese
{ Bonifazio o a re Federico. Cresciuti a sette discepoli, Francesco
( propose mandarli pel mondo a predicare alle creature tutte
^ che amassero il Creatore, e ne domandò licenza al papa.
\ Come tutti i forti, Francesco tendeva a far passare nel
mondo esterno l'intimo suo sentimento, e ridurre ad effetto il
proprio pensiero; al qual fine volle istituire un Ordine di frati,
con una regola, tutta in opposizione alle massime del mondo.
Innocenzo III sotto la semplicità di Francesco ne conobbe la
potenza; esitò peraltro a confermar la regola, perchè gli pareva
) 1215 superiore alle forze di uomini. Approvati, fra dodici si unirono
^ presso una c.ippelletta, ottenuta dai Benedettini nel piano
■ d'Assisi: e a questa sua Porziuncola Francesco impetrò dal
cielo e dal papa un' indulgenza, a conseguire la quale non
occorresse fare veruna offerta.
Nel secolo suo prevale la fierezza, e ogni cosa va in risse,
micidj, tirannia? e Francesco si porge tutto soavità e pazienza;
per le ingiurie non ha che perdono : alle parole oltraggiose
non risponde che coll'amorevolezza, e sgrida un suo frate che
ai masnadieri capitati al loro convento avea dato rimproveri,
invece di pane. I tiranni uccidono, straziano, molestano? egli e
i frati che istituì prendono a cura i poveri, gli esuli, i mendicanti,
i lebbrosi, da tutti sfuggiti per ischifo. Il lusso delle corti dei
principi già varca alle chiese, e i prelati sbizzarrendo in pompe,
sfoggiano gran manti in via, gran tappeti in palagio, grand'ori
nel tempio ? e Francesco vi mette a riscontro la mortificazione,
la privazione perfino del necessario. Il mondo agogna alle ric-
chezze, perchè fonte di autorità e di agi, perchè occasioni di
orgoglio e di soperchierie? Francesco vuol la povertà, non solo
per sé, ma per tutto il suo Ordine: nel quale introduce per
virtù ed elezione quei sistemi che per comando vorrebbero a
tutti estendere i più avanzati socialisti odierni.
Lo svegliantesi pensiero e le acquistate libertà tendono a
trascendere, fino ad impugnare l'autorità del senso comune
per dar ogni importanza all'individuo? e Francesco vuol in-
terissima soggezione, e comincia: La regola dei frati Minori \
è d' osservare il vangelo, vivendo in obbedienza senza nulla di ^
1^ -; j|
SAN FRANCESCO □ '— i
r
) froprio, e in castità. Frati Minori si chiamano i suoi, perchè
devono gareggiare d'umiltà; lavavansi i piedi gli uni cogli altri;
i superiori intitolavansi servi: e Beato il servo il quale non
si tien migliore qiiand'è dagli uomini esaltato che quando
vihpcso: giacché l'uomo è quel che è avanti a Dio e nulla piii.
Siffiitta sottomissione non è quella che dovrebbe augurare
chi volesse una repubblica non di solo nome, come queste odierne
che nascono e periscono s'una carta ?
Colà leggi ed uffiziali erano fatti della comunità; tutti i
membri concorreano alla nomina del generale, che risedeva in
Roma assistito da un consiglio; da lui dipendeano i provinciali
e i priori, eletti essi pure dalla provincia o dal convento; cia-
j scuna comunità teneva capitolo una volta l'anno; i capi di
ciascuna provincia, i priori e deputati di ciascun convento
) formavano il capitolo generale.
; Non vi par questa una bell'e buona forma rappresentativa?
Ed ha sei secoli; e voi credete che l'abbiano inventata l'al-
; tr' ieri i Parigini in un giorno di barricate.
l Col rinnovarsi degli studj, entra la pompa dell'erudizione,
) lo sfoggio di cognizioni, le allusioni argute, i profumi del bello
stile, cioè dell'affettato. Fino a questa seduzione cosi lusinghiera
sa sottrarsi Francesco; parla e scrive la lingua vulgare : e
) primo 0 dei primi la adopera alla poesia, senza alcuna remi-
niscenza (li antichità né lambiccatura di frasi 3; vuol che le
prediche non abbiano formole e testura di scienza profana; né
/ cosa che non rechi edificazione, come nessuna ne respinge che
'^ all'edificazione conduca. Perciò non si indirizza egli ai ricchi,
/ ma cerca i poveri ; fa vestire i suoi col salone che usavano i
villani: e con quello non piantarsi in mezzo alle capitali, come
gli Ordini e le regole del Cinquecento, ma diff"on(lersi nella
Nullo dorica oramai più mi ripronda
Se tal amoro mi la pazzo •/\ve.
Già non è core clic l'iù si direnila . . .
Amore, amore, grida hiUo il mondo
Amore, amore, tanto preso m' liai,
Amore, amor, clic hen credo morire.
Amore, amor, Jesù son zonto a porlo
Amore, amor, Jesù dammi conforto.
_,_j - SI - Dj^il
:i-P
CAPITOLO IV. 1-^ "ri
) campagna a consolare i dolori e a sorreggere la rassegnazione
del povero con semplici parole, con santini, con mostrare che
il mondo è un viaggio d'espiazione verso la patria. Non avendo
) libri (tanto erano poveri) oravano mentalmente; sermonavano
) coi modi popolari, anzi triviali, con una drammatica che non
; rifuggiva dalle buffonerie.
] Francesco passava di terra in terra, tanto venerato che
\ si sonavano le campane e uscivasi a incontrarlo con rami e
) fiori. Quattro anni dopo approvato, il Padre Serafico (così lo
\ chiamarono) radunava cinquemila frati della sola Italia. E di-
( cevano : — jNoì siamo poveri, e valutiamo il denaro nulla meglio
\ » che polvere: pure non condanniamo né sprezziamo quei che
( » vivono dilicati e sfoggiano in abiti. Nostro compito è soffrire
» con umiltà e pazienza; chi viene a noi dee dare ogni fatto
) » suo ai poveri ; chi sa un mestiere deve esercitarlo per gua-
/ » dagnarsi il vitto; chi no, vada alla busca; ma non di denaro,
} » che l'Ordine non dee possedere altro che il mero necessario ».
ì In viaggio non portavano che il puro abito, e né tampoco il
} bastone. Si; ma quando i cavalieri s'armavano per la crociata,
Francesco passa i mari tutto solo, si presenta al terribile Melik
Kamel in Egitto, e gli predica Cristo, cioè l'amore e la giustizia.
Si; ma quando veniva una peste, que' frati ipocriti morivano
a migliaia presso al poltriccio de' soffrenti, colla rassegnata
lor morte consolando ancora, quando più non aveano forza di
mostrar l'effigie di Quello che morì per noi. Il vulgo divideva
con essi volentieri il pane, perchè ne ricevea largo ricambio
di pane dello spirito: e le astinenze e le abnegazioni di loro
toccavano gli uomini, che nel sacrificio riconoscevano l'amore,
e nell'amore la virtù.
Affine di penetrare vieppiù nella società, Francesco istituiva
il ter z' Ordine, composto di laici che viveano alle proprie case
e faccende, legati coll'ordine per vie di certe pratiche e per
la partecipazione ai tesori delle preghiere.
Anche con ciò Francesco prendeva di jiiira un male allora
cominciato, la guerra che certi comunisti di allora vedremo
muover contro la famiglia; e vi riparava col fare in questa
penetrar la sua regola, cioè riformarlo non con totale impasto,
ma col renderla morale, imponendo il modesto e concorde vi-
vere, l'evitare i litigi, non dar giuramenti che leghino a un
^:
n - 32
r— '□ SAN DOMENICO LJ H
uomo o ad una fazione, non portare armi se non per difendere
la Chiesa o la "patria 4.
Contemporaneamente san Domenico, nobilissimo spagnuolo,
per correggere la cristianità traviata istituiva i Predicatori,
(ardine di forme elettive pur esso, come furono sempre le cor-
porazioni ecclesiastiche: e anch'egli in cinque anni avea sessanta
case, poi ben presto era diffuso dal Groenland a Samarcanda,
nella capanna del Samojedo e sotto le tende di Batù e di
Gengis-kan. Avendo Domenico diretto i suoi più specialmente
alla predicazione, a convertire gli infedeli e gli eretici, a scri-
vere in difesa e schiarimento della fede, i suoi erano persone
più còlte, e davano maestri alle Università ^.
I due Ordini invasero ben presto la società; e persone di
gran casato e di gran sapere abbandonavano la gloria, le lettere,
le armi, fin le corone per entrarvi. Frate Minore fu Lodovico,
figlio di Carlo II di Napoli ; Dante volea cingersi quel cordone,
poi ne fece l'elogio pomposo che ognuno ricorda : Domenico,
fondato a Genova il convento di S. Egidio, v'ebbe amico il
famoso trovadore Folchetto di Marsiglia; l'opera più bella che
ancor si fosse veduta di scultura fu l'arca di san Domenico,
fatta a Bologna il 1260 da Nicolò di Pisa; come una delle
migliori architetture gotiche il sacro convento di Assisi ; a
Bologna faceasi tal ressa per vestirsi domenicani, che l'autorità
pubblica intervenne per impedirlo ^. Il continuo meditare sovra
sé stessi, e paragonarsi alle ineffabili bellezze, e sorprendere
il male in germe e sotto le forme più fuggevoli, e l'aspirar
veemente al bello sostanziale, al bene infinito, svolgeva in quei
monaci delicatezza di sentimento e acume di vista interna; dal
che la profonda conoscenza dell'uomo che appare ne' moralisti
e negli oratori.
(v!uesta milizia democratica era naturale alleata del popolo.
* Imjntijnalioìihs armn scciim fralirs non (ìcfcraìit, ìnsi ] ro dcfcnsione romaiiae
Ecch'siac, ihnsiianac [idei, vd liium terrete ip^onnn, e. VII.
^ Ma e r Iiiqnisizioiio ?
Avremo a itailarne più avaiiii; iniaiilo liasii avvciiin! the san Domenico non
ebbe nò mano, nò ingciocza siili' isliluziono ili (india l'ciiizia de' mezzi tempi.
'^ GiiiKAUi'ACCi al 1211).
- 83 - D^
|— a CAPITOLO IV. □ *— 1
del quale onorava la povertà; nemica dei tiranni, de' quali non )
sentiva né paura, né bisogno ; onde Pier dalle Vigne, segretario
di Federico II, scriveva: — Per affievolirci ognor più, si crea-
» rono due nuove fraterie, che abbracciano uomini e donne ,
» tanto che appena uno o due troveresti ciie non vi siano
» aggregati; e levatisi contro di noi in ira, pubblicamente
» riprovano la vita e il parlar nostro, spezzano i nostri diritti,
» e ci riducono a nulla ". »
Rosa da Viterbo, fanciulletta, affrontò le persecuzioni di
Federico IL I Saraceni, che costui assoldava a danno dell' i-
talica libertà, irrompono nella valle di Spoleto; e le monache
d'Assisi sgomentate si stringono attorno a Chiara, l'amica e
coadiutrice di san Francesco : e questa che giacea mala,ta ,
levasi, prende l'ostensorio, lo colloca sulla porta, e inginocchiata
al cospetto de' Musulmani, supplica Dio a proteggere la città
dagli infedeli, che disfatti volgonsi in fuga. Un'altra volta
Vitale di Aversa, capitano di Federico, devastava i contorni
d'Assisi; onde Chiara adunate le suore, — Moi riceviamo il
pane quotidiano da questa città, ben è giusto che la soccor-
riamo a poter nostro »; e cosperse di cenere, supplicano e
supplicano, finché Dio non salva la cara patria dagli stranieri.
Se proposito nostro è di far conoscere quel secolo sotto
gli aspetti opposti, bisognerà bene ci si permetta di parlare di
pietà, di umiltà, di miracoli, di plebe, di frati; non sempre di
ladronecci, di superbie, di prelati, di principi.
Coloro che della critica fanno una ciurmerla, e al dissenso
non sanno opporre che la calunnia o di quelle ingiurie che per
la loro indeterminatezza non comportano risposta, diranno che
noi vogliamo restaurar i frati. Restaurare tanti oziosi e celibi
volontarj, or che all'Europa bastano tre in quattro milioni di
cehbi, assoldati per forza, a tenerla beata! Ma noi parliamo
d'allora, e chiediamo, non ai dottrinar] aristocratici, che le
opinioni imbevute non vogliono discutere per non dover sur-
rogare il raziocinio all'autorità dei loro dittatori, bensì al
lì
' Ep. 57, lil). 1, Duas novas frateriiilalcs creaverunt, ad quas sic gencraliler
inairs el fceminas reccperunt, quod six vnus et una remansit cujtts nomen in
filiera non sit scriptum.
81 - D_l
I FRANCESCANI Ci H
T
s
popolo chiediamo da qual parte fosse il liberalismo. Da quella
parte noi ci collochiamo allora come adesso, e tiriamo innanzi,
I Francescani, apostoli della povertà e dell'amore, men-
dicando in nome di Cristo, spargendosi da per tutto, colle
dimostrazioni maravigliose che allettano la plebe d'ogni età,
d'ogni nazione, coll'austerità d'una vita penitente, col mace-
rarsi e flagellarsi dinanzi alle affollate udienze, traevano dietro
a sé innumerevole concorso, su cui potevano quanto volevano.
Le città, sempre in sospetto delle mal assicurate libertà, com-
mettevano ad essi i più gelosi uffìzj: essi tesorieri, essi camer-
linghi, essi archivisti, anziani, segretarj nelle repubbliche; le
consulte si tenevano nei conventi; ivi le intelligenze segrete
e le aperte leghe: ad essi commettevasi l'eleggere le podestà;
essi all'uopo tribuni del popolo, essi capitani d'eserciti, essi
riformatori di statuti; con quel misto d'uffizj che è proprio di
società, non cosi bene casellate per numero ed alfabeto come
la odierna. E quel trionfo era dovuto non a' politici raffina- )
menti, neppure a grande accorgimento, ma alla bontà; la bontà )
che viene intesa da tutti, anche quando più sono travisate le [
idee del giusto e del retto: che basta conoscerla per averla (
in pregio; che è amata perchè propizia e tutelare; che si sot- (
trae all'invidia perchè semplice e senza arroganza. ;
Principale uffizio di questi nuovi frati era il mettere pace J
fra tante riotte: e qui torniamo verso il tema nostro, che
alcun non creda l'abbiamo interamente dimenticato. Tommaso, J
arcidiacono di Spalatro, nella Storia Saloniana racconta: — Il (
» dì dell'Assunta, anno 1222, stando io agli studj a Bologna, J
» vidi san Francesco predicare nella piazza del pubbhco pa- }
» lazzo, dove quasi tutta la città era raccolta. E fu esordio l
» al predicar suo il parlare degli angeli, degli uomini e dei ì
» demonj : intorno ai quali spiriti razionali tanto bene propose, >
» che a molti letterati ivi presenti recò non poca meraviglia ì
» un parlare si giusto di persona idiota. Ma la materia del )
» suo ragionare tendeva sovratutto ad estinguere le inimicizie, (
» e fare concordati di pace. Sordido d'abiti, spregevole d'ap- (
» parenza, di faccia abietta, pure Iddio aggiunse tanta efficacia ;
» allo parole di lui, che molte tribù di nobili, fra cui inumana i
» rabbia d'inveterate nimicizie aveva infuriato con molta ef- (
( » fusione di sangue, vennero ridotte a consigli di pace ». )
Cantù — Ezelino.
Udito esser resia fra i magistrati e il vescovo d'Assisi,
Francesco mandò suoi frati a cantare al vescovado il suo Can- ,
iico del soie, aggiungendovi allora questi versetti: Lodato sia
il Signore in quelli che perdonano jjer anwr di lui, e sop- <
portano patimenti e trnbidazioni. Beati quelli che perseverano \
nella face, perchè saranno coronati dall'Altissimo: e tanto
1 astò per ispegnere quegli sdegni. E a' suoi frati raccomandava:
— ■ Annunziate la pace a tutti, ma abbiatela nel cuore come
» nella bocca, anzi più. ISon date occasione di collera o di '
» scandalo, ma colla vostra mansuetudine fate che ognuno
» inclini alla bontà, alla pace, alla concordia ». ;
E a' suoi, ed in generale agli ecclesiastici va dato merito
se versavasi olio sulle piaghe aperte dai violenti: olio che
scaturiva dall'altare. Sentivi tu (caso quotidiano a quei tempi)
sentivi un ricambiare di bestemmie, di vituperj, un tempestare
di colpi? Eri sicuro di scorgere ben tosto fra gli azzuffati in- (
{ terporsi il frate; col rozzo saione, nudo il raso capo, tendendo )
< di mezzo ai colpi la croce di legno che gli penzolava pel rosario |
dalla cintura. Due fratelli si cercavano a morte? una famiglia, \
un corpo aveva giurato vendetta di qualche insulto? l'oltraggio )
( avea aguzzato il coltello sotto la casacca d'un violento? Ebbene,
/ il frate s'affacciava alla porta con un Deo g^miias sommesso; (
{ prendeva a ragionar del Signore, d'un uomo-dio che pati più
( di noi, per noi e senza colpa; dipingeva l'amarezza degli odj,
/ la giocondità dell'abitare i fratelli in uno; poi un momento
estremo, nel quale riuscirà così dolce il ricordarsi d'ima buona
azione; un altro giudizio, dove chi perdonò sarà perdonato.
Quei cuori feroci, cui non avrebbe frenato impero di legge o
possanza di magistrati, aprivansi alla benevolenza, fondevansi
m lagrime, e correvano ad abbracciare il nemico, fra le be-
<I nedizioni del frate paciere. (
) In Genova ferveano contese fra' nobili; e un figlio di Ro- )
S landò Avvocato era stato ucciso dagli arcieri del Marchese di )
I Volta. Marchese di Volta fu trucidato poco poi; sangue per
) sangue, né fu il solo. Invano i consoli si adoprarono per rim-
\ paciare i feroci; onde finsero volere risolversi il litigio con
ì sei duelli. Accorsero le madri e le spose dei trascelti per im-
\ pedire quel sangue; il che già disponeva a una pace ch'essi
(' (Jissiinulavano di desiderare. Perchè fosse più solenne il giudizio \
Ìp -se- ^ D^l
I FRATI PACIERI D
di Dio, invitarono l'arcivescovo; nel mezzo dell' adunanza
le reliquie del Battista; attorno il clero in pontificale: alle
porte le croci della città: tutto che incuteva un insolito ri-
spetto. Allora l'arcivescovo parlò di Dio e del precetto suo
nuovo; cavò le lagrime; quei ch'erano venuti per uccidere, si
confusero in un abbraccio* di fratellanza: e uno scompanio
universale e un fragor di Te Deum annunziò la pace. Alquanti ii69 /
anni più tardo, l'abate del Tiglietto coi consoli di Genova andava (
a Lérici per rimettere pace coi Pisani. Messer Baccio da Ca-i2i8 (
prona uccise Farinata figlio di messer Marzucco degli Scorni- j
giani. Questi, ch'era frate Minore, o frate Gaudente, sopportò (
senza lascrime la morte del figlio, andò a baciar la mano ;
dell'uccisore, assistette alle esequie cogli altri monaci, e vi
tenne un discorso, esortando la parentela a perdonar l'ofiesa,
e l'uditorio a mantenere la pace s.
I frati Minori indussero i nobili ed i plebei di Piacenza a
compromettere le loro differenze in fra Leone da Pérego in-
quisitore: Parma tolse a podestà fra Gherardo da Modena che
ne riformò gli statuti; e poco prima era stata calmata da fra
Corneto, di cui tanta era la potenza che, per compiacerlo,
uomini e donne, nobili e plebei, vecchi e fanciulli recarono
terra onde colmare una borra, ove l'acqua impaludava presso
alla chiesa de' Domenicani.
Ugolino cardinale d'Ostia fu attivissimo operator di pace, {
nel tempo stesso che altri religiosi riconciliavano Milano, Pia- (
cenza, Tortona ed Alessandria: nel 1229 il vescovo di Reggio J
rimetteva in concordia i Bolognesi coi ?ilodenesi; il cardinal \
Giacomo, vescovo di Preneste, nel 1232 accordava in Verona \
i Montecchi e i Capuleti, fazioni assai note per la compianta )
avventura di Giulietta e Romeo; fra Latino de' Predicatori \
nel 1278 i Geremei co' Lambertazzi in ISologna: in Faenza gli ^
Acarizj coi Manfredi: in Ravenna i Polenta coi Traversari: ì
fra Guala Bergamasco, che fu poi vescovo di Brescia, riamicò j
i Bolognesi co' Modenesi nel 1229; e nel 1233 i Trevisani
8 Lo accenna Danio, A/jy/., r. 0. ì
Qnol (la Pisa (
(III' fc parer Io lìiion Marzucco l'orle. )
\ E a lui diresse una opislola in versi Irà rinillmi d'Arezzo. /
I — Q CAPITOLO IV.
i co' Bellunesi: nel 1234 Cremonesi e Milanesi furono distolti
dalla guerra per insinuazione di frati; il Campi adduce la
lettera che Onorio III scriveva ai Cremonesi per ridurli a star
in pace fra sé P; Clemente IV mandò Bernardo Castegneto
vescovo d'Orleans e Bartolomeo abate di San Teodoro di Trevi
suoi nunzj a rappacificare la Lombardia, e principalmente
Cremona, dove rimisero i fuorusciti e ribenedissero gli sco-
municati. Anzi fra Bartolomeo da ^'icenza istituì l' Ordine
militare di santa Maria Gloriosa de' Gaudenti, intento a man-
tenere le città italiane in quell'armonia che sola può consevare
la libertà a chi la gode, acquistarla a chi la rimpiange.
In Milano, quando nel 1257 cozzavano nobili e popolani,
vennero compromesse le differenze in quattro frati, e tutti
stettero al loro lodo: essendo poi novamente scoppiate, i discordi
si raccolsero a Parabiago, ove due frati dettarono le condizioni
della pace. Più tardi venne a predicarvi la legge d'amore il
beato Amedeo, cavaliere portoghese mutato in francescano, che
fabbricò di limosine la chiesa di Santa Maria della Pace; nuovo
titolo pietoso, aggiunto ai tanti onde il medioevo inghirlando
la regina del dolore e dell'amore.
Molte risse contumaci nel Milanese, in Valtellina, pel
Comasco posò fra A'enturino da Bergamo, che giunse a indurre
oltre diecimila Lombardi a pellegrinare fino a Roma per la
perdonanza. Vestiti in sottana bianca e mantello cilestro, so-
prasegnato d'una colomba bianca con tre foglie d'ulivo nel
becao, a schiere di venticinque o trenta, colla croce innanzi
procedevano di città in città, gridando ^Mce e misericordm,
e venuti nelle chese, nudavansi fin alla cintola e si flagellavano.
Giovanni A'illani, il buon cronista, li vide arrivare a Firenze,
e fin cinquecento alla volta refiziarsi in piazza di Santa Maria
Novella, provisti per carità. Anche sull'uscire di quel secolo
operò a quest'intento la compagnia dei Bianchi a Firenze, a
Pistoja, a Genova, altrove.
Ed avanzi di quelle antiche istituzioni avrà ognuno di voi
potuto vedere o in Toscana nella Compagnia della misericordia,
che ad ogni caso di rissa o di pericolo accorre per impedire
< 9 Storia (li Cremona, 1, II al i217. 2
,^=}-P
■Q FRA SUSSOLARI
ì
il male o rimediarvi; oppure in Roma, ove pe' trivj e per le
taverne, quando l'uomo ineducato tra il furor delle risse e
l'ebrezza del giuoco prorompe all'orrendo bestemmiare, gli si
para dinanzi un Saccone, uomo ravviluppato sino la faccia
nella cocolla, il quale, senza far motto, s' inginocchia davanti
al bestemmiatore, tendendo le mani giunte. Il bestemmiatore
intende quel muto linguaggio, cessa le imprecazioni, e non di
rado caduto anch'egli in ginocchio, le converte in preghiera
d'espiazione. Sotto quel cilicio è forse celato uno dei primi
signori, un prelato; belle istituzioni se non ne discordassero
troppo le carabine, inarcate al tempo stesso per punire il
bestemmiatore.
Queste scene ora piaciono ai curiosi pel pittoresco: allora
erano a luogo e tempo; e fra quel riurtare di parti faceano
l'uffìzio che la incivilita età nostra ha riservato alla Polizia
e allo stato d'assedio.
Siena ricorda sempre con pia tenerezza la sua Caterina, ;
la sposata da Cristo, che con questo divino nome cominciava )
e finiva tutte le lettere da essa dirette a re, a papi, a capitani )
di ventura; essa, povera fanciulla del popolo, per ispirare con- l
cordia e mitezza. I Fiorentini, cui un tratto era parsa più
preziosa la libertà che la religione, ben presto ravveduti pre-
garono Caterina a riconciliarli col pontefice. E la pia, fattasi apo-
stolo di misericordia, scriveva a Gregorio IX : — • Pace, la pace,
» la pace per amor di Cristo crocifisso; e non ponete mente
» all'ignoranza, all'accecamento, all'orgoglio de' vostri figliuoli.
» La pace sospenderà la guerra, distruggerà l'ira ne' cuori e
» la scissura, riunirà tutti gì' interessi ».
E da Siena vennero nelle provincie milanesi quel fra Ber-
nardino che veneriamo sugli altari, e assai profittò di paci; e
}HÙ ancora fra Silvestro Minor osservante, dai magistrati chia-
mato perchè attutisse i dissidj fra' cittadini; e principalmente
memorabile è la pace a cui egli indusse i Comaschi, andatovi
all'invito de' loro capi, predicò con fervore e frutto grande, la
riforma delle leggi, incominciando, come ognora si dovrebbe,
dalla riforma dei costumi. Ijidi piovendo sugli animi preparati
la parola del Vangelo cioè della carità, fece abolire i maledetti
nomi di Guelfi e Ghibellini, che si lungamente fecero dimen-
ticare quelli di Cristiani e di Italiani: poi ad un giorno deter-
i_a • — 89 -
r— □ CAPITOLO IV,
minato impose che tutti, dalla città e dai contorni, convenissero
sullo spazzo che si dilata dinanzi alla porta Torre. Ivi con
parole piene di spirito e di carità infervorò gli animi così, che
fra tutta la folla accorsa era un piangere, un singhiozzare, un
picchiar di petti, e deporre i rancori in fratelleyoli abbraccia-
menti. I nomi di tutti vennero registati sul libro della Santa
Unione, e pronunziato 1' anatema del cielo ed . il castigo degli
uomini a chi violasse le pacifiche promesse.
Per quei capricci della fama, che cessano di parere strani
perchè così frequenti , è maggiormente noto fra Giacomo de'
Bussolari di Pavia, Savonarola anticipato. Al superiore comando
uscito fuor del romitaggio che s'era eletto per servire a Dio,
e condottosi in patria a predicare la pace, cominciò ad inveire
contro i vizj onde erano lordi i suoi compatrioti e più i più ric-
chi ;i quali, per quel fiacco sentimento che sovente si onesta col
nome di amor dell' ordine, scoraggiati porgevano il collo al
giogo de' Visconti. ÌNIa il frate con impetuosa eloquenza, li scosse
e ne ravvivò 1' amor di patria sopito. Ponendosi egli medesimo
a capo dei cittadini , li condusse a rompere gli avversarj , che,
invano forti del numero, cessero al valore inspirato dei Pavesi.
Né ristette: ma in cuore de' suoi ridestava l'odio ai tiranni,
cioè all' ingiustizia; fé cacciare anche i Beccaria, signorotti del
paese; avvezzò all' armi il popolo, indusse i cittadini a frenare
il lusso, e col superfluo risanguare il pubblico erario. Le donne,
prime sempre negli eserapj di disinteresse e di sagrifizio , reca-
rono gli abiti loro di maggior valuta ed i gioielli, restando
contente a poco più che un mantello nero ed uno zendado. Gli
uomini esultanti avventaronsi fra' pericoli , a cui era proposto
per guiderdone il cielo e la libertà della patria.
Ma anche allora la forza materiale prevalse; e il frate,
scorgendo il precipizio delle patrie fortune, entrò mediatore
d' una capitolazione. ÒSella quale onorate condizioni ottenne per
la sua Pavia; nulla a proprio vantaggio stipulò, neppur la
vita. I Visconti giurarono i patti, e appena ottenuto il fine li
violarono; il frate, mandato a Vercelli, fu sepolto \\e\ vade in
pace di un convento, ove terminò la vita. j
Gran peccato non ci sia rimasto qualche brano di quelle )
prediche sociali! però abbiamo un bel discorso di papa Gre- \
gorio X ai Fiorentini perchè ricevessero gli scacciati Ghibellini. ■
_P
- 90 - D^
FRA GUITTONE CjE^T
— Ghibellino è, ma cristiano, ma cittadino, ma prossimo tuo.
» Tanti e cosi robusti titoli d' unione soccomberanno a quel
» Ghibellino? e questo nome vano senza soggetto, che nessuno
» intende cosa significhi , varrà più all' odio che non alla ca-
» rità tutti codesti così chiari e solidamente espressi ? Ma poiché
» dite questi partiti aver assunto a prò' de' romani pontefici
» contro i loro nemici, io, pontefice romano , questi vostri cit-
» tadini, comunque sinora abbiano peccato, raccolsi pentiti, e
» perdonate le ingiurie, gli ho per figliuoli. » E in un discorso
più antico che si conserva manoscritto nella Biblioteca Ambro-
siana , un ecclesiastico diceva al popolo di fidano: — Tu cerchi
» soppiantar il Cremonese , sovvertire il Pavese , distrug-
» gere il Novarese : le tue mani contro tutti, e le mani di tutti
» contro te. Oh quando fia quel giorno che il Pavese dica al
» ]Milanese, Il popolo tuo è iwpolo 7nio\ il Cremasco al Cre-
» monese. La citta tua è mia città? »
E voi, miserabili retori, che, mentre offuscate il buon
senso popolare, vi piacete attizzare gli sdegni da provincia a
provincia, da uomo a uomo in questa sciagurata Italia, che
rovinaste qual volta a voi cieca s'abbandonò: voi che, quando
i potenti ebbero spezzato nelle mani nostre le spade , vi ar-
maste di penne, attossicate colla vostra bava giornaliera o
settimanale , per contaminare chi non è fango come voi; ver-
gogna vi prenda almeno al pensare che questa letteratura, da
voi ridotta saminatrice di odj e di scandali, cominciò col dif-
fonder la pace, predicar l'amore, riconciliare fratelli. E prima
che Dante si lamentasse perchè non si stavano senza guerra
quelli che un muro ed una fossa serrava ; prima che il Pe-
trarca , per mettere fra noi e la tedesca rabbia uno schermo
migliore delle Alpi , andasse gridando Pace, pace, [pace ; un
frate, strapazzato come il pessimo degli scrittori da un bur-
banzoso retore nostro contemporaneo, adoperava i primi suoni
della lingua italiana a rimi)roverar le fraterne discordie , con
un modo che panni ritrarre delle prediche de' paceri. E di-
ceva : — Infatuati miseri Fiorentini , la pietosa voce della pe-
» rigliosa vostra o grave infermità per tutta terra corre la-
» mentando la malizia sua grande , onde ogni cuore benigno
» tiede e fa languire di pietà. Carissimi ed amatissimi molto
» miei , ben credo sapete che da fera a uomo non è di U'erenza
|=jr: . -01- D^
h
I^ra- ^ ^ ^^ — ^ —^^]^
jTra CAPITOLO IV. d~tir
» che la ragione ìq conoscere ed amare bene. Onde vedete voi
> se vostra terra è città , e se voi cittadini uomini siete. Non
» fan palagi, né rughe ^^ belle; né uomo, persona bella , né
•» drappi ricci, ma legge naturale, ordinata giustizia pace e
» gaudio fa città; e uomo, ragione e sapienza e costumi onesti e
» retti bene. Oh che non più sembrasse vostra terra deserto
» che città, e voi dragoni e orsi che cittadini! 0 reina delle città,
» corte di drittura, scuola di sapienza, specchio di vita, li cui
» figliuoli erano regi , divenuta non già reina ma ancilla con-
» culcata e sottoposta a tributo ; non corte di dirittura , ma
» di latrocinio ; spelonca di mattezza tutta, e di rabbia scuola.
» Oh che temejiza ha ora il Perugino non gli togliate il lago !
» e Bologna clie non l'Alpe passiate ! e Pisa del porto e delle
» mura! 0 miseri disfiorati, ov' è 1' orgoglio e la grandezza
» vostra, che quasi sembrate novella Roma ? 0 disfiorati, a che
» siete venuti, e chi v'ha fatto ciò se non voi stessi? Ucci-
» dere sé stesso l'uomo, è peccato che passa ogni altro quasi.
» E disnore quale è maggiore a esto mondo che arrabbire
» l'uomo in sé stesso, mordendo e divorando sé i suoi propri
» di volontà ? Oh forsennati e rabbiosi venuti come cani, mor-
» dendo r uno e divorando l'altro, acciocch'egli poi lui morda
» e divori ! Oh che peccato grande, e disnaturata e laida cosa
» ofiendere uomo a uomo, e spezialmente al domestico suo !
» Che non Dio fece uomo in dannagio d' uomo, ma in aiuto ,
» e però non cadauno vale per sé, ma congregati a uno. Non
» unghie né denti grandi diede natura all'uomo; ma membra
» soavi e lievi, e figura benigna e mansueta mostrano che non
» feroce e nocente esser deve, ma pacifico e dolce, utilità pre-
■ stando: e Dio chiuse solo in caritade le profezie e la legge;
» e chi carità empie, empie ogni giustizia e ogni bene. E no-
» stro Signore in nella sua salute non porse altro giù che pace;
» e in r ultima veglia sua alli suoi pace lasciò in eredità, mo-
» strando che nulla cosa utile è fuor pace. 0 miseri, come
» dunque la odiate tanto? Alla gran mattezza de' cittadini, alpe
» son fatte le città , e le città alpe. Oh che dolci e favorevoli
10 Strado. Abbinino di poco svoccbialo il tosto, ino raccorcio assai, che la
(, prolissità, 0 retori, fu sonipri' la colpa de' nostri scriltoi'i.
,-^
U -«2- D
. ., .giurò restituire ai Caraposampicro il C stello di Fonte, e o)j]jeJ.:e:iza e fedeltà
al Comune di Padova .... rag 65
» frutti gustati avete già nel giardino di pace , e che crudeli ed
» amarissimi nel deserto di guerra ! Oh che vi muove a cosa tanto
» diversa? ditelmi se vi piace in vostra iscusa, che natura, né
» legge, né alcuno uso buono , né ragione, né cagione, nò prò,
» né onore vostro, né gaudio vedere ci so. Non onore, non prode,
» non onta né danno alcuno hanno i vostri vicini , che voi
» in comune non abbiatene parte. Chi son vostri vicini? non
» son nati di voi, e voi di loro, perché d' un sangue e d'una
» carne siete? Se non timore e amore del Signore nostro, né
A sangue umano e dimestico tien voi, tegnavi almeno timore
» e amore di voi stessi e di vostra famiglia: che gli antichi
» padri e madri vostre, che di travaglio in sicurtà, in pace
» e gaudio posar vorriano , languire e penare gli avete fatti
» in guerra, in dolore , in paura, e correre za e là di terra
» in terra. E le mogliere vostre , che morbide sono, posando
» e pascendo bene doveano dimorare in nelle sale e in le ca~
» mere vostre tra i domestichi loro, è grave che, pasciute e
V vestite male, e solo come anelile e male accompagnate di
» loco in loco andate tribolando. E a' figliuoli a cui, il padre
» (leve magione edificare , acquistare podere e procacciare
» amore con pace loro, 1' altrui magione strugge, acciocché
» uomo la loro strugga. Podere spendete e consumate in guer-
» ra , e uccidete altrui , che quasi pegno è loro d' essere uc-
» cisi. Ahi che pessima eredità lasciate loro! Certo non padri
; » già ma nimici tener possono voi, che struggimento e morte
' » l'or procacciate. Vinca , vinca ormai il saver la mattezza; o
) » se non pietade ha 1' un di voi del male grave dell'altro, ag-
( » gialo alinen del suo, e per amor di sé parlasi da male » n.
[ Anche Dino Compagni, cronista semplice e virtuoso, e
collega di Dante nelle magistrature , si recava in mezzo ai cit-
i tadini , che nelle loro discordie , come avviene, invocavano la
forza e lo straniero e, — Signori , perchè volete voi confon-
» dere e disfare una così buona città ? Contro a chi volete pu-
i » gnare? contro ai vostri fratelli? che vittoria avrete? non
i » altro che pianto. Cari e valenti cittadini i quali comune-
» mente tutti prendeste il sacro battesimo di questa fonte i-,
lìj
11 Loilcrc di IVà Giiillon d'Arezzo.
12 K nolo clic a Firenze è unico il ballisloro di San Giovanni.
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— 93 —
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^ : ^ =^^Lnl
In □ CAPITOLO IV. D '— I
lo ^_-__^ ^_^ ^'
» la ragione vi sforza e stringe ad amarvi come fratelli ; e an- )
» Cora perchè possedete la più nobile città del mondo. Levate ^
» via i vostri sdegni , e fate pace tra voi , acciocché lo stra-
» niero non vi trovi divisi : tutte le offese e ree volontà state
» tra voi di qui addietro, siano perdoaate e dimesse; per amore
» e bene della vostra città. E sopra questo sacrato fonte ,
» onde traeste il santo battesimo, giurate tra voi buona e
» perpetua pace, acciocché lo straniero trovi i cittadini tutti
uniti».,
E poiché non vedeasi ascoltato, — Levatevi (prorompeva),
» o malvagi cittadini , e pigliate il ferro e il fuoco dalle vo-
» stre mani , e distendete le vostre malizie. Andate , e met-
» tete in ruina le bellezze della vostra città: spandete il san-
» gue de' vostri fratelli , spogliatevi della fede e dell' amore ,
» nieghi r uno all' altro aiuto e servigio ; seminate le vostre
» menzogne , le quali empieranno i granai dei vostri tìgliuoli.
» Credete voi che la giustizia di Dio sia venuta meno ? Pur
» quella del mondo rende uno per uno. Non v' indugiate, rai-
» seri; che più si consuma un dì nella guerra , che molti anni
» non si guadagna in pace , e piccola favilla a distruzione
» mena un gran regno ».
Zitti! ascoltiamo se dai giornali, dalle camere, dalle ac-
cademie risuona oggi alcun che di somigliante. Oh, troppo
scarsi son quelli cui basti] il coraggio della moderazione; e
per dire la verità e insinuare la calma, vogliano esporsi alla
taccia di retrogradi, di spegnitoi, persino di clericali. Confes-
siamo che men coraggio si richiedeva, e più erano quelli che
l'avessero per affrontare Ezelino ed Alljerico.
ISelle cose della INIarca Trevisana e Veronese moltissimo
travagliò il beato Giordano, della illustre famiglia padovana
dei Forzate e Capodilista, la quale dominava sulla Pieve di
Sacco, Montemerlo, la Mandria. Erasi egli in gioventù me-
scolato alle fazioni di Padova, e avuto gravi inimicizie con
Losco Transalgardino, uomo rotto nell'armi e nelle sedizioni,
che raccoglieva intorno a sé quanti v'avea uomini di peggiore
affare. Giordano s'opponeva con parole e con atti alle costoro
ribalderie; di che essi gli presero tanto malanimo, che una
volta gettarono il fuoco alle case di lui e de' suoi amici. In
fabljriche la più parte di legno, l' incendio si estese per modo.
91 —
-'-&r[5]
s zioni.
che duemila secenquattordici abitazioni consumarono is^ e
insieme le carte e memorie de' tempi anteriori. ]Xe fu tocco
Giordano, e poiché il caso aveagli rapito le ricchezze terrene,
si dedicò tutto a Dio. Già era priore de' Benedettini (come
allora si abusava) per solo titolo e per godere i frutti; ma
allora entrò veramente nel chiostro, e vesti l'abito. I parenti,
andati per cavamelo, n'ebbero in risposta non li vedrebbe che
dopo dieci giorni, volendo in questi darsi tutto allo studio e
all'orazione per rendersi degno della nuova sua vita. E quando
li rivide, parlò loro con tanta unzione e fermezza, che non
seppero se non dirgli, li tenesse raccomandati nelle sue ora-
Ingrandi allora nella scienza di Dio e nella perfezione dello
spirito, predicando, convertendo, consigliando, dirigendo monache
e frati; e meritò d'essere assunto maestro generale dei Bene-
dettini. Tu o lettore, che già senti questa mia filatera puzzar
troppo di legendario, mi manderesti frate se entrassi nelle
monastiche sue virtù; onde mi accontenterò di riferire come
nelle vicende pubbliche si travagliasse. Nel 1184 esortò i cittadini
di Padova ad abolire l'uffizio dei consoli, seme di dissidi e d'annuali
ambizioni, e chiamare un podestà d'altra terra, il quale fu Pagano
della Torre nobile milanese. In Giordano fu compromessa la
nomina del vescovo; a lui più volte chiesti consigli per le
comuni faccende: si volle anche entrasse a far parte del consiglio;
gli affari gravi deferinvasi a lui; a lui dirigevansi gli amba-
sciatori, ivè a suo arbitrio stava Padova soltanto, ma anche
Vicenza: dove nel 1217 fu nominato giudice delle contese con
Ezelino il Monaco; e i consoli, gli uffiziali, infiniti cittadini
congregati a suon di squille, giurarono star al suo lodo. Già
vecchio di 74 anni , vedendo sovrastare la tirannide degli
^^ Del fallo soi'liò licortlo una pirUa clic diceva, secondo lo Scardcoiio
Marchia plorarli Vaduaìii, )juum jìaniiìta creinuvit
L'rhis majores trcs parles ri iiwliorcs
Anno milleao cenlcno srpluaijrno
iVfC non ci quarto: nQnns niarlis quoque quarto.
Quot fuerant teda sub certa collifje meta
Scxcentae vere bis mille flonius ceciilere
Bis scpteni pone, tot colliijc cuni ratione.
ni
j^ra^. — ^ ,_„ — _ _ .^s^
nrb CAPITOLO IV. □ •— I
Ezelini, si rese più assiduo alle assemblee per sostenere la parte
guelfa: e parendo che il voto universale diretto porterebbe a
sicura ruina la libertà, convenne col podestà si affidasse il
governo ad un consiglio di sedici decurioni, compreso un podestà.
Pure non potè impedire che i fautori della parte ghibeUina
affidassero la città ad Ezolino; e quali persecuzioni gliene
toccassero, lo vedremo.
Un altro fra Giordano, maestro generale de' predicatori,
una volta si presentò all' imperatore Federico, gli stette buona
pezza davanti senza far motto indi proruppe: — Sire, io giro
» delle contrade assai, siccome vuole l'uffizio mio: or come
» voi non mi chiedete qual fama corra di voi ?
— Io tengo messi e ambasciadori alle varie Corti (rispose
» Federico), e so quanto bolle in tutto il mondo.
— Gesù sapeva tutto (ripigliò il frate), eppure domandava
» ni discepoli quel che di lui si parlasse. Voi siete uomo e
» ignorante assai cose, le quali saria bene vi fossero conte. Si
» dice che opprimete le chiese, sprezzate le censure, date
» credenza agli auguri, favorite Ebrei e Saracini, non onorate
» il papa vicario di Gesù Cristo. Queste cose sono elle degne
» di voi? l4 ».
E della più popolare celebrità Antonio di Lisbona, che noi
veneriamo col nome del Santo di Padova. Nato a Lisbona
nel 1195, entrato francescano, volle recarsi in terra d'infedeli
per convertirli ed acquistare la palma del martirio: ma un
affanno di salute lo costrinse a ritornare. Dalla procella spinto
in Sicilia, va al capitolo generale de' suoi frati che allora
tenevasi in Assisi, e talmente dissimula il suo sapere, che
^ sa)i Francesco e gli altri lo credono uno zotico e da nulla.
) Fra Grazino il condusse nella Romagnola, ove al Monte Paolo
) visse nella meditazione e nel silenzio. Cominciò poi a predicare,
> non dirò con gran sapere ed eloquenza l'\ ma con tanto frutto.
{ ^* lloLLAMiO, png. 752. Vilop Potrum Pmedic, p. ì)\.
ì ^^ Antonio diceva: — Un l)iion pi-ediciitorc è lijlio ili Zaccaria, cioè dalla
\ » nioinoria dei Siirnore; sempre deve averò nello spirilo un memoriale della
) » passione di Gesù Cristo. Nella notte della sciagura lui deve sognare , in lui S
( T) svegliarsi alla mattino della prosperità; e allora il Verbo di Dio discenderà in (
'. » esso, Verbo della pace, e della vita, Verbo della grazia e della verità. 0 parola, )
aia ^ ^)
k
che il papa lo denominava Arca del testamento: e tanto era
l'accalcarsegli intorno, che giovani robusti erano costretti fargli
strada a spalle, affinchè, pingue com'era, non rimanesse sof-
focato. De' miracoli suoi potrebbero farsi, anzi si sono fatti
grossi volumi 16, perchè il suo secolo vi prendeva interesse,
quanto il nostro alle vicende di un' avvelenatrice o di un uxo-
ricida 0 d'un filibustiere. Sul cadavere di un usuraio egli proferi :
■ — Dove è il tuo tesoro, ivi è il cuor tuo »: e il cuore di fatta
se ne rinvenne, caldo ancora, fra i mucchi del denaro.
Ad un giovane che gli confessava d'aver ferito con un
calcio la madre sua, avendo detto, — il piede che percuote
padre e madre merita d'esser tagliato »; quegli, preso alla
lettera il dettato, andò e si recise il piede: ma il santo glielo
rappiccò.
Avvenendosi in un notajo di lubrica vita, se gì' inchinava
ogni volta profondamente, scoprendosi il capo: onde quegH
» elio non spezza i ciioi'i, ma gì' iiienria; o parola piena di dolcezza, che (JilTonde !>
» la l)eaia speranza in fondo alle anime solTrenti; o parola rinfrescante le animo (
» assetate! » Sermones s. Antoni i. Parigi 1641, pag. 103. v
E altrove, raffigurando in Elia il predicatore: — Egli è l'Elia che dee montar (
» sul vertice del Carmelo, cioè al sommo della santa conversazione, dove ac([uisia
» la scienza di recidere con mistica circoncisione ogni vano e siiperiliio. In segno
:) di umiltà e di ricordarsi delle proprie miserie, si prostra sulla terra, posa la
» faccia fra le ginocchia, onde attestare profonda afflizione delle antiche sue iniquità.
» Elia dice al servo. Va e r/uanìa verso il mare: questo servo è il corpo del
» predicatore, che dev'essere puro e continui guardare verso il mondo sommerso
« nel peccato per combaiierlo colle parole; guardar sette volte, (jioè meditare
» sempre i seUe primari articoli di nostra fede, creazione, incarnazione, battesimo,
» passione, resurrezione, vimuta dello Spirito Santo e il giù iizio linaio clie manderà
» i reprobi al fuoco eterno. Ma la settima volta il pre{licatore vedrà elevarsi d'in
» fondo al mare una nuvolella, d'in fondo all'anima de' peccatori un moto di
» compunzio.ie e di pentimento: ([uesto vestigio della grazia di Dio nel cuor
» dell'uomo ascenderà, diverrà una grande nube che dell'ombra sua veli l'amor
» delle cose terrene; poi sofiìerà il vento della confessione, che svellerà lino lo
» ultime radici del peccato-, e in line la gran pioggia della soddislazione irrorerà
» e feconderà la Terra. Cosi opera il buon predicatire ... Ma sciagurato (piello la
> cui predicazione è risplendente di gloria, mentre nelle .opere sue porta la ver-
» gogna ! 1) Ibidem, pag. 335, 336.
16 Si conoscono più di cento sue \ii(\ fra le stoi'iclie e le asceiiclie. Na-
poleone non n'ha tante, eppure in dieci anni ammazzò più gente che non ne
guarisse sant'Antonio in sci secoli.
U CAPITOLO IV.
^
credendosi celiato, ne montò in collera e, — Se non fosse per
timor di Dio, v'ammazzerei ». Al che placidamente il santo:
— Lo volesse il cielo ! Ma io so da Dio che voi diverrete un
martire; e deh! allora vi ricordi di me ». Il notajo per allora
si rise di lui e del vaticinio, ma poco poh:^onvertito, andò in
Terrasanta, ove incontrò il martirio.
Questi miracoli erano creduti; e della loro efficacia argo-
menti chi oggi pensa muover il mondo col dargli a intendere
le fole di cui empie i circoli magnanimi e le intrepide gazzette.
La bontà di lui non veniva meno davanti a qualsifosse colpa.
Uno rifiuta di riconoscere il figlio di sua moglie, credendolo
adulterino, e il bambino parla e lo chiama babbo. A carcerati
per debiti impetra misericordia, e dal consiglio di Padova fa
decretare che un oberato, se in presenza di testimonj rassegni
i suoi beni, vada franco da ogni molestia : del qual decreto
rimane ancora la pietra nel salone della città. Intanto aveva
così profondo il sentimento dell'autorità, che. anche dopo glo-
rificato di tanti doni celesti, obl^edi a san Francesco che lo
mandava a A'ercelli a scuola di teologia mistica. Antonio ado-
prava senza posa onde convertire gli eretici in ^Milano, in
Tolosa, in Rimini; e li convinceva non solo colle ragioni, ma
con evidenti miracoli. Tal fu quando fece che un giumento,
sbiadato da più giorni, abbandonasse la mangiatoia otìertagli,
per inchinarsi al Sacramento. Tale e più clamoroso il caso di
Rimini. La città era ingombra di eresie, sicché nessuno traeva
ad ascoltarlo; onde Antonio, voltosi alle acque della Marecchia,
invitò i pesci a udirlo; ed ecco dal fiume, dal mare rimontare
a frotte i muti abitatori, come sogliono i pellegrini che vanno
alla perdonanza, e collocarsi in bell'ordine prima i pesciolini,
indi i più rilevati, e cosi via sino ngli enormi: e stivati,
sporgendo le teste, rimanere intenti alle parole del santo ; anzi
col boccheggiare mostrar desiderio di volere esprimersi, finché
questi li congedò, ed essi con or(hne ritornarono ai loro recessi,
lasciando, pensate qual meraviglia negli spettatori.
Dar intendere simili baje all'età della radomanzia , della
divinazione magnetica, degli spiriti battenti e delle tavole
jìarlanti I Però , se ammiriamo Cicerone faticante in quistioni
private e in infelice lotta contro l'ambizione d'Antonio ; o De-
mostene, che a stento spingeva gii Ateniesi fuor delle mura
— 93 —
ni
-J0
contro Filippo aggressore , confessiamo clie ben altra potenza
) d' emozione era in costoro , i quali , credendo profondamente ,
{ operavano sopra credenti. A udire Antonio accorreva infinito
) popolo; e quando predicò la quaresima del 31 a Padova, girava
j) le diverse chiese , ma dovea star di fuori a cielo aperto, per-
J che fino trentamila uditori s' accoglievano , preparandosi già
) durante la notte; e chiudeansi le botteghe e i tribunali; non
i v' erano borsaiuoli , non licenziosità. Ed egli predicava fran-
/ camente in italiano, come fosse lingua sua H; un silenzio uni-
i versale regnava, sicché né tampoco i bambini vagivano: e gli
] ascoltanti dicevansi 1' un 1' altro : — Oh poveretto me ! non
avrei mai creduto che questa cosa fosse peccato » e ciascuno
credeva parlasse di lui proprio ; altri il vedeano la notte ap-
parir loro e dire, — Alzati , o Lorenzo, o Agnese, e va e
confessa il peccato che festi in tal giorno , nel tal luogo ».
Una donna, costretta ad assistere il marito infermo, non sa-
peasi consolare del non poter assistere alla predica del santo,
lontan due miglia. Per farsi illusione , s' affacciò alla finestra
che dava verso quel lato , ed ecco ella intende le parole del
predicatore, chiama il marito, ed egli pure le ode: e ai com-
paesani , quando furono di ritorno , seppero ridire la predica
tutta.
Per la Marca Trevisana moltiplicò egli prodigi di pacifi-
cazioni; altrettanti in Verona: poi, quantunque soffrente d' i-
drope , andò a nome dei Padovani ad Ezelino (ah, perdóno ,
se dimentico il principe pel santo ! ) , acciocché volesse rendere
in libertà il conte Rizzardo, tenuto prigioniero. Giuntogli di-
nanzi in Verona , i biografi (che pur non aveano letto le de-
clamazioni che Alfieri fa gettare in faccia ai tiranni , cosi buoni
da tollerarle) dicono esclamasse : — 0 Ezehno , nemico di Dio;
\ •17 SuRio e Annaka N\'adingi. llaìico vliomaln adfo polite poluif quna voJin't
/ prnnnnliare, ac si e.rlra Ifaìia nunquam posuissrt prdem. Non posso tacerò che un
l liHlf coinpalriotla di s. Antonio io scontrai nella incoinparalìile Certosa di Napoli
') rilnifgitovi (piando il Porto!j;allo cacciò via i frati. Eirli si puntava di pos'-edero la
"^ lingua nostra non altrimenti clic un italiano, o per prova compose il pane<:irice di
' san r.rnnoiie, senza la lettera a A. È alle stampe, o l'unico A è nella parola
) Nnpnli, data della slanipeiia. Sant'Antonio esercitava la sua pazienza a (pialcosa
( di più umano.
L|_r] • - 99 - Cj-
J
' CAPITOI-0 IV
W
h
» e crudelissimo dei tiranni; o can rabbioso, e quando cesserai
» tu di versare sangue ?» E continuava tale tempesta d' in-
giurie , che i satelliti del tiranno aspettavano ad or ad ora il
cenno di farlo a pezzi. Ma ben al contrario (e soggiungono i
biografi, fu prodigio maggiore che il farsi ascoltare dai pesci)
Ezelino se gli prostrò ai piedi, con una corda al collo, vene-
randolo, e gridando sua colpa. Di che meravigliandosi i se-
o-uaci di lui , Ezelino disse : — Che volete? ÌNIentre il frate mi
» parlava, vedevo dal suo volto uscir una luce che m'empiva
» di terrore e venerazione; e avrei fatto qualunque cosa mi
» avess' egli comandato, tanto mi sentivo compreso ». E fin-
ché il santo visse, operò meno crudele. Gli spedi anche un dono,
che Antonio gli rinviò, dicendo non volere roba distillata
dal sangue d' innocenti che gridano vendetta al trono del
Signore.
Avesse veramente Ezelino risparmiato il pianto d'un solo
uomo, già sarebbe a noi venerabile e benedetta la potenza del
taumaturgo.
Tornato poi sul Padovano, Antonio viveva solingo in un
tugurio presso Camposampiero, ove sotto un gran noce scrisse le
Coyicordanze della Bibbia , finché il Signore lo chiamò a sé, sul
verde dei trentasei anni il 13 giugno 1231. La morte di quel
pacifico diviene attizzatoio di risse; i nobili di Capodimonte lo
custodiscono in armi , perché rimanga dov' era morto , cioè al-
l' Arcella , doppio convento suburbano fondato da san Fran-
cesco all'estremo della strada antica di Porcilia; i frati lo vo-
gliono a Padova; il popolo irrompe ed abbatte le barriere; ma
Iddio lo fa rimanere istupidito, senza osare d'entrar colla vio-
lenza. Alfine il podestà viene cogli armati , e porta a Padova
il cadavere , con un solennissimo trionfo che oggi non si per-
metterebbe, e si permetteva ai tempi d' Ezelino ; vi è deposto
in un' arca antica , e la memoria delle virtù e i numerosi mi-
racoli gli acquistarono tosto quella venerazione, che sempre andò
crescendo quanto ognuno può vedere. Già nel 32 si cominciò a
raccorre limosine e materiali por edificargli una ciiiesa; Ales-
sandro IV v'invitò tutta la cristianità , e sebbene la tirannide
di Ezelino la ritardasse , prima che finissero i tempi compresi
in questo racconto Mcola Pisano gli ergeva quella vasta basi-
lica , di stile cristiano non ancora svigorito dall'imitazione, a >
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Kcii cliiedei'lo n me, ma a Lio : e prende il vangelo lo oiire a caso e
Cai>. IV. rar. 79
[ '□ FRA GIOVANNI DA SCHIO D "— i
cui oggi ancora traggono in folla devoti curiosi i^ , e la piazza fu (
adorna di monumenti alla sapienza, alla ricchezza, al valore ; |
glorie peribili accanto a quella immortale. ^
Antonio fu santificato l'anno stesso di sua morte, mal- )
grado la cautela che la Chiesa mette in siffatti giudizj i9, e fr i ì
) i tre cui fu affidato il suo processo, appare uno , che nell.i )
) storia nostra è sovra tutti memorabile , fra Giovanni da Schio. \
) Donde costui fosse, è ignoto ; chi lo fa padovano, chi vero- )
nese o bresciano , mantovano o bolognese , più probabilmente )
vicentino; tante città si disputano la culla d'un frate ! Di ricca )
casa lo vogliono i biografi , perchè la venerazione dei natali )
sarà trovata ridicola e irragionevole , eppur rimarrà nella na- (
tura umana finche uno desideri meglio dirsi figlio di Franklin )
che di Marat. Suo padre era stato podestà di Belluno ; ed egli i
poteva aspirare ad onori, ma vi preferi il chiostro, e in quello )
di Sant'Agostino a Padova ebbe l'abito da san Domenico stesso )
e r uffizio del predicare. (
Primieramente il papa lo indirizza a Bologna , ove san )
'! )
18 Tre incendi la guastarono: nel 1394 per fulmine; nel 1367 per la In-
niinara; nel 1749 per caso, e sempre fu riparata. Le pitture nei Santo e nella
vicina scuola e i bassorilievi di Tiziano Minio e d'altri migliori nella cappella
architettata da Jacobo Sansovino, ripetono i portenti da noi qui accennati. Nella
cappella del beato Luca P.elludi suo discepolo, nella stessa basilica, è dipinto es«;o
Luca (juando dal santo gli è rivelata la vicina liberazione di Padova da Ezelino. Uno
de' più antichi musaici delle arti risorgenti è quello fatto ivi in Santa Maria Maggioro
da Giacomo Torre nel 1259, rappresentante sant'Antonio e san Francesco. Sant'An-
tonio era grasso, rosso in volto e con occhi vivaci. Sull'arca della porla maggiore
del Santo è questa iscrizione :
-)- Mille dvcentenis vno cvrrcnte trigenis
Antonivs frater venit ad alta pater.
Nvnc regnai plenvs qvi \ixit pavper egcnvs.
Yspanvs gente Padve tvlit esse colonvs.
Cvjvs ad exemplvm sacratvm visite templvni.
Et pia nvnc vola fominu vin[ue nota. Àmen.
Vedasi la Basilica di S. Anlonio, Padova, tip. Liviana 1846.
13 lùsi romana Ecclesia in tain sanclo iicfjotio >inn sic suI)ilo, scJ cnw qvavila'.e
et maluritnte pltirima constterit procedere^ dice la bolla del 1' giugno 1232-
^-|^ _ -'''- _ _^^^^
Cantò — Ezeliao. 7
rJ
\ Domenico aveva passato gli ultimi suoi anni , e donde si dif- \
\ fondeano suoi apostoli a tutta la terra. 11 32 era stato anno (
i (li gravissimi disastri , tremuoti, peste , locuste; gelato il Po |
( (la Cremona in giù ; tanta difficoltà di viveri che perfin le (
\ nozze si celebrarono senza vino. Bologna vie più pativa per le )
{ guerre sue, appena cessate con Modena in grazia della famosa \
( secchia rapita; e per 1' interdetto con che Gregorio IX l'avea (
]^ punita di avere impedito al vescovo di raccój* la decima in al- ^
i cune terre. Per questo il Comune toglieva i castelli al vescovo, |
( e v' impacciava la giurisdizione de' magistrati da lui spediti. )
^ Furono dunque sospesi i divini uffizj , scomunicato il podestà, (
i comandato agli scolari partissero dall' Università. Ma il papa 1^
( alfine lasciossi mitigare , e consenti la celebrazione dei divini
J riti , però a porte chiuse, voce bassa, senza suon di campane;
{ vi mandò fra Giovanni ; e quella città , avvezza gli anni avanti
\ a sentire Domenico , Francesco , Antonio , già tutti santi ,
^ corse dietro al Vicentino in devota compunzione, compromet- \
•' 1233 tendo in esso le liti. Ed egli, annuenti* i magistrati ed i ere- i
} ditori stessi, scarcerò gì' imprigionati per debiti; fra altre )
i pie pratiche introdusse di salutarsi col Sia lodalo Gesù Cristo; S
( indusse le donne a non portar al capo frangie e ghirlande , (
) ma un modesto velo; riformò a suo senno gli statuti; poi il )
S 15 marzo 1232 menò una solenne processione, traendosi dietro )
) tutta la città , a piedi scalzi come lui. Un altro giorno predicò j
; contro gli usuraj , in modo che il popolo, il quale è pronto a
( tradurre i ragionamenti in fatti, corse a saccheggiar la casa
) d' un Landolfo che n' era difi"amato. Restava ancora la contro-
) 1^, versia della giurisdizione tra il vescovo ed il Comune , e fu
(aprile . „ .
( compromessa in Ira Giovanni , concedendogli assoluto arbitrio
; non solo di decidere sul passato, ma di stabilir sull'avvenire. !*
) Giovanni , con licenza del maestro dell' ordine , ])ronunziò , e [,
(j il suo lodo attesta come fossero continui gli attentati alla vita,
/ falsate le monete , ogni sorta di delitti.
^ A Milancio , cavalier bolognese gran prepotente, aveva il
l papa conceduto assoluzione dalle censure , purché restasse ol- '
\ tre mare tutta la vita a servizio di Gesù Cristo. Ambasciatori ■
l di tutta la Lombardia s' interposero per mitigare la penitenza,
) ma al solo fra Giovanni il pontefice volle assentirlo « perchè ;
(j si conoscesse a prova di quanta grazia e favore godesse egli ;
[glra-^
presso di lui » : e s' accontentò che Milancio giurasse rifare
dei danni i cittadini di Viterbo , e alla prima crociata passare
anch' egli in Terrasanta per due o tre anni.
Una volta, mentre il frate predicava, Giovanni Boncambio,
dicitore si famoso che ad ascoltarlo traea la gente da lonta-
nissimo, passa su brioso cavallo bianco , vestito alla ricca e con
aurea collana. Indotto dalla curiosità, si ferma, ascolta, n' è
commosso , e lasciato lo sfarzo , corre alla chiesa di San Mi-
chele , prende 1' abito di domenicano, e ben tosto coli' elo-
quenza e r erudizione acquista tal fama , che è fatto vescovo
di Bologna.
Tante si moltiplicarono le processioni e le prediche , che
queir anno fu detto dell' alleluja : e in segno di santità, una
croce apparve sulla fronte di fra Giovanni. E volendo Giordano
Forzate, suo maestro generale, dirigerlo altrove, i Bolognesi
mandarono una deputazione de' loro principali a supplicare noi
togliesse dal campo , dove aveva seminato si bene. Giordano
rispose: — Chi semina non pianta il letto nel campo onde co-
» ricarsi finché ~ abbia fruttato, ma lo raccomanda a Dio, e va
» a seminar altrove , e il Salvatore dicea: Covien di' io vada
» a 'predicare in altre città ».
Papa Gregorio scrisse a fra Giovanni congratulandosi dei
frutto, incoraggiandolo, consolandolo delle calunnie sparse con-
tro di lui 20^ — A te nelle opere di pietà non f;i mestieri d'ec- 1233
> citamento , poiché di ogni cosa per 1' unzione dello Spirito
» Santo sei addottrinato. Intuona dunque il lagrimevole gemito
» d' innumerevoli prigioni fiorentini e sanesi , e l'ululato di
» quei che languiscono fra le catene , e lo squallor delle car-
» ceri tra la fame e la sete; intuona il sangue dei piangenti,
» effuso e vicino ad effondersi in copia maggiore , se la pace
» non si frapponga. Kon vogliamo comandare a te, che sei
» guidato dallo spirito di Dio , ma supplichiamo che da Colui
' nel quale per tuo ministero si conforta la moltitudine degli \
» afflitti, tu sia condotto prestar aiuto a queste due città, vicine )
» alla distruzione »; e dipinta la desolazione di Siena e J
\
20 VII, cp. XLVIII, np. r.AiNAi.Di, 1235, p. 5(), ól, 58. — Yilac I>1>. /V,
(ìiraiorum, parie IV, e. 4:), p. Uo.
,0
- 103 -
^^^ ^
U CAPITOLO IV. LJ
¥'
< > Firenze, — Tutti hanno fiducia, e ripetono che, se il diletto (
) » figlio Giovanni , in cui il Signore degnò fra voi operare opere /
\ > eccellenti a gloria del suo nome e confusione dell' eretica pra-
( » vita, visiti le due città scompigliate , il Dio della pace per ;
i » mezzo di lui darà fine a' guai ed alle perversità ». /
^ Convien pensare che anche allora le turbe obbedissero al )
( papa sol quando egli faceva quel eh' esse volevano ; ond' egli, ;
) disobbedito , iterò istanze lamentandosi perchè fra Giovanni, ì
S € mandato da Dio affinchè indicasse ai ciechi la via , agli in- )
( creduli la verità , ai morti sia resa la vita », venisse ancora
■giugno a forza trattenuto dalla fervente pietà, e minacciò perfln di sco-
{ munica chi a questo suo desiderio si opponesse. Giovanni fuggi ')
j notturno da Bologna, e ridottosi a Modena, con quel vescovo J
\ venne a Ferrara ; donde segretamente tragittatosi sulla sinistra (^
\ del Po, mosse a Padova per iscongiurare, ivi pure il demone della >
J discordia. Incontro a lui usci tutto il Comune col carroccio fino \
\ a Monselice , e fattolo montare su quello , quasi trionfante il )
ì condusse in città. Colà nel Prato della Valle cominciò le pre- ^
{ diche sue con tanto frutto , che tutti i discordanti rimisero in (
j lui le proprie dissensioni. Altrettanto ottenne a Treviso, a Fel- /
5 tre , a Belluno, a Conegliano: vicentini, veronesi, mantovani, j
) bresciani, il conte Sambonifazio, i signori di Camino, quei di (
\ Romano , furono da lui ridotti a miti consigli ; i prigionieri j
delle ultime guerre fece rendere in libertà ; dai Comuni ot- \
; tenne autorità senza limiti, fino di potere riformare a talento )
l gli statuti: tanto valeva 1' opinione di zelo e di santità. E )
' quando fra Giovanni predicava dal carroccio, circondato dai car- j
) rocci delle altre città, dai cuori prorompeva 1' evangelico So7i }
l pur beili i passi di dà annuncia la pace! Con lettera del 12 \
j luglio il papa concede quaranta giorni d' indulgenza a tutti i j
\ fedeli che tre giorni in una settimana avessero udito o devo- J
j tamente seguissero per città e ville il frate , per cui mezzo ì
\ Iddio operava meraviglie. Esso papa scriveva a fra Giovanni: )
< — Consentiamo tu possa , secondo il rito della Chiesa, conce- ^
/ » der l'assoluzione al nobile Ezelino ed a' fautori suoi, scomu- )
' » nicati da personaggi da noi spediti a sedar la discordia , che j
( » fin qui miseramete lacerò il paese; patto ti diano sufficienti
) » cauzioni di mantener la pace, e obbedire ai nostri coman- j
r » damenti ». /
FRA GIOVANNI DA SCHIO ^^^
Noi , che crediamo acquistato al nostro felice secolo il pri-
vilegio esclusivo di ragionare sui fatti e d' impicciolire col riso
se qualche cosa appare di grande, e levar i calcinacci dal pie-
destallo dei migliori per buttarli loro in faccia , noi ci darem-
mo ad intendere che allora nessuno revocasse m dubbio quelle
virtù e quegli effetti? Tutt' altro, e Guido Bonatto, gran maestro
in astrologia come vedremo , tenea fra Giovanni per un ipo-
crita. — Spacciasi d' aver risuscitato diciotto morti , guanto
» d'ogni maniera infermità, cacciato demoni: ma io non ho }
^> mai potuto vederne uno. Un nugolo di popolo gli teneva \
» dietro , e beato chi avesse un filo di sua tonica. I lìolognesi, j
» a nome del Comune, armati lo seguitavano, e dovunque si
» fermasse gli facevano attorno uno steccato, • perche altri
» non se gli accostasse: e se alcuno lo ardisse, il malme- /
» navano, e fin 1' uccidevano; del che egli godeva: né mai <
» risanò alcuno come Cristo fece con ^lalco. Pubblicamente \
» diceva d'avere colloquj con Gesù Cristo, la Beata Vergine
» e gli angeli. Il frutto fu che i frati suo raggruzzolarono
» da ventimila marche d' argento ; ed io , che non volevo j
{ » dare ascolto alle sue ciurmerle, era dal popolo tenuto per
( » eretico ». i + <)
Cosi l'astrologo, e non senza ragione stava mal vòlto contro
fra Giovanni, il quale sparlava dell' astrologia , asserendo la >
' non fosse né arte . né scienza. Con fra Giovanni aveano pure j
mal sangue i frati Minori, per gelosia di Ordine: non mostra l
( prestargli fede lo storico Maurisio; fra Salimbene lo dico scarso (
'^ di lettere e che s' impacciava di far miracoli , e smaniava di (
passar per santo , farnetico comune a questi Francescani, i
\ quali talvolta s' accontavano di predicar fra molti in diversi (
luoghi s' una data materia; e un di loro fermandosi a mezzo ,;
del discorso, mostravasi assorto, poi ripigliando i sensi, al pò- )
polo attonito diceva : — Ho sentito fra Girolamo che predica
] » in quest' ora a Bologna, sul renaio del Ueno, e ha profe-
\ » rito cosi e cosi : ho sentito fra .Tacobino che predica a Mo- j
) » dena sul tal testo » ; e quando verificavasi, crescevano lo <
{ stupore e la venerazione. (
j Esso Salimbene soggiunge come di fra (uovanni aperta- )
mente sparlasse Buoncoinpagno, famoso profossore in Bologna, (
• un cui libro di grammatica fu coronato d" alloro. E giacché S
CAPITOLO IV. On-T.
mi casca sotto la penna questo nome , permettete mi badi un e
tratto sul costui lepido umore, e sulla burla che una volta )
fece ai Bolognesi. Quando alcun letterato di polso arrivasse [
nella dotta città , soleva mandare innanzi una lettera , scritta {
quel più squisito che sapesse. Buoncompagno ne inviò una , >
fìngendo che un tal Roberto sfidasse lui Buoncompagno per un \
determinato giorno, provocandolo con villanie: perocché il gè- )
nio battagliero del secolo non solo sul campo e colle armi, ma ^
sfogavasi ancora nelle scuole e sui libri. Dal primo cessarono (
gli Italiani quando si trovarono strappate 1' armi di pugno : )
neir altro si fa tuttora prova scandalosa e codarda , prendendo S
la grossolanità per indipendenza. ^
Gli avversar] di Buoncompagno , che erano molti e pro-
vocati anche dagli acri frizzi di esso , non rifinivano d' ammi-
rare una lettera si bella e compitamente scritta, e cuculiavano )
il grammatico; tanto più che questi, senza mostrarsi avvilito, )
aveva accettata la sfida. ^
Il dì prefisso , scolari e professori accolgonsi in gran fre- ì
quenza nel duomo di Bologna : aspetta un poco, aspetta molto, \
e Roberto non arriva. E 1' aspetterebbero ancora , se Buon- \
compagno , tratto alquanto in lungo il giuoco , non avesse \
rivelata la burla : di che rimasero non vi so dire quanto scor- \
nati i nemici , ed esso , a braccia degli ammiratori suoi , fu
portato a casa.
Né, perchè una volta burlati , fecero senno i Bolognesi.
Che anzi, poiché li vedeva corrivi a' miracoli di fra Giovanni,
Buoncompagno mandò voce che , il tal giorno , accorres-
sero tutti sul delizioso monte dov' è la Madonna , e di là
esso spiccherebbe un volo. Gli annunzj sogliono essere più
creduti quanto meno verosimili, onde una folla qual potete im-
maginare ; e il grammatico comparve con due ale sterminate.
Ma come fu in vista del popolo , — Tornatevene (disse) in
pace, che è molto per voi 1' avermi veduto in viso ». Cosi si
ciurmava il popolo : zimbello de' ciarlatani allora e adesso, ed
avvezzo applaudire a chi lo opprime e travia, e saper male a
chi lo illumina e corregge.
Ma lo sparlare di pochi non iscreditava presso al popolo
la santità di fra Giovanni da Schio. Il quale, come gli parvero
dalle sue predicazioni ben disposti gli animi , ordinò che tutti
— 106 —
PACE DI PAQUÀRA q]
convenissero a giurare la pace ... Il 28 agosto 1233, a un tre >
miglia sotto Verona presso l'Adige , ove si diceva la Paqua.a i-'
^1 cenno di un frate da tutta Lombardia e dalla Marca tanta )
folla si raccolse ,U popolo , che alla --a-g'' ^f ^ Vi'lT
bastano parole. Verona, Mantova, ^'■^^'^'^ ' ^''^': ^^:
eran venute coi carrocci , vale a dire con tutti i u tad n
trevisani, teltrini , bellunesi, veneziani, bolog.ieM , con mo.
tZ paesani e nobili , sotto ai proprj stendardi a pie nud,,
cantando laudi e ripetendosi a vicenda non insulti di guerra ,
In saluto di v-Jsìa lodato GesU Cristo. Uno ^ton^o U s -
ma a quattrocento mila : un altro asserisce clie , .lai Redentore ,
Tnoi non s'era veduta udienza si numerosa: non manco chi
" paragonasse quella futura in vai di Giosatat. Con loro v avea
nÙind ci vescovi in apparato pontificale, e tutti i baroni della
vtónanza Erano vecchi induritisi nello spettacolo de m.cidj .
èrano fanciulli, recati in braccio dalle madri perchè le prime ,
loro idee non fossero tutte di sangue e di sterminio: erano ri- ■
vali usiti a non trovarsi che collo scherno sul labbro, col pugno
sul brando: erano popolazioni avvezze a '^f'S^^^^^^^l'^
nomi di scherno. Soverchiatori e soverchiati ; oltraggiati ed
offensori ; emuli di nimicizie ereditarie; molti che teneano an-
cora a la 0 la spada, tinta d'un sangue di cui avevano giurata
vendetta a morte; qui si scontravano, come chi riunisse in
uno le Aere più mostruose della Libia : i Bentivoglio coi Pepoli,
i Laml^ertazz coi Geremei di Bologna, i Rossi coi Corregge-
ch di P-ma , gli Scotti coi Laudi di P'-enza gU Aigcn.
coiGrisolfl di Modena, i Montecclu coi Capuleti di Verona,
Ezelino e .Uberico da Romano coi Camposampiero e cog i b-
stensi; e tutti, alla voce d' nn frate, venivano qui ad ablirac-
ciarsi, a chiedersi e concedersi perdono.
il i;anlica cronaca veronese dello Zagau, .lice-. - L'anno 1235 inisser
Irà Znanc da Viceno dell'ordine de' l'redicalori .e parie da Manina e venne a
slbonifacio sul Veronese; el ì Veronesi glie andè Incon.ra e s, aecella Ho ,•
! , ente, e si ghe tè nn pergole sulla piazza del n.erca e I, predico. . e s, gin
nne Manlovan',. Bressani, Padoani, Trevisani e Veneziani co,, i sol carrozzi,
èa lue e molli al„i della .erra ci,cu,„,.an,e, zoé ,la Kernra da lìologn <la \
MoTena. da Logo, da Var ; e f,-à /.nane p,on,n,l,ò la pavé che I liavia faUo . . ^ ^
1^ ■ --~~~r- M
rrt] CAPITOLO IV. '-' "l
d
/ Salito sovra un pergamo , alto sessanta braccia , comin-
( ciancio dall' evangelico La pace mia vi do , la pace mia vi
( lascio, fra Giovanni fece un'esortazione a quella moltitudine
/ perchè tornasse in pace e in accordo. Meraviglia ! in cosi va-
^ stissima spianata, fra tanto popolo congregato, che mormo-
( rava come un mare estuante, il predicatore era udito da tutti,
) L' asseriscono i cronisti: ma qual uopo del miracolo? Se pure
{ vi fosse udito , poteano le incolte parole d' un monaco avere
( per sé tanta efficacia su animi siffatti da commovere al pian-
\ to? Ma quel popolo veniva per essere commosso: un gesto che
di lui vedevasi , era da ognuno interpretato alla guisa; ognuno
1233 credeva udirvi il proprio nome, l'esortazione personalmente a
sé indirizzata , il vizio a sé rimproverato : — no quelle scene
non può rappresentarsele al vero se non chi si trasporti a
que' secoli, tutto sensi, tutto credenza: oggi l'entusiasmo
è perito d' un colpo di compasso che il calcolo gli ficcò in
mezzo al cuore : e quand'anche il quadriduano sorge un tratto
per guizzo galvanico , viene risepolto sotto la sfiducia ed il
sogghigno.
( Indi, perchè la cosa non restasse in sole parole, fra Gio-
vanni espose per iscritto le condizioni delle singole paci , e ,
quel che fa per noi, volle che Alberico da Romano desse la
figliuola Adelaide in isposa a Rinaldo d'Este; e che egli e il
fratello cedessero al Comune di Padova quanto possedevano
sul territorio di questa , ricevendone per quietanza quindici-
mila lire ed il diritto di rittadinanza.
Il frate poso suggello a quei patti coli' autorità senza li-
mite che gli aveva a tal fine conceduta il supremo pontefice.
Indi elevata la croce , esclamava: — Oh, benedetto nel nome
di Cristo e del suo vicario santissimo papa, colui che perdo-
nerà »; e migliaja, migliajadi voci rispondevano, — Benedetto!»
E proseguiva: — Benedetto chi osserverà o farà osservare
» questa pace. Benedetto chi amerà da fratello il prossimo suo »,
tì a-l ogni volta seutivasi lungo lo spazio sconfinato echeggiare,
— Benedetto ».
S Poi ripigli;iva: — Maledetto e rubello a Cristo ed alla
( Chiesa chi commetterà discordia fra gli amici ».
\ — Maledetto chi primo infrangerà i patti oggi giurati !
— r^Ialedetto chi primo trarrà la spada contro i fratelli!
— li.S
■hjieI
- — '-> FRA GIOVANNI DA SCHIO Q^l— .
\n°
l — Maledetto chi in opera o in parole favorirà 1' impe-
( ratore : chi inviterà le armi straniere negli affari della patria!»
J E migliaja , inigliaja di voci replicavano, — Maledetto,
( maledetto! »
) Tale dovette apparire la vallea fìlistina tra 1' Ebal ed il
\ Garizim , quando a tutto Israele raccolto vi fu promulgata la
\ legge : e un alterno coro di sacerdoti dalle due opposte mon-
/ tagne acclamava benedetto chi ne adempisse i precetti, male-
' detto chi vi fallisse; ed un mondo di popolo rispondeva.
; — Cosi sia ».
) Fra que' gridi , fra le lagrime , si correvano al collo 1' un
{ dell'altro; baciavansi: confondevano i palpiti due cuori che si
) erano odiati a morte. Il popolo , vedendo i magnati abbrac-
) ciarsi , e dimenticando che è proprietà dell' uomo poter ammol-
] lire gli occhi pur conservando di pietra il cuore , comporre al
) bacio le labbra mentre il pensiero matura il tradimento, il po-
\ polo credeva, sperava; — vicenda del popolo, credere, spe-i23:5
l rare , trovarsi deluso '^^.
Perocché, non appena sciolta l'assemblea, gli scontenti
( cominciarono a mormorare; cavillarono i capitoli degli accordi:
^ le cause della discordia essendo coperte, non tolte, ripullulavano
\ al posare di quell'istantanea commozione; non era corso un
) mese da cosi solenne giornata, e tutti erano rimessi sugli odii
primieri. L'amor di Dio e del prossimo, ragioni con cui più
solitamente i buoni frati conciliavano quelle concordie, poteano
/ bastare contro l'urto dell' interesse, dell'ambizione in quei si-
) gnori efferati? Che più, se all'interesse, all'ambizione non
;
~) 22 Verso il 1823 il cardinal Rivarola, legalo ponlificio, cercò riconciliare
Carbonari e Sanfedisti nel Ravennate e specialmente a Faenza, coniliinando molli
) malrimonii, che riuscirono come Dio vel dica. Ouakosa somiglia a li'à Giovanni
) il sig. day negli Slati Uniti. Quando gravissimi dissensi slavano per rompere quella
; pace che l'Europa invidiava all'America, egli correva, adoperavasi, e, so'^lenulo da
) un immenso favor pofiolaie, molte volte ehbe efficacia di ripristinar la concordia.
^ Al pnnci|)io del 1850 maggiori molivi di dissensioni laccano temere un conllitto,
e il popolo non avea fiducia che nel signor Clay, e quando egli arrivò come
ì deputato a Washington, tutta la città stette più giorni ad aspettarlo, poi con un
) tripudio inesprimibile l'accompagnò al suo alloggio, accogliendo con devozione ogni
\ parola di Ini, e ad un semplice suo cenno disperdendosi. Gli avvenimenti del 1847
e 48 ci danno mitili riscontri ai fatti esposi! nel testo.
— 109 —
---HTC^]
CAPITOLO IV.
sapevano resistere né quelli pure, il cui uffizio era di svellerle
dall'altrui cuore? Povera umanità!
Fra Giovanni, in quel giorno gridato il santo, l'apostolo
della pace, cominciò ad essere appuntato da coloro, a' cui
disegni nocevano le opere di lui : e lo chiamavano uomo di
parti, che favoreggiasse uno a scapito degli altri, abbassasse
tutti per elevare se stesso; fosse satellite del papa nel depri-
mere i Ghibellini e Federico IL Gran nemici poi gli attirò
l'inesorabile suo rigore verso gli eretici; e a ragione, se è vero
che in tre giorni sulla piazza di Verona ben sessanta ragguar-
devoli cittadini mandò alle fiamme.
Lasciossi anche pigliare dalle vertigini, che facilmente
ingombrano chi sale in alto; ed entrato in Vicenza, dichiarò
nel consiglio volerne essere signore e conte, e disporre d'ogni
cosa a suo talento. Il popoletto lo sosteneva, sperando dal santo
quel bene che non aveva dai grandi; i signori non seppero
far niego; e si promise starne affatto a lui: sicché, divenuto
donno e padrone, volle in mano propria i castelli, distribuì a
suo senno le magistrature e gli uffizj, mutò gli statuti, ne
fece dei nuovi. Indi condottosi a Verona, colà pure si fece
eleggere signore; ottenne per sicurezza ostaggi e i castelli
principali, e così due bellissime città stettero a soggezione d'un
frate inerme.
1233 I Padovani mal compatirono che altri, da loro in fuori,
avesse signoria in -Vicenza : onde diedero mano al podestà
perchè rivoltasse il popolo contro del nuovo conte. Cosi avvenne.
Al rumore della ribellione accorso fra Giovanni, ed accolto
dalla plebe a calca, credeva guidarla a sicura vittoria , quasi
a vincere basti l'entusiasmo. Ben sulle prime, entrato in città,
ebbe tutti i fortilizj e le torri, prese il podestà, e laceratine
gli statuti, lo cacciò colle suona dietro. Ma sopraggiunsero i
Padovani, che, dopo breve ed incomposta avvisaglia, sparpa-
gliarono i partigiani del frate, e lui stesso imprigionarono. Questo
accadeva pochi giorni dopo il trionfo di Paquàra: — tanto il
Campidoglio é vicino alla rupe Tarpea.
Per ordine del papa egli fu rimesso ben tosto in libertà:
ma condottosi a Verona, ove pure sperava resuscitare la for-
tuna propria, si accorse come l'autorità sua fosse ita in dileguo;
non più obìtedienza, non più stima: onde, sentendo cosa sia il
)
— no
r—G FRA GIOVANNI DA SCHIO
non aver dietro a sé il popolo, per lo meglio cedette ogni
potere. Cosi dalla strepitosa sua predicazione non altro derivò
che vergogna per lui, pel paese discordie e battaglie, forse
peggiori che prima.
Ma tutto ciò è vero?
Questa domanda il buon tono non permette mai di fare
quando si tratti di maldicenza. Il fatto raccontasi dal Maurisio, \
ghibellino accannito, da cui lo ricopiò il Godi, e da questo gli \
storici, che « dove l'uno va e gli altri vanno ». Rolandino
neppur ne tocca; e per quanto il nostro secolo positivo ci
abbia avvezzati a cotesti improvvisi trabalzi degli idoli del pò- (
polo dall'altare alla cloaca, il buon senso ricusa di credere che
tanti avvenimenti si compissero in sei soli giorni , foss' anche
in una tragedia dell'Alfieri. Aggiungerò che, ai 22 settembre,
il papa da Anagni scriveva a fra Giovanni riconfortandolo a
non sentir vergogna del glorioso disonore del Golgota: a Cristo
pure il trionfo fu susseguito dall'obbobrio e dalla morte : la
provvidenza divina aver permesso queste vicende a sperimento
\ delle virtù di lui; del resto egli papa aver commesso al vescovo
\ di Vicenza un'indagine sull' avvenuto, per potere secondo giu-
\ stizia procedere contro gli offensori. ^
Che ne seguisse non sappiamo; e se il Ginguené non ap- (
partenesse a quella scuola filosofica che asserisce, nega, inventa (
i fatti secondo ne ha bisogno, vorremmo chiedergli donde ^
togliesse che fra Giovanni scornato si ritirò a morire oscuro (
a Bologna. Tutt'al contrario, a] 17 dicembre il papa domandava >
ai vescovi di Feltro e di Treviso esaminassero la sentenza prò- (
ferita da fra Giovanni, suo diletto figliuolo, tra que' di Treviso \
\ e di Conegliano; poi il 13 giugno del 47, lodandone lo zelo, (
) lo deputa sovra i processi degli eretici in Lombardia: — Avendo (
) » tu spregiato gli applausi del mondo lusinghiero, ed eletto )
\ » di servir Dio in volontaria povertà nei rigori d'austera re- <
» ligione, insieme coll'amnegata volontà dello spirito castigando )
» la carne coirastinenza, speriamo che tu risorga a sostener )
» animoso la fede. E perciò eccitiamo il tuo zelo, già coi fatti
» sperimentato, e ti ordiniamo che, a svellere l'ereticale pravità
» delle terre di Lombardia, tu adoperi tutta la tua vigilanza
» e sollecitude, e ne facci ricerca per procedere secondo le forme
» canoniche contro i rei, se non vogUano uniformarsi alle leggi
-11 - D^
A
(
'P-Jq capitolo IV. □ L-|
> della Chiesa: assolverli se tornino all'unità della fede ». E (
conchiude graziando di venti giorni d' indulgenza quei che )
abbiano ascoltato una predica di fra Giovanni.
Che che dunque ne dicessero i gazzettieri d'allora, leali co-
me i gazzettieri d' adesso , non pare che questi perdesse la fi-
ducia popolare , più tardi il vedremo ricomparire nella crociata
contro Ezelino. Qual fine poi facesse, nessuno storico il dice;
ma la tradizione supplì col farlo morire nelle carceri di Eze-
lino , 0 in una crociata per l' Italia o per Ungheria. Noi non
ripeteremo le avventure che altri gli applicò : non staremo col
(/iinguené, che, esagerando nel bene e nel male a modo dei re-
tori, gli dà vanto di avere strigate le confuse legislazioni d'al-
lora; non col Tiraboschi . che altrettanto gratuitamente sen-
tenzia di poco opportuna 1' opera di lui; e volendo esser eco ^
di quei tempi , più che ludibrio alle passioni o ai ragionamenti (
de' letterati, concliiuderemo colle parole di Rolandino ~^: —Dio \
» era con esso , e in tutte le azioni stava attaccato albi Yer- {
> gine; esaltava la croce; benediva la magnificenza di Gesù
» Cristo; sempre ebbe davanti agli occhi quelle parole, Beaii
» /' jjì'erJi fli chi porta laimce: e coli' autorità di Dio volle sta- )
-» bilirla fra i popoli ».
Giovanni da Schio è detto beato nella famiglia domenicana,
la quale si appoggia a Benedetto XIV, che , difendendo Gio-
vanni XXII dalla taccia di troppo corrente nel santificare per
aver offerto tale onore a qualunque domenicano i superiori
scegliessero, soggiunge che « molti erano i beati di quell'Ordine
» insigni per meriti, dei quali poteasi trattare la causa, quali
» Reginaldo da Sant' Egidio , Giovanni da Vicenza ed altri » '^i. ^
Le arti , non stipendiate dai principi, ma allogate alla de- )
vota plebe, e che parvero risorgere per onorare i frati , er- <
gendo allora il sacro convento di Assisi , San Domenico e San ?
Francesco in l'ologna, Sant'Anastasia in Verona, San Lorenzo j
in Napoli . San Nicolò a Treviso , a Firenze Santa Croce o \
Santa Maria Novella , aA'enezia i Frari e San Giovanni e Paolo, /
(
(
•^^ Lib. III. e. 17.
-i Fh cauoniiatione sanclorum, L. 1. e. ^l, n, 11, 1-
è^
enf]
rais--
rinil FRA GIOVANNI DA SCHIO — ,
ni OJ
'^
le arti , dico , predilessero questo giusto , sicché la sua effigie ^
è ripetuta in moltissimi conventi. )
In quello di Sant'Agostino a Padova era rapppresentata s
la vestizione di lui per mano di san Domenico, colla scritta, (
Quiquis es, acclinis scledum venerare Joanncm , (
Queni donius haec gaudet progenerasse sihi :
a Bologna nel nuovo tempio di San Domenico fu conservata )
memoria della riforma da lui fatta , scrivendovi , Bononiensis (
magisiratus B. Joanni a Schio civitatis siatuta emendanda \
tradii. Un fresco del 1352 ne' Domenicani a San Nicolò di Tre- )
viso, mostra il beato coi raggi alla fronte, appoggiato a un \
tavolino in atto di contemplare il Crocifìsso; Giovanni Speranza (
lo ritrasse nella cappella Sarego in Santa Corona di Vicenza, >
in atto di predicare , e colla colomba radiante sul capo. Fra Ba- )
silio da Schio, camaldolese e suo discendente, adoprò a raccorne ì
- e inventarne notizie, e cercò ottenergli la santificazione nel ^
) 1667; e fin dal 50 ne avea collocato un busto nell'uffizio del- (
( r Inquisizione con epigrafe che il proclamava D. Bominici vir- )
) tutum haeres et fdius, Gallice Cisalpince apostolus, angelus pa- ')
[ cis niincius, tyrannorum gladiiis , hcereticorum malleus ^''. ■
■ ■ i
i !
25 Le modaglio in memoria (lolla pace ili Paquar;'., riporlaie nel museo
Mazzucchelli, Tav. VI, N. 1, col rovescio d"un elmo che coi)rc In lìamnia e il mollo
Paccm relinquo vohis, o d'una donna colla face i ovesciala clic iniìtte luoco ad arnesi
di guerra e calpesia la Discordia, paiono false ed invenzioni di Valerio Belli.
V. Antonio Maghim, i\oti:/r di fra (ìiovanni da Schio. Padova 18'il.
n - 113 -
^
nra
CAPITOLO V
I TIRANNI.
Clie le città d'Italia tutte piene
Son di tiranni, ed un Marcel diventa
Ogni villan che parteggiando viene.
Da>te.
mai respiri il lettore, che, uscendo da questi
nojosi frati e dalla pace e dalla carità, la storia
nostra rannobilisce, e « batte a voi più sublime
aura sicura » per ragionare di politica, di prin-
cipi, d'assassini.
Quel che della confederazione dorica ebbe a
dire Platone, essere finita per difetto non di coraggio, ma
di temperanza, s'avverò delle repubbliche italiane del medioevo,
e s'avvererà anche delle moderne, ogni qualvolta i popoli sap-
piano tentarle. Temperanza mancava agli individui, sicché, paghi
al posto loro, ognuno vi s'adoprasse al bene comune, senza troppo
agognare l'altrui: temperanza mancava alle diverse città,
sicché pensassero a saldare il franco loro stato colla magna-
nima concordia, col sacrificare, per l'utilità generale, una
parte del ben proprio o di quello che avesse- aspetto di bene, col
non compromettere i reali acquisti nella fiducia di immaginar):
temperanza alle fraternite ed agli ordini fra cui era spartita
la società, per contenersi in quella subordinazione, dalla quale
risulta il felice ordinamento civile.
^ a
— 115 —
[HLr^
iJ CAPITOLO V.
Che le repubbliche siano un governo ove tutti obbediscono,
non eccettuato neppur il primo magistrato; e che solo con
questa docilità universale possa ottenersi quella domesticità
) che è espressa dal nome di repubblica, non se lo sono an-
\ Cora saputo persuadere i moderni, con tanta esperienza e
: con tanto presumere di sapere: come pretenderlo da quei robusti ^
che erano ai primi tentativi? Ogni poter sociale, ogni unità ')
di nazione, ogni autorità centrale che rappresentasse la società l
e potesse farla rispettare, era scomparso; solo il diritto del ?
forte esercitavasi localmente, senza accordo né solida gerarchia. ^
Persone, corporazioni, città non guardavano che ciascuna a se (
' stessa; anziché coordinare gli intenti ad un sistema generale, }
pretendevano farsi centri indipendenti; dal che venivano infinite
suddivisioni; e da esse debolezza, e facilità d'essere poi tiran-
neggiate. I tumulti e le prepotenze faceano guardare come
necessità un robusto potere, onde comprimere le emule passioni
( che non sapevano da sé moderarsi ; e si bramava restringersi )
) intorno a chi prepollesse alla cozzante moltitudine e alla tra- ■
{ potente ohgarchia. A ciò chi presceglieva il papa, chi l'impe- l
' ratore; ma la disociabilità degli individui la vinceva; i due (
) poteri si bilanciavano, non per coordinarsi ma per contrastarsi; ^
) e invece di effettuare l'ambita unità, mezze le forze sociali \
\ erano adoperate a elidere le altre. >;ol vediamo farsi tuttodì (
ne' paesi a governo parlamentare ? ^
<[ Che se oggi ancora é problema sociale agitatissimo ed v
> incertissimo il concordare la libertà di tutti colla indipendenza
dei singoli, assicurare l'esercizio dei diritti individuali, pure ^
"' stabilendo un governo che imbrigli le singolari passioni, non )
per ispegnerle, ma per dirigerle al vantaggio comune, qual >
i meraviglia se, in simile ricerca, delirava l'inesperta attività l
/ di quei tempi ? Intanto del vacillare dei vulghi facevano loro ì
) prò i castellani, che, intenti a recuperare il dominio sminuito >
ì dai Comuni, appoggiati su armi proprie e sull'assistenza del-
l' r imperatore , riuscivano a sedersi tiranni nelle città, vi si
) conservavano colle armi, legittimità cercando solo dal fatto, )
dalla forza, non da veruna idea morale, se non fosse quella )
necessità di mantener l'ordine, che i popoli, ricalcitranti ai )
l freni tutorj, accettano per pretesto e violenze brutali. E poi (
(^ nella natura umana una fatale attrattiva per la forza; sicché
1 „ ,., oli
n - 116 —
-eJ[5
T
a I TIRANNI Q
ì
uno che si mostri robusto, per quanto imperversi, sarà disap-
provato, ma ottiene ammirazione, e l'ammirazione riesce a
simpatia.
Appena diede luogo uno dei più rigidi inverni che la storia 1232
ricordi, tale che morirono bestie ed uomini, le viti, i noci, gli
) ulivi, e il Po gelato da Cremona fino al mare bastava a so-
j stenere carri, i ringhiosi Lombardi furono di nuovo in campo.
} La sacra lor lega avrìa potuto renderli terribili al nemico,
^ fiorenti nell'interno: no; preferirono l'eccidio, e prepararono
l la servitù,
; Ezelino, snudato il ferro, caccia di Verona il conte Rizzardo
s di Sambonifacio: questi, appoggiato da Mantovani e Bresciani
\ e dal marchese d'Este, pone a guasto il territorio: castelli presi
) e ripresi, ville bruciate, campi stramenati: dapertutto devasta-
'-. zione e crudeltà. Questo a Verona. ÌNella Marca Trevisana
<' Alberico molestava i signori di Camino ; ma questi , sostenuti
^ da Padovani e Vicentini, lo ridussero alle strette, decretarono
e sbanditi gli E/elini, e ne sperperarono i possedimenti. Né in
f minori travagli versava Vicenza. Ivi gli usurai (la più parte
\ fiorentini) erano cresciuti in potenza e in pretensioni a misura
^ de' bisogni del paese: ed Alberico (che non pu.-siamo pretendere
\ più scaltrito de' moderni legislatori, i quali vogliono saperne più
) che l'oculatezza del privato interesse) avendo voluto por freno
} all'esorbitante canone che esigevano pei prestiti, gli emuli i£35
) suoi tolsero occasione di farsegli grossi addosso, e per suo
i dispetto elessero podestà il suo gran nemico A zzo d'Este.
Abbiamo già indicato gli Estensi come caldissimi dell'im-
peratore Ottone; e Aldrovandino, per ottenere denaro a questo,
diede in pegno il proprio fratello ancor bambino ai prestatori
fiorentini, e menò viva guerra ai ribelli della Chiesa nella
Puglia e nella Marca d'Ancona. Azzo ebbe l'investitura di
questa Marca, e pose a governarla Tisone da Camposampiero:
grandi favori ottenne da Innocenzo III, e non minori da. Fe-
derico 11; ma come questi si guastò colla Chiesa, Azzo si
costituì caporione de' Guelfi.
Al solito, la voce del papa, dei frati, de' Veneziani, de' pru-
denti s'intromise di pace. In Verona riuscirono, e il conte Sam-
bonifazio fu reso alla patria co'suoi, tra baci di amicizia. Ma in
Vicenza imperversavasi, e la città dove tutto è gentile come
i
Y2 -'17- D|_
Cantù — Ezelino. 8
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j — 'q capitolo V. lj
la sua architettura, ne andò deserta, sicché a fra Giordano ed
agli ambasciatori veneti non venne fatto di ridurla a trattato
co' signori di Romano, al tempo stesso che Padova si riconci-
liava con Treviso. Allora soltanto ebbe effetto il matrimonio,
già proposto da fra Giovanni sul campo di Paquara, tra Adelaide
figliuola di Alberico e Rinaldo figlio del marchese d'Este, una
cui nipote quell'anno era andata sposa aire di Ungheria. Agli
usurai fu prefisso un limite, che sarà stato osservato come
sogliono tutte le prammatiche e le mete ; ed Ezelino fu ricevuto
nella cittadinanza di Padova.
Quivi era morto Tisone da Camposampiero , 1' amico di
sant' Antonio , al quale nella casa di lui a Ponte Molino era
apparso il Bambino ; ed egli pure fu assunto agli altari col ti-
tolo di venerabile. Mancato questo suo capitale avversario, Eze-
lino poteva confidarsi di riuscir signore di Padova o colle lu-
singhe o per viva forza : ina non sapeva acconciar l'animo ai
danni recatigli dai Trevisani , e d' altra parte grand' ombra
prendea dell'incremento che alla fazione guelfa recava la rin-
novatasi Lega Lombarda. ÌSiun mezzo più atto a disturbarla ,
che sollecitare 1' imperatore Federico II a scendere novamente
in Italia. Is'on contento di messaggi e di lettere, Ezelino stesso
passò i monti , si condusse alla dieta generale di jNIagonza, e
a nome di quanti pendevano in animo ghibellino , impromise (
ajuti a Federico , qualora volesse venire a domare gli avver- ')
sarj suoi : non desse ascolto a belanti esortazioni di papi, '
non agli accordi proposti dal congresso radunato in Mantova ,
\ giacché diplomatici viluppi possono ritardare, non impedire le
( guerre: ricordasse piuttosto che i collegati lombardi s'erano
) t^pinti fino a ribellargli Enrico figliuol suo , venisse dunque a \
) spegnere quel fuoco: certo che in breve si vedrebbe assogget- (
! tata tutta la Lombardia, la Marca, la Romagna. /
) Il tempo pareva a disegno ; avvegnaché papa Gregorio , (
{ concepita gelosia degli spiriti di libertà più sempre estenden- (.
) tisi in Italia e nei Romani suoi, erasi avvicinato alla podestà
) imperiale , di cui era stato fin là antagonista. Federico avea
( dato al papa soldati, coi quali tenesse in l)riglia i Romani : il
/ pontefice, in ricambio, scrisse ai popoli tetloschi esortandoli
; alla soggezione , ed alle città lombarde persuadendole a non
/ avversare i Tedeschi.
^ -ns- cJ
r—'O - I-'^ LEGA LOMBARDA ^^H
,j Trista r autorità sacerdotale quando è costretta surreg- l
( gersi non sulle braccia del popolo , ma sulle labarde dei re ! /
) I Lombardi erano abbastanza avveduti de' loro interessi , ^
j e conoscevano quanto Federico aborrisse la lega loro, e ten- (
) tasse contrariarla in ogni modo , giacché impedirla legalmente (
y non poteva perchè stipulata nella pace di Costanza. Tutti dun- (
j que , e più di tutti il marchese d' Este , tra per amor della {
sua parte , tra per gelosia di Ezelino , teneva gli occhi aperti \
sui maneggi di questo: e quando l'imperatore mandò per let- (
tere alle città sue fedeli , qualmente egli s' accingesse a di- /
scendere in Italia, e scrisse pure al Comune di Vicenza con i
tutta la cortesia di chi ha bisogno. 11 Marchese , da quell'anno <
era podestà, appena s' indusse ad accogliere gli ambasciatori; >
e tosto abbassata la buffa contro i fautori degli Ezelini, parte l
ne relegò a Venezia , parte confinò in città , parte sbandì , /
rovinandone le case e i poderi. E mandò un bando che, chiun- )
que osasse favoreggiare l'imperatore o, eh' è tampoco, nomi- (
narlo , sarebbe la sua testa destinata al patibolo , anzi a chi /
primo gliela potesse recidere. Eccessivi provvedimenti che, spa- 123R ^
lancando il campo alle passioni, empivano di vendette, di ra- (•
pine, d' assassini il paese, e, come avviene delle esuberanze,
crescevano nemici alla causa , cui erasi voluto con quelli fa- -^
vorire. (
Ezelino stava sempre in cozzo cogli ecclesiastici; tantoché
avendo alcuni degli Avvocati assassinato Guidotto da Correggio
vescovo di Mantova nel monastero di Sant' Andrea il giorno (
delle rogazioni del 1235, esso diede ricetto agli assassini, men-
tre il popolo ne diroccava le case. In quel tempo egli aveva '
tolto Verona al conte Sambonifacio : ma il marchese d' Este (
coi Mantovani e Padovani facea trama per cacciamelo. La mina
era sullo scoppiare, quando accorgersene Ezelino, volar c(>là
da Bassano , benché in freddissima e nevicosa stagione , dis-
perdere gli avversari coli' aiuto dei Montecchi, costringere il
.Marchese a voltar indietro scornato, fu tutt' uno. Treviso, 1 Pa-
dova , Vicenza ne giurarono vendetta, cominciarono i soliti
guasti alle terre di que' da Romano, ma s'approssimava chi li ^
rimetterebbe in cervello. (
Federico , trattenuto in Germania dalle inimicizie del duca
( d'Austria, come ebbe vinto questo e dichiarata città libera Vienna, ^
fu • m
16
CAPITOLO V. LJL-l'
^ ^-
volse gli sguardi a quest'Italia, alla quale il traeva una funesta
predilezione. Mandò innanzi il conte Gaboardo di Svevia con
cinquecento cavalli e cento balestrieri , che 1' aspettassero in
Verona, e intanto obbedissero ad ogni cenno di Ezelino. Di
questa forza, scarsa ma macchinalmente devota, profittò Kze-
lino per cacciare e punire quanti aveano avuto mano nella
sventata congiura , e una dopo una togliere le ròcche dei ne-
mici. Udito poi che 1' imperatore s' avvicinava , gli mosse in-
contro col fratello Alberico sino a Trento, e ricevutone a gran-
d' onore, lo accompagnò a Verona,
agosto II papa inviò Jacopo vescovo di Palestrina , per insinuare
pace, ma nulla profittò: giacché l'imperatore, accortosi che
i pontefici possono ricorrere ai tiranni in qualche loro bisogno,
ma convien pure ritornino sempre ai popoli , lo querelava di
favorire la Lega Lombarda e i Milanesi; col vescovo poi nu-
triva rancore particolare perchè aveva messo pace in Piacenza
sua patria i, onde il caricò d' ingiurie e minacce. Il papa gli
rispondeva: — Per imitare il Salvatore, spedj in Lombardia,
» il legato onde riconciliare: è persona tranquilla e religiosa, i
» ma se avete a lagnarvi di lui , ve ne daremo ragione » 2. ^
230 Che ragioni, quando Federico non voleva voci pacifiche ? e )
da Verona intimò ai Vicentini si sottomettessero; ma il Marchese |
non volle tampoco riceverne i messi, e guai a chi ardisse con ;
loro affiatarsi. Federico dunque , radunate le masnade di Eze-
lino le genti di Verona e quelle di Cremona, Parma, Reggio , ,
Modena, sue fedeli , mosse a danno di Vicenza e de' col- (
legati Lombardi. Disastrato il Mantovano e il Bresciano, re- )
spinse Padovani , Trevisani e Vicentini , che coi Caminesi e gli }
Estensi moveano contro di Ezelino e del veronese: e con ra- j
pidità condottosi sotto Vicenza, fece l'intimata. Ricusato,
diede 1' assalto e la bella città si difese coli' intrepidezza di
tempi a noi più vicini , ma colla stessa fortuna ; poiché 1' ini- l
peratore coli' autorità che gli eserciti regolari han sempre so- [
vra i colletizj , la prese e abbandonò alle lascivie, all'avarizia, >
alle vendette dei pessimi Tedeschi, e degli Italiani forse ancora V
' Matteo Pakis, p. 576.
2 L. X, ep. 253.
b FEDERICO IN ITALIA Q U
peggiori : tanto le ire spingono quel sentimento di bene-
volenza che natura radicò in cuore a tutti, e forse più a noi
Italiani.
Maurisio , storico, o (quel che sovente consuona) panegi-
rista degli Ezelini, stava , allora di casa in Vicenza. I Tedeschi, )
0 noi conoscessero o noi curassero, benché imperatoris fede- )
ìissimus, benché apertamente fosse opposto alla Lega Lombarda, (
il presero e snudarono, e (dice egli), come Gesù tradito da'Giudei, /
fu costretto, in si miserabile stato, andare per tre giorni ra- |,
mingo e vergognoso per la città , accattando un cencio onde
coprirsi. Infine qualche pietoso lo soccorse di panni, senza però
che gliene dessero o l'imperatore, di cui sino all' imprudenza
era stato partigiano , od Ezelino , di cui non solo esaltava, ma
inventava le virtù.
Mandata Vicenza a tale sperpero , il clemente imperatore
le perdonò, rimise in libertà i prigionieri, eia lasciò raccoman-
data alla conosciuta umanità del conte Gaboardo e di Ezelino, '
dichiarato luog/)tenente dell' impero in tutti i paesi sottomessi. •
Passeggiando un giorno con Federico nel giardino del vescovo /
di Vicenza, e trattando del come meglio imbrighare il paese , s
ì' imperatore gli disse : — Io te ne mostrerò la maniera » ; e )
si diede e decapitare i fiori più alti. l
Ed Ezelino: — Sire , non lascerommi cader di mente il vo- /
stro ammaestramento » 3. ^
Apologo antico, eppure si spesso richiamato in pratica, non )
solo dai tiranni delle spade, ma anche dai tirannelli delle penne. ^
Coi medesimi guasti 1' imperatore attraversò il Padovano , <
struggendo anche terre d'amici ; e difìlò sopra Treviso, sperando \
che la città, atterrita dagli esempi, se gli renderebbe vinta. Ma S
nella citta « dove Silo e Cagnan s' accompagna » siccome lo in- (
dico Dante che vi stette ospite del buon Gherardo da Camino 4, {
durava la concordia, prima e sola nemica della tirannide : S
sicché vana fu la lusinga di Federico: il quale dovette senz'altro \
3 Antonio CiOdi. " \
'» Veccllo 0 Gabi'iolc da Camino si ornilo falli ciltailini di Treviso nel 1183 s
Nel 1190 Matteo vescovo di Cèiieda stipulò la cilladiiianza di Tr.jviso, cedendo a )
r (juesto la giurisdizione di intle le sue terre, ì
Èn - ... - qi
^=^ . : ^ .eJlll
proseguire il cammino verso le Germania , ove importanti casi
e decisivi lo chiamavano : lasciando ad Ezelino estesissimi poteri,
e, ciò die importava, due schiere di Tedechi, Pugliesi, e Lom-
bardi assoldati, e comandate dal conte Gaboardo, perchè di
conserva custodissero Vicenza e Verona. Questi furono i ferri
con cui Ezelino fabbricò catene alla Marca Trevisana.
L'imperatore, che, dovendo uscir di qua, bramava vi si
conservasse l'ordine, cioè la servitù, scrisse al papa perchè
rimettesse pace in Lombardia, e il papa mandò legati Rinaldo )
vescovo d'Ostia e il cardinale Tommaso, che adoprarono ogni
lor meglio. Ma al partire dell'imperatore era tornato il fiato ai
Guelfi, che vendicarono i patiti oltraggi con oltraggi nuovi. Però
Ezelino ed il conte svevo dirigevano continuo la mira a sotto-
mettere Padova, con gran dovizia discaltrimenti scavando la brec-
cia, da invader poi coU'armi. Si accorgevano i Padovani dell' im-
minente pericolo; e attenti a divisare i ripari, a sedici de' più
creduti e sufficienti cittadini connnisero il governo, radunarono
forze, al marchese d'Este affidarono in pien consiglio il gon- )
falonfe della città; egli lo difendesse in tanto frangente. )
Ma e nel fisico e nel morale il nemico peggiore è sempre ì
l'interno. Fra gli stessi sedici del governo alcuni se l' inten- )
devano con Ezelino, e quando si conobbero scoperti dal podestà, l
fuggirono. Altri ardirono correre le strade gridando, Viva )
r ùnperature. Viva Ezelino; poi ricorsi all'artifizio, ottennero )
fosse dato lo scambio al podestà, conosciuto inaccessibile alla \
corruzione. Ma il successore di lui Marin Badoero, nobile ve- )
neziano, si scopri non meno onesto e meglio esperto in atti \
da guerra; tutto fu a saldare i presidj e le ròcche, mentre \
i prudenti e fra Giordano non desistevano d'animare alla gè- )
nerosa concordia: stessero uniti alla patria, non .disperassero \.'
di lei nell'ora dei pericolo e della sventura, preferissero ogni r
patimento alla servitù, della quale vivamente ritraevano gl'i- )
netìabili mali. Ma quando la voce dei savj è intercalata a gridi 'y,
di turba sconsigliata e di fazionieri ambiziosi, forza e che /
rimanga soffocata. )
In questo modo alle città italiane si veniva preparando y'
la servitù dalla oligarchia interna e dall'esterno nemico. L'o- )
rigine comune, il comune linguaggio, la vicinanza, non che )
farle amorevoli, partorivano ire e gelosie: nelle mura stesse le >,
ni
I — h ORIGINE DEI TIRANNI D^lZT
fazioni rendevano uno avverso all'altro, e così prorompeva un
tumulto. Allo scoppio di qualunque rivoluzione lottano dapprima
i novatori coi conservatori. Trionfano i primi, ma subito si
spartono in moderati ed esaltati: e la loro divisione lascia
campo al partito vinto di riordinarsi e ripigliare il sopravento.
Ai pochi ambiziosi, protetti non dalla libertà comunale, ma dal
non essere mai essa stata compita coll'abolire la nobiltà ca-
stellana, tenea dietro la gran turba di quelli che amano
sottomettersi a un capo nuovo, sol per sottrarsi all' autorità
del vecchio. In ciascuna terra prevaleva alcuno per ricchezza,
per credito, per forza , e di solito era un nobile che sotto aria
di generoso e popolano, copriva ambizione ed egoismo: a lui
si concedeva autorità smisurata perchè domasse i nemici e .
ricomponesse l'ordine.
Tristo andare alla libertà per mezzo della tirannia ! Alla )
inclinazione troppo consueta di soverchiare gli eguali, davano (
ansa nel prescelto quel potere consentitogli senza misura, gli /
omaggi prestatigli dalla fazione, che vedevasi in lui personificata, )
la compiacenza delle vittorie sopra i nemici. Adulatori non <
mancano mai, non mancano mai i codardi, i quali amano stri- )
sciare a pie d'un pomposo tiranno, anziché indistinti faticare \
con tutti a prò di tutti, e cosi, per ingordigia di sormontare
agli emuli, si veniva all'ultima consolazione degli sconsigliati
il servire tutti. Le comunità, da quegli interminabili parteg-
giamenti stancate, agnognavano un riposo, e lusingavansi di
trovarlo nella tirannide. Gl'imperatori poi amavano assai meglio
il governo d'un solo che dei più: si perchè di mal occhio ve-
devano le città godersi alla sicura le franchigie indarno con-
trastate: sì perchè quei tirannelli, e per la somiglianza del
dominio, e per ottener lustro maggiore, e dare apparenza di )
legittimità alle loro usurpazioni con titoli imperiali, si mettevano
ai loro ginocchi; sì finalmente perchè, nel perpetuo intento di
ritornare l'Italia in soggezione, ravvisavano più agevole l'im-
porre il giogo ad una città, già avvezzatavi da un tiranno, che
non ad una imbaldanzita dal franco stato.
Con tal mezzo anche Ezelino almanaccava un esteso dominio 1237
nella Marca; e per acquisto sì importante quanto era Padova, .
apparecchiavasi di guerrieri e d'armi, e coi fuorusciti, che gli ^
erano sproni al fianco, s'accordò, jior ([uanto asjìi-a corresse la r^bb. ■
n - 1-3 - . n.
^m
Ì3K
tj CAPITOLO V
vernata, di assalirla prima che s'allestisse al riparo o scoprisse
l'ordita. Mosso coi Lombardi e Tedeschi lasciatigli dall' impe-
ratore, e coi prodi pedemontani, cioè i Bassanesi, scorti da
Alberico, disperse qualche resistenza incontrata per via, e
piantò il campo sotto Monsélice, terra che aveva primeggiato
un tempo sulle vicine, sinché non decadde al risorgere di Este,
Monsélice fu reso ben tosto per certi malvagi che erano nel
tradimento: del che mostrò giubilo. Ezelino con fuochi di festa
e suoni e imbandigioni a tutti gli uffiziali. Unico propugnacolo
di Padova e della parte guelfa restava il marchese d'Este; ed
Ezelino, al domani della presa di Monsélice, gli mandò intimare,
fra due giorni si chiarisse qual voleva essere, amico o nemico
di Cesare. Il marchese, al trovarsi addosso un esercito forte e
baldanzoso di ben riuscite imprese, chinò la fronte, e si promise
ai servigi dell'imperatore.
Tutto dunque congiurava a danno di Padova. All'intendere
come Monsélice, chiave della città, fosse caduta ai nemici, si
die tosto nel campanone, e il popolo ben animato corse al
podestà, chiedendo d'essere condotto diviato contro il nemico.
Uscirono, si schierarono tremendi a fronte d'Ezelino, comincia-
rono alcune avvisaglie; ma Ezelino schivò d'attaccare giusta
battnglia, persuaso che al domani arriverebbe agl'intenti suoi
per le insidie preparate colà dentro, e si ritrasse.
I Padova nicontarono come una sconfitta quel volontario re-
cedere di esercito agguerrito dinanzi a un popolo insorgente,
e ne esultarono: ma ecco di subito prorompere le fazioni in
città, cosi foribonde, che il podestà, non sentendosi in grado
di frenarle, tornossene a Venezia. Congregatosi il popolo nel
gran salone per deliberare, varj i pareri, tempestoso il dibat-
timento: finalmente Artuso dei Delesmanini, o cosi credesse
spediente alla patria, o fosse compro dai nemici, propose di
rassegnarsi alla necessità delle cose, e capitolare.
Non mancano mai sostegni a partito che ha l'aria di
prudenza ; non manca mai chi, o per paura, o per ambizione,
o por l'accidia di un cauto egoismo, rifugge alla clemenza
del vincitore, con titolo di salvare la patria da un disastro.
Ma gli umili e i dolci hanno un vigor singolare per andar
dritto quando difendano la verità, somiglianti alla paglia, che
cosi debole, pur contiene della selce. Fra Giordano Forzate
n
à
— ^-' - n
Sire, 10 giro per delle contrade assai, siccome vuole r«nizio mi) : or cotiie voi
non mi chiedete quale fama corra di voi ?.. . rag. 96.
ri
D^
rr-b PRESA DI PADOVA
perseverò nel dissuadere la città dal sottomettersi ad Ezelino,
minacciandola colle parole con cui Samuele stornava gli Ebrei {
dall'eleggersi un re: — Vi siete sazj della libertà e della fé- (
» licita; vi stomacate del governo di voi stessi: miseri voi! \
» non più parenti vostri vi reggeranno, né i padri vostri mi- i
» nistreranvi la giustizia, né voi medesimi sederete a decidere ì
» degli interessi degli amici del popolo e di tanti orfani che ^
» l'abbondanza comune faceva star pinguemente. E chi sarà f
» il capo che dalla parte imperiale vi sarà dato ?, un Ezelino, }
» col qual già notturnamente alcuni dei vostri andarono a S
» parlottare, e che ben presto vi avrà messo un giogo insop- f
» portabile ». Descrivendo i mali che la prudenza o l'ispirazione
gli faceva prevedere, commosse al pianto i più savj, ma nulla
fruttò: e poiché la divisa di quei demagoghi cristiani era il non
operare mai per utile di se stessi, fu egli medesimo mandato
/ a portare ad Ezelino le chiavi della città. Un miglio lontano
^ uscirono incontro al vincitore i principali cittadini, gridando
\ viva a colui, al quale testé gridavano mille inferni. Ezelino
] col conte Gaboardo e coi nobili fuorusciti, e tra un grosso di
{ soldati tedeschi, entrò in Padova per la porta di Torreselle.
) Alla quale arrivato, gettò indietro la celata; e chinatosi sul-
l'arcione, impresse un bacio sugli stipiti di essa. Bacio di Giuda.
Cosi Ezelino s' insignori di Padova. Se allora vi fossero
state le gazzette, avrebbero mostrato in quegli applausi frenetici
una prova indubitata del pubblico affetto per Ezelino, senza
{ rammentare che la paura fa gridar forte quanto l'entusiasmo,
'' e che la popolaglia accorre allo spettacolo d'un trionfo come
a quello d'un supplizio. Se allora vi fossero state le gazzette, (
avrebbero proclamato che finalmente in Padova erano rimessi (
l'ordine e la quiete.
i
CAPITOLO VI.
PADOVA.
In sul paese ch'Adige e Po riga
solea valore e cortesia trovarsi
prima che Federigo avesse Ijriga.
Dante, Purgat., Kj.
Ija libertà di Padova, come quella delle altre città
lombarde, era incominciata dalle immunità che i
vescovi ne ottennero, cioè d'averne essi medesimi
la giurisdizione, invece dei conti di prima; avendo
l'imperatore Enrico III conceduto a Bernardo
Maltraverso, vescovo, di batter moneta, edificare torri, piantare
mulini: poi Enrico IV, il quale avea dato quel governo al
vescovo intruso Pietro Cisarella, in appresso confermò le fran-
chigie de' cittadini; e, ad istanza di sua moglie Perta e del
vescovo Milone suo parente, largì molte prerogative e il car-
roccio, lo elle equivaleva al diritto di guerra; prerogative che
ebbero poi e conferma e sviluppo nella Lega Lombarda.
La prima cura dei redenti Padovani dovette essere di
snidare i signori, accovacciati nei loro contorni e specialmente
sui colU Euganei, ed obbligarli a giurare il Comune, vale a
dire sottoporsi ai magistrati cittadini, e perciò dimorare almeno
alcuni mesi in città. Nel 1220 Bertoldo, patriarca d'Aquileja,
aggregavasi alla loro cittadinanza , e in segno vi fabbricava
Xl
m^
''q capitolo vi.
r
palazzo, facevasi iscrivere nel catasto dei dazj e delle imposte,
e ogn'anno mandava dodici cavalieri che al nuovo podestà
giurassero obbedienza. Sull'esempio suo fecero altrettanto i
vescovi di Feltro e di Belluno ^. Anche Bernardo, abate di
Vangadizza, sottomise a quel Comune le terre e castella del suo
monastero, obbligandole ad osservarne gli statuti. Ai signori
d'Este fu imposto di murare le porte della loro rócca, che
restò disabitata fin quando essi non ricorsero all'imperatore,
il quale obbligò i Padovani a rilasciarla. Al Comune fu pure
ridotto il castello di ÌNIontagnana, appartenente ad una famiglia
di Padova che pretendevasi derivata da una tal Berta, la quale
all'altra Berta suddetta, moglie d'Enrico IV, presentò gran
quantità di lino, filato coll'abilità che è antica nelle Padovane;
e in premio n'ebbe tanti terreni, quanti quel filo ne poteva
ricingere: e di qua il noto proverbio del tempo che Berta filava.
Questa tradizione ripeteano gli abitanti insieme coi miracoli
che accompagnarono il trovamento a Polverara del corpo di
san Fidenzio vescovo, eletto a loro padrono.
Il castello di Agno rimaneva ancora ai signori di Carrara:
^lontemerlo ai Forzate: Camposampiero e Treville ai Campo-
sampiero; ad altri la Fratta e la Ròcca di Pendice.
Legati in un comune e nobili e popolani, cioè la razza
conquistatrice e la conquistata, si pensò a darvi un governo.
Nel consiglio raaggiore entravano nobili, plebei ed ecclesiastici,
sicché ogni classe v'era rappresentata. Il consiglio di credenza
componevasi di dodici savi, i quali mutavansi ogni quindici
giorni; tanto si era gelosi del potere esecutivo. Ogni anno
sceglievansi due consoli: ma non parendo al popolo abbastanza
.•issicurate le sue franchigie, amò meglio si eleggesse un podestà
(l'altro paese, capo di tutte le magistrature e degli eserciti ; e
consoli non v'ebbe più che nei comuni della campagna, di
giurisdizione limitata e soggetti all'appello e ai castighi del
podestà 2. Prevalendo i plebei, si adoprava ogni modo per
deprimere i nobili, secondo l'indole delle repubbliche guelfe.
1 ROLANDIM, ClìTon. L. II. e. I.
2 Già noi 1170 si trovano consoli Uq;o de' Carnovali p Azino de' Transelgardi.
I diciaseUe consoli duna caria del 1138 equivalgono a giudici.
[ '□ GOVERNO PADOVANO
Per insegna militare Padova portava un drago a due teste:
il suo sigillo determinava i confini territoriali col motto
MUSON MOi\S ATHESIS MARE CERTOS DANT MIHI FLNES:
che potremmo tradurre,
Confini Ilo il mar, Miison, Adige, il monte.
Col favore della libertà si diede opera a migliorare la
campagna, avviando le acque, guadagnando selve e sterilumi:
pei numerosi majali si mantenevano selve di roveri; si accu-
ravano le razze di cavalli e le greggie: a qualunque venisse
di fuori per lavorare terra davasi immunità per cinque anni.
Pieve di Sacco coltivava moltissimo il Imo, giovandosi delle
acque salse, e ne Iacea libero traffico per l'Adriatico, solo al
doge tributandone ducento libbre, ed era severissimo divieto
di asportarne i semi 3. I traffici erano agevolati da un pub-
blico banco; di tempo in tempo mercati e fiere in prato della
Valle adunavano i mercadanti ai baratti opportuni. Sola moneta
padovana si voleva, tenendo l'altre per adulterate.
I diversi artieri teneansi fra loro legati in fraglie o fralee,
ciascuna con gonfalone portante le insegne del Comune e del-
l'arte, e con trombetti che lo precedevano nelle comparse.
Sedici di esse fragili, per mezzo de' loro gastaldi, ogni anno
eleggevano gli Anziani; e quel giorno tenevasi feriato; chiuse
le botteghe, sospesi persino i mulini. Tale carica era ambita
anche da nobili, benché si preferissero i borghesi, onde con-
trapporli all'aristocrazia. Essi anziani dovevano esser consultati
su tutti gli afi"ari prima di proporli ai consigli; ricevevano le
lettere spedite al Comune sia dai magistrati di fuori, sia da
altri Stati; rispondevano agli ambasciatori; e col podestà rap-
presentavano la repubblica.
Degli Statuti della città una copia doveva conservarsi in
"> Pieve (il Siicco era stala (Kmala dall' imperatore Reren;,'ario ai vescovi di
Padova. Nel 1053 i;li abitanti ricoisero contro di ([iiesti, e riiiiiieraìore Enrico li
dichiarò tulli armanni, cioè indipundenli, e come tali doveaiio inlervenire ai piacili
del conte, e daie il baniio e laUbergaria.
] a ' - 129 -
(I]J^ ^ ^
r-^Q CAPITOLO VI. IliK
ciascuno dei quattro conventi di San Benedetto, San Giovan in
Verdara, Santa Maria in Vanzo, Santa Maria in Porciglia.
Alla sicurezza provvedevasi col ben munire la città e le
borgate; qualche volta, per lasciare agio agli studi pacifici, si >
stipendiavano truppe forestiere: però al bisogno ogni cittadino
dai diciotto ai settant'anni correva all'armi sotto al gonfalone
del proprio quartiere. Pur troppo l'armi di difesa furono con- /
vertite a offesa, e presto Padova esercitò nemicizie colle città l
vicine, e massime con Treviso. Vedemmo la lepida origine della (
guerra con Venezia, nella quale, istigati dai patriarchi d'Aquileia, S
i Padovani accamparono sai margine della laguna, ma avendo (
un ostinato scirocco elevata la marea sì clie il terreno paludoso
era tutto inondato, i Veneziani ne profittarono per spingere
una flottiglia contro cavalli e cavalieri; battaglia strana dm^e
San Marco prevalse; e i Padovani dovettero consegnare quel
Jacobo da Sant'Andrea, che poi Dante incontrava all'inferno.
I Padovani solcano alla primavera andar al confine de' ^
Vicentini, e con questi far un badalucco da giuoco. Uno volta i
la baja finì seria, e i Padovani, tolto il gonfalone de' Vicentini, /
su cui era effigiato un asino, lo sospesero alle forche, donde i
un proverbio I Padovani impiccano l'asino. Ma altra volta i ì
'^ Padovani n'andarono colla testa rotta, e fin oggi a Vicenza se /
{ ne fa commemorazione il giorno del Corpus Domini, trascinando (
\ per la città un altissimo carro, che dicono La Rua,- tutto a (
simboli e banderuole, e uno schiamazzo da baccanale. ^
Quando i Padovani campeggiarono Este, perchè i sudditi (
del Marchese avevano molestato quelli diMontagnana che por- (
tavano derrate alla città, i popolani del quartiere di Sant'Andrea )
si segnalarono per coraggio, e da Este tolsero un leone di
sasso, che piantarono s'una colonna davanti alla loro chiesa,
coir iscrizione mccix magister Daniel fecit. I democratici \
del 1797, nemici di tutto ciò che fosse antico, lo credettero (
simbolo di Venezia, allora detestata quanto ora compianta, e /
lo distrussero. Altri ricordi furono abbattuti per quel vandalismo
moderno che s'intitola far bello: ma delle ire municipali re-
stano monumento il robusto Castelfranco, eretto dai Trevisani,
e Cittadella dai Padovani nel 1208, ove s'incrociano le vie \)QV
Bassano, Vicenza, Padova e Treviso; munita di trentadue torri
a circola, con qu ittro maggiori alle quattro pjrte, e mura con
— 130 — Q
^
rp-Q L UNIVERSITÀ □ "-T
fossa e merli e feritoie, e tutto il corredo dell'offesa e della
difesa.
Mura vecchie chiamano ancora a Padova quelle che lun-
gheggiano i due rami del Bacchiglione, or rovinose, allora
altissime, robuste, merlate, e interrotte da torricelle. Dentro
di esse in larghissimo spazio distendevansi le abitazioni, le più
di legno, coperte di paglia, interrotte da amplissimi orti, e
comunicanti per viuzze strette e fangose, giacché il selciato
non fu intrapreso che nel 1359 sotto la signoria di Ubertino
Carrara. Delle piazze era principale quella della Signoria, indi
quella del Castello: in un'altra vastissima era, nel 1172, stato
interrato un ramo del fiume, e sovr'esso gettate le fondamenta
del palazzo comunale, a cui nel 1205 fu sovraposto un tetto
di legname. La magnifica sala della Ragione, che è la piii
gran sala pensile che si conosca, fatta nel 1219, era divisa in
tre parti: nella media sedevano i tribunali; verso levante la
chiesuola di San Prosdocimo, ove diceasi la messa pel po-
destà, l'occidentale serviva di prigione. E noto, che nel 1306
fra Giovanni eremitano, reduce da lontanissimi pellegrinaggi, offri
al Com.une di Padova di sovraporre a quel fabbricato un gran
coperto, simile ad uno che aveva visto nell'India, per unica
mercede chiedendo gli fossero ceduti il soffitto vecchio e le
tegole, con cui intendeva coprire la chiesa de' suoi confratelli
Eremitani. Il patto fu ben accolto, e quel tetto vedesi ancora,
mentre al salone si pose il coperto di piombo. Ciò posterior-
mente ai tempi del nostro racconto; ma fin da questi s'andava
estendendo l'edifìzio dell'Università; l'Arena co' suoi portici era
frequentata, e i Dalesmannini l'avevano munita a guisa di
fortezza, là dove poi sorse la cappellina degli Scrovegni, dipinta
da Giotto e illustrata da Pietro Selvatico; il prato della Valle,
ove la tradizione asseriva sorgesse anticamente il tempio della
Concordia, e Tito Livio ne fosse sacerdote, rimaneva in gran
parte paludoso, mostrava avanzi dell'antico teatro Zarco, nò
ancora lo aveano consacrato le statue degli illustri Patavini.
Una gratitudine che venerava, non ragionava, pose di quei
giorni in onoranza un avello del medioevo, quasi avesse rinchiuso
le ceneri del trojano Ant('nore, favoloso fondatore della città. I
Camposampiero si fortificarono presso Porta Molina, dove ancora
un robusto muro sopravanza della ruina del 1251 , e la lor
i
CAPITOLO VI. Ù
casa divenne poi palazzo degli Anziani e la torre bianca cam-
panile della podesteria, e pel peso strapiombò, siccome si vede.
Antico culto si prestava a santa Giustina, che la favola facea
nascere da una casa principesca de' Borromei Vitaliani ; e nella
) sua chiesa, dopo il mille, si trovarono per rivelazione moltis-
sime reliquie, sicché crebbe in venerazione. La chiesa di Santa
Maria Maggiore, edificata intorno al 1110, poi di nuovo dopo il >
tremuoto del 1117 'i, doveva presto cedere il primato alla ì
basilica del Santo, mirabile monumento dell'arte, la quale non )
credeva ancora che, per riuscire grande, convenisse farsi imi- )
tatrice. ;
E voi, frequentatori del Bo 5, assidui agli studj, tipo di /
creanze, speme d'Italia quali si ben vi dipinge un lepido e non )
maligno satirico, ben vi ricorda che sin dal 1222 il vescovo ì
Giordano apriva l'Università, alla quale chiamò il famosissimo )
Alberto Magno, che quivi prese la tonaca di domenicano ; vi >
spiegò legge l'altro famoso Gosia bolognese, copia legum, e |
altre glorie, che può chi le voglia, leggere nel Facciolati. Io )
\ vo' solo rammentare come nel 1229, per sopragiunte turbolenze, ]
\ Padova esibì l'Università sua alla città di Vercelli per otto anni, ^
) con un professore di teologia, tre di legge, due delle decretali, (
) due di medicina, due di dialettica, due di grammatica; e tanti [
^ scolari quanti empissero cinquecento alloggi. )
' Valent'uomini non mancavano a Padova, come Montanaro l
che fece un poema latino De luna cleri, cioè sui cherici che (
cantan in coro disposti a mezzaluna; viveva già Marchetto da j
Padova, un de' primi che abbiano scritto di musica: e nel 1227 (
vi fu coronato un libro di quel famoso grammatico Buoncom- \
pagno, presenti il vescovo, i magistrati, i professori, gli scolari. \
E noi che vedemmo in esercizio di notaro un dei migliori poeti (
italiani, non vogliamo dimenticare un poeta notaro Giona d'in- (
{
(■
(
e
* Un'iscrizione conserva il nome d'^H'archiletlo Madie:
Me terre primo motus subverlit ob imo
sed macìlr limo pulchre me slruxit ab imo. MCXXIV.
^ Cosi cliiamuno il palaiizo deirUniversilà: e il satirico è Arnaldo Fiisinato.
— 132 —
^,^_C3
□i
Ma sopraggiunsero i Padovani, che, dopo brere ed incomposta avvisaglia, sparpa-
gliarono i partigiani del frate, e lui stesso imprigionarono. Gap. IV, Pag. liO.
rT-Ll UOMINI ILLUSTRI D"^
) torno al 1130, che i suoi rogiti autenticava con qualche verso,
\ come sarebbe:
!
^ Jonas causidicus, nec nonque tabellio dictus,
hujus contrae tus conscripsi pacta rogatus;
ovvero
ovvero
Haec digito sc.ripsi proprio ceu lumine vidi;
Causidicus, sacri tahularius atque palaci;
qui solco pidchre nomen g estare columbe,
literulis fixi Jonas ceu lumiìie vidi
que presid monuit, seu qiie mihi scribere jussit.
Lo imitò un altro, che nel 1137 rogava:
Banc scripsi cartam firmaiam tesiibus Adam
qua stai coniractus, ceu vidi, sumque rogatus ».
E poiché sì scarse sono le ricordanze di artisti in quel
tempo, accennerò un Calojanni pittore, testimonio a un istru-
mento del 1143 riferibile al monastero di San Cipriano: e il
nome lo fa supporre greco. Nel duomo si conserva un evan-
gelario storiato e minato nel 1170, coli' iscrizione :
Si vis scripiuras, quis fecit scire figuras,
Isidorus fìnxit doctor Bonus aurea piìiwit:
e il canonico Giovanni Gaibana arricchivasi miniando codici, e
nel 1259 finiva il bell'Epistolario. Tommaso Giustinian, podestcà
) 6 Vedi Gennari, Annali della ciltd di Padova. Anche Taddeo da Vicenza
( nnlfio fece versi in lode di Ezelino, riferili dal Maurisio. Il Gennari, nel 1797,
) \cdondo i falli d'allora somigliarsi mollo ai vecchi, scrisse la storia dei Carraresi,
^ e l'iirelibc seguilo a quella che già aveva liraia dall'origine di Padova sin al 1173:
(^ cioè vi mancano i lempi dei nostro racconto. />
[l^ £=-.- , -.: - ^ -^. -^ , - ^er@
C-\NTU — Lzelinc. 9
j— 'a CAPITOLO VI. D H
j nel 1271, ordinò si desse di bianco alle pitture che erano nella
I sala della Ragione, e sopra il banco dei segretarj si dipinges-
( sero altre figure. Rolandino dice che, al suo tempo, nell'altar
maggiore della cattedrale vedeansi con molto artifizio il re
Corrado e la regina Berta e il vescovo Milone. Nel 1286 Vin- {
cenzo quondam Bartoloto della villa di Cambroso, in testamento )
ordinava fossero pagati i pittori che, nelle chiese di Rosara e )
di Cambroso, aveano dipinto i santi Daniele e Benedetto. Andate (
a dirlo al Vasari, che fa nascere la pittura con Cimabue.
Il racconto di queste particolarità si addice appena alle
storie municipali; ma, di tante che in Italia se ne fecero, perchè
sì poche sono che s'addentrino nella vita individuale de' Comuni )
e, invece di divagare sui fatti generali d'Italia, accompagnino )
il nascere, progredire, trasformarsi, decadere degli ordini mu- \
nicipali, che pur sono veramente la storia di noi popolo? \
Via da noi la presunzione d'insegnare agli altri; ma in- (
tanto aggiungeremo come Padova possa offrire, ciò che pochi
municipj, una composizione nel patrio dialetto, che trovossi à
tergo d'un atto notarile del 23 dicembre 1277. Sono centotto versi v
rimati a coppia, dove una donna deplora la lontananza di suo /
marito, passato alla crociata bandita da Urbano IV. '^ \
Cosi Padova avea nominanza per felicità di posto, bontà (
di fabbriche, fortezza secondo quel guerreggiare, coltura, spi-
' Respomlcr voi (vorjlio) a donna Fi'ixa
ke me conseja cn la soa guisa,
e (lis k'eo lasse ogni grameza
vczendo me senza alegreza
se me mario se n'è andao
k'el me cor cum lui a porlao, )
et eo cum ti me dco confortare \
lin k'el starà de là de mare, ecc. )
Vedi Brunacci. Sulle auliche orif/ini della lin/jua rohjarr de' Padovani. Ve- {
nezia 1759. {
11 più antico libro che si cono.sca in maccaronico fu d'un padovano, che con (
beffe anche oscene racconta avventure d'alcuni padovani, delusi colla magia. Ila i
per titolo Tiplnjs Oda.vii pnlilanni carncm ìnacaroìtinim de Vatavinis qìùbusdam
artemarjica delusis,ò rarissimo, od è desolino dal Morelli, DUI. pinell. T. II, p. 456.
— 131 —
^^ja^ ^LpJ
rC-lQTTTMT 'P.J7T TDAnriT-A'VT , .
-□ COSTUMI TEI PADOVANI ^^Tl
gliatezza degli abitanti, solleciti e procaccianti in arti ed in
industria, e al tempo stesso lieti e compagnevoli.
Un anonimo, fiorito però un secolo più tardi, ci dipinge i
costumi di essa ne' tempi appunto che descriviamo. « Prima
die Ezelino se ne rendesse padrone (così egli) e qualche tempo
dappoi, i Padovani, finché non compissero i vent'anni, usci-
vano a testa scoverta. Cominciarono poi a portare in capo
lìerrette foggiate a mitra con bende, cappelli alla furlana, o
cappucci col becchetto volto piuttosto in su che in giù: e indosso
camicie aperte ne' fianchi, e sopravesti sparate sul petto: sot-
tane aperte ai lati e davanti, e al disopra una zimarra : le
stcfie di cui vestivano pagavansi al braccio venti soldi. Le
donne portavano le camicie coi flabalà; gli abiti di esse, come pure
quei degli uomini, erano tutti arricciati sulle spalle, ed avanti
e dietro ornati di flabalà, i quali pure ponevano sulle zimarre
<linanzi alla cintura e dietro. ^Maritate e vedove indossavano
un manto affisso alle spalle, con crespe lunghe mezzo piede,
clie si chiamavano grosse; e lo portavano anche gli uomini
in sull'età. Le dame, in luogo della sopraveste di pignolato,
fatta di lana o di lino, avevano introdotta una cotta di tela
finissima a crespe ed a festoni, nella quale, secondo la condi-
zione loro, impiegavano sino a cinquanta o sessanta braccia
di stoffa. Il lusso consisteva nel tenere servi molti, arme,
cavalli. A certe feste si univano in brigate numerose, per
banchettare le loro dame splendidamente: ove ognuno sedeva
a fianco alla sua. servendole i cibi. Questi conviti s'imbandi-
vano in casa d'alcun di loro, e finito il mangiare, ballavasi od
armeggiavasi. Prima che Ezelino s' impadronisse della città,
quando si congregavano le donne a festa, guai (die alcun po-
})olano osasse mettervi piede ! ne sarebbe stato cacciato a
schiaffi da' cavalieri. E se anche un nobile amoreggiava qualche
popolana, non ve l'avrebbe condotta senza prima ottenerne
licenza. Magnificamente si trattavano pure i cavalieri padovani
nelle loro villeggiature, convitando chiunque andasse a trovarli.
E ne' giorni festivi era un'allegria il veder due o trecento
nobili cavalcare insieme a furia fuor delle mura. Per l'abbon-
danza dei luoghi di delizia, il paese intorno chiamavasi la Marca
(Camore.
« Ricchi popolani furono i Cavaci, che al tempo d'Ezelino
L^o
— 135 —
r-^Q CAPITOLO VI. D^
abitavano in via Sant'Urbano. Per l'addietro erano stati cam-
pioni di battaglie; perocché quando due nobili o potenti uomini
venissero a briga, una parte e l'altra sceglievasi un campione
a prezzo; il giorno prefìsso scendevano nello steccato i due
campioni, là presso la porta del Bassanello, armati di scudo,
bastone e visiera di legno, e combattevano. La parte il cui
campione soccombesse, veniva multata in denaro da pagarsi
al Comune di Padova ».
Sin qui il cronista ^, da cui poteste intendere il misto di
8 È manuscrilto col titolo De generatione aliquoriim civium urbis Paduae 'am
nobilium quam Hjnobilium.
L'artista inglese Gardiner pubblicò testé Sit/lit in IlaUj wilh sòme account on
the present stale of music and the sisler aris; e una parte fu tradotta in francese
da M. Mix. Parlando di Padova dice : « La catliédrale est un immense édilìce
gothiqup, surmonté de sept dòmes superbes, construits par le célèbre architecte
Palladio ; et dont les matériaux ont été transportés de Constantinople, il y a seize
cent ans : il est dédié à S. Anioine, qui fut si charitable envers les animaux. C'est
le patron de la ville et il y est plus honoré que tous les autres saints du calen-
dbrier.... Saint Justinien est une église moderne, qui ressemble à saint Paul de
Londres. C'est la seule église que j'aie vu en Italie dans ce genre d'arcbitecture.
L'hotel de ville... sa voùle qui est en bois, frappi; les yeux quand on approchc
de la ville. La fondation de cette ville est altribuée aux Troyens, et en commé-
moralion de cette origine, on a place un cheval de bois colossal sous la voùte de
la grande salle: il est crcnx, et lei ((ue les ancéires des Padouans auraient pii y
renfermer une petite troupe de soldats. L'universiié est fré(|uentée par 4000 étu-
dianls. C'est dans la ville de Padouc que nacipiit et niorut Tartini.
Nola bene. — 1. Sant'Antonio degli animali non è quel di Padova. 2. La chiesa
del Santo non è la cattedrale. 3. Non fu fabbricata da Palladio, ma assai prima
e in tult'aliro stile. 4. Se S. Giustina (non S. Giustiniano) somigliasse a S, Paolo
di Londra, il quale somiglia al S. Pietro in Vaticano, l'autore dovrebbe averii';
viste molte altre simili in Italia, o. Dovrebbe poi aver viste in Venezia le tanl'allre
chiese di Palladio somiglianti a questa, che però realmente non ci ha che l'are.
6. La sala della Ragione é coperta di piombo. 7. Il cavallo è quel di Donatello ,
che servi per una giostra dei Capodilisti. 8. Il Tartini é da Pirano in Istria. I ma-
teriali del Santo, portati sedici secoli fa da Costantinopoli, il cavallo capace
di contener una truppa di soldati, li metteremo col poulc sulla laguna, de la lomjueur
prodif/euse de plusieurs milles.
Non è lecito rider degli svarioni degli stranieri, quando tanti ne commettiamo
noi nelle cose domestiche. Ma poiché si traduce e si copia tutto ciò che di fuori
viene, negligendo (piel che si dice entro, vogliasi almanco correggerne gli errori, (
/ di cui questo non é che un lieve assaggio. )
gn - .s. - ai
EZELINO PEGGIORA LJ L-,
aristocrazia, di festività, di valenteria d'allora. Vi si davano
frequenti rappresentazioni sacre, a cielo scoperto, nel prato
della Valle, e nominatamente il 1208, 1238, 1243 ».
Città così bella, non è meraviglia se fece gola ad Ezelino :
ma gli stessi che fino a questo tempo lo lodarono o scusa-
rono ^Oj sono ridotti a confessare che da quell'ora si rivelò
pel mostro ch'egli era. I Trevisani, disperando della libertà,
si erano dati spontanei all'imperatore: talché quei da Romano
avevano obbedienti a sé le floridissime città di Verona, Treviso,
Padova, Bassano, Vicenza; cui s'aggiunga Ferrara, tornata a
parte ghibellina pei maneggi del loro cognato Salinguerra.
Questi paesi reggeva Ezelino col titolo di luogotenente impe-
riale; ma non s'intenda già che vi adempisse le veci dell'im-
peratore, da esso dipendendo. Papi e Cesari, che gli uni e gli
altri in teoria si credevano padroni di tutta Italia, ma in effetto
vedeano il dominio esercitato da signori prevalenti in ciascun
paese, amavano conferire a questi il titolo di loro vicarj, tanto
per conservare l'apparenza della sovrana autorità. Ai signorotti
piaceva quel titolo, che, comprato con qualche denaro e pochi
omaggi, dava loro ragioni contro le libertà de' Comuni, appoggio
nella parte ghibellina o nella guelfa, e talora anche nelle armi
imperiali o pontifizie.
Ridotta Padova a mercè degli Imperiali, si trattò d'eleg-
gere un nuovo podestà in luogo del fuggito: e vedendo non
9 Zeno, Annotazioni alla Dihl. Uni. del Fonlanini. T. I. p. 487.
^0 Fra i primi va capo il Maurisio, col dono della perseveranza finale; e qui
ci abbandona. Quasi è da acconipagnarsegli il Verci, fin a chiamare Ezelino per-
sona(/f/io senza pararjone, maggiore d'ogni eccezione. Lib. VII. N. 32. S'egli fosse
rimasto vincitore, la di lui memoria sarebbe nell'opinione di tutte le genti celebra-
tissima. — Il popolo di Verona amava ed adorava Ezelino... che lo proclamò signore.
l. VI, N. 10. Parlando del viaggio di esso per la Valcamonica, dice che // passaggio
d'Annibale in Italia sarebbe stato meno memorando, se meno illustri fossero state
le conseguenze. L. XVI, N. 8. Che cosa facesse Ezelino (nei 1244) '" storico noi
dice: ma è cosa probabile che fosse applicato alla buoiia direzione della città e al
e al bene de' suoi sudditi L. XX, N. 50. Ezelino mentre soggiornava in Padova, si
pose con lutto l'impegno a regolare il governo politico di quella città per renderla
felice e fortunata. L. XXI, N. 1. Ezelino verso i Dassanesi si mostrò sempre il principe
il più benigno e il più mansueto. L. XXI, N. 26.
^^ ^
rr-b CAPITOLO VI. Li H
( potere altrimenti, il suffragio universale accennava Ezelino. Lo
I scaltrito mostravasi turbato di tale proposizione, fino a mostrar
\ d'uscire dall'assemblea; onde si prese il ripiego di pregar lui
( ad eleggere chi volesse: ed egli designò Simone Tiatino pu-
gliese, sua creatura, qui lasciato da Federico , e che teneva
trecento oltramontani al proprio soldo.
All'assoluto dominare gli poneva però qualche ritegno il
conte Gabordo: onde fattosi da questo dichiarare luogotenente
imperiale per tutta la Marca, lo indusse ad andar a informare
l'imperatore de' prosperi successi. Parti in fatto lo Svevo, e
cosi restarono ai couiandi d'Ezelino cento Tedeschi e trecento
Saracini imperiali, ai quali commise la guardia della città.
Signore allora senza compagnia. Ezelino gettò la maschera.
Già al primo entrar suo in Padova, per quanto si facessero
apparenze di festa universale e concorde, moltissimi, non fi-
dandosi, abbandonarono la patria; e quali alla libera Venezia
ripararono, quali a Bologna richiesero di soccorso e di vendetta
il legato pontifizio; altri in armi ricoverarono al castello di
Montagnana. Contro costoro deliberò Ezelino fare impresa, così
per tòrsi quello stecco dagli occhi, come per non lasciare ai
Padovani quiete da macchinare novità. Arrolati coloro che gli
parevano di spiriti più vivi, assalse il castello; ma rispintone,
10 circondò d'assedio, e rivenne a Padova. Qui per sospetti
cominciò ad incrudelire. Da prima volle ostaggi assai delle
prime famiglie, che disperse in lontane terre, fino nella Puglia:
chiamati quindi alcuni de' più ragguardevoli cittadini, palesò
loro come venissero accusati d'intelligenze co' fuorusciti e col
marchese d'Este a danno di lui; potrebbe punirli, ma voleva
usar clemenza: uscissero di città, dando voce di andare ciascuno
a sciorinarsi nei feudi proprj: fra breve, racchete le cose, li
richiamerebbe. Voglia o no, essi dovettero villeggiare; ma il
tiranno aveva disposto agguati, dove prendere divisi quei che
non avrebbe osato uniti; li cacciò prigione come ribelli al-
l'impero, confiscò i beni, demoli dalle fondamenta i palagi;
palagi grandiosi, merlati, torreggianti, sicché Padova, oltre il
pianto, rimase deformata dalle ruine.
Ad Ezelino dava grand'ombra — chi? un frate: Giordano.
11 pio, devotissimo alla patria ed alla libertà, come vide perduta
questa, quella tiranneggiata, fuggi l'aspetto de' mali, e si ì
k
-13S- D^
r—Q FRA GIORDANO '-^^H
\ ricoverò nel domestico castello di Montemerlo fra i colli Euganei, \
dove molti perseguitati o soffrenti a lui ricorreano. Se pensiamo j
alla generosità del frate, e all'odio in che per religione e per (
amore di patria doveva avere il tiranno e lo scomunicato, non \
ripugneremo dal creilere entrasse in una cospirazione per re- \
dimere Padova. Ora un giorno se gli presenta Bonaccorso di ì
Fonzae, che, riverendolo a nome di Ezelino, lo invita a venire )
a questo per trattar d'importanti negozj , e gli presenta un (
cavallo perchè viaggi a minor disagio. Conobbe il frate a che )
ciò intendesse: onde, come fosse l'estremo, dato l'addio ai suoi, \
che piangenti lo vedevano partirsi, rassegnato a che fosse per l
avvenirgli, drizzò al palazzo d'Ezelino. Questi incontratolo, il }
rimbrottò severamente perchè proteggesse e favorisse i nemici )
dell'impero e i suoi; né ascoltando alle discolpe dignitose del- ^
l'altro, comandò fosse tradotto al castello di San Zenone nel- )
l'Asolano. )
Cosi narrano alcuni: secondo altri. Ezelino, come intese )
che fra Giordano arrivava, da tale brivido agghiadò che, non
reggendo a vederlo, comandò lo portassero senz'altro al carcere 1237
destinatogli. Tant'era sacra la persona dei ministri del Signore, <'
che teneasi imperdonabile in faccia ai tribunali ed alla terribile
opinione dei popoli l'usar loro scortesia 0 violenza. Ora poi che
l'oltraggiato era, oltre che frate, in odore di santità, pensate {
qual dire ne fu tra i Padovani! Tutta la città in pianti: le :
monache che quel beato dirigeva, adoperarono e le orazioni e (
l'interposizione de' loro parenti; dai cenobj che coronano le )
pittoresche vette di Monselice, di Venda, di Rua, di Solarola, ;
di Montericco, di Gemmola, e dai tanti della città, uscirono i (
frati, e col clero si poser attorno al vescovo, il quale si con-
dusse ad Ezelino, e collo zelo di un profeta gli rinfacciò l'in-
degno attentato contro l'unto di Dio. Ma il cuor di Faraone
era indurato; Ezelino interruppe que' rimproveri con altri più
sonanti: immediatamente gli si togliesse dinanzi: in pena pa-
gasse duemila marcile d'argento, e guai se ardisse far motto
di ciò, non essendo disposto a patire che dagli ecclesiastici
venisse onta a sé ed alla imperiale maestà.
Si partirono più mesti che atterriti; molti abbati e reli-
giosi abbandonarono la città; né ad Ezelino ne sarà rincresciuto: f
erano tanti nemici di meno. Scelse poi fra i cavalieri ducento
4
CAPITOLO VI. ili
w°
che parevano meno a lui devoti, e li mandò a Oste in aiuto
de' Ghibellini di Ravenna. Poscia, messosi anch'egh in campagna,
fu ad assediare Sambonifazio: ma lo trovò difeso intrepidamente
dal giovinetto Leonisio, figliuolo del conte Rizzardo e d' una
sorella d'Ezelino.
L'imperatore in questo mezzo tornava in Italia: ed i più
acerbi avversarj di Ezelino accorrevano a portargli querela delle
costui iniquità. Anche Ezelino v'andò: e l'imperatore, il quale
aveva bisogno del valore e dell'accortezza di lui, che che gliene
fosse detto, lo ricevè con ogni segno d'amore e d'amicizia: poi
con esso e coi soccorsi delle città ghibelline procedette a sot-
tomettere Mantova, saccheggiare il Bresciano, prendere il forte
castello di Montechiaro ed altri di quel bel paese, in fine as-
sediar Brescia, che sembra predestinata a feroci attacchi e
risolute resistenze, per salvar almeno l'onore quando non può
la libertà.
A Bergamo era sempre stato in fiore il governo de' nobili,
e questi riuscirono a staccarla dalla Lega Lombarda: onde il
papa la pose all'interdetto, nel quale durò venti anni. In con-
seguenza i Milanesi, caporioni della parte guelfa, la assalirono
colle armi, e indussero i conti di Cortenova a ceder loro il
castello di questo nome nel Cremasco, dal quale potevano as-
sicurarsi ad ogni uopo il passaggio dell'Oglio. Vi accorse Fe-
derico, e non potendo sloggiarli, rifuggì all'astuzia fìngendo
1237 difilarsi per isvernare a Cremona. I Milanesi gli tenner dietro
su l'altra riva del fiume: poi, credendosi sicuri, si volsero a
Milano disordinati.
Milizie com'erano le lombarde, tutte d'artieri e villani, era
impossibile resistessero a truppe disciplinate e alla cavalleria:
onde evitavano gli scontri in campagna rasa, preferendo chiu-
dersi nelle fortezze, difficilmente espugnabili prima dei cannoni;
sicché gli imperatori dovevano consumar dei mesi avanti a
bicocche come Carcano, Roncarello, Crevalcuore. Federico fu
dunque ben lieto d'aver tratti i Milanesi in un'imboscata; e
assaliti, li volse in iscompiglio. Solo intorno al carroccio fecero
resistenza Arrigo di Giussano, con un corpo franco chiamato
de' Gagliardi. La notte li divise: ma i Milanesi, visto clie non
potrebbero condurre quel carro pesante traverso al suolo pa-
ludoso, lo sguarnirono e lasciarono fra il treno, salvati la croce
i
a - 140 - n_
l^is-
BATTAGLIA DI CORTENOVA
e gli stendardi. Federico, trovatolo, rassettollo, v'alzò un'altra
croce, fingendo fosse la milanese raccolta di terra : poi, espugnato
il castello di Cortenova, vi fece prigione Pietro Tiepolo, figlio
di Jacopo doge di Venezia, suo capital nemico e podestà di
Milano, e voltosi a Cremona, v'entrò trionfando.
In ricordo del pellegrinaggio in Oriente, Federico menava
seco elefanti e camelli ; e da un elefante appunto fece trascinare
il carroccio coi trombetti e le insegne, e sovr'esso il Tiepolo
con un braccio legato alto all'antenna, e col laccio al collo,
da cui poi lo fece strozzare. Seguivano i prigioni, tutti col
capestro, e le bandiere de' vinti strascicate per terra: poi fra
cavalieri, l'imperatore a cavallo in saio di velluto cremisino, a
oro e gemme, foderato di pelle di vaio, la corona in capo,
seguito da molta baronia, fra cui Ezelino. Gran folla, grandi
applausi, che il vulgo mai non nega a chi trionfa; e Federico
die relazione della vittoria agli alleati in due lettere, stese da
Pier dalle Vigne, ove, colla verità d'un bullettino e colla gon-
fiezza d'un retore, si gloriava d'aver ucciso diecimila Lombardi:
il carroccio poi spedi traverso tutta Italia a Roma, allora ri-
bellata contro il papa, e che decretò fosse riposto in Campi-
doglio quasi opima spoglia, con una fastosa iscrizione che ancora
vi sta, più a testimonio della paura che a gloria del suo trionfo.
Perocché egli non aveva troppo di che compiacersi; e ben
presto i collegati lombardi ricomparvero in armi, cosi forti e
risoluti, che esso, per allora, dorette tornare in Germania a 1233
rifarsi di gente, sentendo come feriscano le armi della insidiata
libertà. L'imperatore avea dato grande argomento d'amicizia 22
ad Ezelino collo sposargli Selvaggia, natagli di non giusto ma- mag.
ritaggio. Splendidissima festa se ne fece a Verona, spontanea
^ e di cuore come sogliono essere quelle che i tiranni comandano;
^ corte bandita, con musici, trovadori, buffoni e mense disposte
) a chiunque voleva, alle quali, è scritto intervenissero diciot-
) tomila persone.
Ma a Padova si macchinava per liberare fra Giordano di
carcere, e tutto il Comune di servitù. Gli scontenti avevano
fatto capo al marchese Azzo, il quale, al giorno prefisso, com-
parve con una smannata di truppe nel prato della Valle, la luglio
cui porta e quella di Torreselle dovevano essergli tradite.
EzeUno però n'aveva avuta spia, e subito fé' dare colle campane
— m - n
CAPITOLO VI. D
all'armi; pochi accorsero in ajuto del tiranno, ma nessuno osò
muoversi contro; ed egli, mutate le sentinelle e date le porte
a' suoi fedeli Tedeschi e Saracini, sventò la macchinazione.
Sortito poi con buone armi, volse in fuga i nemici, com'è facile
quando uno stratagemma è prevenuto: l'Estense campò; ma (
Giacomo da 'Carrara, principale in quell'esercito, essendosi {
gettato nel suo castello di Agno, vi rimase assediato e preso ^
da Ezelino. Tutti davano il Carrarese per morto, quando invece {
Ezelino lo ripose in libertà, a patto venisse nella sua fazione (
e consegnasse il castello di Carrara ai Padovani; lo che esso 1>
promise e non attenne. Per gastigare poi il Marchese, Ezelino, (
fattosi sopra Este, senza difficoltà la prese: ma a Montagnana f
trovò ancora duro cozzo, tanto che pericolò della vita; e se -
ne tolse via, giurando distruggerla a suo tempo. Vero è che (,
poco dopo il Marchese ripigliò Este, ed occupato Monterosso, /
pose mano a fortificarlo; ma Alberico ne lo cacciò, e condusse i
{ a termine le fortificazioni, riducendo cosi quel monte a castello ;
} per antiguardia di Padova. ;
^ Dai prosperi successi talmente rimasero sgomenti i Pado- ')
vani, che, quando Ezelino tornò trionfante, più non osavano
designarlo che col nome di Signore. Ma riflette il Verci, e la (
riflessione non è fina ma eternamente vera, che più un signore )
adopera severità, e più cresce ne' popoli l'amore della libertà. (
Fermossi poi Ezelino in Verona, divisando le guise d'im- '
padronirsene; al che gli giovò l'arte di quei lupi che seppero >
indurre le agnelle a disfarsi dei cani. Nei disegni suoi era (
sempre stato impedito dagli ottanta nobili che governavano, }
col nome di Quattroventi Rettori l^ 11 farsi apertamente a
l
i
. . i
11 Quallroventi per ottanta è \inn delle moltissimo voci che in ([uei primi tempi i
(Iella liniiiiia scontriamo, e che poi, disusate nella nostra, rimasero nella francese. '
Soni di (pieslo stamiio bornio, anneri, chillnir, btisrionr, convoifosn, controvarp, (
invironato, farlo, r/iurffjinre, rcnr/iarr', plusovi, hriUire, fmciano... che si trovano tnlte )
registrale nel Dizionario della Crusca, e che oggi chi le usasse verrebbe tacciato
di barbarismo: a lacere il rnloilair, forfalli^ aver la Ipsta troncata... e altre che,
ben collocate, non si sdegnano neppure al presente. Al vederle, alcuni esclamano
col Cesarotti : t Ecco siccome la lingua nostra lin dai primordi suoi si arricchisse
colle spoglie della francese »; e con ciò vorrebbero giustilicati quelli che tuttodì
traggono di là novelli imbratti che intitolano ricchezze. Neppure crediamo a chi
à^
— 112
distruggerli non era da accorto politico; ed egli incominciò a
cattivarsi i plebei, coi calappj ne' quali costoro dan si facil-
mente: essere ingiustizia che a nobili soli toccassero gli uffizj
della repubblica: o che? non erano forse eguali ad essi anche
i popolani ? non servivano del pari al pubblico interesse coi
denari e col braccio? non anche fra loro v'avea cuori volen-
terosi e menti capaci ? Così egli lo potesse, come vorrebbe
fare che i popolani partecipassero del potere. Fu creduto: e,
portato a spalle de' plebei, rovesciò quell'ordine di cose, crebbe
i governanti sino a cinquecento, che, uniti ai gastaldi e priori
delle arti, reggessero la pubblica cosa.
Il crescere il numero di coloro che han mano nel governo,
ai dabbene sembra acquisto di libertà; agli scaltri offre più
lato campo alle brighe, scemando la responsabilità di ciascuno
quand'è divisa su tanti, e dove, interrogati su materie che
non conoscono, esprimono non l'opinione propria, ma l'altrui.
Coloro, per riconoscenza favorendo al loro creatore, fecero
ogni volontà di esso, che stabili una piena democrazia, riformò
gli uffizj, e creò sé stesso capitano generale della repubblica
veronese.
(seguendo il Raynouard) suppone dalla Ialina derivasse un'altra lingua romanza,
comune a quanti avevano parlato latino, e di quel fondo venissero tutte le somi-
glianze fra le lingue moderne. Che ne fosse del parlare non è facile precisarlo;
nello scrivere certamente non ora ancora ben determinata l'indole delle lingue
affini, e l'una rifaceasi dell'altra. Chi cerchi le cronache francesi antiche lo trova
pienissime di parole e di modi alfaUo italiani, anzi di quei che si guardano veri
idiotismi. Direte per questo che essi le rubarono dai nostri? non già: ma si essi,
si i nostri le deducevano legittimamente dal parlare d'allora; il che non giustifica
punto coloro che, dopo segnati precisi confini, vogliono ancora confondere le
proprietà, non arricchendo, ma adulterando. Ed io penso non sia su questo punto
mai bastante il rigore, atteso che, tanto per la vicinanza e per la estesissima
divulgazione del francese, già sono inclinati a riempirne il parlare e gli scritti
gli Italiani d'oggidi. Una legge delle XII tavole volea che, per non confondere i
limiti dei campi, corresse tra un fondo e l'altro il sentiero di cinque piedi . Fac-
ciamo allretlanlo noi, e (\m\Vilcr inililare sia la via degli zelatori della gloria ^
patria che non temono di sentirsi gridare pedanti.
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n
CAPITOLO VII.
L'IMPERATORE.
... la Lombardia, dall'odio antico
e dal nuovo pericolo connmossa,
sorgea contro il secondo Federico
nipote del respinto Barbarossa.
Grossi, Ildegonda.
J) a taccia che ai pontefici del medioevo suol oggi
darsi più iracondamente è d'essersi eretti cam-
pioni della nazionalità italiana, impedendo la
penisola cadesse tutta sotto il dominio straniero.
Il qual dominio (asseriscono costoro) avria pro-
dotto quell'unità che sempre ^le mancò; onde non sarebbe
rimasta trastullo de' forestieri, che le turbarono prima, le
tolsero poi la nazionalità.
Codesto parmi "an circolo vizioso, come quel della, carne
salata che spegne la sete, o come quello con cui il Gioja prova
che il lusso favorisce il buon costume i. La storia però non
^
1 Questo sofista a cifre dice che il lusso induce le donne a vendersi : gli uomini
per comprarle lavorano, e così diventano morali: onde il lusso è causa di moralità.
)
'-:-•- P
— 1 15 —
^13 __ . ^ ^
r—'Q CAPITOLO VII. Li '-|
S si inorgoglia di profezie; e invece d'un calcolo di falsa posi- \
{ zione, accetta e prova il fatto reale della costante opposizione \
' dei papi alla signoria straniera ; sebbene perciò abbiano ricorso (
ad altri stranieri, come sempre e pur troppo s'è fatto da (
Narsete fino a Cavour. '
( A questo fine i papi aveano rinnovato l'impero occidentale <
( in Carlomagno; ma poi gl'imperatori parvero non appagarsi '
j dell'alto dominio che ad essi veniva attribuito, e vollero tra-
( durlo in signoria. Allora i papi vi opposero i Normanni, ai
( quali investirono il rr-gno di 1 uglia e Sicilia; i paesi che sempre ^
^ faranno il maggior contrappeso agli stranieri in Italia. Ben sei l
videro i più accorti fra gl'imperatori di Germania, e quel {
Barbarossa che chiameremmo grande se noi dovessimo ripro- (
vare come micidiale alle lombarde libertà. Costui cura fu di (
sposare a suo figlio Enrico la erede di quel regno. Sul qual (
regno i papi aveano titoli di sovranità, che non vanno misurati [
colle idee d'oggi e col diritto calinone; e che potranno ben \
dirsi strani e inopportuni adesso, ma allora erano normali, ^
incontestati, sì perchè conformi alle idee del tempo, si perchè
venuti da stipulazioni libere, chiare, precise. Quanto dunque
gl'imperatori ambivano di aggregare al regno d'Italia quella
corona, tanto i papi erano risoluti d'impedire tenesse per si-
gnoria il mezzodì dell'Italia quel desso che sul settentrione
aveva l'alto dominio feudale.
Di qui originò la seconda guerra del pastorale colla spada,
cioè del pensiero colla violenza, del principio italiano coll'am-
bizione forestiera, guerra di cui sono espressione i varj fatti
del tempo sul quale noi chiacchieriamo. Innocenzo III favorì
Ottone imperatore quale capo dei guelfi; e Ottone gli giurò la
più intera obbedienza e sommessione come a sovrano: ma
quando si trovò assicurato in trono, attentò ai possessi della
santa sede, e seguì egli pure i due intenti degli imperatori
germanici, di ridurre ereditaria la corona e di possedere l'Italia
come conquista. Allora Innocenzo gli si pose contrario; e fu
veduto il capo della parte guelfa combattuto colle scomuniche
e colle armi del pontefice, divenuto protettore dell'erede della
casa ghibellina. Lunga lotta, ove Ottone soccombette alla propria
irriflessione e allo sdegno de' Germani, a' quali pareva avesse
compromesso la nazionale dignità col farsi vassallo al pontefice
— iir, —
( Non è punto estraneo all'assunto del nostro libro il de-
scrivere la morte di ottone, quale ci è narrata da un testimonio
oculare 2. Come scomunicato, nessun vescovo rimaneva alla
Corte di lui; onde mandò per un certosino che ricevesse la
) sua confessione. Fé' portare da Brunswick le ossa de' santi
( Simone e Guida, e su quelle giurò, se il Signore lo conservasse,
conformarsi interamente ai voleri del papa; allora gli fu am-
) ministrato il viatico, e da quel punto parve calmarsi la sua
( indomita agitazione. Convocata la famiglia, alquanti nol)ili, dieci
ecclesiastici, il vescovo d'Hildesheim, Ottone s'inginocchiò se-
ininudo s'un tappeto, e rinnovò la confessione de' falli, soggiun-
gendo che dal vescovo di Camerino si era fatto dare una croce,
) e sempre l'avea portata nascosta sul petto, finché venisse il
iiiomento di compier il voto che con quella avea fatto di cro-
ciarsi; ma il demonio si era sempre attraversato. La regina
gliela staccò, e l'ahate di Winkelried gli comandò la tornasse
; a prendere, e la mettesse sopra gli abiti, in segno di essersi
) riconciliato colla Chiesa. Allora si sdrajò boccone, nudò le spalle,
( e volle che tutti gli astanti, i servi e fino i cuochi lo battes-
' sero a verghe e lo calpestassero, recitando il Miserere ; e
l'imperatore colla morente voce andava ripetendo: Battete imi (
i furie questo miserabile peccatore. ^
) Cosi moriva l'antecessore ed emulo di Federico II, dopo e
( venti anni di regno: e ben dee farne beffe l'età nostra, ove /
) gl'imperatori morendo non chiedono perdono ai popoli, ma \
I lasciano il loro cuore all'esercito ^ ,'
^ Federico, allevato dalla Chiesa, talché per baja era intito-
\ lato il re de' preti, fece egli pure ogni sorta di promesse al (
j papa, e singolarmente solenne e ripetuta quella di cedere la J
( Siciha a suo figlio, appena fatto imperatore 4, e di andar a
/
2 Rifcriia da Martenne e Diinuid nel Thes. Nov. Anocdol. T. HI, pag. i573.
^ S'allude al testamento di Francesco I imperatore d'Ansiria.
* Anche l'Austria e la Svevia e i maggiori feudi imperiali non polcano esser
tenuti direttamente dall' imperatore, atteso che egli non poteva dar a sé stesso
i r investitura, né divenir ligio di se medesimo. Olire le tante opere relative agli
\ Ilohcnstauicn, vedasi: liisloria diplomatica Federici Jl^ sire constilulions, privilefjia,
( mandala, inslrumenta qiiae supersunl islius impcratoris et fdiortim rjus: acccdunt
{ epislolac paparum el documenta varia; colkf/il, ad (idem chartarum et codicum rc-
) censuile, juxta sericm nnnorum dispasuit ci nolis illustravit, J. L. A. Uuillakd
IÌREHOLLES. Parigi, 1852.
iiJ
J
l3\^^— ^ ^ — e]m]
rr-n CAPITOLO VII. \
liberare ^a Palestina ; ma quanto lungo in promettere, tanto fu
corto in attendere.
Federico, nato in Italia, di padre svevo e di madre nor-
manna, è uno de' caratteri più grandi de' mezzi tempi. Nel regno
delle due Sicilie, ben ordinato dai Normanni, attese a dotar
la corona a spese de' feudatarj ; impedire si formassero grandi
Comuni, come quelli che s'erano levati a repubblica in Lom-
bardia; infine a non lasciare fra re e popolo altro intermedio
che i magistrati e le leggi. Insomma volea creare lo Stato
quale oggi l' intendiamo, in tempo che non v'avea se non feudi
0 municipj. E per verità gli ordinamenti che diede alla Sicilia
attestano grand'elevatezza di spirito, quantunque disgustino le
atroci pene prodigate.
Prima cura di chiunque vuol esser despota è il procurarsi
un buon esercito, e già sappiamo come allora non ve n'avesse
di stabili, ma solo milizie di Comune o sergenti feudali. Anche
la Sicilia era divisa in feudi, e quel che rendesse venti once
d'oro l'anno (lire seicento) era obbligato dar un uomo, accom-
pagnato da due scudieri e tre cavalli, e mantenerli per tre
mesi; il feudatario era tenuto condurli in persona, o per un
cavaliere accetto al re. I feudi che rendesser meno di venti
once univansi tra molti per somministrare un uomo. Il signore
che non potesse spedire il suo contingente pagava al re tre
once d'oro per ogni uomo mancante ^.
Chi non sa che i Saracini tennero lunghissimo tempo a
dominio la Sicilia, finché i Normanni gliela ritolsero? Tollerati
e industri sopraviveano nelle valli del centro: il popolo li
guardava fra odio e paura, si perchè il tollerare gli infedeli
era virtù allora sconosciuta, si perchè ricordava gli immensi
guasti recati da loro al paese ^.
Né al sentimento religioso né al patriottico avendo rispetto.
Federico sessantamila di costoro trasferi nella Capitanata,
dando loro la città di Lucerà. Cosi aveva sempre alla mano
un esercito, che lo seguirebbe dove e quanto volesse; e che
5 AisDBEA d'Iserina, De consuet. feud.
^ Placido Troilo, nella Storia r/enerak del regno di Napoli, nomina trecenses-
sanladue città niarittinie e veniicin(iuc niediterranec, distrutte dai Saracini.
-jj PIER DALLE VIGNE D
7 Ce/ito novelle antiche.
8 Ricordano Malaspini. Si. Fior., e. i07.
9 Noi clic impariamo la sloiia delle arti dal Vasari, sappiamo: 1. che non
si dipinse avanti Cimabue; 2. clic il ridevolc Bufalmacco invernò di nietlcr dei
carlellini alla bocca de' personaggi per esprimere (pici clic dovcano dire. Ebbene
fin dal tempo di Fedeiico fu dipinto in Napoli questo imperatore in trono ; a fianco
sopratutto non poteva né esser affetto dal pericoloso contagio {
della libertà, né sgomentato da maledizioni di papi. ì
Al nome di Federico suole associarsi il risorgimento della /
letteratura italiana, almen da coloro che ogni bene fan venire )
dai re, ogni miglioramento dall'imitazione. Nella Sicilia, ove da )
prima non era quasi verun letterato, egli mise in fiore la poesia \
e la filosofia, stabili scuole di scienze e d'arti , chiamò e sti- (
pendio i professori più valenti; fondò l'Università di Napoli, /
sollevò la scuola medica di Salerno, saviamente provvedendo (
all'esercizio della medicina, facendo voltare dal greco e dal- !
l'arabo i libri a quella opportuni: a Palermo ordinò un'acca- j
demia poetica, ove egli stesso, ed Enzo e Manfredi suoi figliuoli
furono aggregati, e vi si affinò il linguaggio poetico italiano.
— La gente che avea bontade veniva a lui da tutte le parti,
» perché l'uomo donava molto volentieri, e mostrava belli
» sembianti a chi avesse alcuna speziale bontà; a lui veniano
» trovatori, sonatori e belli favellatori, uomini d'arte, giostra-
» tori schermitori e d'ogni maniera gente ^ ». Federico stesso
sonava e componeva; e — di scritture e di senno naturale fu
» saviissimo, e seppe la lingua nostra latina e '1 nostro vulgare,
» e francese, greco, tedesco, Saracino, e di tutte virtudi co-
» pioso, largo, cortese ^ » e oltre qualche poesia italiana,
scrisse sulla caccia al f ilcone e sopra la natura del cavallo ; e
di levante avea menato un serraglio di rare belve.
Ebbe segretario e amico Pier dalle Vigne, che, nato bas-
samente a Capua, mendicando andò a Bologna, e messo in
quello studio, accattava per mantenere la vita, e intanto si
primeggiava tra' condiscepoli. Colà vedutolo, Federico innarao-
rossi della vivacità del giovinetto e dell'elegante scrivere, e se
lo tolse a protonotaro e confidente intimo ^, nelle più gravi
occorrenze lo eleggeva a rappresentarlo, ed a piacer di lui
Cantò — F zelino
raj^-^- - - ^ -G^g
r— 'a CAPITOLO VII. U --j
) [
) faceva o no le imprese. Pietro poetò come il signor suo; sei
( libri di sue lettere latine in nome proprio o di Federico im-
portano supremamente a conoscere gli affari d'allora; spertissimo
delle leggi romane, diede opera a richiamarle in vigore: distese
pure le costituzioni della Sicilia, e una dissertazione della podestà
: dell'imperatore e del papa, contro della quale Innocenzo IV
) pubblicò una Agiologia.
A noi, che ricordiamo la benedizione data al servo buono
; perchè era stato fedele sopra le piccole cose, piacque grande-
mente lo scorrere le lettere di Federico del 1239 e 40 ^^ per
( vedere come, di mezzo a tante guerre e ad affari rilevantis-
( simi, non trascurasse certe particolarità, che vorranno dirsi
' da massaia da coloro che ignorano come Carlomagno si occu-
passe del vender le uova del suo pollajo. Cosi Federico racco-
\ manda di vender certi alberi che un turbine schiantò; si fab-
) brichi un mulino, m.a dopo accertato che deve riuscir fruttifero
i al fìsco ; raccomanda di dar a soccida le pecore; fa spedire
) mille bovi ai Saracini di Lucerà: non vuole si affittino le vigne
) di Siracusa, perchè non se ne sfruttino le viti col farle produr
\ troppo ; dà i campi di Favara presso Palermo ad Ebrei perchè i
} provino a naturalizzare l'indaco e l'alcana che tinge in rosa; '.
J altri incoraggia a coltivar il dattero; trae dalla Siria operaj l
suo Pier dalle Vigne in calledra, e a lor davanti il popolo, che chiedeva giustizia
con questi versi:
Caesar amor ìrr/um, Federice piissime rer/uin
Causanim lelas voslras resoìve qtterclas.
E Federico additando Pietro, rispondeva:
Pro reulra lile ccnsorcin jun's adite:
Hic est; jiira dabit, vd per me danda rofjabit.
E a Pietro usciva pure di hocca :
Vinea coffuomen, Petrus judex est milii immen.
1" Oltre quelle di Pier dalle Vigne,. ci ha neirarchivio di Napoli mille e otto
lettere dal 1 maggio 1239 ni 3 maggio 1240.
— 150 — D
•ET®
Li FINANZE D"
per coltivar lo zuccaro ; presso al suo palazzo di Palermo fa {
costruire un vasto colombajo, e ne dà egli stesso il disegno; )
raccomanda all'intendente di Messina di non lasciar mangiare )
il pane ozioso alle serve in palazzo, ma filino e faccian altri ;
servigi.
Ben v'è da riderne per tempi quando un Governo è più
■ ^ lodato quanto meglio sa consumare tutto, e anticipare smisu-
\ ratamente sull'avvenire. Noi ci affretteremo a dire come a \
; Federico sono dovuti il ponte sul Volturno, le torri di Monte-
cassino, i castelli di Gaeta, di Capua, di Sant'Erasmo, la città
di ÌNIonteleone ed altri forti e villaggi ; di là dal Faro r istaurò
, Antea, Eraclia, fondò i forti di Lilibeo, di ìXicosia, di Girgenti.
Tante belle qualità non seppe Federico conciliare coll'opi-
nione dei tempi, conforme ai quali non ebbe né i vizj né le
virtù. La sua Corte somigliava a un harem; eunuchi negri e
nostrali custodivano sua moglie; egli « teneva concubine e
mamelucchi, a sfogo di lussuria ed onta della religione, menava
vita epicurea, non facendo conto mai altra vita fosse ». Abul-
feda dice che inclinava all'islamismo, perchè educato in Sicilia;
} e avremo a ricordare certi suoi frizzi di sapore volteriano. Con
) entusiasmo misto d'ironia, criticò tutte le religioni quando si
( solea credervi: nello scorgere i difetti del suo tempo, sentivasi
stizza per beffarli, non amore per compatirli o correggerli; né
l sapeva piegarsi alle convenienze, per modo che, tanto eroe che
\ era, in cinquantatre anni che fu re di Sicilia, e trentacinque che
) imperò, non compi nulla di grande, ma, come dicea san Luigi,
V fé guerra a Dio coi doni suoi proprj H. Lnperatore di Germania,
■ eppur non tedesco; italiano di nascita e d'educazione, eppure
) formidabile alla libertà italiana ; cristiano, ma in bilico fra il
{ Corano e il Vangelo, visitò il sepolcro di Cristo come alleato
( dei ^Mussulmani; a fianco al patrimonio di San Pietro collocò
; colonie islamitiche ; in un mondo che ancora operava per fede,
\ volle trapiantar la politica materialista, facendo dichiarare da '.'
■ Pier dalle Vigne che l'Impero può disporre delle cose umane ;
) e delle divine. (
\ ■ i
) . (
11 Più cnidamenle il famoso giiireconsullo Andrea d'Isornia dice che Federico II
rei]uipscìl in pice^ et non in pare.
G ' - 151 - oJL\
CAPITOLO TU. LJ L-,
Per queste idee mescolatosi improvvidamente agli affari (,
dell'Alta Italia, non riusci a frenare il movimento liberale delle (
città, né il guerresco dei castellani; li fece anzi accorgere di i
quel che loro mancava per sostenersi. I Siciliani, che pur aveano (
adottato la dominazione normanna, mai non aggradirono (ec- ^
cetto alcuni baroni) la tedesca; e de' benefizj a Federico non (
ebber riconoscenza, tenendoli come da mano forestiera. Anche ;
in Germania voleva egli al diritto storico locale far prevalere (
il romano, cioè la legge d'eguaglianza nella successione, il che (
avrebbe spezzato le grandi famiglie, e cercò render ereditaria ^
la corona imperiale. Di tali tentativi vorranno lodarlo una (
filosofia e una politica che guardano ai principj, anziché agli J
uomini ; ma non chi sa quanto costi alle nazioni il distorsi dalle (
proprie usanze e dall'avito retaggio di leggi, di consuetudini, (
di nazionalità, di credenze; non chi pensi quale strana unità J
sarebbe stata questa d'Italiani, Svevi, Saracini, in tempo che (
le nazioni erano separate per caratteri cosi decisi. Intanto, )
per soggettar l'Italia, trascurò la Germania quasi una provincia: \
e mentre avrebbe potuto unire all' Impero tutto il settentrione e (
l'oriente dell'Europa, diffondendo l' incivilimento sopra la razza |'
slava, cui dappertutto veniva a prevalere allora la germanica, (
per capriccio di soverchiare i papi, o per costituire un regno l
alla sua famiglia lasciò si eclissasse lo splendore dell'impero, {
che più non si rinnovò. (
Alcuni, attraverso a' suoi delitti, vi vedono qualcosa di ^
ardito, di grande, non foss'altro il pensiero di abbatter il papa (
e di unir tutta Italia. E un concetto e l'altro, se l'ebbe, nascea (
da spirito tirannico. Carlomagno avea lasciata metà della pò- ^
tenza imperiale ai papi, quella che riguarda gli spiriti e le ere- (
denze ; Federico volea ritorla , ma in nome d'un razionalism:) |
afi'atto estraneo all'età sua, umiliando i papi e imbarazzando )
i cadi mussulmani, confondendo, nello stesso disprezzo Mosè , (
Cristo e Maometto , eppure ferocemente perseguitando gli ere- J
tici, perché disobbedienti; e ignorando che un re, per lottare
a vantaggio coi pontefici, deve mostrarsi più religioso di que-
sti, imporre la fede, l'obbedienza, la moralità a un vulgo che
n'ha bisogno. Come re, il sottentrar egli unico podestà ai po-
destà dei cento Comuni italiani era un' usurpazione moltipli-
cata, che provocava moltiplicate resistenze quante erano lo
- 152 - D,
n
'□ FEDERICO II UT
repubbliche di cui toglieva l'indipendenza, impediva l'azione
spontanea. Per ottenerlo fu costretto allearsi alle fazioni più
malevoli , ai tiranni più atroci , alle passioni più brutali, e con
esse osteggiar i frati, i cardinali , i santi.
Realmente, l'impronta caratteristica di Federico II fu l'av-
versione , talor dissimulata , non mai deposta , contro la santa
sede, la cui supremazia considerava fondata sulla credulità dei
popoli e suir astuzia dei papi ; e che per lui era una tutrice
incomoda, una potenza rivale , una superiorità umiliante.
L' Itaha credeva egli retaggio proprio, e ad un principe ita-
liano scriveva , ogni suo sforzo esser diretto a sottomettere la
penisola, rinserrata fra' dominj suoi, e renderla parte inte-
grante dell'Impero, come il regno di Gerusalemme, eredità
di suo figlio Corrado , come la Sicilia eredità di sua madre ^K
Non dunque la Lombardia soltanto voleva egli sottomettere ,
ma anche lo Stato della Chiesa ; onde al papa non restava che o
rifuggirsi fra stranieri, o piegarsi ciecamente agli arbitrii di
un padrone che, fatta R,oma sua capitale, renderebbe il papa
suo cappellano. Se una potenza debole, ridotta a questi estre-
mi, ricorre a mezzi d' ogni sorta, cerca armi da ogni arse-
nale, anche quelle che lei stessa feriranno, si può chieder-
gliene conto colle regole della calma prudenza e della stretta
giustizia ?
1 papi volevano costituirsi vicarj universali della potenza di-
vina non meno pel temporale che per lo spirituale: lo vedem-
mo. Ma da ciò era aliena ogni idea di governo diretto o di
possesso materiale ; lasciavano integro ai re 1' esercizio della
loro potenza; solo al modo feudale se ne facevano alti signori,
e stabilivano un censo a prò della Chiesa, dando l'investitura,
12 SiGOMO. De Rpfjno llal. I. p. 8(). Nel congresso di Piacenza, Federico
dicliiarò voler sollomellere il mezzo dell' Ilalia. Nec enim oh alimi crcdiinus quod
proriiJenlia Salvaloris sic mafjnifice, imo miri/ice, dirifjit fjressus noslros, dum ab
orirntali zona refjnum Ilirrosolì/mitanum , Conradi clarissinii nati nostri materna
succcssio; ac deinde regnimi Siciliar^ praeclara materna nostrae successionis haereditas,
et praepotens Germaniae principatus sic nutu coekslis arbitrii , pacalis undiquc po-
pulis, sid) devolione nostri nominis perseverata nisi ut illud Ilaliac medium , quod
nostris undiquc tiribus circumdatur^ ad nostrae serenitatis obsequia redeat, et im-
perii unilatem.
U
— 153 —
fe^
□ CAPITOLO VII, Q
f
13 Ep. i(ii) ap. Haynaldi, 30.
ricevendo 1' omaggio , e con ciò mettendo freni alle violenze /
militari : volevano francar 1' Italia dal dominio tedesco, e sta- (
bilire a Roma il centro d'una potenza moderatrice, universale (
quanto la Chiesa, fonda,ta sulla pace, sul progresso, sull'in-
telligenza, esclusa la forza brutale, che dominato avea final-
lora il mondo.
Come Innocenzo III volesse attuare questo concetto lo in- l
dicammo ; né intendiam porci con coloro i quali , solo perchè |
papa, vogliono giustificare tutti gli atti di lui, anche quelli a \
cui fu trascinato da avvenimenti più forti di lui: né con co- {
loro i quali non sanno vedervi se non ambizione e trascendenze ^'
di potere, nulla tenendo conto dello stato della societcà e del- v
r opinion pubblica. Persone zelatrici del potere pontifizio sep- (
pero disapprovarne alcun che; la Chiesa non lo eresse ail'onor ^.
degli altari , come tanti suoi predecessori : e leggende popo-
lari raccontavano che santa Lutgarda in visione scòrse l'anima ^
di lui flagellata da un demonio finché si ricoverò ai piedi di '
una croce, ove gridava ai fedeli che con suffragi gli abbrevias-
sero il purgatorio.
La politica di esso fu seguita da' suoi successori, Ono-
rio III, regnato dal 1216 al 1227, mite fra due papi robusti ,
ai principi raccomandava la mansuetudine sua stessa: e scri-
vendogli il suo nunzio a Costantinopoli non si potrebbe ricom-
porre lo scisma greco se non col rigore , esso gli proibì d' u-
sarne mai , non dovendosi tutelar la fede che colle preghiere,
r istruzione, il buon esempio e la pazienza. Eppure esercitava
estesissima autorità; riceveva dalla regina Georgia domande
di soccorsi ed informazioni ; intimò ai re di Francia e d' In-
ghilterra si compromettessero in lui per le loro differenze ;
credeva che i principi non dovessero far guerra se il papa
non avesse (hchiarato poterlo essi senza colpa ; udendo che in
Prussia e in Livonia i pagani maltrattavano gli schiavi e le
donne , scrisse loro , e spedi raissionarj proclamando che a lui
spettava la correzione d' ogni peccato ^^. Sempre sostenne la
elezione dell' impero ; e ottenne che l' imperatore e i confe-
< ^^ E-p. H);> ap. HAYNALDI, bO. >
[^ n - ... - dJ
Eia ^. ^^^
i— b GREGORIO IX U '-j
; derati Lombardi, invece di venire alle armi, compromettessero )
j in esso i loro litigi. )
Gregorio IX succedutogli si fa coronare con gran suntuo- 1272 ì
sita d'oro e di gemme; il giorno di Pasqua, cantata Messa in >
Santa Maria ÌNlaggiore , ne ritornò colla corona in capo ; al ^
lunedi celebrò in San Pietro , e ne tornò con due corone , e
a cavallo riccamente bardato, fra splendilo corteo di cardinali
e d' innumerevole clero, per le vie tappezzate de' più ricchi
l tessuti d' Egitto, de' più gai colori delle Indie, e tra i profumi
/ d'Arabia. Il senatore e il prefetto di Roma reggeangli alla briglia
{ il cavallo; giudici e uffiziali procedevano in vesti dorate e cappe ^
di seta; Greci ed Ebrei cantavangli lodi in loro favella; un
mondo di popolo seguiva con palme e fiori , e alternando il ,
Kirie eleison: e tanto fu il giubilo dei Romani, che tutti crede- |
vano dovessero per sempre amarlo e riverirlo. Pochi mesi , e )
l'avevano cacciato di città. )
Scrisse egli a Federico per distorlo dalla guerra di Lom- \
bardia ; rimettesse in lui le sue ragioni , come già i Lombardi •
aveano fatto , indi passasse a ricuperare Gerusalemme , che )
allora era ricaduta agli infedeli *^ per opera del gran Sala- ^
dino. Federico gli rispose difi"ondendosi in lamenti contro i Lom- (^
bardi; lo aiutasse a reprimere quei riottosi, e massime i Mila- >
nesi, ridondanti di eretici, contro dei quali credeva egli espediente )
il crociarsi, anziché contro gli infedeli 15. Contemporaneamente
annunziava ai principi di Germania, voler lui ricondurre l'Italia
air unità dell' impero; entrare in Lombardia per isradicarne
r eresia, assodarvi i diritti imperiali , ristabilire la pace, ren-
der giustizia a tutti , perchè tutti potessero passar insieme alla
crociata i6.
La crociata dunque era per lui un pretesto, e se ne va-
leva principalmente onde rincarire le imposte ; e poiché il papa
insisteva serianiente , egli dovette dargliene nuova promessa.
Ma del risolversi era nulla; onde, vistolo divagarsi in varie
scuse e cercar tempo al tempo, il papa lo pose all'interdetto.
^* X. Cji. 1, ap. Haynai-di, 30.
1* Matt. Paris, ad 123(}.
^^ I'ktKI de VlNElS, lilj. cp. I.
nj
1^. --^^^
rpj-'a CAPITOLO VII. ^^n
\ Allora non più indugi, non più ostacoli; l'imperatore fretta
e furia aduna un piccolo armamento; va, non a combattere,
ma a trattare coi figli di Saladino , osteggiantisi fra loro; ot-
tiene il territorio fra Betlem e Geusalemme ; e riceve e manda
( ricchi doni e ripetute ambasciate. Il patteggiare coi circoncisi
\ parea gran colpa quando ancora non erasi proclamato 1' ateismo
\ dello Stato ; sicché il papa lo denunziò a tutta cristianità d"es-
l ser andato in Palestina malgrado l' interdetto ; derogava i trat-
^ tati da esso conchiusi; imponeva ai credenti di Terrasanta non
( gli obbedissero e schivassero il suo consorzio: intanto gli ri
; bellava i regni in Europa.
( Federico in una circolare ai potentati annoverava le arti
i con cui i papi avevano cercato sottomettere alla loro supre-
mi , mazia l'Inghilterra, il contado di Tolosa, altri Stati: e
< — "Siedete la simonia , le estorsioni , 1' usura onde impestano
; » r universo: sanguisughe insaziabili, di parola dolce come il
V » miele, scorrevole come l'olio; lupi sotto la pelle di agnelli,
l » I loro legati , investiti della podestà di scomunicare, non che
I » di spargere la divina parola e farla fruttificare, cercano solo
( » rimpinzarsi d' oro e mietere dove non seminato. E cotesti
} » uomini spregevoli, imbastarditi, gonfi di vana scienza, osano
( » aspirare a posseder regni ed imperi? Quando la Chiesa pri-
» mitiva contava ogni giorno qualche nuovo santo, sua gloria
» erano le semplicità e lo spregio delle grandezze. Oggi , ve-
» dendo i sacerdoti insaziabili di ricchezze , è a temere che le
» mura del tempio, posate su tristi fondamenti, non crollino.
» Tocca ai principi della terra a resistere ad attentati ingiu-
» sti quanto pericolosi; a premunirsi contro tanta avarizia ed
» iniquità ».
Quella lettera , non indegna di Lutero , fu letta dal Cam-
pidoglio al popolo romano , sempre gongolante degli schiaffi
che si danno ai suoi papi. Federico comprò i Frangipani ed
altri gran signori di Roma, talché il popolo susurrò, poi urlò,
poi corse adosso al papa, e fra ingiurie lo rincacciò fino a
Viterbo; ivi pure 1' assalse e disertò il contorno; e a faticali
nonagenario pontefice potè aver un ricovero in Perugia.
Intanto , mentre il re di Tunisi , convertito dai Domeni-
cani, andava a Roma per farsi battezzare. Federico lo arre-
sta , allegando non fosse lecito trarlo al cristianesimo senza
— 156 —
Io te ne mostrerò la maniera » e si diede a decapitare i Cori più alti.
Cap. V. Pag 121,
FEDERICO SCOMUNICATO D^T
permissione dello zio; dalle chiese dell'Italia meridionale sban-
disce i migliori prelati o gli uccide , e non soffre si nominino
i successori; i Saraceni lascia che dirocchino chiese, e coi ma-
teriali se ne fabbrichino moschee ; per Enzo suo figlio pretende
la Sardegna , dicendo averla perduta 1' Imperio in tempi sca-
brosi, ma egli aver giurato ritorla dalla supremazia papale;
ordina supplizj feroci contro i frati , esosi a lui come ad altri
regnanti i Giacobini , poi i Liberali , poi i Socialisti.
Lottando con una potenza che non può colpirsi colle spade,
si lagnava, come poi fece Napoleone, che costoro traessero
a sé gli spiriti , a lui abbandonando i corpi ; e alle stizze dei
S deboli associava crudeltà repugnanti al suo carattere , ma col
( freddo raziocinio con cui i robespieriani mandavano alla ghi-
/ gliottina tante migliaia d'uomini , rei di non pensar come loro;
i e ipocrita e sfacciato a vicenda , minaccioso e sommesso escla-
) mava : — Pur beati gli asiatici potenti , che non lianno a te-
) » mere sollevazioni di sudditi , né opposizioni di pontefici ! i"^ »
l Tanto r amor del despotismo lo faceva acuto a compren-
ì dere qued che, sei secoli più tardi, alcuni, non innamorati,
; ma drudi della libertà, si ostinano a non capire; il divario
) fra la civiltà antica e la nuova , 1' europea e 1' asiatica ; di-
ì , ciamolo chiaro , la gentilesca e la cristiana.
j Tsel concetto d' allora (serve ancora ripeterlo?) e papa e
j imperatore credeansi necessari all' equilibrio e alla libertà ; i
Guelfi stipulavano le loro leghe , salva sempre la fedeltà al-
l' imperatore ; i Ghibellini cercavano ogni via di riconcihare
colla Chiesa Federico. Ma questi , rinnegata l'opinione comune
ed entrato franco nella via che mena o a ruina la libertà dei
popoli , 0 alla caduta i re , sul mare sconfinato delle violenze
dovette appoggiarsi ai tiranni e ai ribaldi, in capo ai quali
mettiamo Ezelino.
Per meglio intendersi con questo , Federico venne a Pa- 1239
dova , traendo Tedeschi, Pugliesi, Saraceni , l'arbareschi, Greci,
gran corteo di nobili cremonesi e gli ambasciadori di tutte le
^7 È nella hibliotcca di Vienna una lettera di lui a suo genero Vatacc inipe-
rator greco, ove dice: 0 felix Asia! 0 felices ovicntalium potcstafes, quae subdilorum
arma non metuni, et ad imrnliones ponfificum non acrentur! )
U CAPITOLO "VII.
1239 città, sovra superbe cavalcature. E fu ricevuto con solennis- '
;genn. sime dimostrazioni ; Ezeliao col fior de' nobili e de' cavalieri
r incontrò : echeggiavano d' ogni parte concerti d' istrumenti ,
graziose donne sovra palafreni a pompa bardati facevano mo-
stra di loro bellezza e di preziosi ornamenti: talché l'impera-
tore esclamò che , quantunque avesse corso il mondo la parte
sua , cosi fiorente , cosi gentile e ben costumata nobiltà non
aveva in altra regione veduto. Il carroccio addobbato suntuo-
samente portava sull' antenna la bandiera del Comune, croce
rossa in campo d' argento , la quale fu presentata a Federico ,
dicendogli : — ■ Invittissimo imperatore , a voi il suo vessillo
» commette la fedelissima vostra comunità di Padova , accioc-
» che la preserviate in giusto e pacifico stato. »
Lungo tempo Federico colla donna sua rimase in Padova,
alloggiati nel monastero di Santa Giustina, attendendo a darsi
bel tempo. Raccoglieva gente a splendidi balli o a caccie rumo-
rose , per le quali , oltre le mude de' cani e dei falconi suoi, <
aveva fatto venire dai serragli di Lucerà dei Leopardi , edu- <
cati a star in groppa al cacciatore, che al momento oppor-
tuno li lanciava sopra la selvaggina i^.
La cortesia naturale dell'imperatore, la sua liberalità,
r aver sospeso colla sola presenza le immanità di Ezelino, lo
faceano caro ai Padovani , che in ogni miglior modo lo festeg-
giavano. Singolarmente la domenica delle palme soleva ogni
anno radunarsi in tripudio sul prato della Valle; e Federico
v' intervenne ; Pier dalle Vigne recitò un' orazione , ove (so-
liti argomenti) lodava la ì)ontà dell' Imperatore e la fedeltà
dei Padovani , e gli esortava a serbarla; non verrebbero loro
meno le grazie di lui. ■
Il giorno di Pasqua , nel duomo (fabbrica da poco inco- )
minciata) , Federico assistette alla messa solenne col diadema :
in capo ; atti piacenti al popolo , ingordo di spettacoli e di
poter dire lo vidi. \
Fra ciò non si trascuravano gli affari. E un giorno Eze- l
lino il condusse alla ròcca di ÌMonselice, cosi detta dalle pietre
onde fu fal)bricata sin prima dei Longobardi, al cui furore v
18 RoL.\NDiNo, I. IV, e. 9 Questo genere di caccia e tiiltora usato in Porsia.
- 158 - D^
FEDERICO SCOMUNICATO U 1—,
ì
il gran cancelliere spiegò le lodi di Federico, signor cortese,
ristette, e dove i Padovani avevano contro questi invasori cer- (
cato riparo. Da quella deliziosa altura Ezelino mostrava al- j
r imperatore la bellezza dei colli digradanti e dei piani sotto- j
posti , dov' erano i tenimenti e i castelli del marchese d'Este, ^
e — Finché quelli stiano in potere di si gran nemico vostro , )
» mai non si speri pace nella Marca ». )
j Questa palla Ezelino batteva ogni qualvolta gli venisse al J
balzo , insinuando all' imperatore che deve colpire il capo chi
voglia vincere agevolmente il corpo. Ma allo Svevo , comun-
] que avversissimo agli Estensi, d'un ceppo coi Guelfi suoi emuli
) in Germania, non ancora sembrava tempo a un colpo si grave ; ;
( che anzi con salvacondotto chiamò Azzo d' Este alla corte, e
( umanamente lo trattò , come pure richiamò in patria alcuni ,
j fuggiti per ispavento d' Ezelino , sei)bene non desse ascolto ai
s costoro richiami contro il tiranno.
Azzo d'Este giovavasi di quel soggiorno per saldar nella '
fede i suoi devoti; Ezelino, messe buone spie, teneva nota di
{ coloro che bazzicassero il Marchese; vittime designate.
/ Ma nel meglio delle feste, ecco arriva che il santo padre, (
j nel giovedì santo , in quel giorno ove la Chiesa rammenta il )
l perdono concesso da Cristo a' suoi traditori , avea pronunciato
j la grande scomunica contro Federico; lui scaduto al trono; ^
) assolti i sudditi dal giuramento, e incorati a ribellarsi contro
/ il ribelle del Signore , e condannati con esso quanti gli pre-
j stassero servigio.
( Se Federico poco temeva le maledizioni del papa, temeva
; le conseguenze di esse sovra i popoli credenti; e presentiva
\ come guastassero i suoi divisamenti sull'acquistar tutta Italia
) e sul rendere ereditario l' Impero. Fece dunque da Pier dalle
Vigne stendere un memoriale di giustificazioni, le quali doveano
( essere di gran peso per coloro che voleano trovarlo innocente,
e lo spedi a tutte le Corti d'Europa: indi a Padova, congregato '
il popolo nel pubblico palazzo, lece da esso Pier recitare un'o-
razione. Mella quale, presi por testo que' versi d'Ovidio,
Leniter ex merito quidqiiid jmiiare ferenduni est:
quae venit immeriio poma dolenda venit.
(- 11 gran cancelliere spiego m locii (ii r euuiiuu , siguui ujritsso , .
%u ■ ' - ■^» - ni
[3]l=K- -„— . ^^^j|€]
CAPITOLO VII.
f°
amatore della giustizia, più grande di quanti imperarono da
Carlomagno in poi; troppo avere di che lamentarsi dell'esor-
bitanze della Chiesa verso di lui: i rigori della quale avrebbe
di buon cuore sostenuti se meritati fossero, siccome invece
erano tirannici ed iniqui. Oh come mai il papa osava senten-
ziare un sì gran principe, né convinto, né confesso ! Eppure
fedelmente egli militò per Cristo Gesìi, avventurando il capo
a tanti pericoli in Asia, mentre il papa a lui assente scavava
il precipizio. Or mostri il pontefice d'aver mai operato altret-
tanto a prò della religione, o d'essere stato a così iniqua misura
rimeritato. Del resto l'Imperatore essere leale cristiano, pronto
di cuore a sottoporsi ai decreti della giustizia divina, ma non
al capriccio d'un uomo.
Il popolo ascoltò la diceria in quel silenzio ch'è la lezione
dei re; i signori mostravano vacillare: onde Federico raddoppiò
di zelo per assicurarsi le piazze forti tra l'Adige e il Taglia-
mente ; moltiplicò di cortesie, e girando per la Marca, rassettò
discordie, rimise in libertà alcuni imprigionati da Ezelino, e il
famoso fra Giordano, patto non mettesse piede in Padova,
talmente ne era paventata l'inerme potenza. Nei castelli del-
l'Estense pose guarnigione di suoi, e volle che in ostaggio gli
desse il fìgliuol suo principe Rinaldo, che inviò nella Puglia.
Era questi sposato con Adelaide figlia di Alberico da Romano:
la quale non volle abbandonare il marito, ma dividerne l'esilio,
per far vergogna a qualche moderna ^^.
L'affronto spiacque al Marchese: spiacquegli il vedere tutti
i campioni di sua parte qua e là sparpagliati, e il dover cam-
peggiare a guasto della libertà italiana e della propria fazione,
sicché spiava il destro di abbassare la visiera contro gì' im-
periali. Mentre, in adempimento dell'obbligo feudale, veniva
con cento cavalli al campo, scontrò per via Ezelino, che con
una ventina di cavalli moveva a Cittadella; ambedue preceduti
dall'aquila sulle bandiere. Tutti prevedevano un' abbaruffata,
ma avendo il signor Azzo mandato pregar Ezelino che si ri-
19 Adelaide, nella fortezza di Gifon, era servila da un eunuco e da alquante
donne; ma le si lasciaTano mancare i denari e fin il vestito. Intellcximus quod
non recepii expensas, et eliam indir/el indumenti!!. — Rerjestum Frid. p. 275.
— ICO —
-Q FEDERICO SCOMUNICATO
r
traesse a destra od a sinistra, questi lo fece, e cosi nulla seguì.
Azzo si congiunse all' imperatore, ma sempre in occhio. Or,
mentre facevano marcia sopra Sambonifazio, un cortigiano, per
cenni, gli fece intendere si trattasse di tagliargli la testa. Vero
0 no la cosa e il segno, questi, senza farselo dir due volte,
die di sprone, e co' suoi riparossi nel castello di Sambonifazio;
né per promettere, volle più uscirne o seguitare l'imperatore.
Diserzione importante era stata pure quella d'Alberico da
Romano. Ne fu veduto come stesse costui in broncio col fra-
tello, e ne temesse ogni male. Or vedendo il genero e la figlia
sua mandati ostaggi fin nella Puglia, sospettò che da Ezelino
venisse tale consiglio, per ferir lui nella parte più delicata del
cuore; onde, voltata bandiera, si dichiarò contro l'imperatore
e, unito ai signori di Camino, occupò Treviso prendendo la
guarnigione imperiale; e da quel punto per diciasette anni
avversò costantemente ad Ezelino e alla divisa ghibellina.
L' imperatore, mosso a castigare i due ribelli , sulle terre
d'Alberico portò il guasto e l'incendio: fé prigioni quanti
fautori del marchese aveva nell'esercito, fortificò Verona, alla
città di Padova fé rilasciare un documento in tutte le forme
ove le donava Treviso con tutto il territorio alla destra del
Sile, documento valevole come le investiture dei beni d'Arcadia
che sogliono darsi a noi poeti|; e in un severissimo bando
diceva :
• — • Ambi i diritti confessano ed approvano che ogni uomo
>■> deve sottostare all'imperatore dei Romani, il quale colla
» spada temporale meritò la monarchia del mondo : e come le
» membra al capo, i figliuoli al padre, gli umili servi al padrone,
» ragion vuole che gli si obbedisca in ogni cosa devotamente
» e fedelmente. Onde chi, scosso il giogo della devozione e
» dell'obbedienza, presume alzare orgogliosa la cervice, cospi-
» rando a danno della corona, provi il rigore della sentenza
» e gli effetti, talché della scellerata presunzione con perenne
» penitenza colga dolor sommo, ed agli altri sia di terrore.
Perciò l'imperatore Federico, ecc., radunata a suon di
» campane e a voce di banditore l'adunanza, da Pier dalle
» Vigne suo giudice, stante a cavallo, fé citare uno ad uno
» tutti i ribelli (qui sono nominati); e non essendo comparsi
» all'intimata, ordina che ogni loro vassallo e servo rimanga
— 161 —
»
Li CAPITOLO YII.
» sciolto dal dovere di obbedienza, dichiara traditori i figli
» loTo e seguaci, li priva d'ogni onore, dominio, giurisdizione,
;> » e ne chiama al fìsco i beni feudali 20 »,
giugno Mentre Federico seguitava desolando il territorio , per
tre ore oscurò il sole in guisa da vedersi le stelle: eclissi
famoso, veduto anche in Asia e in Africa -1. I vulgari lo giu-
dicarono gran pronostico di novità imminenti ; e l' imperatore
istesso, molto corrivo nell'astrologia, si distolse dall' impresa.
Ma più che l'eclissi ne l'avrà distolto lo scorgere come, dietro
all'esempio del Marchese e d'Alberico, ogni di gli crescessero
ribelH, e come la scomunica papale avesse prodotto l'effetto
di sollevargli contro Bolognesi e Parmigiani, che coi Veneziani
entrarono in Ravenna, il che dava grande appoggio alla in-
surrezione della Romagna, e metteva in pericolo fin la Sicilia.
Fermò dunque di voltarsi in Lombardia, dopo munite le chiuse
dell'Adige per assicurarsi i rinforzi di Germania, lasciando da
quelle parti signore e despota Ezelino. E in Lombardia pose a
prova la costanza della rinnovata Lega Lombarda con una di
/ quelle guerre che la libertà può registrare tra i suoi fasti.
[ Al partire di lui, risórse il cuore ai Guelfi della Marca:
e Azzo marchese ricuperò Este ed altri luoghi, e tornò in fiore
20 Codice Eccliiiinno. N. 152.
^1 Fra i mollissinii ricordi di tale eclissi leviamo questi versi dairobiliiario
della chiesa di Siena.
Anni lerdeni bis ccntnm millo noveni
Clirisli currebant, qui tempora lassa gerebaiif,
quando pallescit sol aurcus ulque nigrescit, .
in medio Phoebus fil pallidus undiqne rebus,
in umbra tolus stai sol a luce remotus.
Res obfnscanlur, stellac coelo numeranUir.
Fulmina manscre, rivi cursum lenuere,
ut, numero multi firmarent roi)ore fulti,
lil genus Immanum re mira si bene sanuni.
Junius intrabal qui terlia luce im'cabat;
sexta die data sunt baee lam mira parata:
Roniae miratus stat Gregorius calliedratus.
Ensem vibrabat, Lombardis bella parabat
Pallade rolaius Federicus sorte beatus,
dogmate luslratus jìnnceps, probilate probatiis.
Il
fEnj^-.
U FEDERICO SCOMUNICATO □ '
il
^
la parte sua. 0 veramente alcuni, incorati dai prosperi suc-
cessi, macchinassero a salvamento della patria, oppure volesse
Ezelino il solito pretesto di vendicarsi del marchese coll'ofFen-
derne i favoriti, diede voce d'avere scoperto in Padova una
congiura per ammazzare lui e dare la città ai Guelfi. Padova
fu orrida di patiboli : signori dei primi, donne, sacerdoti, ven-
nero decollati, impresi, arsi vivi.
Intanto i nemici dell' imperatore, molti e rigogliosi, volendo
fare una diversione a lui che minacciava Roma, e per mezzo
del Po ristabilir le relazioni di commercio e di corrispondenza
fra la Marca e la Romagna, avevano posto assedio a Ferrara,
città tiranneggiata da SalingueiTa Torello cognato di Ezelino,
intrepido ottagenario, che munivasi di ottocento Tedeschi e
molti assoldati. Contro lui accamparono i Lombardi, nemici
) al nemico di loro franchigie, i Bolognesi, i Mantovani guidati
) dal conte Rizzardo di Sambonifazio: v'erano- il Marchese, v'era
;' Alberico, e i signori di Camino e Pregorio di JMontelungo,
) legato del papa. I ^'eneziani. irritati co'ìitro l'imperatore da
( che questi, preso alla battaglia di Cortenova un loro concit- 1240
tadino Pietro Ti epolo podestà di Milano, l'aveva mandato alle
forche, venivano anch'essi in arme guidati dal doge Jacopo 2
Tiepolo, padre dello ucciso, ed aiutarono efficacemente l'impresa f<^^^i*-
con grosse torri condotte pel Po.
Per profittare della lontananza de' capi, 0 constringerli a
torsi giù dall'impresa. Ezelino guastò le terre del fratello,
prese anche Passano, corse fin oltre il Piave, distrusse Nar-
vesa, nel mentre che Padovani e Veronesi malmenavano le
terre del marchese: ma non per questo ritrasse i collegati.
Che anzi Salinguerra, malgrado l'estremo valore, dovette ca- >
pitolare, e avuta sicurezza della persona, entrò nel campo (
nemico. Qui ben tosto venne messo in ferri, e il legato pon- )
tifizio tolse gli scrupoli, persuadendo al marchese che, « calcato
» l'onesto ed il giuramento, abbracciasse quel che meglio
» tornava a suo conto », cioè, s'impadronisse della città, esclu-
dendone l'altro ■'^2. Il vecchio guerriero fu dunque portato a
'^- lìicii. nAi.iHS in Siniimar. llcntm Ilal. Sriipl. T. IX.
Venezia, ove sopravisse quattro anni in carcere; Giacomo To-
rello fìgliuol suo, riavuta la libertà, ricoverò alla corte di Ezelino,
e da una guerra in nome della libertà, Ferrara non vide che
consolidata la dominazione principesca.
Il marchese, mentre avea l'aura destra, credette fare buon
colpo sopra il Padovano, ma n'ebbe gran mercè a campare
salvo dalle armi d'Ezelino e dei Saraceni. Ezelino poi, infellonito
dal prosperar dei nemici, cresce in crudeltà; tenta levare di
mezzo il nipote Guglielmo da Camposampiero, quel desso che,
fanciullo ancora, era stato preso nel castello di Fonte, e che
mostrava non avere dimentico lo sterminio de' suoi: e fallitogli
il tentativo, fa coglierne i parenti, e chiusili in una torre e
chiavatone l'uscio, ivi li lascia morir di fame, dopo che per
trenta giorni ebbero gridato. Altri fa scannare in Vicenza come
{ rei d'intelligenze a favor d'Alberico: altri in Verona per avere
( tramato col vescovo. Zugno campione virtuoso esclamò : — Perdio,
l » noi dovremmo avventarci all'armi, né lasciare cosi vilmente
{ » incarcerare i nostri magnati » : inteso fu arrestato ed ucciso ,
) esempio ai prfeidi di fare, non dire.
agosto Restava Giacomo da Carrara, quello che dicemmo rimesso
( in libertà sotto promessa di star fedele, e che poi era sfuggito
^ alle insidie di Federico. Aveva esso munito il suo castello
( d'Agno; ma per ordine d'Ezelino assalito dal podestà di Padova,
l benché opponesse il coraggio della disperazione, fu ridotto alle
( 1240 strette; né guari poi in una sortita valorosissimamente com-
' battendo, circondato dai nemici, cadde in loro potere. Dall'alto
/ della torre vedono l'orribile caso le signore carraresi; e per
{ sottrarsi al furore de' nemici, risolvono tentare la fuga. Rac-
ì colti in una navicella gli arredi più preziosi e cari, esse pure
i vi si riducono, e vogano sul laghetto eh' è là dietro il castello.
] Ma il legno non regge al soverchio peso: e tutte miseramente
affogano. Il lago è detto ancora delle cloìme. Giacomo, imba-
vagliato in una cappa nera, come solevansi i nobili ribelli,
perde la testa in Padova, ed Ezelino respira del vedersi tolto
un nemico, del quale aveva tanto odio o paura che poco prima
aveva fatto appiccare diciotto persone solo per averle vedute )
favellare con esso. (
La medesima cappa, il medesimo supplizio tocca ad Av- ^
veduto degli Avvocati , cugino di Giacomo. Assediato nel
- ifii _ q.
É
AppogiaraBsi grinqrntjitori a àtcrrìi no^ dei fili- ma di imperatori.
Cap. vii. rag. i9o.
CRUDELTÀ DI EZELINO
r
castello di Brenta, ridotto agli estremi, abbandonato da ognuno,
in tutto punto d'armi si scaglia per perduto tra le file: le pone
a scompiglio, sbaratta venticinque Tedeschi serratisigli alle
spalle: infine cascatogli morto il cavallo, egli rimane prigioniero.
Altri castelli cedono ad Ezelino, che segnala le vittorie con
sempre nuove crudeltà.
In questo mezzo Federico, non essendo riuscito a prender
Milano, come gliene davano lusinga le intelligenze coi Ghibellini,
e trovando fra sé e quella città le diffuse acque dei prati e il
petto de' risoluti, difìlavasi sopra a Roma per rimettere senno
al santo padre, che v'era stato ricondotto dal popolo. Il papa,
intima pubbliche supplicazioni; e un giorno prefisso reca in
processione per Roma le teste dei santi Apostoli. Accorreva
il popolo devoto, commosso; esagerava la gravezza del pericolo,
e ne traeva entusiasmo per avventarsi nelle armi, con tal
risoluta bravura che Federico stimò conveniente il dar volta;
e per vendetta bersagliava principalmente monasteri e chiese.
Ordinò pene severissime contro i monaci che eccitavano il
popolo contro di lui: — Tu c'informi (scriveva al giustiziere
dell'Abruzzo) che, per castigare la perfidia degli abitanti di
» Sant'Angelo, ne festi distrugger le mura, bruciare le case ;
» e dopo condannati i principali alla forca o alla mutilazione
» delle mani, gli altri disperdesti. Ben fatto! è nostra volontà
» che questo focolajo di discordia rimanga per sempre de-
» serto 23 » , Scoperta o inventata una trama de' signori prin-
cipali, li mutilò atrocemente e li pose ai supplizj più raffinati,
tra cui son noti, pel verso di Dante, le cappe di piombo in-
focate. A chiunque fosse còlto col segno della croce, era fatta 1240
una croce sul capo col ferro rovente; tronche le mani a chiunque
portasse lettera ai papalini; cosi egli esponeva a spettacolo al
popolo, e anche proponevasi di mandarli alle principali corti,
marchiati dell'impronta pontifizia, volendo far credere che
tutto venisse da istigazione del papa. Di rimpatto il papa fé
torturare e convincer due uomini spediti da Federico per as-
( 23 Lettera del 14 dicembre 1259. Pur troppo negli anni correnti ci tocca
' udire e vedere, non solo rerocic simili, ma l'approvazione datavi dalle autorità e
\ dai pretesi organi delfopinione. >
|^__: — ^
Cantù — Lzelino. 11
sassinarlo, poi due cavalieri deposero che quaranta lor pari
aveauo giurato la morte di esso.
De' misfatti più orrendi come de' più incredibili soleano"
dunque, allora come adesso, incriminarsi a vicenda i partiti.
Agli storici sentimentalisti che accusano il papa di non
aver lasciato Federico conquistare tutta l' Italia (quegli storici
forse che a sazietà declamano contro la dominazione forestiera
e inneggiano la Lega Lombarda) noi ricorderemo questi fatti,
e una lettera di Federico al re d'Inghilterra, ove vantavasi
di tener in carcere diecimila ribelli ^4.
Per tornare a soggezione la Romagna, pose assedio a
Faenza, una delle imprese più ricordate di quei di; e vi si
ostinò sino ad impegnare per far denaro le gioie, i vasellami,
gli argenti, e battere moneta di cuoio 25, più di tutti Ezelino
24 Ultra deccm milia mptos, Tetri de Vineis, 1. XI, ep. 10.
21* Non è superfluo l'esaminare di che fornimenti s'appareccliiasse quella cfucrra,
in tempo die scarsissimo era il contante. I Milanesi misero fuori cedole di banco
con cui poteasi pagar le multe ; nessuno creditore era obbligato riceverle in pa-
gamento, ma il debitore non andava soggetto a sequestro se n'avesse tante da
soddisfarlo. Per ritirarle poi di corso, si catastarono le rendite, sulle quali si stabili
una tassa che in otto anni rimborsò quel debito.
S Un bel sisteraa d'imposte aveva introdotto Federico nella Sicilia, ma le in-
\ cessanti guerre lo obbligarono a spedienti rovinosi, quali appaiono dalle sue lettere
di questi due anni, esistenti nell'archivio di Napoli. Ordinò una colletta generale;
pose gravi contribuzioni sui beni degli ecclesiastici ; fece amministrare da economi
/ regj le badie e i vescovadi vacanti ; chiedeva ogni tratto tutto il denaro che fosse
< entrato nelle casse regie, lasciando cosi a scoperto le spese cui era destinato, e
\ persino il vestir e nutrire Rinaldo d'Este e re Enrico. Una volta comandò a!
^ giustiziere di Terra di Bari di portargli tutto il denaro dell' imposta. Questi venne
(J con sole onzi^ 500, che sarebliero jtoco più di 51,500 lire. Federico sdegnato
\ volea farlo precipilar dalle nuira, poi s'acconleniò di destituirlo, surrogandogli il
j Saracino Raalcli; e ai tassati ordinò fi'a ipiindici giorni soddisfacessero, pena la
' galera (Matteo di Giovenazzo, Diurnali^ § 44). Cogli assurdi provedimenti che
ancor non si sono disimparati, uvea proibito dar a prestito, esclusi gli Ebrei, e
^ limitato l' interesse al dieci per cento. Or egli tolse a prestanza fin al tre per cento
-; al mese: poi mancandogli i fondi alla scadenza, pagava il quarto e il quinto
\ d'aggiunta. Avendo preso per tre mesi da diversi mercanti 7863 onze d'oro al
; tre e fin al cinque per cento, e non avendo come restituirli, l' interesse fu capi-
( talizzato, crescendo cosi a 11,605 onze, che sarebbero 734,000 franchi. Queste
somme erano contate in valuta di Venezia, sulla quale i mercanti guadagnavano
/ ancora pel giro del cambio. All'assedio di Faenza non solo fuse tutto il suo
( vasellame, e impegnò le gioie, ma battè una moneta di cuoio, avente da una parte
': un chiodetto d'argento, dall'altra l'elììgic, dell' imperatore, e dovea valere un ago-
\ staro d'oro, colla promessa di cambiarla in moneta buona, come fece.
_a — isr. —
[gjis^.
nlfS"^"
r -
CATTURA DE CARDINALI
stava intentissimo al fine di essa guerra, allorché dall' impera-
dore ricevette una lettera cosi concepita :
— Benché, diffidando per la coscienza de' proprj torti,
» Faenza avesse differito a sottomettersi ai nostri ordini ed
» opposta si fosse alle forze nostre, giovata dal rigore della
» vernata, ora essendo rimprimaverato e scassinate le mura
» e le difese della città, aperte mine sotterranee, avendo guerra
» dentro e di fuori, talché i cittadini dovevano opporre i corpi
» innanzi alle mura tempestate dalle nostre macchine; cono-
» scendo imminente lo sterminio, tutta la città si converse ad
» implorare la nostra benignità. Ai gemiti loro si piegò l'animo
» nostro e fu indotto a misericordia: poiché rassegnarono alla
» nostra discrezione i beni e le persone, giurando fedeltà ed
» abiurando il mal operato, noi li ricevemmo benignamente
» nella grazia nostra. Gloriosa vendetta reputiamo il perdonare
» quando si potrebbe punire; e scriviamo come vittoria il fare
X» che i sudditi nulla trovino più soave, più giusto che l'aver
» ripreso il giogo dell'impero. Né l'impero é amico della strage
» od aspira a versare sangue; anzi cingono il trono miseri-
Per regola le truppe non avevano soldo, onde quello variavasi a nornaa delle
circostanze. Federico II dava da tre a cinque tari il mese ai pedoni e il vivere: un
cavaliere riceveva tre once d'oro, coll'obbligo di provvedersi uno scudiere, un
valletto, cavalli ed armi {Ilef/esiuin Fridcrici cditum a Carcani; p. 312 e 4t)9).
1/onza d'oro allora dividevasi in trenta tari; quella valeva L. 63.50, questi L. 2.11:
onde il medio d'ini pedone ora L. 8. 44, d'un cavaliere L. 190, e il valore sta
al quintuplo dell'odierno.
Le rendite del papa consistevano nelle regalie, e in un tanto per fuoco che
pngavasi dai Comuni di dominio diretto. Questo era di nove denari ogni Cumante,
eccettuati ecclesiastici, miliii, giudici, avvocali, notai e chi non avesse alcuna
liroprietà tassabili'. I Comuni però solcano ridurla a un tanto fìsso, che era per
Fermo, Pesaro, Camerino di cinquanta libbre d'argento ciascuna, cioè L. 5000;
di 40 per Iesi, ecc. L'imperatore poi occupava la maggior parte del lerriiorio,
sicché ben poco se ne potea ricavare. Suppliva la decima del cinque, del dieci,
liu del venti per cento sulle rendile ecclesiastiche di tulio il mondo cattolico, oltre
le collette a titolo di crociata.
Quando il papa noleggiò le navi di Genova per trasportar i cardinali al
concilio, tolse a prestanza mille marchi, ipotecati sui- beni del clero, e pagò
(lucento libbre di Genova per un mese d' interesse, li totale armamenlo costò
noOO marchi, cioè L. 2o0,00() che alcuni mercanti si obbligarono di far pagare
a Genova a trenta giorni, mediante lo sconto di 57 marchi, cioè L. 2850 )
\l\<^gcxl. Gm/orii, 1. XIV. 3, 4). Gregorio IX lasciò un debito di 40,000 marchi,
cioè L. 220,000, del (piale i mercanti molestarono assai il suo successore.
- 107 - n
j
BJL§]
CAPITOLO VII.
» cordia e verità, s'abbracciano giustizia e pace: ondechè
» riceviamo la conversione de' fedeli quanto insistiamo a domare
» la pertinacia dei ribelli. Tu, che lo zelo della fede nostra
» rende partecipe alle fatiche e ai pesi: tu che, per confusione
» dei nostri ribelli e per aumento della giustizia e della pace,
» comporti con noi stenti, spese, pericoli, esulta con noi per
» la dedizione di Faenza ^*^. »
Ho voluto qui compendiare questa lettera, men tosto per
far chiaro quel che i re d' allora chiamassero dovere, clemen-
za , giustizia , che per dar un saggio del gonfio scriver di Pier
dalle Vigne, che la formolava a nome del suo signore e della
molta famigliarità che correva tra Federico ed Ezelino. Della
quale sono argomento anche molt' altre: in una delle quali
scrive che « nella presa di Faenza 1' aveva voluto primo al-
» l'esultanza, come era stato primo ai preparativi della festa;
» sicché per mare e per terra glien' aveva spacciati annunzj.
» Ed oh (soggiunge) quanto avrei desiderato tu fossi al fianco
» mio per esultare con me siccome un paraninfo: ovvero che
» natura avesse dato ai corrieri le ale, perchè più presto ar-
» rivassero, né fossero dalla fama precorsi! »
Dall' estremità poi dell' Italia un'altra volta gli scriveva:
— So da lunga esperienza che la devozione tua non può, per
» lasso di tempo, venir meno; so che invecchiando 1' autorità
» tua nel corpo , ringiovanisce nella mente ; so che 1' ardore
» di tua fede non iscema per volgere d' anni , anzi piìi miti
» frutti produce : so che, quantunque lontano di corpo, sei
» però a noi presente d' animo e di cuore. Onde per nunzj ne
» chiedi novelle , che prospere ti mandiamo , perchè il corpo
» nostro, affaticato da guerreschi travagli, si ristora nella deli-
» ziosa dolcezza di questo regno nostro. »
Lo teneva insomma via via informato di quanto ben gli
accadesse , né per allora gliene mancava materia. Perocché ,
avendo Gregorio papa intimato un concilio generale in Roma,
invitandovi i prelati e i principi affinchè il consenso della cri-
stianità intera decidesse se giusta la scomunica contro Fede-
rico , questi fece da' Pisani appostare i cardinali ivi diretti, e
còltili sulla flotta genovese, li fé legare con catene d'argento e
tenere a cortese prigione nel capitolo della cattedrale di Pisa. Da
20 Lctlerc di Pior dalle Vigne, aprile 1211. &ì
-jij - ICS - 'l^
□ PROSPERITÀ D EZELINO
questo sinistro, e dai cento anni che aveva vissuti, Gregorio IX
fu portato a morte , perseverante fin all' estremo nella causa
affidatagli da Dio. Innocenzo IV succedutogli , mal sicuro in
Roma, fuggi in Francia , donde continuò ad avversare Federico.
Nella Marca alla parte imperiale procacciava prosperità Eze-
lino. Respìnse i Trevisani, armati a suo danno; guastò il Cenedese
correndo fin al mare ; campeggiò a danno del fratello Albe-
rico , dei Caminesi e più del marchese d' Este. Sopra il quale
dovette tener certa la vittoria quando ebbe tratto dalla sua
un tal Olderico, uomo assai creduto dal marchese, e n'ebbe
promessa che consegnerebbegli la terra di Este. Ma una don-
nicciuola avendo osservato Olderico stretto a colloquio con
gente sconosciuta in un angolo appartato, leggere una lettera,
indi ridottala in minimi pezzi, gettarla al fiume, ne porse,
denunzia al podest<à di Este. Olderico preso confessò ; o fosse
verità o vendetta o scaltrimento , nominò per complici della
fellonia alcuni dei più vicini al marchese, dei quali sei furono
appiccati. Uguccione Pileo, altro nemicissimo d'Ezelino, aven- {
done avuto in due partigiani, fé loro mozzare mani piedi, (
naso, e cavare gli occhi. Però quest'Uguccione stesso dovette 1212 {
poco dopo chinare la fronte ad Ezeliuo, e cosi il conte di \
jNIombello, rendendogli in obbedienza sé, i soggetti loro e i ca- (
stelli. Fin Guglielmo da Camposampiero, per poca ragione che /
avesse di fidarsi allo sterminatore di sua famiglia, venne a >
darglisi , e n' ebbe , allora tanto , cortesi accoglienze. (
Così Ezelino vedeva gli emuli suoi 0 paventarlo nemico, od ^_ ì
implorarlo amico. A danno del marchese d'Este e sotto gli oc- mano)
chi di questi mandò ad appiccar fuoco alla popolosa terra di
^lontagnana; il domani la prese e rifabbricò ; e in Padova munì
un forte presso la Chiesa di San Tommaso.
L'imperatore, par quanto ad Ezelino si mostrasse amico (se 1243
fra tiranni può abusarsi questo santo nome ), udiva continuo
gravissime lagnanze contro lui da tanti profughi, e temeanon
volesse rendersi indipendente dalla stessa sua autorità. Princi-
palmente eragli saputo male che avesse ripudiata la figliuola di
Galvano Lancia gran signore napoletano : poi cacciatolo di po-
destà ove l'aveva messo l'imperatore, obbligatolo a sborsare grosse
ì somme, messi in carcere i giudici che lo avevano servito : addu-
cendo la solita rngione d'averlo scoperto ribaldo e misleale. \
CAPITOLO VII. U '— 1
1245 Desiderava dunque Federico deprimerlo, ma a viso aperto non osava.
Raccolse in Verona una dieta , ove coir[imperatore convennero
Enzo re di Sardegna figliuolo suo naturale , i duchi d'Austria,
di Stiria, di Carintia, di Carniola; anche Baldovino impera-
tore di Costantinopoli , real mendicante che girava 1' Europa
invocando soccorsi per difendere la sua capitale, o almeno de-
nari per vivere. Vi si trattò a lungo delle controversie fra
l'Impero e la Chiesa, e di quel che importasse alla comune
salute ; ma Ezelino si adombrava non tante armi ivi radunate
potessero rapirgli una si bella città: onde trasse a sé un grosso
di soldati e potentissimi amici , ai quali affidò le torri. Più
non potendo allora riuscire di sorpresa , Federico volle provare
se mai il popolo sommosso potesse assecondarlo nell'abbattere l
il tiranno. Per via dunque del duca d'Austria, destò una rissa )
fra Tedeschi e Veronesi , ma nessuno presuma indovinare a >
che finiranno i moti suscitati. La baruffa ingrossò : i Tedeschi V
andavano a macello : un nipote del duca d'Austria, prode gar- )
zone, fu morto : 1' imperatore non si teneva più sicuro; e do- (
vette avere ricorso ad Ezelino perchè rabbonacciasse la tem-
pesta. In fatto questi salta a cavallo , cacciasi fra que' briganti ,
che se fossero riusciti sarebbonsi chiamati eroi ; ed ogni cosa
rimette in quiete.
Non è mestieri dirvi come crescesse in credito Ezelino,
né r imperatore pensasse più che a carezzarlo , finché da lui
' luglio corteggiato se ne andò. Non si tosto fu partito, che Ezelino,
avvisando quanto ben gli tornasse tenere la gente continuo
suir armi , fu contro de' Trevisani e d' Alberico suo , prese
Mestre e Noale , fortificò Castelfranco , e distrusse Campretto,
posto vicino a Loreggia sul confine di Padova e Treviso, scio-
gliendo così un voto fatto molti anni avanti. Indi armato pro-
cedette contro i fuorusciti di Verona che congiunti ai Manto-
vani, agli Estensi, ai Ferraresi,' gli venivano addosso: nuove
battaglie , nuove ire , nuovo sangue fraterno , sincliò la stan-
chezza fece alle due parti cadere 1' armi di pugno.
Mentre lo strepito di Marte, come fa , si tace, lasciamoci
noi pure trarre di via un' altra volta; raccomandando che si
mettano d' accordo quel nostro amico che scrisse, ogni digres-
sione esser un difetto ; e queir altro che scrisse , la parte più
bella d' ogni libro essere le digressioni.
ri
— 170 —
CAPITOLO Vili.
ERESIE — INQUISIZIONE — SCO:\IUNICA.
I
-D
Qui son gli eresiarche
co' lor seguaci d'ogni setta: e molto
più che noa credi, son le tombe cardie.
Dante, Inf.
Avete il nuovo e il vecchio testamento
e il pastor della Chiesa che vi guida ;
questo vi basti a vostro salvamento...
Non fate come agnel che lascia il latte
della sua madre, e semplice e lascivo
seco medesmo a suo piacer combatte.
Id. Farad.
orae mai sotto un Dio buono esiste il male?
Sarà sempre questo il problema che più affati-
cherà i pensanti e i credenti ; e tutte le religioni,
tutte le filosofie che sono altro mai se non differenti
soluzioni di esso? Noi sappiamo e crediamo quella
rivelata da Dio a Mosò, per cui l'uomo, creato
buono e libero di sua volontà, peccò, e in lui,
come i rami nella radice, rimase contaminata la stirpe umana
in perpetuo; messe in disaccordo la ragione, l'immaginazione,
la volontà; offuscate le verità prime, per rischiarare le quali
fu duopo che un Dio scendesse in terra, rivelasse sé stesso,
la sua Chiesa, la sua legge, e col proprio patire e morire ci
redimesse.
La verità, scopo della filosofia, è pure unico principio del
— 171 -
r
CAPITOLO Vili.
\A
(*) L'autore ha più lardi scritta la storia degli Evelici d'Italia,
U editore.
cristianesimo, non solo come semplice naturai lume della mente,
ma completa, assoluta, efficace. Concordi nell'intento, possono
deviare nel metodo. L' intelletto umano, nel sentimento della
superiore sua dignità, nella gioia d'esercitare l'attività sua per
attingere le sublimi regioni donde emana ogni esistenza, e
svelare i misteri della vita, s' indispettisce quando altri voglia
imporgli di credere ciò ch'egli stimasi capace di scoprire ; e se
vede assegnata una fonte sniìrema a tutte le cognizioni, vantasi
bastar da sé a sceverare la luce dalle tenebre, e fra il bene
e il male librare con giudizio indipendente.
Di qui i contrasti ad ogni verità. Il cristianesimo, non
limitandosi ad un tempo né ad una gente, ma di popolo in
popolo compiendo l'universale educazione, doveva trovare mag-
gior resistenza fuori, maggiori agitazioni dentro. Più si allarga
questa splendida istituzione più l'orgoglio ingegnasi e cercarne
) il tallone vulnerabile, e scalzar le fondamenta dell'edifizio che
\ elevasi fino al cielo. Altri ancora, facenrlo troppo conto della
{ forma esteriore, come il servizio divino e la costituzione ge-
) rarchica, e stando alle espressioni letterali o agli atti puri del
divino Fondatore, sorgono censori delle cerimonie e del governo i
della Chiesa; poi infervorandosi, come avviene in tutti i litigi, (
trascorrono fino a chiarirsi nemici del dogma. }
Pertanto dei nemici interni della Chiesa gli uni drizzarono {
l'attacco contro il dogma, gli altri contro le forme, ma poiché {
ad ogni essenziale mutamento della dottrina dovea seguire un ;
mutamento nell'esterna attuazione, ed a vicenda ogni tentativo |
contro di questa dovea fondarsi sulla dottrina, facilmente gli (
uni si confusero cogU altri; e, come spesso ripeterono i papi, >
ebbero diverse faccie, ma le code legate insieme. (
La Chiesa sa che il tempo é per lei; lascia passare gli (
uomini e gli anni; soffre, combatte, prega, e risorge imma- \
colata. S
Non tema il lettore che vogliam qui fare la storia delle (
eresie, storia lunga come quella della libertà e degli errori |
umani (*): ma in questo racconto già tante volte menzionammo
172 —
rajs-
-^-^
□ ORIGINE DELLE ERESIE D
eretici ed eresie, che egli deve pur esser venuto in vo-
glia di conoscere quali fossero gli errori che allora correvano.
Catari, Paiarini sono i nomi ripetuti, ma nessuno ce ne
lasciò un ragguaglio completo, il simbolo; sicché noi, pur vo-
lendo soddisfare alla meglio una giusta curiosità, racirfloleremo
il poco che si possa, non foss'altro per dire, non sappiamo
altro.
I varj modi di spiegare l'esistenza del male e come lo
spirito cadesse nella materia, fin dai tempi apostolici diedero
origine alle eresie di Simon Mago, di Basilide, di Marcione,
di Valentino, di Bardesane. Maggior nome ottenne Manete, da
cui i ^Manichei, che supposero la esistenza di due principj, uno
autor del bene, l'altro del male, dalla cui opposizione o dal
cui concorso derivassero il mondo e quanto in esso accade.
Come avviene di tutte le spiegazioni «vulgari, questa fu adottata
volontieri, quantunque sia assurda, giacché pone il male in Dio,
cui essenza è la bontà senza misura; quantunque sia soltanto
un' irragionevole argomentazione dell'umana superbia, che il
bene e il male, il perfetto e l' imperfetto giudica dal proprio
individuale interesse.
Quest'opinione penetrò anche in Italia, e mai non perdette
voce, sicché ancora nel 496 Gelasio papa la condannava: ma
meglio si diffuse in Oriente; ivi nel settimo secolo ebbe gran
dottori e persecuzioni e guerre. Scadendo il secolo IX, l' im-
peratore Basilio Macedone a Tibrica , fortezza de' Manichei
nell'Armenia, inviò Pietro di Sicilia per trattare il cambio
de' prigi(mieri. Pietro, avendo scoperto che essi accingevansi ad
apostolare la Bulgaria, compose un hbro a confutarli, e lo
\ inviò per antidoto colà. Ma poco profittò: e i Manichei vi si
j estesero tanto che ne trassero il nome di Bulgari. Nel 1153
) se li raccolse intorno un Paolo da Samosata, dal quale furono
\ cognominati Pauliciani, e cercarono quiete fra i monti; ma ivi
^ pure vennero molestati prima da Alessio Commeno, poi dai
) successori di esso.
\ Leggo in un antico che quella credenza passò dalla Bul-
) garia in Lombardia, e un Marco, ordinato colà, qui funzionava
) da vescovo sulla Lombardia, la Marca, la Toscana. Essendo
; poi, nel 1167, sopraggiunto un altro, nominato papa Niceta di
Costantinopoli, riprovò l'ordine della Bulgaria, e ^hirco ricevette
- 173 - D^
-Bilf]
1 ViGSERio, Dibl. /list, addiz. alla P. !I, p. 515. Al Concilio tenutosi a
San Federico di Caraman, Niceta fece adottare il dualismo puro della chiesa di Traij.
2 Ad. Condì. Aureliamnsis. Spicil. T. II. — Labbe, Condì. T. IX.
5 Sant'Agostino già chiamava i Manichei Calarisli. De haer. In liaer. Manidi.
* Costit. contro rjli eretid del 12o4.
^ Assise Mss. e. I, De Patarenis.
— 174 —
CAPITOLO Vili. '^nl
l'ordine della Drungaria i, nome derivato da Tragurium, eh e
oggi diciamo Traù in Croazia: ed anche fra Ranerio, di cui or
ora parleremo, dice che le chiese manichee di Drungaria e di
Bulgaria diedero origine alle altre d' Italia e di Francia. In
Francia vogliono quest'eresia portata da una Italiana ; e fu )
scoperta primamente in Orleans 1017, regnando Roberto ^. \
Gieseler di Gottinga, uno degli ultimi e meglio solidi )
storici della Chiesa in senso protestante, sostiene che il ma- (
nicheismo non perisse mai in Italia, dacché nell' XI secolo i (
nostri delle crociate conobbero i Manichei d'Oriente, e credeano )
acquistar credito coll'attribuirsi origine orientale. Fatto è che v
qui erano conosciuti col nome di Catarini e Patarini. Catari )
in greco significa puri 3; ed è comune a tutti i settari il V
pretendersi riformatori, e perciò più mondi: e oggi stesso la (
crema (spesso non altro che crema battuta) di qualche partito )
si arroga il titolo di Puritani: ma gU etimologisti (genia ine- {
stinguibilmente ridicola) vollero trar quel nome da Katz, che (
in tedesco suona gatto: o da Kanzer o Kezzer, parole di Jj
scherno, o da quattem garrire. Patarino, se non è corrotto da
Catarino, verrebbe da pati, per esprimere gente data od esposta
alle penitenze: onde in una costituzione di Federico II si legge:
In exemplum ,nartyrwn, qui prò fide caiìiolica martyria
siibierunt, Patarenos se nominant, veluti expositos passioni ^ ;
ed anche le assise siciliane di Carlo d'Angiò portano nel fran-
cese d'allora: Li vice de ccaus soni coneit par' leur ancieìis
nons, et ne vueulent mie quii soient apelé par leur propres
nons, mais s'appellent Patarins par aucune excellence , et
entendent que Patarins vau autant come chose abandonnée
a souffrir passion en l'essemble des martyrs, qui soffrir ent
torment p)Our la sainte fny 5.
Altri vi stillarono diversa origine : e chi dal Pater ìioster
A
VALDESI
ch'essi recitavano sovente, come via alla salute; chi lo fa nato
in Milano nel secolo XI, quando una parte del clero che pre-
tendeva serbar il diritto d'ammogliarsi, ai seguaci della severità
di Roma dava il sopranome di Patarini, applicato colla pro-
digalità e coir indeterminatezza che si sogliono i nomi di partito :
e per poco che uno sappia delle rivoluzioni che possono subire
le parole, non si meraviglierà che, prevalendo la parte romana,
quel nome di scherno sia caduto a designare i preti concubinari.
Costoro a Milano solcano ridursi a celebrare la messa in una
via, che da ciò ebbe il nome di contrada de Patdri; e perchè
in quella via tenevano bottega i rigattieri, come in altre gli
armorari, i borsinari, i mercanti d'oro, gli orefici, patàro nel
dialetto milanese indicò il rigattiere ; altra vicenda delle parole.
In fine quel nome riuscì ad esprimere un eretico qualunque *^,
per una di quelle confusioni, tanto comode ai sofisti, per cui
al modo delle epidemie, si suole a certi tempi infliggere certe
colpe a tutti quei che si vogliono calunniare; com« da principio
dicevasi cristiani, poi gnostici, poi nel medioevo ebrei, poi
tempo fa giacobini, e ieri liberali, e oggi gesuiti o spie. Se
fra Cataro e Patarino corresse divario non sappiamo, e noi gli
adopreremo come sinonimi.
In Milano, centro di questa eresia, distinguevansi i Catari
in nuovi e vecchi. I vecchi, dalla Dalmazia, dalla Croazia, dalla
Bulgaria erano venuti a Milano prima che altrove, e cresciutivi
singolarmente allorché Federico Barbarossa li favoriva per far
dispetto ad Alessandro papa. I nuovi erano capitati circa il 1176
dalla Francia, ove, principalmente sotto la protezione di Rai-
mondo conte di Tolosa, erano fioriti in Alby nell'alta Lingua-
doca, donde il nome di Albigesi.
Anche Valdesi furono detti, alcuno pretende da Pietro
"Waldo, ricco borghese di Lione. Stava egli con varj amici
discorrendo avanti alla sua casa, quando uno di essi cadde
morto stecchito. Sbigottirono gli astanti al caso; e Waldo
6 Nelle assise di Gerusalemme e. 266, leggiamo: Se. il avient par aucune
malaventure, ou par aucun mal ensei(jnemen(, qtie un chevalier soil palaltn, etc, eie.
E neH>p. % 1. I, Pier dalle Vigne scrive contro i preti : A[mi ves christiani
mendicante ut apud eos Patarrni manducent.
Un . -175- D^
CAPITOLO Vili.
cominciò predicar loro il nulla della vita umana, la necessità
di emendare i costumi e il cuore; largheggiò in limosine; fece
vulgarizzare il vangelo da un povero scolaro, e tolse ad inter-
pretarlo a modo suo; e cresciuto di partigiani e d'ardimento,
si estese *fìno a Roma.
Qual è quel rivoluzionario che non cominci dal domandar
riforme? Anche Waldo, circa il 1180, cominciò a criticare la
Chiesa T; gli antichi decreti di essa e le sentenze dei Padri
non aver valore, nulla più che le scomuniche e l'assoluzione
e le indulgenze e l'acqua henedetta e i pellegrinaggi; nessun
santo eccetto gli apostoli; prestigi i miracoli; inutilità le feste
e r invocazione dei santi, essendo Cristo unico mediatore fra
Dio e gli uomini: quantunque riprovasse le immagini, pure
conservava il Crocifìsso, ma all'antica su croce mozza in forma
di T e coi piedi confìtti un' sopra l'altro, lo che parca scandalo
quando faceasi sempre con quattro chiodi. I Valdesi pretendono
però a più antichi natali, esser contemporanei delle chiese
apostoliche e separati al tempo che Silvestro papa corruppe
(dicono) la Chiesa coll'acquisto di beni temporali; o almeno
fìn da Claudio vescovo di Torino, il quale, verso 1' 830, impugnò
il culto delle immagini e i pellegrinaggi, e citato a un Concilio;
non volle andarvi dicendolo congregationem asinorum.
Del resto la Chiesa de' Valdesi, della quale tanto si scrisse
ai nostri giorni, vuol essere distinta dai Catari come più cri-
stiana e aliena dalla dualità: mentre i dualisti variano dal
cristianesimo non in alcun punto ma nell'essenza, repudiando
la trinità e l' incarnazione.
Dal nome poi di un capo, o dal luogo, o da alcun acci-
dente, derivarono le equipollenti denominazioni di Poveri di
Lione, Gazavi, Arnaldisti , Giuseppini, Leonisti, Bulgari s.
Circoncisi, Pubblicani, Insabbatati, Coìnisti (che alcuno volle
chiamati cosi da Como), Credenti di Milano, Credenti di
Bagnolo o di Concorezzo, Vanni, Fusci, Ronmlari, Carantari.
In peggior pecoreccio entrerebbe chi volesse divisare le
' Stephanus dk Bellavilla, lib. De scpirm donis Spin'luis Sancii, IV pars,
e. 30, apud Ecard. l. I, p. 184-
(- 8 ])a cui il lovgrr de' Francesi e il hoUjiron dei Lonii)ardi e dei I^iomontesi. ì
( Q CRITICA PATARINA
loro credenze. Un capo proprio non ebbero che predicasse )
dottrine fisse : non ebbero, o almeno, non arrivò a noi un libro l
simbolico di loro credenza 9'; e san Bernardo dice che, mentre )
gli altri eretici si palesano e predicano, questi non cercano (
che rimpiattarsi. )
E dunque forza attenerci al poco che, per incidenza ne ^
dissero i cronisti, avversi a loro, a qualche brano di processo C
e ai libri di coloro che li confutarono. /
Fra i quali al caso nostro fa il ricordare prima di tutti
il venerabile padre Moneta cremonese; uom dissoluto che, a
Bologna sentendo predicare Reginaldo d'Orleans , si converti , 1220
e fatto censore della fede in Milano, lamquam leo rugiens si
scagliò contro gli eretici, e scrisse una Summa theologica a
confutarli ^^, nel mentre accendeva i roghi per ardergli.
Anche fra Ranerio Saccone piacentino, dopo essere vissuto
diciassette anni coi Catari, si converti, li perseguitò col fuoco,
colla spada, coi libri. Buonaccorso, che era stato vescovo dei
Catari in Milano, li confutò nella Manifestano haereseos Ca-
tìiaroruni Bonaccursi quoìidam magistri illorwn Mediolani ^i,
opera che ai Milanesi egli indirizza. Da questi, da moderni, da
varj manuscritti che ho potuto consultare, si raccoglie quanto
basti per potere, noi che né siamo teologi, né veniamo a svi-
scerare il tema filosofico, adombrarne e il fondo metafisico e
l'applicazione.
Del dogma era base la dualità, cioè essere il mondo opera
di due principj, una malvagio, uno benefico: e il primo avere
fatto tutto ,ciò eh' è visibile, e dettato l'antico Testamento;
pricipio di menzogna, giacché avea detto ad Adamo, Se mangerai
il pomo, morrai, e Adamo non mori; principio di sterminio,
"-1 G
9 Nella Summa de Chatharis el Leonùtis del Ranerio, stampata nel Thesaurus
noviss. aiiecdot, t. V, p. 1759, vedo menzionalo un volume di dieci quaderni, ove
Giovan de Lugio depose i suoi errori. Le storie de' Valdesi danno un simbolo
pubblicato il 1120. Non ho potuto storicamente accertare questa data.
^0 Fu edita a Roma il 1743 dal P. Tommaso Atrosliao Riccliino, col titolo:
Vcn. Patris Monetae cremonensis, nrdinis Praedic, S. l'atri Domenico aequalis,
advenus Calharos et Valdenscs, iib. V. Grosso volume in l'olio, di cui molto mi
sono servilo.
11 K nello Sjìkilcfjio del W d'Achery, t. I, p. 208, ediz. del 1723 .
— 177 —
LK.-
r— b CAPITOLO Tiir.
perchè uccise tanti nel diluvio, bruciò tanti a Sodoma e Go-
morra, tanti affogò nel mar Rosso, comandò tanti assassini a
Mosè e Davidde. Nel nuovo Testamento ammettevano soltanto
i quattro Vangeli, le epistole di san Paolo colle sette canoniche,
e l'Apocalisse.
Ne seguiva come applicazione l'abolir la religione positiva
e la famiglia e la proprietà; quella chiamando una servitìi
contro natura, questa un furto contro la naturale eguaglianza.
Voi vedete che trattasi di quistioni affatto affatto odierne;
e in effetto la storia trae la principal sua utilità dal ripro-
durvisi sempre i medesimi problemi, con dati che differiscono
secondo le età e le nazioni. Ma come oggi le quistioni sociali
noi attacchiamo alla politica, cosi allora alla religione, unica
regola delle azioni, unico scopo del pensiero ; alla fede si ri-
correva, pur combattendola; citavasi il Vangelo anche a sostegno
degli errori; i quali perciò si chiamavano eresie.
E poiché ogni secolo vuol riscontrare se stesso nei pre-
cedenti, amici e nemici trovarono nei Catari del XII secolo gli
errori o le verità de' presenti Socialisti e Comunisti. Che però
l'accomunamento dei beni e delle donne non ne fosse dogma
universale n'è prova il silenzio de' libri loro, conservati dai
Valdesi subalpini, e di quelli de' loro avversar] ^^i né il Vais-
sette 13 gli adduce tra gli errori che enumera degli Albigesi.
Come poi sarebbero stati favoriti dai grandi signori della
Francia meridionale, qualora avessero impugnata la proprietà
individuale ?
Anzi questo favore dato loro dai signori ci ricorda come,
anche nel secolo ora passato, quando i filosofisti bandirono
guerra all' infame, cioè alla religione della virtù, del sacrifizio
^2 Voglia f;irsi niente a questo passo del Ranerio, ap. Martene, Thes. Anec,
t. V, 1766. Calhari eleemofiyrias paucas aut nnllas fariiinf, niilìas ex/rana's, nisi
forte propter scandalum. vicinorum suorum vitandnm ci ni honorificentur ah eis;
paucas piis pmiperibus... Et est causa (juia pauperes enriiin^ (jui , tempore perse-
cufionis, non lial/en victui necessaria, vd ea quibus possint restaurare suis recepto-
rihus res et domos quae prò [eis deslrutinliir , vix possunt invenire aliquem qui
veìil eos lune recipere. Scd dirites catari nullos inveniunt; quare quilibel eorum, si
polrsl^ dii'itias sibi conf/refjat et conservai.
13 Hist. du Lanfjuedor, t. III^ p. 371.
— 178 —
ti CRITICA FATA RINA
9
della libertà, ebbero aderenti i felici del mondo, i letterati, i
principi. Laonde anche quella de' Catari noi la ravvisiamo
piuttosto come una rivolta de' laici contro il clero, spinta a
negare non solo i possessi, ma anche l'autorità della Chiesa.
Adunque, come tutti quelli che vollero abbattere il dogma,
essi cominciarono dall'attaccar le forme; ed appoggiati all'apo-
stolico Obedire oportet magis Beo quam hominibus, impu-
gnavano ogni autorità, il papa, i vescovi, i riti della Chiesa,
i canoni, le decretali; escludevano ogni dominio temporale
de' preti. A udirli, la Chiesa è la Babilonia che fornica sul
fiume d'Apocalisse; il culto dee ricondursi alla semplicità pri-
mitiva; nessun divario spirituale fra il laico e il sacerdote, e
ciascun fedele può esercitare il sacro ministero, purché , ne '1
faccia degno la pietà; non è indelebile il carattere sacerdo-
tale, né vagliono i sacramenti amministrati da mani impure.
Cotesti prelati doviziosi, cotesti pingui abati, cotesti monaci
ozianti cedano il luogo a ministri poveri, viventi delle proprie
mani, come gli apostoli. Furono essi che, per tirar denaro dai
creduli, inventarono il culto della Vergine, dei santi, delle re-
liquie, tanti falsi miracoli, le indulgenze, la confessione auri-
colare, l'assoluzione de' peccati. Da loro viene il dogma della
transustanziazione; mentre la messa non è che un trovato del
demonio. Né Silvestro, papa, né Lorenzo contavano per santi;
rifiutavano l'estrema unzione, il purgatorio e di conseguenza
i sufi"ragi pei morti, l' intercessione dei santi, e l'Ave Maria.
Per contrarre il matrimonio basta il consenso delle parti,
senz'uopo di benedizione. Non discende Iddio nell'ostia se n'è
consacrata da un indegno; non si dà risurrezione della carne:
ridevole la distinzione de' peccati in veniali e mortali: prestigi
del diavolo i miracoli ; non doversi adorare la croce perchè
simbolo d'obljrobrio; non doversi per niuna cosa giurare, ne
esser diritto che i magistrati ammazzino od infliggano pena
alcuna corporale ^4.
Però il seguire le mille varietà d'opinioni, e quanto in
ciascun paese la libera interpretazione credette aggiungervi o
U DisscrUitin inler Cathnìlriiin ri Palarinnm, rx Mss. Nel T/icsiurus nnims )
anrrdolorum, studio Edml'>di Maktknk ci IJuRA^D: l'arixiis, 1717, t. V, p. 1703. )
r:
nrin CAPITOLO vili.
) toglierne, riesce difficile anzi impossibile , attesoché non for-
( mavano, come i filosofi antichi, altrettante scuole, opposte nei
( principj supremi e quindi nelle conseguenze; né stabilivano un
corpo di dottrine, come più tardi i settarj che si svelsero dalla
Chiesa cattolica: e un convertito disse all'arcivescovo Arnolfo
di Colonia: — Essi riguardano come falso tutto ciò che la
Chiesa crede o fa ». Dichiarazione precisa, che potrebbero fare
molti partiti, se i partiti fossero sinceri.
Abbiamo da fra Stefano di Bellavilla inquisitore 15 che
sette vescovi di credenza diversa si affiatarono nella cattedrale
di non dice quale città di Lombardia ; ma, non che accordarsi
sui punti di loro fede, si separarono scomunicandosi recipro-
camente. In Lombardia primeggiarono i Catari, i Concorezj, i
Bagnolesi. I Catari, che si dicevano anche Albanesi forse corrotto
da Albigesi, venivano suddivisi in due fazioni: alla prima era
vescovo Balasinanza veronese: all'altra Giovanni di Lugio ber-
gamasco. Oltre le credenze comuni, i primi dicevano che un
angelo avesse portato il corpo di Gesù Cristo nel seno di Maria,
senza ch'ella v'avesse parte: solo in apparenza essere il Messia
nato, vissuto, morto, risorto : i patriarchi essere stati ministri
del demonio: il mondo eterno. Gli altri tenevano che le creature
fossero state formate quali dal buono, quali dal maligno prin-
cipio; ma ab eterno: la creazione, la redenzione, i miracoli
erano accaduti in un altro mondo, mondo affatto diverso dal
nostro: Dio non essere onnipotente, perché nelle opere sue
può venir contrariato dal principio a sé opposto; Cristo non
avere potuto peccare.
I Concorezj (forse cosi intitolati da Concorezzo, borgata del
Milanese vicina a Monza) ammettevano un principio unico, ma
deliravano poi sull'unità e la trinità: che Dio creò gli angeli
e gli elementi; ma l'angelo ribellato e divenuto demonio, formò
l'uomo e quest'universo visibile: Cristo fu di natura angelica.
I Bagnolesi (denominati dal castello di Bagnòlo) professa-
vano un dualismo modificato, volendo le anime fossero state
create da Dio prima del mondo, e allora avessero peccato; la
beata Vergine fosse un angelo, e Cristo avesse bensì assunto
1^ Apud Martene, Th. novus, ecc. t. V.
n_a
^
_^ —180- q
CHIESE PATARINE
un corpo umano per patire, ma non l'avesse già glorificato,
sibbene disposto all'ascensione.
Concorezj e Bagnolesi aveano dunque eguaglianza di sa-
cerdozio e di liturgia, ma diversa cosmogonia e psicologia: al
Dio unico si ribellò Lucifero, che sedusse gli angeli e formò
la Terra, ma non gli elementi di essa: né potea creare anime;
avendo sorpreso Adamo ed Eva angeli, li racchiuse in corpi
mortali, ne suscitò la concupiscenza col pomo, ed ebbe una
progenie a sé devota.
Il Ranerio distingue sedici chiese di Catari nelle nostre
parti ; degli Albanesi, che dimoravano principalmente a Verona
e sono cinquecento : de' Concorezj che , fra tutta Lombardia ,
sommeranno a un migliajo e mezzo: de' Bajolesi, non più che
dugento, sparsi a Mantova, Brescia, Bergamo, Milano, nella
Romagnola; la chiesa della Marca n'avrà cento: altrettanti
( quelle di Toscana e di Spoleto: un cencinquanta la chiesa di
I Francia, dimoranti a Verona e per Lombardia: ducento le
( chiese di Tolosa, di Alby, di Carcassona: cinquanta quelle dei
; latini e greci di Costantinopoli, e cinquecento le altre di Schia-
( venia, Romania, Filadelfia, Bulgaria. Ma questi (avverte l'autore)
^ che appena ascenderebbero a quattromila, bisogna intenderli
{ per uomini perfetti, giacché i credenti sono senza numero.
ì In prova che ne vivessero in tutte le città, Ivone di
) Narbona scriveva a Girardo arcivescovo di Bordeaux, come
^ esso, venendo in Italia, per godervi maggiori agi si finse cataro;
/ lo perchè fu in tutte le città raccolto con ogni miglior cortesia:
) — • a Clemona, città celebratissima nel Friuli ^^, bevvi squisiti
{ vini de' Patarini, robiole, ceratici, ed altre delicature ». Quivi
) sedeva vescovo un tal Pietro Gallo, che essendo stato scoperto
■ di fornicazione, fu cacciato di seggio e dalla società i"'.
) Quanto sia ai riti, quattro soli sacramenti tenevano; e non
• istituiti da Cristo, ma dall'uomo introdotti. L'eucaristia era
( quotidiana, poiché quando s'assidevano a mangiare di brigata,
) il maggiore fra i commensali sorgeva, e recatosi in mano il
; pane ed il vino, esclamava: Grafia D/vrini nostri J. C. sit
i** Clcniona (Cliiinliii Einiin:i), i)'j,^A Geiiiona.
17 A|). Mattia. I'aris all'iiiico 1215.
C'ANTi'i — Fzelino. 12^63
CAPITOLO Vili.
semper cum omnibus vobis; frangeva quel pane, lo distribuiva,
credendo adempiere al precetto del Vangelo, Ciò fm^eie in
mia commemorazione. Il giorno poi della cena del Signore
imbandivano più solennemente, e il ministro postosi ad un
tavoliere, su cui una coppa di vino ed una focaccia di azimo,
diceva: ■ — Preghiamo Dio ci perdoni i peccati per sua raise-
» ricordia, ed esaudisca alle nostre supplicazioni; e recitiamo
» sette Pater nostcì^ a onor di Dio e della SS. Trinità ». Tutti
s'inginocchiano: orato, si rialzano: esso benedice il pane e il
vino, frange quello, dà mangiare e bere, e così è compiuto il
sacrifizio ^s^.
La confessione de' peccati veniali (i Catari lombardi rite-
nevano tal distinzione) si faceva da tutti insieme , recitando
uno a nome di tutti questa formola: — Noi confessiamo innanzi
» a Dio ed a voi che molto peccammo in parole, colla vista,
» col pensiero, eccetera ». La solenne si faceva presentandosi,
al cospetto di molti, il peccatore col libro de' vangeli sul petto,
e dicendo: — Io sono qui avanti a Dio ed a voi per confessarmi
» e chiamarmi in colpa di tutti i peccati miei che ho sin qui
» commessi, e riceverne da voi la perdonanza ». Era assolto
col posargli que' vangeh sopra il capo. Se un credente ricadecasse,
doveva confessarsene e ricevere di nuovo la imposiziono delle
mani in privato.
Del sacramento delFordiue teneva luogo l'elezione dei loro ge-
rarchi. Quattro gradi conoscevano; il vescovo, il figliuolo maggiore,
il minore ed il diacono. Al vescovo spettava di preferenza l'imporre
le mani, spezzare il pane, dir l'orazione: mancando lui, suppliva
il figliuolo maggiore, se no il minore o il diacono, e in difetto,
un semplice credente e fin anche una catara. I due figliuoli
dunque coadjuvavano al vescovo e visitavano i Catari: v'avea
poi in ogni città un diacono per ascoltare i peccati leggeri
una volta al mese, il che dai nostri dicevasi caregare servi-
tium. Il vescovo, avanti morire, inaugurava a succedergli il l
figliuolo maggiore imponendogli le mani. \
Non battesimo; e deridevano il conferirlo agli infanti; in
sua vece l' imposizione delle mani, detta consolamenio o bat- (
1^ F. Ranerii, De Calharis ci Leonùtis, eie. etc.
L- 1 n - 182 —
^ ^ -^
I — '□ INIZIAZIONE DE CATARI ni
tesirao di Spirito Santo, funzione di capitale importanza, non >
potendo senz'esso venire rimesso il peccato mortale o comu- ^
nicato lo spirito consolatore. Se uno àQ perfetti imponga le
mani ad un moribondo, e ripeta l'orazione dominicale, quegli
va a certa salvazione. Gli Albigesi contendevano che tal effetto
nascesse non dalla materiale imposizione delle mani, le quali
essendo opera del diavolo, non valgono ad alcun bene, ma dalla
preghiera; accordavansi però in dire che la consolazione non
cancellava le colpe se fosse fatta da uomo in peccato mortale,
secondo la dottrina già professata dagli antichi Donatisti, che
non può conferire lo Spirito Santo chi lo abbia perduto. Perciò
veniva fatta da almeno due ministri, né però restava tolto il
timore che il ministro fosse indegno i^.
Il Ranerio aggiunge che, dato il consolamento al moribondo,
gli chiedevano se in cielo volesse trovar posto fra' martiri o
fra' confessori: se eleggeva i primi, lo faceano strangolare da
un sicario a ciò stipendiato: se gli altri, più non gli davano
a bere, né mangiare. Atrocità gratuite che, inventa il vulgo
0 chi ha interesse di mostrare scellerati coloro che perseguita.
E non v'è nefandità di che non abbiano voluto ritrovarli
rei: essi ladri, essi usurieri, essi sopratutto carnali; adulterio
e incesto in qualunque grado, connubj promiscui e fin contro
natura; professando non poter l'uomo peccare dall'umbilico in
giù, perchè il peccato viene dal cuore.
Che questa bacchica santificazione del libertinaggio, questo
gentilesco culto della generazione e della morte non tengan
nulla del vero, ce ne convince il vedere i Catari, ne' libri dei
loro stessi nemici, giudicare peccato fino il congresso maritale:
imporsi una quantità di penose privazioni onde reprimere la
carne, ribellante alla volontà e derivata dal principio maligno;
tre quaresime l'anno, perpetua astinenza dalle carni e dai
latticinj, replicati digiuni, iterate preghiere. Fu dalla loro
congrega respinto uno perché reo di fornicazione; e san Ber-
nardo, fierissimo nell' enumerarne le colpe, confessa non v'era
^•' Fu \wv opporsi alla Consolazione degli Albigesi clic noi Concilio Latera-
nensc IV, del 12 lo, si onliiiù di confessarsi almeno una volla l'anno o comunicarsi
alla pasi|ua.
— 1S3 —
j^J^.^ _ ^ ^
p-|j CAPITOLO Vili. D ■— I
cosa in apparenza più cristiana dei loro discorsi, né più lontani (
d'ogni taccia che i loro costumi». Lasciamola pure da Bossuet i
chiamare ipocrisia profonda 20 ; l'uomo può egli giudicare il suo )
simile da altro che dagli atti? Resta a Dio lo scrutar le reni (
e i cuori; e Bossuet stesso non seppe incolparli con fondamento . \
se non di alcuni eccessi, com'era il condannare il matrimonio,
il moltiplicare astinenze; che pure aveano comuni con tanti
anacoreti. Il domenicano Sandrini, che potè a sua posta frugare
gli archivj del santo Uffizio in Toscana: — • Per cercare ch'io
» facessi nelle processure dei nostri frati, non ho trovato ap-
» puntati d'enormità i Consolati in Toscana, né che commet-
» tessero eccessi di senso: e il tacer per modestia parendo
» poco credibile in uomini che di ogni erba faceano fascio per
» aggravargli avversar], bisogna credere, più che di sensualità,
» errassero d'intelletto ^i ».
Quindi non esitiamo a rifiutare per ispurie alcune profes-
sioni di fede, esibiteci da' loro antagonisti , secondo le quali
gli iniziati rinunziavano non solo a tutte le sane credenze della
religione ma ad ogni costume, ogni pudore, ogni virtù. Il Martene
ne riferisce una formola, che può tenersi verace perché data
da fra Ranerio, persecutore di essi acerrimo, quali sogliono
essere i convertiti. Or questa com'è?
Raccolta l'adunanza dei credenti, il vescovo, 0 chi per lui,
interroga il neotìto : — Vuoi tu renderti alla fede nostra ? »
Come questi afferma, s'inginocchia e pronunzia il benedicite.
Allora il ministro: — Dio ti benedica », e ripete questa formola
per tre volte, sempre più discostandosi dall'iniziato. Il quale
soggiunge: — Pregate Iddio mi faccia buon cristiano »; e il
ministro replica: — Siane pregato Iddio a farti buon cristiano ».
L'interroga poi: — Ti rendi a Dio e al vangelo? — Si.
— Prometti non mangiar carne, uova, formaggio, né alcuna
cosa se non d'acqua e di legno? (cioè frutta e pesci) — Si.
■ — Non mentirai ? — Non giurerai ? — Non ammazzerai
né tampoco i rettili ? — Non farai libidini nel tuo corpo ? —
Non andrai scompagnato quando puoi avere compagni? — Non
20 Storta (ielle variazioni, ecc.
21 Lanzi, Lez. d^Anlich. Toscane, XVII.
( '
C 21 Lanzi, Lez. d'Anlich. Toscane, XVII. ;
lì)
INQUISIZIONE '-^ ^
mangerai da solo potendo avere commensali ? — Kon ti cori-
cherai senza le brache e la camicia? — Non lascerai la fede
per timore di fuoco, d'acqua o d'altro supplizio? ».
Affermato che il neofito avesse a ciascuna domanda, l'u-
niversa assemblea mettevasi ginocchione : il sacerdote imponeva
al novizio il libro de' vangeli; e leggeva il principio di quello di
san Giovanni: poi lo baciava tre volte. Così facevano tutti,
dandosi l'uno all'altro la pace: indi veniva messo in collo al-
l' iniziato un fil di lana o di lino, che dovesse portare conti-
nuamente.
Nella loro credenza, come in tutte, avevano un arcano,
che non si comunicava se non ai perfetti. — Seppi (dice Stefano
di Bellavilla) da un prete il quale l'aveva udito in confessione,
che, per conoscersi fra loro, questi eretici incontrandosi l'uno
dice prenda per le orecchie: l'altro risponde Sii benvenuto, e
\ gli recita i principali lor comandamenti 22. »
) 22 Pnad le par l'ornile — Bìeii venant soj/ez vouf. Ap. Martene. N. Thes.
t. V. pag. 1794. Dimorando io in ciuà dove è scarsissimo sussidio di libri, e
nessuno di benevola cooperazione, non potei conoscere che nel corregger le bozze
di questo lavoro ìllistoire et doctivie de la sede des Cathaves ou Alhnjeois di
Schmiet, professore ilei seniinai'io proiesianle di Strasburgo, stampata nel 1849.
Nel 1 volume espone la storia loro, nel secondo le dottrine : si vale dei libri
stessi cui noi ci appoggiamo, aggiungendovi i francesi. Separa i Catari dai Manichei
antichi e dai Pauliciani, perchè' questi facevano risultar la creazione dairunione
dell'anima del mondo colla materia , e mista di bene e male ; i Catari invece
credeano il tutto opera del genio del male, e non si appoggiavano su astronomia
0 altre idee persiane, ma su testi della Bibbia. A' Manichei poi era ignoto il Con-
solamento. Inoltre i Tauliciani stessi maledicevano la memoria di Manete, e non
aveano comune con esso fuorché il dualismo. A differenza poi dei Catari , non
condannavano il matrimonio né l'uso delle carni.
Suppone egli nascessero i Catari in qualche convento greco-slavo della Bulgaria,
paese medio fra i Greci e Latini, i mi frati ignoravano la lingua liturgica, imposta
ad essi per decreto, e volentieri accoglievano una dottrina predicala nella lingua
nazionale, e avversa a un culto comandalo. Il principale stabilimento loro fu a
Tran sulle coste dell'Adriatico, donde si dilTusero in Italia. Il dualismo puro si
alterò nella setta de' Concorezj (città dalmata, egli dice, ma della (piale nessun
seppe darci contezza), ch'era simile ai Bogomili di Bulgaria.
Chi ha esaminato a fondo li> dollrine de' Catari potrà vedere che vi abbondano
gli elementi gnostici e manichei; ne la distinzione da questi ultimi parve a noi
si pronunciata.
CAPITOLO VIIT. LJ
Ciò che ne appare evidente si è che la gran sintesi del
cattolicismo, costituita saldamente nel medioevo, cominciava ad
essere scassinata dallo spirito di discussione; la dialettica,
diretta prima unicamente a spiegare ed applicare la Bibbia e
i Padri, (donde nacque la Scolastica, perpetuo sillogismo di cui
era data la maggiore) si avventurò più liberamente nell' ap-
plicarsi alla giurisprudenza e alla metafisica; e piacendosi nei
proprj abusi, ispirò presunzione della potenza individuale, arrogò
ai singoli l'interpretazione de' libri santi, riservata prima allo
Spirito Santo e alla Chiesa; e posta la ragione individuale in
conflitto colla universale, le idee mutevoli col dogma invariabile,
la setta armata di critica che opera sulla passione, contro il
cattolicismo armato di autorità che impera sulla coscienza, si
rimisero in campo le quistioni dogmatiche e le sociali.
Di fatto altre sette suU'andar medesimo germoghavano in
quei tempi. Una a Milano verso il 1173 asseriva che il diavolo
avesse creato Adamo dal fango ; voltava in canzonella molti \
fatti dell'antico Testamento; non comunicarsi lo Spirito Santo (
col battesimo, non succedere la transustanziazione, ecc., ecc. /
Fautore degli eretici, o almeno partigiano del conte Rai- )
mondo di Tolosa fu Bonifazio marchese di Monferrato, « signore
benigno, amatore degli uomini di lettere »; e a lui ricoverò
Anselmo Faidit poeta provenzale, che allora mise fuori una
commedia, tenuta fin là nascosta, col titolo l'Eresie dei
preti *3, sicché la prima o una delle prime rappresentazioni
teatrali appellava a controversie religiose.
Nuove eresie pullularono all'occasione del litigio fra l'uni-
versità (li Parigi ed i frati Mendicanti, nella quale trattavasi
se questi ultimi avessero alcuna proprietà, almeno sopra le
cose che usavano attualmente.
Circolò anche un Evangelium aeiernum, attribuito a Gio-
vanni da Parma, tessuto d'assurdi, attinti in parte dalle profezie
dell'abate Gioachino calabrese, la cui dottrina era anteposta al
nuovo e al vecchio Testamento: e dove si asseriva il Vangelo
cesserebbe nel 1260, quando se ne promulgherebbe un nuovo.
3 Crescimbem, Cdiiimpiit , l. Il, I, p. 't'i.
— 186 — Dp
r— '□ INQUISIZIONE D
tutto di spirito; l'Ordine dei Mendicanti avrebbe jj govern
della nuova Chiesa. ^s
Alquanto più tardi fra Dolci no e Margherita sua donna
predicavano nei dintorni di Novara, tirandosi dietro migliaja
di proseliti, anch'essi diffamati per nefandità, e per togliere
ogni limite nelle relazioni di sesso; ma, a detta di contempo-
ranei, spiaceano al clero singolarmente perchè, offrendo in se
esempj o simulazione di purità, faceano tristo raffaccio alla
corrutela de' preti e de' frati d'allora.
E davvero 1' importanza effettiva di tutte queste eresie
stava nella guerra che portavano allo scapigliato vivere del
clero , che a cure scolaresche chiamato dalla natura dei tempi,
dal privilegio del sapere, dalle ricchezze, vi si era corrotto e,
serviva a corrompere il mondo. Non citeremo poeti o satirici,
ma quel pio Antonio da Lisbona, di cui tanto dicemmo, cosi
predicava :
— Il vescovo d'oggi è simile a Balaam sulla sua asina,
» che non vedea 1' angelo, veduto da questa. Balaam è sim-
» bolo di quel che rompe la fraternità , turba le nazioni , di-
^ » vora il popolo. Il vescovo insensato precipita pel suo esem-
» pio nel peccato e nell' inferno ; la sua follia turba le na-
) » zioni ; la sua avarizia divora il popolo : non vede 1' angelo ,
) » ma il diavolo che lo spinge all' abisso ; e la plebe semplice,
( » dritta di fede , pura di atti , vede 1' angelo del consiglio ,
» conosce ed ama il figliuol di Dio ^4... i\ mal prete e cotesti
» speculatori della Chiesa son ciechi, orbati dalla vista e della
» scienza ; son cani muti , cui una museruola diabolica impe-
» disce d' abbajare. . , Dormono nella colpa, amano i sogni,
» cioè i beni della terra, trastulli degli uomini; la loro fronte,
» impudente come di cortigiana, non sa arrossire, non cono-
» scono misura, e gridano sempre Por^« porto. .. Abbandona-
» rono la via di Gesù pei sentieri tenebrosi e inverecondi. Tali
» oggi siete; domani un'eternità di patimenti v' involgerà ■•^•^...
» L' avarizia rode alcuni preti , anzi mercatanti ; salgono su
2* Sermones sancii Antonit. Parigi 1641, pag. 261.
2» Ibid. pag. 528, 529.
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H_n , — 187 — nJU
CAPITOLO Vili.
'-^
^
» questo monte Tabor che è 1' altare , e tendono le reti del-
» l'avarizia per pescar l'oro; celebrano la messa per buscare
» qualche denaro, e se no , no; e del sacramento della sa-
» Iute fanno letame di cupidità ^'^ Non fiera, non corte
» secolare od ecclesiastica ove non si trovino preti e frati :
» comprano e vendono , edificano e demoliscono , fan rotondo
» il quadro , traggono i parenti al tribunale , e assordano il
» mondo per temporali litigi '^~.... Quant'è dai cosiffatti al prete
» vero, al vescovo buono, figurato nel pellicano, il quale uc-
» cide 1 suoi pulcini, poi spande sovr' essi il proprio sangue e
» li ravviva! Così il buon vescovo, colla verga della disciplina
» percuote i figli suoi , gli uccide colla spada della parola mi-
» nacciante , poi versa su loro le lacrime , e vi fa germogliare
» il pentimento, vita dell'anima. -'^ ».
Pertanto erano ascoltati volentieri questi predicatori d'una
stretta morale, che mostravano portentosa austerità, semplicità
evangelica, carità nel soccorrere e nel!' istruire, quello insom-
ma che i preti avrebbero dovuto essere.
Il riformare la Chiesa sarebbe stato il rimedio più oppor-
tuno a queste pericolose novità, fomentate principalmente dalle
declamazioni contro di essa; le quali, conosciute veraci, fa-
i cavano suppor vere anche le critiche avventate sul dogma. E
di fatto continue riforme proponeansi; e fra l'altre nel Concilio
Lateranense Innocenzo III ordinò ogni chiesa avesse un teo-
logo per ispianare al clero ed al popolo i dogmi ed i precetti:
nuove devozioni s' introdussero ; gli ordini monastici recenti col
{ rigore proprio doveano eccitar gli altri a imitarli. Ma non per
) queste sole vie si procedette.
) Tre secoli avevano lottato i martiri e i santi padri accioc-
^ che la forza materiale fosse esclusa dal santuario dell'anima,
( né comandasse alla fede e alla coscienza : ma gli eretici ve-
/ nivano imputati di delitti che attaccavano le basi della società.
) Il qual fatto, allorché si avveri o si creda, tutti gli onesti
26 Sermoncs, clr. pa^
27 Ibid. pag. 241.
r 28 li}id^ pag. 259.
188 -
l'agli trafitto intinse il dito nel sani^ue, scrisse jiej- terra CREDO.
?ci''. 2:0.
INQUISIZIONE D 1—,
uomini, anteponendo l'ordine sociale al legale, sogliono darsi )
mano , a difesa di quella adoperando il sentimento, le ragioni
e , se altro non valga , la forza. Non è lo spettacolo che ab-
biamo oggi sott' occhio ?
Allora dunque che alla religione era riservata intera la
direzione della società, che dappoi fu assunta dai Governi, l'e-
resia parve giustiziabile come gli altri delitti ; la Chiesa sgo-
mentata chiamò in ajuto il braccio secolare ; agli orrori della
superstizione e dell' impostura oppose gli orrori dei roghi ,
istituendo una corte marziale , un giudizio statario; nomi che
oggi noi subiamo senza diminuir d' ammirazione pe' moderni
progressi , mentre è di moda; il raccapricciare al nome della
Santa Inquisizione, la Polizia del medioevo, detestabile da ogni
buon cristiano siccome un avanzo di gentilesimo ; ma civil-
mente, nulla più riprovevole di altre consone istituzioni moderne,
alle quali non rimangono tampoco l'illusione del fanatismo, la
moralità dell' intento, la scusa della necessità.
Fra i Romani 1' imperatore era capo dello Stato non men
che della religione , non conoscendosi quella distinzione del tem-
porale dallo spirituale, che assicurò nelle età moderne la pri-
ma delle libertà, quella della coscienze. Da ciò le persecuzioni
contra i Cristiani, che ricusavano di credere e adorare come
il principe voleva. I primi apologisti vi si opposero, invocando
la libertà che a ciascuno dee lasciarsi nel negozio più impor-
tante , la salute dell' anima ; ma dacché le eresie scissero
r inconsutile tunica del Salvatore, i Padri non sempre abbor-
rirono dal perseguitare gli erranti, quasi fosse difesa legittima
contro la seduzione da essi esercitata.
Piantata la croce sul trono, gl'imperatori , ancor memori
di quando erano pontefici , pubblicarono leggi, per cui gli ere-
tici venivano con diversa misura puniti; di rado colla morte,
opponendosi i vescovi, che nel Vangelo leggevano: Non voglio
la TiHyrtc ilei peccatore, ma che si converta e viva; e in San-
t' Agostino : A nessun buon cattolico piace che si inctntdelisca
contro chichessia fin alla morte , quantunque eretico. Delle
tre parti poi onde si costituisce un giudizio , la prima, cioè la
cognizione del delitto , serbavasi alla Chiesa, unica competente
a decidere se un' opinione fosse ereticale : la verificazione del
fatto e la sentenza spettavano al magistrato secolare.
Jl . - 189 - D
^ _ ^e^
r— '□ CAPITOLO TIII. ^^H
Cosi andò nel dechino dell' impero romano : dopo la bar-
barica invasione poco occorse di pensare ad eresie o di dover
castigare eretici : contro chi violasse le chiese , e ne trasgre-
disse scandalosamente i comandamenti , e simili peccatori , il
vescovo usava quell' autorità, mista di ecclesiastico e di seco-
lare , che gli era consentita dal principe o dai Comuni, Tal-
volta contro chi fallisse nella fede si procedeva a forza aperta,
e. nel 1028 , trovandosi nel castello di Monforte sull'Astigiano
alcuni sospetti d' eresia , Eriberto da Cantù arcivescovo di Mi-
lano espugnò quel forte e trascinatili a Milano, fece dare alle
fiamme quelli che ricusavano abjurare.
Quando poi , fra le contese del principato colla tiara, creb-
bero gli eretici , vescovi e imperatori credettero dovervi ri-
parar con nuovi rigori , e istituire tribunali appositi , affidati
a que' Francescani e Domenicani che pur lodammo di pia man-
suetudine e cristiana amorevolezza. Appoggi avansi gl'inquisi-
tori a decreti non di papi, ma di imperatori: fin dal 1196
Enrico VI avea fatto legge che cadessero al fisco i beni dei
Patarini , e niuno si opponesse al loro arresto : Ottone IV da
Ferrara nel 1210 metteva i Gazari e Patarini al bando del-
l' impero ed a gravissime pene. Federico 11 , che dai partigiani
delle corone vien lodato per aver resistito ai papi , fu de' più
accaniti persecutori degli eretici ; alla sua coronazione in Roma
li fulminò di pene temporali , poi , stando a Padova col nostro
Ezelino , promulgò quattro editti , ove « usando la spada che
Dio gli ha concesso contro i nemici della fede » toglie in pro-
tezione gli inquisitori, vuole che i molti eretici, onde è infetta
principalmente la Lombardia , siano presi dai vescovi , che li
diano alle fiamme nitrici, o se meglio pare, strappino ad essi
la lingua : prima legge di morte per tali colpe. Nelle Costitu-
zio7ii del regno di Sicilia ne pose altre contro i Patarini, la-
mentandosi che dalla Lombardia dove abbondavano (quel ma-
ligno voleva insinuar con ciò le repubbliche fossero pericolose
anche alla religione ; arti vecchie ! ) si fossero diffusi a Roma
e perfino nella Sicilia 29. Contro di essi deputò 1' arcivescovo
di Reggio e Riccardo di Principato suo maresciallo ; drago-
29 Constit. Inconsulilem ; Const. De receplatoribus, etc. I. I.
— 190 — p
À
nata che mandò a morte quanti colse , e impedi che i Pata-
rini si propagassero nell' Italia meridionale.
Altre erano le armi della Chiesa: e nel Concilio Latera-
nense fu ordinato gli eretici fossero infami, non ascoltati in
giudizio : se giudici, non valga la loro decisione ; non possono
esercitare da avvocati e notai ; non far testamento , non ere-
ditare.
) Dopo la non mai abbastanza deplorata spedizione contro
\ gli Albigesi, dove i Francesi, sotto aspetto di rehgione , ri-
/ dussero alla nazionalità e all' accentramento i Provenzali coi
( modi stessi con cui, sei secoli dopo, compirono la stessa opera
1 Robespierre e i Terroristi '^, colà furono posti inquisitori, ma )
S non aveano tribunale proprio ; solo eccitavano la podestà a pu- \
\ nire gli eretici; od armavano qualche potente barone ai loro (
( danni ; talora aizzavan il popolo , segnando con una croce di
> panno quelli che volessero a tale impresa dedicarsi , e congiunti
} li conducevano a sterminare gli eretici ^^ Ma condannar a l
\ morte, e tanto meno mandare non potea la Chiesa; sicché per /
\ r applicazione dei decreti imperiali dovette ricorrere al brac- ^
ciò secolare , tornando cosi a quella confusione di poteri che \
tanto essa avea faticato a distinguere : e dopo che essa avea
esaminato se constasse del delitto e del delinquente , dichia-
rava questo meritevole d' una pena, la cui applicazione era
affidata all' autorità laica.
Bensì qual sovrano di Roma il papa non dubitò pubblicar
decreti di sangue come gli altri re; Catari, Patarini e d' altro
nome Gregorio IX bandì fossero mandati al fuoco , o , se si
convertivano, al carcere perpetuo : chi li ricettasse , divenisse
^0 Contro alle crudeltà delia guerra degli Albigesi papa Gregorio pretesiava
altamente; e a Pelagio vescovo d'Albano scriveva che Dio vuol mantenere la libertà
della sua Cbiesa in modo che l'umiltà non impedisca di difenderla, e la difesa non
ecceda i lìmiti dell'umanità : volersi non mutilare o uccidere, ma ricondur sul cammiu
dritto; esser indegno di'll'csercito di Cristo uccidere o mulilare, sformando l'imagine
del Creatore: ed irritarlo col dilettarsi del sangue: basta far custodire gli scoperti,
si che sien più contenti della schiavitù loro che della liberta goduta; e gì' in-
giunge di proibire ogni violenza. Ep. 19 maggio, ap. Uainaldi, .V. 44. Come
fosse obbedito ognun io sa.
5^ V. Fra Paolo Sarpj. Sopva riiujuisizionc.
— 191 — D.
~-&rl:5]
nra capitolo viir.
infame, da non poter ricevere eredità, non ricovero negli spe-
dali , non stare in giudizio ; nessuno ardisse disputare sulla fede
in pubblico od in privato : chi conosce eretici, li denunzj al
suo confessore. Di conformità alle quali ordinanze , il senato
di Roma gravi pene comminò ; ne fossero per sempre diroc-
cate le case: il senatore , entrando in signoria, giurava non /
usar loro indulgenza. Molti furono di fatto arsi; molti ravve- \
dutisi vennero messi a far penitenza ne' monasteri di Monte- (
cassino e della Cava: molti preti o degradati, o al fuoco. \
Cosi il popolo s' abituava al sangue , e disusava quella ^
virtù, che quasi tutte l'altre comprende, la benevolenza fraterna.
Nelle varie città si stabilirono questi tribunali di sangue, ^
i quali fecero alla religione molto più torto che non coloro i
contro cui erano alzati. A Milano fin dal 1228 il cardinale {
Goffredo legato fece dalle autorità decretare che quahmque \
persona a sua volontate potesse pt^endere ciascun her elico: |
item che le case dove Cibano ritrovati si doressero rovinare, e \
il beni che in esse si ritrovavano, fossero pubblicati 2^. Enrico \
da Settala arcivescovo, allora istituito inquisitore, jugidavit (
hcereses , come dice il suo epitaffio. La qual menzione fattane ^
sopra la tomba dimostra come quella venisse reputata opera
meritoria : e più lo dimostra un monumento che tuttavia con-
serviamo a Milano , e che è la prima statua equestre che si
conosca dell' età moderna , posto nel 1233 a Oldrado da Trés-
seno lodigiano podestà , che Cìiataros ut debuit uxit fussitj.
Kon vi sia però clii vanti che il retto senso e il hbero pen-
sare sian nati ieri : perocché quell' arcivescovo fu espulso dai
Milanesi; e quanto a colui da Tré sseno , il cronista, che pur
frate , riconosce che il resogli onore fu un grande obbrobrio ^^.
In Milano la razza de' Patarini s'era avvivata (credo averlo
già detto) ai tempi del Barbarossa, e l'arcivescovo san Caldino
nel 1176 mori dopo avere declamato vivamente contro di essi.
Da poi erasi fatto protettore degU eretici il conte Egidio di
Cortenova nel Bergamasco, ed Innocenzo III nel 1203 tanto
32 CORIO, p. II, f. 72.
^•> 111 marniorr supe l'quum resldeiis sculplus fui/, ijuml marjnum vilnpprium
fuit. Galva>o Fiamma. '
®^
■cn [jiH
Q
I 'q eretici in ROMAGNA D
fece, che vide per forza distrutto il castello di lui, e raccomandò
agli inquisitori che più noi lasciassero rifabbricare. Eccitò quindi
i Milanesi a prendere il castello di Mozzànica, il cui conte
raccettava eretici: arrestare Manfredo da Sesto, altro campione
de' Patarini, che avea tenuto mano ad uccidere presso Brera
il francescano Pietro d'Arcagnago: e cosi Roberto Patta da
Giussano milanese, il quale nel castello di Gattedo (eh' è ora
un casale ascoso tra le foreste della pieve di Mariano) tenea
pubblica scuola d'eresia: vuole ancora che gli inquisitori dis-
sotterrino gli eretici morti, e ne facciano bruciare le case ^^.
Il podestà gravò d'imposte straordinarie le terre più infette.
Molti Manichei stavano in Orvieto, dove avea portato
l'errore il fiorentino Diotisalvi ^a. Verso il 1150, dicendo nulla
significare il sacramento dell'eucaristia: il battesimo non occorre
alla salvezza: nulla giovarsi ai morti con limosino ed orazioni;
tutte le cose create essere fattura del diavolo e sotto la sua
potenza. Venivagli compagno Girardo di Marsano in Campania,
ma il vescovo Riccardo, seduto dal 1169 fin dopo il 1200, li
cacciò. Successore Melita, e Giulita, le quali con gran fama di
santità sedussero donne e uomini molti. 11 vescovo, col consiglio
dei canonici, de' giudici e d'altri, molti ne uccise, bruciò, esigilo.
Poi Pietro Lombardo dottor manicheo, da Viterbo ad Orvieto
venne a predicare contro i cattolici, volendo espellerli di città.
Gli Orvietani ricorsero a papa Innocenzo III, che mandò Pier
da Parenzo nobile romano, il quale, oltre le altre virtù era
fedele pagatore delle decime. Giunto in Orvieto il febbraio 1199,
e ricevuto tra ulivi e palme, cominciò dal proibire i combat-
timenti che si costumavano in carnevale, giuochi che portavano
fin a omicidj. Ma gli eretici istigarono a violar il decreto, e il
primo giorno di quaresima seguì un grave battibuglio; Pietro
fece abbatter le torri delle case grandi, dond'erano stati tratti
colpi: poi, col parere di savie persone, ordinò che quelli che
un tal giorno si riunissero in chiesa, vi sarebbero ricevuti; i
contumaci, puniti secondo le leggi e i canoni. Molti abjurarono,
altri furono flagellati, sbanditi, tassati.
ììuìlarium Franrisrnììuw, t. I, |). 7(Ì0. Ihiìtinir., I. I, p 2ol.
(^ ^■' lìoiXANDiSTi., l. X, |i. 8o. Vila S. l'olii l'aieii. e. I.
A Pietro reduce, il papa domandò: — Come hai tu eseguito
bene gli ordini nostri?
— Cosi bene, che gli eretici di Orvieto mi cercano a morte.
— • Va, e segui a combatterli: che non possono uccidere
se non il tuo corpo. Ove t'ammazzassero, io ti do l'assoluzione
di tutti i tuoi peccati ».
Pietro, fatto testamento e congedatosi dalla desolata fami-
glia, tornò all'impresa.
Innocenzo III in persona nel 1207 mosse a sbrattar Viterbo
da' molti eretici, rimbrottò i cittadini che scegliessero i consoli
fra quelli, e li chiamò nd obbelienza: poi, raccolti abati, ve-
scovi, conti, baroni, i ]) )destà di Toscana, del ducato di Spo-
leto, della Marca d'An^jona , e d'altre terre della Chiesa ^6^
ordinò: « Qualunque eretico nel patrimonio di san Pietro sia
) trovato, si consegni al braccio secolare per essere castigato;
) gli averi divisi tra il delatore, il Comune e il tribunal giudi-
l cante; abbattuto il ricovero ».
In Ferrara Armando Pungilupo , morto con fama di virtù
e di santità , appunto nei tempi compresi nel nostro racconto,
venne tenuto molti anni in venerazione ; poi fu sospettato d'e-
retico, e cominciatigli i processi, si scopri aver coi Catari con-
versato, ricevutone la Consolazione , deriso le ciance di quelli
eh' esso chiamava pretones e fratones e la pretenzione di voler
rinchiudere Dio in una pisside : arrivò fino a dire che gl'inqui-
sitori faceano male ad ardere e sterminare i miscredenti. Laonde,
condannato come eretico, il cadavere suo passò dagli altari al
rogo.
Pari vicenda corse in Milano la Guglielmina. A'enuta di
Boemia , costei spacciava di essere lo Spirito Santo, incarnato
in una donna ^7 per redimere quelli che non erano stati
{
su Recjesia, N. 123. Lib. X, ep. dóO.
37 Altra volta s'aspettò la donna Messia, e lutti conoscono i gnoslici, Postel,
dotto orientalista della mela del secolo XVI, rese celebre una Veneziana sotto il
nome di mamma Giovanna, di cui la sostanza e il corpo diceva discese in lui, e
talmente si dilTuse per lutto il corpo clie non esso, mu olla medesima in lui vivea.
Morì (la non mollo in Inghilterra Giovanna Southcoie, di Gì anni, vergine e gravida,
y che promise risusciterebbe, e che diceasi la donna d '11' Apocalissi.
D^
h?
— 191 —
salvati da Cristo; Giudei, Saracini , cattivi cristiani; averla
l'arcangelo Gabriele annunziata a sua madre il di della Pente-
coste; dover morire, poi risorgere, ed elevare al cielo l'uma-
nità femminile : lascerebbe invece sua la discepola Mainfreda,
che avrebbe celebrato dapprima sul sepolcro di lei , posto a
Chiaravalle , casale vicin di Milano , e la sua visita fruttava
tante indulgenze quante il passar in Terrasanta: poi questa
Mainfreda crescendo celebrerebbe nel duomo di Milano, infine
a Roma, dove, abolendo il mascolino, istituirebbe il papato
femminile. Quando ella visse , il popolo la venerò ; morta, fu
tumulata splendidamente a Chiaravalle, e tenuta per santa,
illustrata la tomba sua con preci e con miracolose guarigioni.
Poi si cominciò a susurrare di questa santità; il popolo, colla
solita facilità, cominciò a voltar gli omaggi in obbrobrio e
colla solita esagerazione suppose le adunanze di quei cre-
denti, che si tenevano nel quartier di Porta T^uova, fossero
conventicole di prostituzione a lumi spenti s^,: prete Andrea e
la Mainfreda , apostoli di quel culto , tratti al tribunale, e coi
tormenti convinti di eresia e d' empietà , furono arsi vivi : le
ossa della Guglielmina gettate alle fiamme perchè non se ne
facessero reliquie.
Là sul 1260 Gerardo Segarelli di Parma invitò a far pe-
nitenza , a riformare i costumi , assumere rigoroso tenore di
vita: ma esso ed i seguaci suoi furono sentenziati da Onorio IV
papa. E vero che egli fece pubblica professione di fede, in nulla
disformo dalla cattolica: ma forse caduto poi in altro errore,
ss Una Icltera del 15 giugno 1255 di papa Grcgoiio al vescovo di Magonza
(VII ep. 177, ap. Rainaldi, 1255, n. 42) narra di certi eretici deirAleniagna che,
quando acccllano un novizio, e' vede un rospo grosso più d'un' oca, baciato da
alcuni sulla bocca, da altri dietro. Indi un uomo pallido, occhi nerissimi, pelle e
, ossa, lo bacia e il sente freddo ghiacciato, e do|)o (piel bacio scordasi della lede
( cattolica. Fan banchetto, dopo il (juale, di dietro ad una statua sbuca un gatto;
) il neolito lo bacia dietro, poi il preside deirasseniblca e gli altri che ne son degni;
( gli imperlelli son baciali solo dal maestro : promettono obbedienza, si spengono i
( lumi, e allora ogni impurità. Ogni anno ricevono la pas(pia, e portano l'ostia a
; casa, ove la buttano nel cesso. Credono in .Lucifero, averlo Dio ingiustamente
l cacciato dal cielo, e che tornerà in gloria. Chianiavansi Stadinghi; forse dagli
Sledinger, tribù frisona.
— 195 —
[^
t] CAPITOLO YIII. U L-i
venne preso, ed istituendo il processo fra Mainfredo da Parma,
fu con molti suoi bruciato vivo in Patria.
Di eretici formicolava Brescia, così sfacciati che dall'alto
delle torri scagliando fiaccole ardenti, scomunicavano la Chiesa
romana. Contro de' quali papi Onorio nel 1225 inviò il vescovo
di Rimini, con ordine di sterminarli ^^ ; e in fatto egli ab-
battè molte chiese da loro contaminate, poi le torri de'signori
Gàmbara , degli Ugoni , degli Oriani , dei Bottazzi , eh' erano
i più pervicaci ; e colpì i rei d' una scomunica , che non po-
tesse sciogliersi se non andando in persona a' piedi del papa.
Molti Catari fece bruciare in Piacenza il podestà Zoccola bo-
lognese. Abbiano di sopra dovuto compiangere che , nel luglio
del 1233 , fra Giovanni da Schio nella sola Verona abbia arso-
in tre giorni sessanta fra uomini e donne. Alcun tempo prima,
cioè il 20 ottobre 1227, Gregorio IX scriveva ai frati Minori
di San Donato in capo al ponte di Bassano, vigilassero a pre-
servare la vigna di Cristo dalle volpi che la insidiavano nella
diocesi di Vicenza e nei dintorni.
Vivo contradditore degli eretici era stato in quei giorni An-
tonio da Padova, e singolarmente si adoperò a Rimini, dove
convertì Buonebello , già da trent' anni fuorviato , ed operò
que' gran portenti che altrove divisammo. Martello degli ere-
tici mostrossi pure Tommaso d'Aquino da Roccasecca, il più
gran teologo del medioevo ed uno de' maggiori filosofi ; il quale,
entrato ne' Predicatori, disputò tutta la vita coi dissidenti , fu
perseguitato, e da Keginaldo fratel suo (congiurato, per quanto
si disse, con Pier dalle Vigae) tenuto lungo tempo prigione.
Da lui non va discompagnato san Bonaventura di Bagnarea,
frate minore e mistico insigne.
Anche in Toscana erano molto allignati i Patarini, e nel
1212 predicava a Firenze un famoso lor vescovo Filippo Pa-
ternon ; che estendeva la giurisdizione da Pisa ad Arezzo. Nel
1228 Gregorio papa ingiunse a fra Giovanni da Salerno, com-
pagno di san Domenico, e ad altri, che giuridicamente proce-
dessero contro costui ; primo esempio di inquisizione straordi-
naria in quella città. 11 Paternon processato, abjurò, ma ben
S9 Rainald), ihid/'in, n. 47. )
-196- dJ
Chiuso Enzo in cortese prigion« nella loro citU , ogni giorno i magistrati gì ren-
devano visita. Pag. 225.
SAN PIETRO MARTIRE
tosto ricadde. A fra Giovanni da Salerno morto succedette
fra Aldobrandino Cavalcanti : e il primo inquisitore domenicano
piantato regolarmente a Firenze fu fra Ruggero Calcagni , a
cui il papa conferì autorità d' aver tribunale in convento. Eresse
il primo processo nel 1243 ; e cominciò a citare gran numero
d' eretici , e oltre le pene pecuniarie e di censura comunicate
ai contumaci; il papa aveva ingiunto ai signori di palazzo con-
segnassero i rei in mano degli ecclesiastici. L'inquisitore trovò
colà capi dell'eresia Baron di Barone e Pulce di Pulce, che
aveano case a San Gaggio , a Magnone , a Settimo , in Pog-
gibonzi ov' era pure la scuola, nel Pian di Cascia, a Ponte
Sieve , munite per resistere alla forza. Da costoro il vescovo
Paternon fu cavato di prigione; ed avendo per prudenza mutato
paese, venne a lui surrogato nel ministerio Torsello, quindi Bru-
netto, infine .Jacopo da Montefiascone, che con un Marchisiano
ed un Farnese erano da prima ministri d'esso vescovo. Dava fa-
vore ai Patarini la parte imperiale; e v'aderivano, oltre i no-
minati, Gherardo Cavriani e casa sua. Chiaro di Manetto, conte
di Lingraccio , Uguccione di Cavalcante , i Saraceni , i Mal-
presa : molte donne ancora, siccome Teodora Pulce, un'Aldo-
brandesca, una Lotta, una Contrelda, un'Ubaldina, altre ed
altre. Essa Teodora serviva ai poveri e li manteneva d' ogni
cosa ; intervenivano alle prediche e dopo queste ricevevano la
Consolazione ; ed erano sempre le prime a dar impulso alle
collette che a prò dei poveri o de' predicanti si facevano. In-
somma i Patarini comprendevano un buon terzo della città :
e le adunanze tenevano principalmente in casa i Baroni, che,
come dipendenti dall' impero, rimanevano esenti dalla giurisdi-
zione comunale.
Punto atterrito da tanta potenza, fra Ruggero fé carcerare
alcuni, ma essendo questi stati liberati dai Baroni, il papa
scrisse alla Signoria , con ogni opera ajutassero gli inquisi-
tori a punirli , e per appoggio inviò fra Pietro da Verona.
Questo, che or noi veneriamo col titolo di san Pietro Mar-
tire , era nato a Verona da genitori patarini; entrato ne'Pre-
dicatori, apparve de' più zelanti e sin dal 1232 era stato posto
inquisitore per Milano e pel contado. Mentre egli dimurava nel
convento di San Giovanni a Como, un frate intese delle donne \
l susurrar nella cella di lui , e 1' accusò, onde fu relegato a >
'^ • m
zi_a * - 197 - oJi}
Cantù — Ezelino. 13
^^ : E^
jj CAPITOLO Vili. D '-1
Jesi : ma non senza prodigio egli provò ^o che erano le sante \
Agnese, Cecilia e Catarina , comparsegli ; onde fu rimesso in ì
onore. Spedito a Firenze , cominciò a predicare con altissima }
voce e continue invettive , sostenendo le ragioni con mira- {
coli. La piazza di Santa Maria Novella riusciva angusta alla \
folla , onde venne ampliata ; al modo di Milano e d' altrove ,
istituì la Società dei Laudesi , pii uomini che assistevano alle
prediche , cantavano le lodi di Maria Vergine , e veneravano
il SS. Sacramento , quasi in compenso degli oltraggi che gli
erano avventati dai Patarini. E il culto del sacramento fu
cresciuto in quei giorni tanto dal miracolo fatto da sant' An-
tonio della mula che abbandonò 1' avena per porsi in atto di
adorazione, quanto da un altro in Firenze, ove un sacerdote,
avendo dimenticata parte della sacrosanta bevanda in un ca-
lice il di seguente la trovò conversa in sangue vivo. Pietro da
Verona persuase alcuni nobili che in arme venissero al con-
vento per guardia de' frati , e ne compose uno squadrone, che
> fu poi ridotto alla sacra milizia dei capitani di Santa ]^Iaria ,
|> con veste bianca , croce rossa sul petto e sullo scudo : tutti
ì pronti a far com' egli volesse ^^ S' incalorirono allora i pro-
) cessi: uomini e donne furono bruciati; ma i Patarini, non che
) convertirsi, accanivano: i Baroni esclamavano contro queste
esecuzioni come inumani ed illegali ; e se ne facesse appello
all' impero. Sedeva podestà in Firenze Pace da Pessanola
bergamasco , uomo di coraggio e , pei litigi di Federico col
papa , mal vòlto a questo. Egli le querele de' perseguitati a
viso aperto sostenne , e controffaceva al tribunale ; onde preso
cuore molti s' armarono , i frati venivano per le vie insultati.
1255 Pur quando fra Ruggero citò al suo tribunale i Baroni , essi
[jg comparvero sommessi in atto e pronti a quanto i giudici im-
ponessero. L' inquisitore , adombrato da tanta potenza , volle
dichiarassero in carta che , qualunque volta fossero chiamati,
e' comparirebbero ; ma quando s'intese stavasi per pronunziare
40 Tatti, Marlì/rolnr/iuni novoromense, p. 74.
*i Sulla facciala dcirulììzio del Higallo, rimpetto a San Giovanni, Taddeo Caddi
dipinse a fresco san Pietro marliro (piando a dodici nobili fiorentini dà lo stendardo
C bianco con croce rossa, perchè tutelino la lede. )
Un - 193 - g— !
contro di loro grave giudizio, il podestà inviò agli inquisitori
) due mazzieri del Comune a protestare contro la sentenza , la
\ cassassero, e comparissero al suo tribunale. Fra Ruggero, che
^ non era uomo da piegare la cervice, ricambiò al podestà un
) monitorio di comparire : e Pietro da Verona attorno fra il po-
) polo ad eccitar i fedeli ed armarli : tutto è in rotta ; e la città
) si parte fra la fazione cattolica e la miscredente. Un giorno
) festivo i Patarini , spiegate le bandiere del Comune, assalgono
/ due chiese cattoliche, e sperdono i preganti. L' inquisitore pro-
) nunzia infami Pace e Barone , invitando amorevolmente chi
) volesse ritornare alla vera credenza ; ma poiché la minaccia e
* le blandizie non chetano i Patarini, né li rattengono dagli
insulti , fra Pietro mette in ordinanza un esercito di fedeli,
' e si pone a lor capo colla bandiera bianca crociata di rosso ,
) e addosso ai Patarini. Alla Croce, al Trebbio, in piazza Santa
\ Felicita fu grave abbaruftata , e i miscredenti andarono colla
) peggio. Questa rotta fu per molti occasione di convertirsi; i
) quali in Santa ÌNlaria Novella abiurati gli errori, ricevevano una
( croce rossa , da portare cucita in sulle spalle. Molti di questi
/ lasciarono gli averi ai frati : il papa nominò fra Ruggero ve-
scovo di Castro, e inquisitore Pietro da Verona.
, Segnalato per tante opere di zelo, questi tornò a Milano,
' ove dell'opera sua molto era duopo. Non allora soltanto furono
) veduti i popoli, gravati da sventure a cui non sanno rasse-
' gnarsi e non vogliono piegarsi, sfogare l'odio contro Dio e le
sante cose. Quando Federico II venne minaccioso sopra la loro
\ città, i Milanesi insultavano apertamente ai riti, sospendeano
( capovolti i Crocifissi, uccideano gli ecclesiastici: e « i fedeli
1 vedeano con indifferenza questi sacrilegj, e in onta dei divini
\ precetti, mangiavano persin di grasso nei giorni proibiti -^'^ ».
) Non mancava dunque opera a fra Pietro : però i Milanesi allora
) non credeano che l'eroismo consistesse nel far nulla, né il
\ coraggio nelle dimostrazioni negative; ma dalla libertà erano
) resi risoluti e intolleranti deìla prepotenza, dond'ella venisse:
\ d'altra parte esempj non mancavano di vendette contro gli
E
*2 Matteo Paris, in Enrico HI.
-^.
gTl^ _- -H=pg
I '□ CAPITOLO Vili. LJ '—j
ì inquisitori ^3^ e il contagio dell'imitazione è de' più volatili.
) Per togliere dunque di mezzo fra Pietro, congiurarono Stefano
1252 de' Gonfalonieri d'Agliate e Manfredo da Olirone, perseguitati
e sbanditi per eresia; un Jacopo della Chiesa milanese, abitante
in porta Zobia, comprò la scelleraggine del Porro d'Asnago e
) del Carino, bravacci da coltello, i quali, mentre fra Pietro
^ tornava da Como a Milano, lo scannarono tra Meda e Bar-
lassina ^4, Egli trafitto, intinse il dito nel sangue, scrisse per
) terra Credo, e spirò. L'assassino, al quale non si può mutar
\ il nome né scemar l'esecrazione, qual che ne sia il movente
,' e il braccio, trovò chi l'applaudi, tanto le fazioni possono of-
> fiiscar il senso morale: il papa, udito l'atroce fatto, scrisse alla
( repubblica milanese, concedendo tre anni d' indulgenza a chi
(' armasse per vendicarlo; la città di fatto levasi a sommossa;
{ corre alle carceri ov' erano tenuti i rei, ma il podestà gli aveva
( lasciati fuggire, onde la vendetta si sfogò sulla casa e sui mo-
) bdi di questo. Il Confalonieri però , dopo vagato gran tempo,
\ fu dalla coscienza spinto a costituirsi; e nel 1260 condannato
) dal papa a perpetua prigionia, trovò modo a camparne, ma
) nel 1265 còlto dall' Inquisizione, pagò colla vita. Il Carino
\ entrò frate domenicano, e tanto penti che fu poi venerato per /
( beato 45, (
Sorte conforme a quella di fra Pietro era tocca anni pri- \
ma a maestro Rolando di Cremona, il quale forse è lo stesso
padre Moneta da noi già mentovato , che introdusse i Predi-
catori di Cremona, fu lettor di fisica , filosofia e medicina al-
' r università di Bologna nel 1218: e poi mosso dalle prediche
; del beato Reginaldo, si fé frate *'', scrisse una Swnma tìieolo-
^ *5 Nel 1207 sii Albigesi avevano iicciso il legalo pontifizio Pier di Caslelnau,
che mirava a sterminarli, e cadde esclamando : — Dio vi perdoni, come fo io » .
Qui sopra toccammo l'uccisione di Irà Pietro di Arcagnano.
^ ** Calchi ad ami.
^ *^ DuUarium Dominic, l. I, p. 2:24. /
' *^ Veramente il Gliirardacci distingue il Rolando cremonese eccelente juriscon- ì
■i sul/o et Iheolofjo, il (junlc scrisse nella scienlia della Tkeologia et pubblicamente in S
) Bologna insegnava le leggi; da un certo Moneta da Cremona theologo et filosofo )
{ famosissimo, hnomo vanissimo et di poca lodata vita al secolo, che fu poi il primo \
'> lettore di tkeologia che quell'ordine havesse in Parigi. Della liist. di Bologna al 1219). !
• Ma ho argomenti a crederli Tidenìica persona. /
^_^l — 200 — Dj — '
gice et philosopliice e nel 1234 preJicò la croce contro di Eze-
lino , il cui nome almeno bisogna che ricordiamo di tratto in
tratto insieme co' suoi contemporanei. Fra Rolando , mentre
missionava sulla piazza di Piacenza , venne da una truppa di
eretici assalito a sassi e pugnali , e lasciato per morto. Né molti
anni dappoi fra Pagano da Lecco , andando per" istabilire il
sant' Uffizio in Valtellina, fu trucidato colla sua compagnia.
Pietro da Verona fra pochi anni fu alzato agli altari con
'Una solennità splendidissima nella città delle splendide feste ;
e deposto in un'arca, che è dei monumenti piii insigni del-
l'arte risorgente '^^; poi Tiziano immortalò il fatto in una ro-
bustissima tela.
Neil' uffìzio d' inquisitore a Milano gli successe quel fra
Ranerio Saccone, convertito, cataro di cui ci cadde replicata men-
zione. Nel 1255 egli lesse dal pulpito del duomo un munitorio
contro i Patarini ^^, dettò un libro per confutarli , poi datosi
alle persecuzioni, spianò la Gatta, luogo dei ritrovi loro, e
fece ardere i cadaveri di due loro vescovi Desiderio e Nazario,
perchè tenuti in venerazione : né si rallentò finché Martin
Torriano, a lui avversissimo , lo fé' cacciare nel 1259.
Oltre a queste persecuzioni clamorose, si continuavano le
segrete, massimamente dopo che Innocenzo IV concesse rego-
lare giudicatura agli Inquisitori. Piantato un tribunale , non
poteva esser migliore degli altri del suo tempo ; e si videro
rinnovate le sevizie de' processi di Roma pagana : cavillo di
domande , confessioni estorte colla tortura , benché questa
fosse esclusa dal diritto ecclesiastico ; supplizi esacerbati , de-
plorevoli vieppiù perché faceansi in nome di quella religione
eh' era venuta ad abolire tali gentilesche iniquità.
Se tu sei curioso di sapere come camminassero i processi
in quei principj, cerca nel Tesoro del Marténe uno scritto di
fra Stefano di Bellavilla , ove ne divisa il modo , che previene
di molti secoli le belle arti delle Polizie d' oggidì. Per esem-
pio , non si deve interrogare i convenuti direttamente se il
fatto sia 0 non sia , bensì supporlo ; e chiedere degli accidenti
*7 III Sanl'Eiistorgio a Milano; opora di Giovanni di Baldiiccio da Pisa nel io39.
*8 È riportalo dal Campi nella St. Ecclesiastica di Piacenza, t. II, p. 402.
— 201 —
I^lrs— — — — — — _^.^^,_..-.„ — ^__.-._ — — ~- -G|E]
j— □ CAPITOLO Vili. □■|— j
di esso , domandare : — Quante volte vi confessaste per ere- )
tico ? — In qual camera di vostra casa si fece il tal atto? » : \
tìngere di leggere da un libro la vita del processato e le in- )
terrogazioni che gli si fanno : obbligare chi se ne confessa i
conscio H denunziare gli eretici , e così via. ì
Le sto'rie e più gli archivj non iscarseggiano di questi do- [
aumenti sciagurati, e noi, che già altrove ne riferimmo an- (
che troppi , qui soltanto toccheremo di un processo d' età al- ì
quanto posteriore , esistente nell' archivio arcivescovile di To-
rino '*®. Antonio Galosna di San Raffaele era accusato di cre-
dere ed insegnare che il signor della terra è il drago, cioè,
il principio maligno , più forte del Signor del cielo , e creò '■
tutte le cose visibili ; la beata Vergine concepì d' uomo , né (
Cristo fu il redentore del mondo, predetto da Isaia; la in- (
tercessione de' santi a nulla giova; non v' è paradiso né in- \
ferno , e quindi son vani i suffragi pei defunti : meglio dei (
sacramenti tutti valere la comunione del pane , qual faceasi (
dalla setta loro , fuor della quale non e è papa e sacerdote \
vero: e la Chiesa romana è regina di menzogna. {
A Giacomo Bech di Chieri si apponeva che da trent'anni \
appartenesse alla setta de' Fraticelli della povera vita ; fosse
stato in Toscana con loro ; in Schiavonia avesse udito i Catari,
e giurato la loro credenza , la quale era che il demonio avesse
creato le cose visibili e Adamo ed Eva; fosse caduto dal cielo,
ed ora facesse penitenza nel mondo per risalire poi alla gloria;
esser le anime d' uomini e donne appunto demonj caduti, i
quali dopo la morte dell'uno entrano in un altro o in bestie;
sicché r inferno e il purgatorio sono unicamente in questo
mondo, né vi sarà resurrezione de' corpi o giudizio finale; non
v' è papa se non nella loro setta , fuor della quale non si dà
salvazione ; inutile il battesimo ; non colpevole 1' incesto , né
r usura ; Mosè fu il maggiore peccatore , e dal demonio rice-
vette le tavole della legge.
Furono accusati avanti ad Anton di Settimo da Savigliano,
inquisitore dell' eretica pravità nella Lombardia superiore e nel
marchesato di Genova, contro Catari, Patarini, Speronisti,
49 Protocollo 01. Ibi. XLVI.
— 202
rais-
pjQ INQUISITORI
j Leonisti, Arnaldisti, Circoncisi, Passagini, Giuseppini, Fran-
( ceselli, Bagnolesi, Cornisti, Berraccaroli , Carranelli, Varini,
Ortolani, Sacatesi, Albanesi, Valdesi, e d'ogni altra maniera
eretici. Processati e convinti come relapsi furono abbandonati
al braccio secolare e consegnati a Pietro Malabaila vicario di
Torino, perchè soggiacessero alle pene decretate e alla confisca
dei beni.
Quel che concordemente viene rinfacciato ai Patarini è
l'ostinazione, perocché, di mezzo agli strazj, in prospetto della
morte obbrobriosa , anziché convertirsi , viepiù s' induravano,
protestavansi innocenti , spiravano cantando lodi al Signore,
e colla speranza di presto congiungersi nel suo abbraccio.
Nella storia dell' orrenda crociata degli umanissimi Francesi
contro i Provenzali, simili esempj sono moltiplicati quanto
le atrocità. In Lombardia serbarono memoria d'una fanciulla,
di cui la bellezza e l'etcà mettevano in tutti compassione;
talché, deliberati di salvarla, vollero assistesse, mentre padre,
madre, fratelli venivano consumati dalle fiamme. Cosi spera-
\ vano si sarebbe, per fuggire una sorte eguale, convertita;
ma no : poich' ebbe durato alquanto lo spettacolo atroce ,
strappasi dalle braccia de' suoi manigoldi, e corre a precipitarsi
nelle fiamme, e confondere l'ultimo suo aneUto con quello dei
parenti. ^<^.
Ormai è una volgai-ità il declamare contro il Sant'Uffizio ;
e il secolo che , per disannojarsi , gode veder rimessi in onore
il codardo Desmoulins e il satanico Marat, e lascia predicarsi
che Robespierre andò forse un tantino in là , ma non era né
immorale , né crudele , questo secolo non tollererebbe mai
r apologia dell' Inquisizione , quand' anche buttata là come un
paradosso da chi volesse uscire dal brago dei luoghi comuni.
Noi noi faremo ; ma se i lettori nostri non s' attruppano eoa
que' liberalastri da cafi'è , cui primo canone é abborrire la ri-
cerca della verità, permetteranno di soggiungervi alcuni ri-
flessi. E primo , in tutte le sentenze gli eretici son imputati
di altre colpe , le quali sarebbero punite anche oggi. Starebbe
a vedere se ne fossero colpevoli di fatto; ma in grazia, questa
su Moneta, Summae.
— 203 —
CAPITOLO YIII.
certezza 1' abbiamo noi neppure per processi eretti al van-
tato lume dell' incivilimento e della pubblicità ? oggi stesso
discerniam noi abbastanza ciò eh' è giusto da ciò cli'è legale ?
In secondo luogo, la cristianità trovavasi allora in guerra
rotta coi Musulmani, né era deciso ancora se possederebber
r Europa, la croce o la mezzaluna, la libertà o la schiavitù
della donna , la franchezza dello spirito o la tirannia della pa-
rola. Guai se internamente si fosse scissa la cristianità, e aperto
così un varco a' minacciosi ! I provvedimenti dunque contro gli
eretici equivalevano alle leggi eccezionali d'un tempo di guerra.
Poiché un abuso non giustifica un altro , io non mi darò
il facile trionfo di mostrare che l' intolleranza religiosa fu san-
guinariamente esercitata dai dissidenti in tempi molto più ci-
vili, e sin a jeri. Ben dirò che allora ogni parte della vita
privata e civile fondavasi sulla religione ; e l' intaccare questa
scoteva i fondamenti della società ; nò gli eretici esitavano a
tirar le conseguenze , che oggi da argomenti filosofici tirano
i più risoluti comunisti.
Che se , per questi riflessi , nel secolo della Polizia mi si
taccerà d' aver lodato il secolo dell' Inquisizione, dirò — Men-
tite, e seguiterò.
V'avea dunque realmente chi sentiva storto in materia
di fede; ma sino i più zelanti difensori della santa sede con-
vengono si abusò dell'accusa d'eresia per vituperar coloro che
seguivano la parte avversa al papa.
E, fu , e sarà stile dei partiti 1' aggiungere alle proprie
ragioni qualche accusa di antipatia generale , lo che dispensa
dalle prove, dalla discussione, dal buon senso. Evvi chi pro-
nunziò tutti i cittadini dover essere pari ; tutti aver il libero
esercizio di tutte le prerogative e facoltà sue ; in faccia alla
legge non darsi eccezioni di fòro, non distinzione al nato nobile
o all'impiegato di Corte: non doversi sagrificare il ben generale
ai vantaggi d' una classe? Gli avversari diranno, E un dema-
gogo, è un repubblicano ; e basta per metterlo al bando della
società.
Un altro dirà che è ingiusto valutare il voto di persona
la quale non sa che cosa vota , come quello di chi studiò ,
meditò , esaminò; che é impossibile abolir la distinzione fra
r educato e il rozzo, fra 1' intrigante e 1' onest' uomo : che
— 20 1 —
dove tutti votano non si esprime se non la volontà di pochi
appaltoni ; che il volgo è incapace di applicare alle diverse
parti del governo le persone meglio opportune per talenti e
qualità. Subito gli s' intonerà: E un aristocratico , è codino,
è retrogrado.
Alcuno sostenga che la libertà deve essere per tutti: e
come è lecito al villano 1' ubbriacarsi, al ricco l' infingardire
sui caffè e al teatro , al letterato lo sprecar l' ingegno su per
le gazzette , cosi alle pie persone sia tollerato 1' adunarsi a
pregare colle formole che credono , e il vivere e vestire nella
foggia che preferiscono , deva lasciarsi ai genitori il diritto
di far istruire e educare i proprj figliuoli dalle persone in cui
hanno fiducia, comunque vestano osi denominino: sostenga che,
se il diritto non vien da Dio , solo diritto rimane la forza ;
esservi doveri di coscienza inattingibili dalle ordinanze ; esservi
una libertà di religione superiore a tutte le libertà costituzio-
nah... Voi vedete come sarebbe facile dimostrare l'assurdità di
tali asserti: eppure si trova ancor più facile il gri dare, Oh,
il frate, oli, il gesidta! frasi convincentissime e irreparabili.
Se questo avviene nel secolo del progresso e dello stato
d' assiedio , perchè sarete tanto schizzinosi con secoli, che voi
chiamate barbari per lo stesso titolo per cui chiamate de-
hole la metà del genere umano ?
Aveste anche letto soltanto queste povere pagine, vedeste
come la Chiesa esterna fosse costituita in modo che, sotto qua-
lunque clima e in qualsivoglia tempo, i credenti rimanessero
uniti nell'accordo della fede, indipendentemente dalle autorità
temporah. Queste , ingrandendosi , mal soffrivano le barriere
imposte dal potere ecclesiastico alle loro esorbitanze , e cer-
cavano abbatterle, sia dapprima nel conflitto fra il pastorale
e la spada , sia col fomentare le sette , le quali appugnavano
i dogmi inerenti all' unità del sacerdozio , tendendo a costi-
tuire speciali società religiose. La religione, elemento univer-
sale, fondasi sull'autorità pontifizia: sicché gli imperatori stu-
diavansi di mostrare che , sebbene combattessero il papa, erano
cattolici ; e a ciò penserei attribuire le atrocità di Federico II
nel perseguitar gli eretici , volendo mostrarsi buon cristiano
coir arte stessa , con cui alcuni vogliono mostrarsi liberali col
farsi esagerati , intolleranti , persecutori.
— 205 —
]-] CAPITOLO Vili. D U
Di rimpatto , pei buoni credenti ghibellino ed eidetico so- \
navano tutt' uno : né veniva volta che il papa rimbrottasse
alcun nemico del suo potere politico , senza aggiungervi l'ac-
cusa di eresia: accusa tanto facile ad apporsi, quanto difficile
a provare ed a sventare , e che dal popolo era agevolmente
creduta, perchè unico giudice competente n' è colui stesso che
accusa. Quando i Rusca di Como tenevano fuor di città il
vescovo Benedetto, questi ne' suoi monitorj li denunziava per
eretici, asserendo che essi e i loro seguaci sostenevano che Cristo
non avesse tampoco diritto su quello che usava insieme cogli
apostoH: che esso non lasciò verun capo visibile alla sua Chiesa:
che san Pietro ebbe autorità non maggiore che di semphce
sacerdote. A rifar del mio se mai quei guerrieri aveano pensato
a queste sottilità teologali.
A Matteo Visconti troviamo apposto che impediva i sacri
riti , aveva evocato i demonj per suoi fatturamenti, negata la
risurrezione della carne , sollecitata la liberazione della Main-
freda discepola della Guglielmina , e seguito i consigli di Fran-
cesco Garbagnato, uomo che già per eretico era stato condan-
nato a portare indosso una croce ^^. Anche Urbano IV processò
Uberto Pelavicino ed altri nobili e magnati di Lombardia non
per altra colpa che per essere ghibellini ^"^ ; per questa intere
città e tutto il regno di Sicilia furono sottoposti all'interdetto:
se non che conoscendo i papi quanto grave cosa fosse privar
dei riti de' sacramenti tante persone incolpevoli, s'accontenta-
rono che, nei paesi scomunicati, si celebrassero le funzioni,
purché a porte chiuse.
Il lettore si accorge che la vela del nostro ragionamento
(come e' insegnavano a dire in retorica), dopo una divagazione
della quale né tampoco cerchiamo giustificarci , vien racco-
gliendosi verso il nostro soggetto ; verso cioè la contesa del-
l' Impero colla Chiesa , della spada col pastorale , della forza
col pensiero , personificata ne' Guelfi e nei Ghibellini. Peroc-
ché, ciò che nell'eresia più temevasi era l' impugnar alla santa
sede la piena autorità sopra le cose divine e umane, e il rin-
tuzzare r arma sua, la scomunica.
SI Ughelli, hai sacra, IV. 206.
^'^ Db Rubeis, Ilist. lìavenn, I. VI,
— 206 — n_--J
PRETENSIONI PAPALI IMPUGNATE D~
Non dalle Decretali del falso Isidoro, dirette a mostrare
siccome fin dai tempi primitivi gli imperatori avessero consentito,
i papi esercitato autorità suprema negli affari temporali, aveano
dedotto baldanza i pontefici per disporre d'ogni cosa, come si
dice; ma v'erano stati portati da quella eterna legge sociale,
per cui il potere tocca a chi meglio è capace di esercitarlo.
Fatto è che i papi poterono in fatti e in dottrine sostenere la
loro preminenza su tutte le potenze terrestri, e intrerirsi negli
affari anche politici dell' intero mondo. Sotto le ale di questa
dominazione suprema si formarono le nazioni moderne ; ma come
uscirono dall'infanzia, esse trovarono eccessiva la tutela, e i
principi della terra negarono sottomettere la corona alla tiara.
Allora trovaronsi faccia a faccia pretensioni del pari assolute.
Innocenzo III, spiegando le relazioni del poter temporale collo
spirituale dice: — Il Signore, non solo per costituire l'ordine spi-
» rituale, ma anche perchè una certa conformità fra la creazione
» e il corso degli avvenimenti l'annunzii autor di tutte cose,
» stabilì armonia fra cielo e terra, acciocché la maravigliosa
» consonanza del piccolo col grande, del basso coli' alto, ci
» riveli Lui unico e supremo creatore. Come al principio del
» mondo stampò due grandi luminari sulla volta celeste, uno
» che sfavilli di giorno, l'altro che rischiari le notti; così nel
» corso dei tempi stabili al firmamento della Chiesa due su-
» preme dignità, una pel giorno, cioè che illumini gli intelletti
» circa le cose spirituali, e affranchi dalle catene le anime
» tenute nell'errore; l'altra per le notti, cioè che gli eretici
» indurati e i nemici della fede punisca dell' insulto fatto a Cristo
» e al suo popolo, e impugni la spada per castigo de' malfettori
» e gloria dei fedeli. E come, eclissando la luna, buia notte
» involve ogni cosa, cosi quando mancasi d'imperatore, la rabbia
» degli eretici e il furor dei pagani s'eleva con mera em-
» pietà ».
Accanto a queste altezzose pretensioni, altre non meno
assolute elevava lo studio del diritto romano, allora ridesto,
incorando gli imperatori a quel comando senza limiti, che avea
formato la potenza e l'obbrobrio di Roma antica. Gli avvocati,
razza nuova, e i nuovi dottori delle Università, con argomenti
di pari calibro, insegnavano il sacro impero soprastare ad ogni
^ mondana cosa; e siccome in cielo, troni, dominazioni, arcangeli
j3;a^ ^ E|E]
j — '□ CAPITOLO Viri. U"'— j
dipendono uno dall'altro, cosi l'imperatore ha diritto sui re,
questi su duchi, i duchi sui marchesi e baroni; portar esso
in mano il globo per significare la padronanza sull'universo
mondo.
Con arroganze si opposte era possibile non venissero a
conflitto il pastorale e lo scettro, né si disputasse se la Chiesa
dovesse o no obbedire all'Impero? Ecco perchè coloro che
avversavano la Chiesa, foss'anche quanto al potere temporale
e ai possessi mondani, erano, come colpevoli d'eresia, esposti
all'obbrobrio del popolo.
Questa temuta eresia era stata pubblicataraente predicata
un secolo prima da Arnaldo di Brescia, il quale impugnando
l'autorità temporale dei papi, e volendo rimettere in onore il
Campidoglio, menò stipendiati forestieri contro Roma, il che gli
fruttò il supplizio per comando del Barbarossa.
Di questa eresia priocipalmente dovevano essere in colpa
Federico, egli accanito persecutor dell'eresia, e il suo fedele
Ezelino; pure troviamo apposte loro molte accuse più positive.
A Federico imputavasi di tenere più donne e giovinetti al piacer
suo ^3, conservare famigliarità' col soldano di Babilonia (vo-
leasi dire con Malik Kamel); mentre guerreggiava in Oriente,
osservando l'ariiia sterilità della Palestina, sorridendo aver
detto: Se il Dio de Giudei avesse veduto il mio regno di
Napoli, e sovraiuttj la Terra di Lavoro, non avrebbe 'pre-
diletta la Palestina: un altro giorno • passando coll'esercito
lungo un campo di biade mature, ed i soldati malmenando le
spiche, Eìii, disse, rispettatele, perclt^è quei cìdccìù potrebbero
esser mutati in altrettanti Cristi ^*. Portandosi un giorno il
Viatico, esclamò: Fin quando durerà questa ciurmeria? E
chiamava pazzo chi credesse potersi nascer da una vergine o
altre cose ripugnanti alla ragione e alla legge naturale ^^.
•^•» hi pluribus terris Apuliae snarum meretrkularum loca coslruxii. Nic. de
CuRiJO, § 29, Vit;c Innocenti IV. Et non contcnlus juvenculis mulieribus et puelli\
ianquam scelestus infami vilio labovahal; nani ipsuni peccatimi quasi Sodoma aperte
praedicabai, nec penitus occulta bat. Id. ib,
l** Simone IIahn, Hist, Germ. in Frid. II.
^^ Ih'u me, quandìuin durnbif truffa isla? Cliron. Alberici. Fatui sunt qui
credunt nasci a virijine Deuni. Ep. Gkkgorh ;ip., M. I'akis, p. 491.
— 208 —
rriH PRETENSIONI PAPALI IMPUGNATE
Questi motti, degni di quel suo omonimo che spassò e
vilipese i padri nostri , erano d' incalcolabile portata in una
società costituita interamente sulla fede. Oltre ciò gli si ascri-
veva a delitto il tollerare i Saracini in Italia, e l'aver dato
loro stabile domicilio in Lucerà. Veramente Federico II allegava
d'averlo fatto perchè così li allontanava dalla Sicilia, ove più
facilmente riceveano soccorsi klell' Africa, e tenendoli raccolti
in un luogo solo, più agevolmente potea custodirli; (dtre che
(e qui torna l'ironia) l'esempio della bontà cristiana li con-
vertirebbe, mentre prima aveano ammazzato più persone che
la Sicilia non ne comprenda ^^. Ma il reale suo intento era di
farsene una milizia devota a ogni cenno, ed estrania sia al
patriottismo d'Italiani, sia agli scrupoli di Cristiani, e collocata
come un posto avanzato a bloccar la sede papale. D'ateo ancora
lo troviamo tacciato dal papa e dagli storici, e che evesse ri-
^ petuto con Averoè, tre impostori aver ingannato il mondo,
j Mose, Cristo e Maometto ^": imputazione tanto diffusa, che
) Pier dalle Vigne credete doverla confutare; e da questa, non
l da altro pare nascesse l'avergli alcuni attribiuto un libro De
) irhtbs impostorihiis, che nessun mai ha veduto.
Insomma possiamo discernere due correnti d'opinioni. Una
mistica e comunista, appoggiata ^W Evangelio eterno, e che,
) nata dal calabrese Gioachino di Flora, va a Giovan da Parma,
\ a Gerardo da San Donnino, a Ubertino da Casale, a fra Dolcino,
( e via così ai mistici tedeschi. L'altra è razionalista, che ha per
testo il libro Dei Tre Impostori, predica l'incredulità mate-
^ rialista, e previene i panteisti arabi. Certamente fa senso il
trovar già allora il pensiero incredulo, che ripudia il fonda-
mento di tutti i dogmi, crede ch^ tutte le rehgioni siano
|d]l£3
•>'' IIoEFLER (Kaiser lù-iedrkh 11, iAliitichen 1844) pulìhlicù in ([uosii scusi la
risposta (li Federico alla lettera del papa, prodotta dal Rainaldi sotto il 1236.
•^^ Veli Mattia Paris al 1259. In fpie' giorni stessi maeslro Simon da
Tournay, lettore occcllonte <li teologia a Parigi, aveva detto in all'oliala scuoia :
» Tre sono quelli che giuntarono il mondo colle sètte e i dogmi loro, Mosé, Cristo,
» Maomello ». Il bestemmiatore l'u subito còlto da epilessia: dimenticò lutto il
sapere suo, e (in perdette la favella, ridotto a non saper pronunziare che il nome
di Adelaide sua concuiìina. Thom Caktripat, 1. II, e. 48, n. 5,
□ • —200 —
CAPITOLO Vili, □ ^
;
invenzioni umane, e l'una valga l'altra; donde il naturalismo e
r indifferenza.
Maggiormente però i papi appoggiano sullo spregio che
Federico mostrava di Roma delle immunità clericali. Di fatto
egli ordinò che frati e preti fossero tratti al magistrato seco-
lare; le robe degli ecclesiastici sottoposte a dazj e gabelle,
come le altrui, ne taglieggiava i beni, ne occupava gli argenti.
E perchè i frati non lo risparmiavano si predicando, sì col
promulgare le scomuniche di Roma, sì coll'eccitare i popoli
alla ribellione, esso li tolse in ira e persecuzione, e cacciolli
dai dominj suoi. Gregorio IX poi asserisce che esso minacciava
di voltare la basilica di San Pietro in presepe di cavalli, ri-
mettere il papa ia tal povertà che avesse per corona la cenere,
mangiasse spiche al priinzo, e in luogo di destrieri, cavalcasse
una rózza ^^ ; e veniva attribuito a Federico quest'epigramma,
vulgato in quei giorni : ;
>
Fata docent, stellaeque monent, aviumque volatus \
Quoti Federicus ego malleus urbis ero. '■
Roma din iiiiibans, variis errorihus ancia,
Corruet, et mundi desinet esse caput.
Federico, che vedeva le cose con altri occhi che i suoi ^
contemporanei, non doveva credere peccato mortale il ricon- (
durre il pontefice all'umiltà degli apostoli e di Cristo, quando ^
san Bernardo stesso esclamava : — Chi ci darà di vedere la
Chiesa di Dio qual era nei giorni antichi ? » !\el pensiero poi
di ridurre in un sol corpo tutta Italia, mirava a cacciare di
scanno i pontefici, che parT^ero sempre il maggiore ostacolo
a tale disegno; e sottoposta l'intera penisola, avrebbe alle
municipali libertà surrogata la libertà imperiale e l'unità am-
ministrativa ^9.
S8 V. Rainaldi ad ami. 1239, XXIII, XXIV. Il Murati, con quo! suo stile
da sacristano, dice che Federico, « ([uanl'era a lui, avrebbe ridoUo il papa a
portar il piviale di bambagina ».
^^ Hòllcr suddetto pubblicò un' altra lettera di B'ederico al papa, ove lo incalza
- 210 - DpHJ
FEDERICO SCOMUNICATO ^-^^n
Sono queste le eresie, per le quali il papa colpì Federico
di scomunica. Importava però che la Chiesa radunata decidesse
se veramente stesse il torto con quello; onde Innocenzo IV
intimò in Lione il XIII Conciglio generale. A questi comizj
della Chiesa, che raccoglievansi nelle maggiori urgenze, inter- (
vennero 500 prelati, e provvidero seriamente contro i Catari, 1245 ì
che infettavano tutto il mondo, massime la Lombardia; ai /
cardinali fu attribuita la nuova insegna del cappello purpureo, )
ad indicare che doveano esser pronti anche a versare il sangue
per la fede; e s'aggiunse la valigia e la mazza d'argento,
ornato regio, quasi per protestare contro di Federico, il quale
pretendeva ridurli all'apostolica nudità. Agitata innanzi a quel
consesso la causa dell'imperatore, che che dicessero i suoi
difensori e Pier dalle Vigne, egli fu maledetto, dichiarato sca-
duto, ingiunto ai sudditi di non più obbedirgh, pena la sco-
munica, i cencinquanta prelati gettarono a terra le candele
accese, rituale esecrazione: Taddeo da Suessa, avvocato del-
l'imperatore, usci picchiandosi il petto ed esclamando: — Giorno
» di collera, di calamità, di miseria! »
La Chiesa non aveva, 0 non avrebbe dovuto mai aver armi
materiali, stipendiar] svizzeri, reggimenti forestieri ; e ne' secoli
barbari unica sua forza era l'opinione, espressa dalla scomunica;
arma appropriata a tempi di fede. (Questa, fin dai primordj della
Chiesa, produceva anche effetti temporali, privando d'alcuni
( atti del civile consorzio. Entrata la Chiesa nello Stato, fin dal
IV secolo la penitenza pubblica trasse conseguenze civili, come
d'escludere da impieghi secolari, dalla milizia, da' giudizi; dappoi
tutti i codici barbari disposero intorno agli scomunicati, esclu-
dendoli, per esempio, dallo stare in giudizio, mentre la Chiesa
toglieva loro di comunicare ed orare coi fedeli, e proibiva il
benedirli, il coabitare, il mangiare, il discorrere con essi.
Si rallentava la devozione? Bisognò crescere coi riti quello
sgomento cosi, da frenare la prepotenza armata; e gettando
a scomunicare la Lega Lombarda; lamenlasi che i frali, e massime Giovanni da
Schio, predichino contro di lui : e ripete come al papa ricorrano lutti quelli
che senionsi conculcali dalla tirannide amministrali va, ch'egli precocemente voleva
(, introdurre.
— 211 —
gira
f
b CAPITOLO Vili. □ L-i
' per terra torchietti ardenti, imprecavasi che a quel modo si
spegnesse ogni luce al maledetto. Trattavasi poi di peccatore
potente? Veniva interdetta la città o la provincia dov'egli
aveva abitazione o dominio. I fedeli dunque restavano privi
della parola e delle pratiche religiose che dirigono l'anima nei
turbini, e la francheggiano nelle lotte della vita. Il tempio,
monumento ove tanti segni visibili rappresentano la magnifi-
cenza del Dio invisibile e dell'eterna sua città, sorgeva ancora
di mezzo alle stanze dei mortali, ma come un cadavere; più
il sacerdote non consacrava il sangue e il corpo di nostro Si-
gnore per le anime affamate del vivifico nutrimento; non rile-
vava coU'assoluzione ì cuori oppressi dal rimorso; negava l'acqua
santa al segno del combattimento e della vittoria; muto l'organo,
muta la gioia degli inni, muto il solenne mattinare delle spose
di Cristo. L'ultima ora che il santuario restò aperto, lanciaronsi
sassi dal pulpito, designando alla turba che all'egual modo
Iddio l'aveva rejetta, che le porte della Chiesa trionfante erano
chiuse, al par di quelle della militante. Spente le lucerne tra
canti funerei, come se la vita e la luce avessero ceduto luogo
\ alle tenebre e alla morte, un velo nascondeva agi' indegni il
) Crocifisso e le effigie dei martiri e dei confessori. Quelle im-
magini edificanti, che parlano al senso interno per via degli
( esterni, non poteano più recar consolazione e confidenza; la
vita non era più santificata nelle importanti sue fasi, quasi
più non esistesse mediatore fra il reo e Dio. Il fanciullo acco-
glievasi ancora al battesimo, ma senza solennità, quasi di furto:
i matrimoni si benedicevano sulle tombe, anziché all'altare
della vira: il Viatico, consacrato dal prete solitario il venerdì
buon'ora, portavasi in segreto al moribondo; si negava l'estrema
' unzione e la sepoltura in terra sacra, eccetto a preti, mendichi,
pellegrini , stranieri e crociati. Solo a qualche convento era
permesso volgersi all'incollerito Signore, senza intervento di
laici, a bassa voce, a porte chiuse e nella solitudine della notte,
supplicarlo a ravvivar colla grazia gli spiriti estinti. Il sacerdote
esf)rtava talora a penitenza, ma sotto al portico della chiesa
e in negra stola: quivi soltanto la puerpera veniva a purificarsi,
■ e il pellegrino a ricevere la benedizione pel suo viaggio. Le
) solennità, gloriosi ravvivamenti della vita spirituale, iu cui il
barone e il vassallo raccostavansi nella comunanza della festi-
Gisla, costui madre, si presentò ad Ezelino, rammentandogli d'esserne stata ab
bracciata in gioventù, e asserendo quello esserne un frutto.
Gap X. Pag. 23J,
FEDERICO SCOMUNICATO
vita e della preghiera, divenivano giorni di lutto, ove il pa-
store fra il suo gregge raddoppiava i gemiti e i salmi della
penitenza e il digiuno. Interrotto ogni commercio cogli sco-
municati, questa morte dell'industria segnava le rendite del
feudatario: i notai tacevano negli atti il nome del principe
indegno ; ogni disastro riguardavasi come conseguenza di quella
maledizione.
Chi non sa immaginarsi l'effetto di tali castighi in secoli
bisognosi di fede e di culto, pensi quel che avverrebbe se,
nella danzante e scredente età nostra, si chiudessero i teatri,
i balli, i caffè. E chi non ha perduto la memoria dell' ieri,
ricordi quale scossa diede una scomunica, venuta, un secolo
dopo Voltaire, sopra la fronte che più sublime si elevò nell'età
moderna.
Federico, che anticipava di cinquecento anni alcune idee 1245
del secolo di Voltaire, volle affrontar dapprima i fulmini di
Roma; e a Torino, dove ne ricevette notizia, fattosi recar la
corona, se la calcò sul capo, dicendo come quell'altro nostro
contemporaneo, Guai a chi me la tocca!; e ai principi e ai
popoli mandò circolari, ove oltraggiava ne' peggiori accenti il
pontefice, fino a tacciar di dissolutezza questo vecchio di no-
vant'anni, e che operasse cosi a suggestione dei collegati lom-
bardi, anzi per favorire i Catari, cui nido principale era Milano ;
ed egli stesso, che avea chiesto al papa maledizioni contro le
repubbliche lombarde, or negava al papa il diritto di deporre
i re, proponeasi di ricondurre colla forza la Chiesa alla pri-
mitiva purità. Cosi mostravasi eretico nella lettera stessa, ove
l'imputazione d'eretico respingeva.
Gli avranno applaudito coloro per cui è segno di forza la
violenza; qui e qua avrà avuto per sé quelle grida di piazza,
che stoltamente si giudicano espressione della popolare opinione ;
ma finche lottavasi a parole, la superiorità era certa per la
Corte romana, la quale possedeva l'unica tribuna di quei tempi,
il pergamo. Da questo sonavano improperj contro Federico, ma
) non vogliam tacere come un piovano predicò ne' termini se-
) guenti: — Ho ricevuto ordine di scomunicare l'imperatore
ì » Federico. So che regna odio implacabile fra lui e il papa, e
I » ne ignoro i motivi. Certo un dei due ha torto: ma qual dei
( » due, Dio solo il conosce. Io dunque scomunico il reo per ì
Cantù — Ezelino. 14
» quanto la mia podestà arriva, ed assolvo la vittima d'un'in-
» giustizia, tanto dannosa a tutta la cristianità ^o »^
Così era dato al mondo lo scandaloso ma non nuovo spet-
tacolo del papa e dell'imperatore che a vicenda pubblicamente
s'ingiuriavano, scagliavansi maledizioni, rivelavano ed esagera-
vano un dell'altro le trame e le nequizie; peggiorandosi entrambi
nell'opinione dei popoli, che, chiamati a librar le ragioni dei
contendenti, doveano rinvenire le proprie. Intanto i Mòngoli,
scossi da Gengis-kan, altro eroe a cui dovrebbero incensi gli
ammiratori della forza, aveano sparso d'irreparabili ruine l'Asia:
e penetrati con Battu-kan in Europa, invadeano l'Ungheria,
minacciavano il Reno, vantavansi di volere sbiadare i loro ca-
valli in Santa Sofìa di Costantinopoli e in san Pietro di Roma.
L' ardore e l' operosità dei cristiani avrebber dovuto volgersi
a frenare questo torrente che avanzavasi irrefrenato, mentre
imperatore e papa divideano in due campi la straziata cri-
stianità.
Ma il papa era forte perchè il popolo era con esso: e col
toccare le coscienze si scalzavano la fede politica e la base
dei troni. Federico pertanto, allorché vide in Germania alzarsi
crisma contro crisma, ed agitarsi a novità i popoli, commossi
da Tina scomunica di cui alcuno negava l'opportunità, nessuno
impugnava il diritto ^^. non tralasciò spediente per tornar in
grazia della Chiesa: egli armato e possente imperatore, con
umiliazioni, con ragionamenti, con promesse, con mediazioni
procurò mitigare l'inerme pontefice. San Luigi re di Francia,
che, smanioso della crociata, ben avvisava non potersi guer-
reggiar a vantaggio in Palestina fintantoché la cristianità ri-
manesse dilaniata, scrisse al papa supphcandolo a ricevere a
perdonanza l'imperatore, e giovare di tanto sussidio l'impresa.
Il papa tenea troppe prove del quanto perfidiasse Federico le
promesse; né gli credette troppo quando esso imperatore offri
di secondare la crociata con ogni sua forza e andarvi in per-
sona. L' impresa usci a sì miserabile fine, che i Crociati sarebbero
«■'O Mattia Paris, Misi. Anfjì. 12'io.
*■'! Anche la Cliiesa valdese riicnne sempre la scomunica. Vedi la Disciplinae
VAlmanach spiritucl.
— 214 —
FEDERICO SCOMUNICATO
periti ove Federico non li avesse soccorsi di vettovaglie. Del
che riconoscente, il re francese novaraente scrisse al papa
cessasse di diffamare ed impugnare un re, tanto leale amico
e generoso benefattore ^'^; sul tono medesimo scrisse Bianca
madre di san Luigi; fino i Cristiani di Palestina mandarono a
supplicare il perdono. Tutto invano. Il pontefice, a troppe
prove persuaso della slealtà del suo avversario, giunse perfino
a bandir contro di lui una crociata, colle indulgenze stesse di
chi andava in Terrasanta. Molti presero la croce: ma sciagurati
quelli di essi che capitarono alle mani di Federico! giacché
facea loro imprimere croci sulla fronte e sul petto con ferri
roventi, o con corone attorno al capo, o mutilarli: alcuni anche
crocifiggerne *^3.
Si; ma intanto si moltiplicavano attorno all'imperatore
sollevazioni e congiure; e Dio gli mandava il tormento che
serba ai principi malvagi, il sospetto; onde anche ne' suoi più
cari temeva un traditore. Pier dalle Vigne, l'amico, il confidente
suo, che teti7ie ambe le chiavi del suo cuore, gli fu messo
in sospetto; e privato degli occhi e imprigionato, nel di-
spetto della calunnia o dell'ingratitudine si fracassò la testa.
Processo e condanna segreti come le opere dei tiranni, onde
la posterità rimane incerta sul delitto. È vero eh' egli abbia
mostrato poco zelo nel difendere il signor suo al concilio di
Lione ? che ne abbia divulgato i segreti ? tentato la moglie ?
fino insidiato ai giorni? I Ghibellini, per bocca del maggiore
poeta, assicurarono che Piero non avesse rotto fede al signor
suo che fu si degno d'oìiore ^^; ma venisse perduto dalle scel-
lerate arti di coloro, cui faceva invidia la intera confidenza di
Federico ch'egli s'era meritata.
Gli Ezelini, fautori dell'imperatore e nemici di Roma, po-
tevano sfuggire la taccia d'eresia? Già un pezzo prima, Ezelino
il Monaco ne fu creduto lordo: ed Innocenzo III, in un breve
al patriarca di Grado, si lagna de' Padovani, che contro al suo
diletto marchese d'Este fossero proceduti insieme con cotesto
'■>2 V. Mattia Takis, llisl. Aiì;;I., l^'io.
•'■" E|i. di Grcij. I\, ap. Hainaldj, al l^'iO.
<!'' Dante, Inf., e. Xlil.
^^ MuRA-TOKi, Aniìcliilù EsfpHsi, l. I, p. 412.
I — 'q capitolo vili. LJ L-j
^ Ezelino e con altri scomunicati ^^: poi scagliò contro di lui
l una lettera, e partecipoUa pure ad Ezelino III e ad Alberico
figliuoli di esso, esortandoli a dargli in mano il padre miscre-
dente. Essi, per paura di scadere dal diritto di eredità, gli
promisero fare secondo voleva, sebbene non appaia che l'ese-
guissero: né rechi meraviglia (dice l'annalista della Chiesa)
che il papa sommovesse figliuoli contro il padre; avvegnaché
) la causa di Dio, da cui ogni paternità deriva, dev'essere ante- j
( posta a tutti affetti umani. )
\ I figliuoli però non riuscirono migliori del'padre. Ezelino, )
j quello di cui raccontiamo, dai primi anni fu sospettato d'eresia :
\ già alle calende di settembre del 1231 Gregorio IX gli aveva
ì diretto un'epistola, dove, augurandogli, non salute secondo il
) costume, ma spirito di più s.ma mente, veniva rimproverandogli
\ ì suoi errori. E — Che pazzia è cotesta (gli diceva) che, se-
) » guendo fallaci insegnamenti, tu non voglia consentire alle
\ » verità della fede? Coi fatti esclami, Chi è V Onnipossente
) » c/i'io deva servirgli? peccai e guai male me ne segui? Ti
/ » ricorda quand'io era legato in Lombardia, e che tu, offren-
) » domi segni di conversione, fondendoti in lacrime, mi pregasti
» a tenerti raccomandato alle orazioni mie e della Chiesa e
{ » spezialmente delle sante ancelle di Cristo? Con ciò volevi
' » ingannar noi, o dirò piuttosto il Signore. Torna, deh torna
\ » a penitenza; riconosci tue colpe; placa colui che è largo di
) » perdono: lasciati gli errori, sbanditi gli eretici dalle tue terre,
{ » ritorna alla Chiesa. Altrimenti, perché dalla gravezza della
\ » pena il mondo argomenti l'enormità de' falh, contro te invoco
' » cielo e terra, esponendo i tuoi beni al primo occupante;
» affinchè, se tu sei di scandalo e d'orrore a molti, sii pure
» in obbrobrio sempiterno ».
S II domani esso papa scriveva ai Padovani encomiandoli,
\ perchè zelanti della fede ortodossa, gli eretici sterminassero, e
I difendessero e favorissero gli ecclesiastici e le loro libertà, onde
\ fra loro splende la forma delle virtù, la norma de' costumi, la
( disciplina della salute. — Certo (soggiunge) vi è nota l'abbo-
) » minevole insania d'Ezelino, che, fatto satellite di Satana, non
)
Li n -™- D^
li]
EZELINO ERETICO
» contento d'avere per sé stretto alleanza colla morte e pattuito
» coir inferno, altri seco trascina nel baratro, abbraccia l'eresia,
» raccetta, difende, fomenta e fiancheggia gli eretici, e benché
» ammonito, vuole piuttosto perire che obbedire: gli eretici
» nelle sue terre aggrega, ed ivi dogmatizzando gli errori
» allaccia i semplici e gl'incauti, e così cresce il numero dei
» perduti.... Per mostrarvi adunque speciali alleati di Cristo,
» supplichiamo la comunità vostra, scongiurandovi pel sangue
» di G. C, e per la remissione dei peccati vi comandiamo che,
» infiammati da zelo della fede, virilmente procediate contro il
» fellone, adoperando magnanimi a suo danno ogni vostra
» possa. A chiunque contro di esso coraggiosamente starà,
» concediamo tre anni d'indulgenza, e se mai morisse, il per-
» dono di tutti i peccati, di cui sia contrito e confesso. »
Certo Ezelino dava ricetto a chiunque avversasse Roma e
e la fede. Gli eretici cresciuti in Mantova, nel 1235 uccisero
il vescovo Guidolfo nel monastero di Sant'Andrea; e il popolo
si sollevò contro di essi i quali ricoA^erarono in Verona ad
Ezelino ^^. Alquanti anni dopo, Innocenzo IV mandò ordine a
Rolando da Cremona, inquisitore a noi conosciuto, acciocché
esaminasse Ezelino — nemico della virtù e persecutore della
fede, che in molte cose Dio e la sede romana oltraggia, ma
principalmente nel disprezzare le chiavi della Chiesa, dar ri-
cetto ad eretici, partecipare con loro, restar in fama d'eretico
anch'esso ordina dunque di citarlo da luogo vicino, ma sicuro,
perchè esso è conosciuto per gagliardo e formidabile ».
Di quali eresie però peccava Ezelino ? Alcuno il cliiama
Arnaldista, cioè dell'opinione di Arnaldo da Brescia sul depri-
mere i vescovi, spogliare monaci e chiese de' beni temporali;
ma in ciò, men tosto errore di fede troviamo che o vendetta
0 cupidità. Abbominava i frati, e cercava nuocerli in ogni
incontro, per la qual colpa venne scomunicato, d'autorità pon-
tifizia, dal vescovo di Castello: ma cosi operava perchè essi
pure faticavano instancabili contro di lui. Innocenzo IV l' in-
'■''• Mon. Paduan, p. o87. — E|i. GiTirorii np. Ughfi.li 1, i)51; Rainaldi
ad aiiiiiiiii 1233, n. IG.
— 217 —
ni
r CAPITOLO Vili. D L,
colpa di rompere a suo talento i matrimonj , lo che sarebbe i
stato un consentire col fatto agli errori de' Patarini. Al sommar
dei conti, le eresie di Èzelino erano principalmente politiche
e sociali; che del resto ben d'altro brigavasi egli che dei dogmi
e della fede.
1242 II papa, forse sperando ritraiio al bene, pazientò con lui
più che coir imperatore; da ultimo lo fece citare a presentarsi
agli inquisitori per essere esaminato sulla sua credenza. Ezelino,
per quanto in cuore si ridesse del papa e de' fulmini suoi, pure,
servendo ai tempi, mandò ambasciatori al papa, che in nome
suo giurassero lui essere cattolico vero, perseverante nei dogmi
della romana Chiesa. L' ambasciata non fu accolta, volendosi, e
non senza ragione, che venisse in persona a render conto di
sé entro il termine stabilitogli. Ezelino o non potè o non volle ;
il papa allungò il tempo, ma ancora senza effetto. Cosi uno,
cosi due anni temporeggiò; tre, quattro volte gli rinnovò l'in-
tima, e sempre indarno. Stanco al fine, Innocenzo IV, nel
solenne giovedì santo del 1248, fulminò contro di lui una
terribile scomunica, che compendiamo. Era il • padre de' fedeli
che ne malediceva l'oppressore: e se i modi non paiono di una
moderata giustizia, trasportiamoci ai tempi e alle procedure
d'allora.
— ■ La truculenta rabbia d'un solo uomo inumano, e la
» cruda barbarie di Ezelino da Romano, venuto insigne nel
» mondo per la enormità delle colpe e per la moltitudine degli
» atroci fatti, più non deve essere comportata dall'umana
» società, istituita a fiaccare le male arti de' tiranni prepo-
» tenti. Sotto faccia d'uomo nascondendo un'anima ferina, siti-
» bondo di sangue cristiano, e imbaldanzito dall'appoggio altrui,
» egli mena implacabile guerra contro i diritti comuni dell'u-
» manità. Nò solo con ferale eccidio infellonisce contro i corpi
» degli uomini: ma non satollo di un profluvio di sangue,
» versato per mezzo dei corruttori della cattolica fede, tenta
» danneggiar la vita spirituale ad esizio delle anime. Che se
» nelle sue atrocità seguitasse i rancori suoi proprj od i paterni
» contro i nemici, l'ardente ferocia sarebbe oggimai sboUita (
» in lui pel refrigerio della vendetta compiuta contro coloro (
» che esecrava. Ma l'atrocità sua contro ognuno infuria tal- )
(^ » mente che né a vita, né a fortune di amici perdonò; non ^
In -««- dÀ
» ebbe compassione a sesso od età, a religione, a grado ; acceca
» fanciulli innocenti, gli adulti martora con supplizj squisiti: e
» (vergognoso a pensare non che a dire) con orride incisioni
» mutila maschi e femmine, uccide la speranza di futura prole
» ne' superstiti degli uccisi, per l'intenzione facendosi omicida
» di coloro che natura ancor non portò nei lombi. Non è
» dunque chiaro che negli uomini esso perseguita non solo le
» persone, ma la natura? che è pubblico nemico del genere
» umano? Aggiungasi che è nato da padre sentenziato gicà
» per eretico, d'eretici parenti, di costumi apertamente repu-
» gnanti alla cristiana religione. Laonde noi, concorrendo colla
» pubblica opinione, lo giudicammo una delle maligne volpi,
» che non desistono di guastar la vigna del Signore Sabaot,
» corrompendo il testamento dell'eterno evangelo. Anzi, sulla
» via del delitto a tale effetto pervenne di scelleratissima in-
» tenzione che col terrore della morte ridusse i sopravissuti
» uomini in fanciulli, affinchè, tolta la confidenza degli animi,
» il privilegio della libertà, l'oracolo della verità per mezzo
» dei maestri dell'errore, che all'ombra sua pubblicamente
» s'inalzano nella Marca Trevisana a sovvertir le menti dei
» fedeli, potesse più facilmente insinuare i dogmi dell'ereticale
» infezione. Esecrando poi il sacramento del matrimonio, non
» istituito da umana volontà, ma dall'autorità divina racco-
» mandato, egli per audacia ereticale separa i legittimamente
» sposati, ordendo scellerati connubj fra i complici suoi, adul-
» terine convivenze, da cui esce uno spurio vitellame, che non
» metterà profonde radici di prosperità.
» Noi dunque, che, comunque indegni, fummo eletti dal
» sommo pastore a presedere alla Chiesa sua per allontanare
» gl'impeti ferali dal gregge redento col sangue di Cristo, e
» coloro che alla salute e alla vita del popolo arrecan danno,
» e con incessante attenzione scoprire e prendere tali volpi,
» scossi al grido del cristiano sangue onde Ezelino inondò la
» terra, e dal pericolo della Chiesa che egli tenta sovvertire,
» abbiamo fatta assumer in esame la fede di lui, resa sospetta
» dalle opere detestabili e dalla pubblica infamia. Lo citammo
» assai volte: ma poiché ostinatamente egli ricusò di venire
» 0 di mandare, noi, stimandolo eretico, ed affinchè non sia
, » d'esempio ad altri, abbiamo col consiglio de' fratelli nostri
k
CAPITOLO Vili. CjC=r
» ordinato soggiacesse alle sentenze promulgate contro gli
» eretici, quando non comparisca al principio d'agosto; tanto
» amavamo meglio salvarlo che vederlo perire. Ma esso, contro
» gli uomini, per disperato si gettò nell'abisso, schernendo
» l'umano pudore, il divino giudizio e il salutare consiglio ; e
» sprezzando gli imminenti pericoli, amando meglio cadere che
» cedere fpcrire quam parerej, non mai curò di venire. Oggi
» dunque, che, pel giorno della cena di nostro Signore, dalle
» diverse parti del mondo gran folla accorse, giusta il consueto,
» ai limitari degli apostoli, sentenziamo esso Ezelino eretico
» manifesto ^~ ».
Questa condanna circolò a tutti i vescovi di Lombardia e
Romagna: ma non pare eccitasse movimento alcuno nelle città
soggette al tiranno, nò ponesse freno all'intraprendente am-
bizione e alla calcolata barbarie di lui.
67 Da Lione 1:248. Appresso Muratori, Anliquit. Hai. Diss. L.
, . n — 220 -
\3^
\mi3--
7
CAPITOLO IX,
CRUDELTÀ' D'EZELINO.
Spiegò l'aquila nera ghibellina
l'ultimo gonfalon con due grand'ale
e comparve un terribile guerriero ,
d'aspetto e di color ch'era pur nero.
Era questi Ezelin.
Grotta, L'asino d'Iroldo, IV, 13.
a parte ghibellina, quantunque sostenuta dalla
presenza dello imperatore e dal terror d'Ezelino,
sofferse un tracollo quando i fuorusciti di Parma
posero assedio a questa, aiutati dal legato pon-
tifizio, dai Guelfi di tutta Lombordia, dai Genovesi, dal mar-
chese d'Este che non esitava a lasciare esposti i suoi Stati ad
Ezelino; e vinta ogni resistenza, cacciarono gl'imperiali, e vi
si stabilirono ed afforzarono *•
1 Foderico vi avea messo podestà il nofajo Arrijj^o Testa, da Lentinc o da
Arezzo, il quale noH'uscire a difender quella città dai ("luellì fu ucciso. Qui ne
divisiamo, perchè uno de' primissimi di cui abbiamo versi italiani, per (pianto rozzi:
Vostra orgogliosa cera Glie non ha a sé membranza
e la fera sembianza d' avere alcun valore,
mi trae di (ina amanza E in ciò biasinìo amore
e mettemi in errore; che non mi dà misura
fammi tener manera vedendo voi sì dura
(Fuomo eh' è in disperanza. ver naturale usanza, ecc.
221
r— ti CAPITOLO IX
I Tedeschi erano volonterosi a far guerra agi' Italiani per
odio nazionale, come dicesi cristianamente, e per nazionale
ambizione di conquiste; ma le ripetute spedizioni degli impe-
ratori Svevi gli avevano stancati, e la scomunica mossi a
rivolta, fin ad eleggere un altro imperatore. Federico, non
essendo più il sovrano di tutta cristianità, ma il capo d'un
partito, trovavasi ridotto ai mezzi procacciatigli dai Ghibellini
e dal suo regno di Sicilia; onde cercava dapertutto alleati, e
fra questi Amedeo conte di Savoja, al quale diede il castello
di Rivoli per assicurarsi quel passo dell'Alpi, e Beatrice figlia
di lui sposò al proprio figlio naturale Manfredi, cui aveva
infeudato tutte le terre imperiali fra Pavia, i monti e il mar
di Genova 2.
1217 Stava a Torino 1" imperatore quando udì che Parma era
stata presa, e accorse ad assediarla con diecimila cavalli, in-
numerabile fanteria, ed alquante migliaia di balestrieri saraceni.
Questi smuravano le case del contorno, e colle tegole e i mattoni
che ne portavano al campo si improvvisò una città, denominata
per buon augurio Vittoria, e il Tedesco si prometteva sosti-
tuirla a Parma, cui giurava distruggere. Quando se ne posero
le fondamenta, il segno era in ariete, proprio di Marte e perciò
propizio : ma il quarto ascendente stava in cancro, indizio che
la città volgerebbe tra poco indietro. Così seriamente spiegava
lo storico Rolandino gli efi"etti, che noi attribuiamo alla po-
tenza d'un popolo il quale vigorosamente e concordemente
rifiuta la tirannia.
Tutta la parte guelfa fu in soccorso di Parma: da Milano
1600 uomini d' armi con quattro cavalli ciascuno: vennero
Piacentini, vennero Mantovani, il conte Rizzardo, il marchese
Azzo coi Ferraresi, Bianchin da Camino, Alberico da Romano
coi Trevisani, i conti di Lavagna con 300 balestrieri, i Genovesi
con 450, oltre i fuorusciti. All'opposto per Federico stavano
Podovani, Vicentini, Pavesi, Veronesi, Asolani, Bassanesi, e più
di tutti valente Ezelino da Romano, che, operosissimo per la
2 GuiCHENON, Hisl. de Savoie. Prove, N. 71. Totani lerrain a Papia nsrjue
ad montes et usque ad maritima Januae. La madre di Manfredi era Bianca, figlia '
( di Bonifazio Gultuario signor d'Anglano presso Asti. )
L-T_n - 222 - qJil
rara-
rr-b ASSEDIO DI PARMA D
> causa che fiancheggiava , prese Guastalla e Brescello , e col
re Enzo ebbe a comandar l'ala dell'esercito, postata sulla dritta
del Po, onde intercettare i viveri e i soccorsi, mentre Federico
coll'altr'ala attaccava la città.
Federico, che aveva còlti nelle Università quanti studenti
parmigiani trovò ed altri di buone case, ne facea decapitare
quattro ogni giorno sotto le mura della città, finché gli stessi
Ghibellini fecero intendere al grand'uomo d'esser venuti qua a
buona guerra, non a fare da boia. Le cronache citano Mar-
cellino vescovo d'Arezzo, che preso dai satelliti di Federico II,
e presentato a questo durante l'assedio di Vittoria, ebbe l'in-
timazione di prestar omaggio a questo e prepararsi al martirio.
Egli fecesi rivestire degli abiti pontificali, poi ripetè la scomunica
contro r imperatore, e condannato alla forca, intonò il Te Deum.
I satelliti, ch'erano la più parte saracini, lo snudarono e poser
s'un asino al lungo, colla bocca sopra la coda. L'asino però
non volle muoversi fin quando il vescovo , terminate certe
orazioni, gl'intimo d'andare. Così condotto traverso all'esercito,
alla terra di San Damiano fu sospeso al patibolo, e lasciato
esposto agl'insulti, sinché alcuni Francescani lo seppelhrono.
I Parmigiani aveano cominciato dall' invocar il Signore, e
le loro donne votarono a Maria un'effigie della città tutta
d'argento, quani vidi, dice il Salimbeni; e insieme si allestirono
di quella pazienza che é un secondo coraggio. Pativano fame,
mancando sin del pane che faceasi di linseme: ma il legato
pontifizio esortavali a non cedere, e vincerebbero.
Di fatto Mantovani e Ferraresi, rimontando per barca il
Po, vettovagliarono la città, e c©sì fu prolungato l'assedio
finché succeduta la peggiore stagione, le milizie comunali preser
congedo; Ezelino e gli altri signori tornarono ai loro castelli
« a temperar nei caldi alberghi il verno, e celebrar con lieti
inviti i pranzi ». I cronisti narrano che in quella spedizione
una gazza si posò sulla bandiera d'Ezelino, così mansueta che
si lasciò pigliare. L'ebbe esso per fausto augurio, e d'allora
innanzi la fece nutricare in Padova.
Federico rimase a cingere trascuratamente la città: ma
un giorno, mentre egli coi falconi cacciava, gli assediati sor-
tirono, misero a strage e scompigho gl'imperiali, ne saccheg-
C giarono il campo, pigliandone fin la cassa e la corona imperiale. ^
rr-n CAPITOLO IX
Ricchissimi gioielli furono sparsi tra i vulgari, e al fiuto di
quelle dovizie accorsero rigattieri e giudei da tutta Lombardia:
la nascente Vittoria fu atterrata: il papa disse-
Ad ìaudem Christi, Victoria vieta fuisti:
il carroccio de' Cremonesi ivi còlto fu conservato in Parma con
questi versi:
Per te; rex, almae eessit Victoria Parmae;
antifrasi dieta eessit Victoria vieta,
earroecii fict damna sui oniseranda Cremona:
imperii, Federice, tui fugis ahsque corona.
Federico fu costretto riparare in Cremona: ma peggior
ferita gli recò il caso di Enzo. A questo fìgliuol suo naturale
avea per politica fatto sposare Adelasia, signora di Torres e
Gallura in Sardegna, e conferitogli il titolo di re di quell'isola.
Senz'affetto fu il loro matrimonio; poi Adelasia se ne scostò
affatto per aderire al papa; infine, essendo ella morta, Enzo
sposò una nipote di Ezelino, interzando così i nodi fra la casa
Svevo e quella di R,omano. Prode della persona, colto d'ingegno,
non risparmiandosi in alcun pericolo, tre anni prima nel mar-
ciare contro Milano, da Simone da Locarne capitano de' Guelfi
era stato fatto prigioniero a Gorgonzola, ma tosto rilasciato a
prezzo, e col patto che più non recasse molestia ai Milanesi,
Rinnovata la guerra nella Romagna, il cardinale Ottaviano
Ubaldini e Filippo Ugoni podestà di Bologna posero in piedi
un forte esercito, assistito da tremila cavalieri e duemila fanti
di Azzo d'Este, benché n'avesse questi ricusato il comando ^.
3 Pure il cardinal Ubaldini è mosso da Dante all'inlerno con Federico: e
secondo i cronisti, disse: Se c'è anima, io l'ho perdala pe' ghibellini. Fu poeta
anch'cgli, od eccone un saggio:
Io non so chi si sia che sopra il core
mi stilla un sudor ghiaccio che mi sface
e trosforma la neve in calda face
e fiera sicurlade in gran tremore.
221
ASSEDIO DI PARMA
Fattosi al loro affronto, il giovane vittorioso cadde prigioniero
insieme con Biioso da Dovara. Federico restò oltremodo afflitto
della perdita d'un figlio, tanto a lui docile quanto valoroso; e
che inoltre gli serviva a tener contrappeso alla potenza di
Ezelino, venutogli ogni giorno più sospetto. Con quel misto di
minacce e di fiacchezza che caratterizza gli atti di Federico,
scrisse a' Bolognesi : — Ponete mente che noi riuscimmo sempre
» a castigare i ribelli nostri, coli' aiuto di Dio. I padri vostri
» vi diranno come l'avo nostro Federico domò i Milanesi, ben
» più poderosi di voi. Temete l'egual sorte, e non crediate che
» la spada vacilli nella nostra mano. Rendete la libertà al
» nostro caro Enzo e agli altri prigionieri; se il farete, noi
^ » esalteremo Bologna sopra tutte le città italiane; se ricuse-
l » rete, v'attaccheremo fin nelle vostre mura con formidabile
» esercito * ». I Bolognesi gli badarono come i Turchi al papa:
chiuso Enzo in cortese prigione nella loro città, ogni giorno i
magistrati gli rendevano visita: ma per ventidue anni che so-
pravisse non vollero udire patti od accordo di riscatto. La
tradizione abbellì di romanzesche avventure quella prigionia,
raccontando, gliela consolasse una fanciulla, dalla quale ebbe
un figliuolo che denominò Ben ti voglio, e da cui venne l'il-
lustre famiglia di questo cognome.
Federico, stanco della continua lotta coi popoli e col papa,
abbattuto d'animo e di salute, erasi ridotto nella Puglia, sicché
i Guelfi di Lombardia rifiorivano. Né però veniva meno Ezelino,
e per forza e per maneggi tolse Feltro e Belluno ai signori
di Camino; invase il Friuli, ad onta e danno del patriarca di
Aquileja, ch'era il più ricco e potente prelato d'Italia dopo il
papa; poi risoluto a staccare la sua fortuna dalla declinante
dell' imperatore, snidò i presidi di questo dalla ròcca di Mon-
sélice, surrogandone di suoi: e dato improvvisamente addosso
al marchese Azzo, assediò Este con battifredi, petriere e tra-
lo non so chi sia questo signore
che mosU'a darmi guerra e dammi pace,
facendomi piacer quel che mi spiace;
io non so chi si sia se non amore.
4 Tetri de Yineis, EpisloL, I. II, n. 34.
bucchi, martellando senza requie le mura con pietre grosse
fin milleducento libbre ^. Avea seco ben mille pedoni della cittcà
di Padova, altrettanti della campagna, oltre i Vicentini, quei
del Pedemonte asolano e bassanese, quattrocento Veronesi sopra
cavalli tutti rivestiti di piastra, e minatori di Carintia; per cui
opera quel forte e i castelli di Baone, Vigliizuoìo, A' esco vana
dovettero arrendersi a patti.
Congedato allora l'esercito, ritornò a Verona festeggiato
dalla folla, che suol mettersi dal lato dei trionfanti.
Il governo di questa città stava presso novanta senatori,
gentiluomini e Ghibellini, quindi propensi alla tirannide e ad
Ezelino. Ora, mentre il popolo era adunato in generale consiglio
per eleggere il podestà, alcuno cominciò a suggerire doversi
ormai venirne a un fine, e togliersi a cotesta periodica febbre
delle elezioni coli' assumere Ezelino per donno e signore ; lui
solo voler bene al popolo; lui solo essere degno cui la bella,
la popolosa, la forte Verona obbedisse. Per quanto i prudenti
aborrissero quel tiranno più che il diavolo 6, dovettero tacere
dinanzi ai sofismi degli avvocati, sostenuti da quel grido di
piazza che chiamasi voce di Dio, e dalle masnade d' Ezelino:
suoni di trombe e tamburi, fuochi di gioja, inni di sacerdoti,
pazzi tripudi del vulgo patrizio e popolano festeggiarono la
perdita della libertà "*.
Ezelino, signor di Verona e di quel territorio che è chiave
2150 d'Italia, si trovò al colmo della fortuna; né credo alla sua
gioja avrà fatto grande sturbo la morte di Federico II. I costui
astrologi aveano predetto sarebbegli fatale la città del fiore,
ond'egli si guardava da Firenze, ma in Firenzuola fu preso da
malattia e mori ai tredici dicembre. A tacere il resto del suo
lungo testamento, legò mille oncie d'oro per ajuto di Terra-
à^
S ROLANDINO.
•* Plusquam (liabolus tiinebatur. Salimbesi.
7 L'antica moneta di Padova portava le sigle CI. EV. CI. IV; \o quali voglionsi
interpretare Civilas eui/anea Civitatis juris. Ezelino le camliii'i in CI. VE. CI. VI;
all'interpretazione delle quali sigle logoraron'^i molti ocoliiali eruditi e dotte penne.
Zanetti nelle Monete d^ Italia porse alcune lettere De monetis veronensibus ^
praesertim sub Ezelino conjlalis.
— 226 —
RE ENZO VERONA D
santa, e l'obbligo di restituire alla Chiesa tutto quanto le era
appartenuto: — debolezze di agonizzante e suggestioni di frati,
dirà taluno, il quale vorrà dimenticare il divieto che v'ag-
giunse di perdonar ai suoi nemici, volendo che la vendetta
sopravvivesse alla sua morte ^.
\ 8 ]fg,ji volumiis el mancìamus, quod nulìus de prodiioribus regni aliquo iem-
) pore reverli debeat in regniim, ne aliqui de corum fjenere succurrere passini^ imo
) haeredes nostri teneantur de eis vindiciam sumere. Testamento di Fed. II.
V Daniele, Rerjali sepukri del duomo di Palermo^ e Vincenzo Castelli principe di
) Torremuzza, Fasti di Sicilia, sono libri pieni di curiosissime particolarità intorno
) ai costumi d'allora. Pare che re Ruggiero trasportasse di Grecia molte urne, le
quali servirono poi di sepolcro a lui , ad Enrico VI, a Costanza imperatrice, a
Federico II e a sua moglie Costanza d'Aragona nella matrice di Palermo; mentre
■ a Monreale stavano i Guglielmi. Una di quest'^ urne, di porfldo orientale, é sostenuta
; da quattro leoni accosciati, con intrecciate le code e con schiavi inginocchiati fra (
^ le branche: sui lati sono sei medaglioni, con rihevi di simboli cristiani; sul prò- )
) spetto una rosa, la corona imperiale colla croce, una testa di leone con un anello )
) nella gola. La copre un tetto di granito accuminato, sostenuto da sei colonne di (
} porfido, due delle quali hanno il capitello di granito e sui lati aquile e grifoni. Il (
l tutto alzasi sovra tre gradini. )
\ Questa e l'altre urne erano poste presso il coro, donde, ne' restauri fatti -il 1731, ''
vennero trasferite in cappelle vicine alla porta. In quell'occasione furono aperte : e )
nelle tomba su descritta si trovò il cadavere di Pietro d'Aragona morto il 1542; )
e presso lui un altro senza indizj, e sotto di loro stava Federico II perfettamente ì
conservato. Posava la testa s'un cuscino di cuoio, colla corona aperta, i cui raggi
ì erano di lamina d'argento sottilissima, con perle e gemme; a sinistra era il globo
d'oro empito di polvere, ma senza la solita croce. Vestiva una camicia di bella
) tela di lino, con rabeschi e iscrizioni cufiche ricamate sul colletto e sui polsini,
lunga fino ai piedi, e cinta in vita con cordone, annodato davanti. Questa camicia
) era stata mandala dai Saraceni con altri doni all'imperatore Ottone IV quando,
) nel 1210, s'accingeva all'impresa di Sicilia. Una croce ricamata di seta rossa sotto
ì la spalla sinistra ricordava che Federico era stato crociato. Di sopra una veste di
seta rosso-chiaro, in forma di dalmatica a gran maniche oriate d'un gallone d'oro
alto quattro dita e con una cintura di seta adorna di rose d'argento doralo. Una
specie di piviale di seta pur rosso-chiaro, con piccole aquile e altri graziosi ricami.
era serrato al petto da un fermaglio d'oro ovale, con un'ametista in mezzo, venti
smeraldi in giro, e grosse perìe alle estremità. Portava calzoni di tela sino ai piedi,
e questi aveano stivaletti di seta, sul cui tomaio vedeasi una capretta entro un
cerchio: una coreggia di cuoio teneva gli speroni d'acciaio. Al fianco sinistro una
spada corta, col pomo di legno, coperta di filagrana d'argento dorato sospesa a
un cinturone di seta cremisi scuro con varj fregi, da cui pendea pure la tasca di
bella fattura. Le mani, incrociate sul ventre, erano senza guanti, e il medio portava
un anello d'oro con grosso smeraldo.
r— □ CAPITOLO IX. ^^H
Sia la ierì'a piena di letizia, si ralleg^nno i cieli ^, escla- ^
mava con rabida gioja il padre de' fedeli, il quale scomunicò il
succedutogli Corrado; a Pietro Martire ed a fra Viviano da
Bergamo, inquisitori, annunziava che, spento l'infesto impera-
tore, potrebbero finalmente di proposito sbarbicare gli eretici
d'Italia: inviò frati minori che ammutinassero i popoli, legati
che bandissero la crociata contro gli Svevi: odio popolare che
non fu cheto fin quando l'ultimo rampollo di quella casa non
perdette il capo sul palco.
Tolto quell'unico che a sé riconosceva superiore. Ezelino
si abbandonò all'atroce indole sua, dandola per mezzo ad ogni
crudeltà. Il Verci, dopo averne detto che « quest'impresa di
Padova basterebbe per qualificar la grandezza di un personaggio
senza paragone maggiore d'ogni eccezione», ci assicura che Ezelino
« era attento a rendere felici i suoi popoli con utili provvedi-
L'epitaffio che ora vi sta é moderno; ma l'antico diceva:
Si probitas, sensus, virlutum gratia, census,
nobilitas orti possent obsistere morti,
non foret exlinctus Fredericus qui jacet intus.
,^-P
Alta palaiia, siinima potentia, gloria mundi
non valuere milii lollere posse mori.
Enrico IV riposava in un'urna meno ornata, col coperchio d'un sol pezzo,
sostenuto da leoni, tutto porlìdo. La copriva un tetto sostenuto da sei colonne
con capitelli corinti. Anche il cadavere di lui, nella stessa occasione scoperto, si
trovò intero, con parte anco della barba aderente al mento. Orrido era il ringhio,
e la pelle disseccata come carta pecora. Il braccio sinistro poggiava sul ventre,
il diritto era alzato verso la testa; le mani con guanti di seta molto beUi. La
vesta di seta gialla aveva una balzana alla un palmo, color cromisi e ricamata
squisitamente a aquile, caprette, fogliami d'oro. Una cintura di cordoni di seta,
tratto tratto annodati, serrava al corpo una tela ; e ne pcndeano due lunghe fascie,
larghe tre dita, di seta giallo-pallida, cremisi e turchino. Molti nodi di seta, che
servivano anche di calza. Le scarpe montavano fino al collo del piede, col tomajo
di tócca d'oro ricamata a perline, e serrato da un bottone. La mitra era di seta
gialla con un orlo tessuto a oro, con varj ornamenti e in lettere cufiche l'iscri-
zione Ricchezze, buon successo e potere. Non aveva spada. Ciocche di capelli di
vario colore, foglie d'alloro, pezzetti di carta erano sparsi sul corpo.
9 Ep. ad Sicil.
- 228 - Or
[3]ì^^.__ ^.^^^ ^ _-.,._eJl5]
|--|Z1 TIRANNIE DI EZELIXE • D
mentila»; ma i popoli che intendono i loro veri interessi, mal
credono alle proteste d'amore dei tiranni, né alle piaccenterie
degli storici. Ultimo ripiego dei soffrenti, cui resta chiusa ogni
yia legale, sono le congiure; e molte venivano ordite, ed una
singolarmente per finire Ezelino in un convito ; ma scopertala,
e' ne tolse occasione a nuovi micidj di nobili e potenti Pado-
vani. Giovanni Scannarola di Verona, imputato di trama e
condannato nel capo, chiese di scrivere i nomi de' suoi com-
plici, e appena scioltegli le mani, trasse di soppanno un col-
tellaccio, si avventò al podestà Enrico da Egna nipote di Ezelino,
e lo uccise. Tosto anch'egli cadde scannato, e il tiranno fece
al nipote un'espiazione di vittime illustri.
Padova, spoglia della libertà, al cui favore tanto era fiorita,
non sapeva frenare l'indignazione, galvanismo che scuote i
popoli dalla morte politica. I più insofi'erenti maneggiavansi
dunque o ad allestire forze per abbattere il tiranno, o a ni-
micargli l'opinione; e ciance sonore o verità alterate sapeansi
difi"ondere anche allora, benché non ci fossero le gazzette. Vera
0 finta, girò per la città una lettera, anni prima da Ezelino
scritta a Federico, ove scusavasi del non potere andarlo a
riverire di presenza, perché doveva dare sepoltura alla ma-
trigna sua eh' eragli morta, « accidente (soggiungeva) che
peraltro m'è giocondo ». Per la matrigna volevasi intendere
Padova; per sepoltura la ruina che meditava: del che gravi
ragionamenti corsero per le bocche: e rapportati coU'alterazione
che sogliono le spie, diedero ad Ezelino pretesto d'infierire.
Atroce suo consigliero ed esecutore era il nipote Ansedisio,
nato da Jacopo de' Guidotti e da Agnese, figlia di Cecilia da
Baone. Affabile d'apparenze, profuso in promettere , stitico in i
mantenere, destro scusatore e calunniatore sottile ; ingegno- {
sissimo ad estorcere denaro; mastro di pene squisite, come
inaccessibile alla pietà; sulla fine lo vedremo perder il senno
ed il coraggio. >iel costui salotto molti stavano un giorno
aspettando udienza, e per scioperarsi ponevano mente ad uno
sparviero da caccia, de' quali solevasi averne nelle case dei
grandi, sulle piazze, che più? perfino in chiesa, tenendovi
i« T. II, p. 133, Vii.
r— '□ CAPITOLO IX. Ci
all'uopo stanghe e gruccie su cui s'appollaiassero. Era presente
un letterato, il quale ne tolse il destro di narrare questa fa-
voletta :
Per respinger del nibbio i fieri attacchi,
le colombe a re tolser lo sparviero.
Ma il re più nuoce che il nemico. Ond'elle
a querelar comincian che ben era
miglior consiglio sopportar del nibbio
la guerra, che morir senza contrasto.
Quando la parola è impedita bisogna restringersi alle al-;
lusioni, e se ne trovano dappertutto, ne' colori, nell'andare,
nel parlar, nel tacere. I circostanti riconobbero il caso proprio
in quel racconto; lo trascrissero; le chiese e i portici (caffè d'al-
lora) ne furono pieni; di là occasione di dire quel che n' era
d'Ezelino; l'esempio, consigliatore di coraggio come di paure,
fa prorompere in aperte parole quel che dapprima era segreto
mormorare. Ansedisio £a metter le mani su dodici de' princi-
pali, e li sottopone a processo: ma arrivato a Padova Ezelino,
poiché i popoli facilmente si persuadono che la presenza del
signore porti mitigazione di ferocia, accorsero parenti ed amici
a supplicarlo pei catturati. Il burbero contegno di Ezelino li
fece dar volta sbigottiti: due che osarono restare, crebbero il
numero delle vittime. Drizzatosi poi al palazzo del comune, già
testimonio ai franchi discorsi di liberi uomini, allora del tremare
di schiavi. Ezelino con rabbioso abbajo incolpò del caso i si-
gnori Delesmannini; ben conoscere ad uno ad uno i traditori;
non esser lui uno sparviero per divorar le colombe, ma un
padre di famiglia che vuole sbrattare la casa dai scorpioni,
serpenti e simili immondezze.
Sopraggiunsero ambasciatori bergamaschi ad omandare sal-
vezza per Buonaventura , loro cittadino, uno degli arrestati;
ed Ezelino gli accolse umanissimo, promise renderlo, li inviò
raccomandati al suo Ansedisio; ma che? aveva fatto precorrere
l'ordine di decapitarlo. Quei giorni molti altri A'ennero decollati;
molti chiusi nelle carceri per traditori; e i tiranni chiamano
traditore chi non è vigliacco. Da quel punto, spogliato ogni
senso d'umanità, Ezelino si scagliò a soffocare nelle città della
Marca ogni libera aspirazione; cominciò a togliere una dopo
— 230 — Dp
[TTU FINE DE' CAMPONEGRO E De' CAMPOSAMPIERO
una le prerogative ai Veronesi, mutò l'impronta delle monete,
cambiò gli stendardi; guai a chi rimpiangesse un tempo migliore!
Contro Padova singolarmente bolliva di rabbia, o per
soddisfare un'ira inveterata, o perchè ivi abbondassero più quei
magnanimi che ispirano odio e paura ai tiranni ; e sterminò le
primeggianti famiglie dei Caponegro, dei Delesmannini , dei
Camposampiero. Tommaso dei Caponegro, posto alla coda perchè
confessasse le colpe di cui era voluto reo, mori fra gli spasimi,
e il suo cadavere fu decapitato. Zambonello fìgliuol suo, destinato
a sorte eguale, temendo venir meno a sé stesso fra le torture,
si recise coi denti la lingua, e mori prigione: Cancellarlo fratello
• di lui venne decapitato. I Delesmannini , ricchi e creduti in
paese, erano stati devotissimi alla casa da Romano ; ma avendo
una lor donna, vedova e perciò libera del suo operare, sposato
un amico del conte di Sambonifazio, bastò perchè Ezelino fesse
prendere un loro cancelliere, e mozzargli il capo dopo acerbe
torture; poi tre signori di quella casa seppellì nelle fortezze,
e li destinò a morte. Il podestà, temendo non si levassero a
rumore i molti partigiani loro e la plebe cui erano in grazia,
tentò il guado coli' uccidere Ubertetto, il più giovane. Andò
egli al patibolo col disgusto eh' è il peggiore a chi muor per
la pubblica causa, di veder la gente mutola, ignara, affollarsi
al palco siccome a spettacolo. Nulla più incoraggia i tiranni
che la codardia dei soffrenti: onde Ansedisio, ormai rassicurato,
fece uccidere pubblicamente gli altri domestici, e morire o im-
prigionare quanti tenevano con essi parentela od amicizia.
Dei Camposampiero restava Guglielmo, sfuggito fanciulletto
alla strage dei suoi. Ezelino l'avea fatto educare in sua corte;
poi repente, pigliatone ira o sospetto, il buttò in un fondo di'
torre. Quattro signori da Vado, suoi stretti parenti, si offersero
mallevadori pel giovinetto, ed Ezelino accettò. Ma Guglielmo,
appena liberato, fuggi a chiudersi nel sua castello di Treville; j
per la paura dimenticando il pericolo de'suoi parenti. I quali,' (
còlti dai manigoldi di Ezelino, furono chiusi (già l'accennammo) (
nelle torri di Cornuda; ove per trenta giorni sgomentarono il
vicinato implorando pane; e, morti del supplizio di Ugolino, i
paesani credettero lungo tempo vederne le larve vagolar attorno
al castello, chiedendo ancora pane, pane, e rosicchiar il muschio
( e l'edera delle brune muraglie.
' CAPITOLO IX. d~tzr
Eppure Guglielmo non si credette mai sicuro, e trattò della
riconciliazione, e venne di nuovo alla corte di Ezelino; ma la
notte eccogli in sogno le scarne ombre dei signori di Vado, e
col lungo gemito inspirargli paure, pur troppo non vane. Aveva
egli sposato Amabiglia sorella dei Delesmanuini, onde Ansedisio
il chiamò, e fingendo credere 1' avesse menata per far onta a
Ezelino, gli intimò sciogliesse il matrimonio. Guglielmo, non
osando negare, solo impetrò di potere condursi ad Ezelino in
Verona, da lui l' espresso comando. Il tiranno, appena 1' ebbe
vicino, lo fé imprigionare, e dopo sei mesi ricondurre a Padova
per essere decapitato. Comune fu il compianto per uomo si amato:
ma per quelle paure che sono il peggior effetto e la migliore
salvaguardia delle tirannie, nessuno osò levarne il cadavere per
rendergli i doveri estremi, finché la contessa Daria da Baone,
moghe che era stata di Gerardo da Camposampiero, con Maria
sua figliuola e loro servidori, lo tolsero di piazza, e piangendo
e suffragando lo posero nel sepolcro domestico in Sant'Antonio,
fuor della basilica, ergendogli un monumento, che mezzo secolo
fa fu tolto via jjer far bello. Le case dei Camposampiero a
Ponte Molino, sacre al popolo per la dimora che v'avea fatto
sant'Antonio e per essergli ivi apparso Gesù bambino, furono
spianate. Unico sopravisse Tisone Novello, fanciuUino trafugato
a Venezia colla madre, finché maturasse il giorno della vendetta.
Parenti, amici, servi, chiunque si dicesse aver ragionato con
loro, erano cacciati in carcere.
In fondo alla Torlonga rimpetto a San ^Michele in Padova
Ansedisio preparò orride prigioni , dette le Zilie da Zilio che
le architettò e che pel primo vi fu gittato, a torto o a ragione.
È la torre stessa, donde poi, con si diversa fortuna, il Chiminello,
il Toaldo , il Santini contemplarono le rivoluzioni dei pianeti ,
incessanti anch'esse come le umane, ma, a diflerenza di queste,
sottoposte a regole semplici quanto immutabili ^^.
11 Qual oggi è, fu arcliilcllaia dall'abate Domenico Cerali, a cui pare dovuto
il Prato della Valle. Ci sta la seguente iscrizione :
Qvae qvondam infernas iirris dvce.hal ad vmhras
nvnc, Venclum avspiciis, pandil ad astra viam.
CRITICA DELLE ATROCITÀ DI EZELINO
In quelle carceri, tra sozzure e Termi e volpi, tra il fetore,
il caldo, la fame, la sete, morivano infiniti; i cadaveri si la-
sciavano là entro a imputridire, finché quattro volte l'anno si
espurgava quella sepoltura.
Ma le carceri, per ampie che fossero, non hastavano piìi ;
ed Ansedisio fabbricò un'altra torre in cittadella, denominata
la Malta, per tenebre, umidità, sudiciume non meno orribile
delle Zilie. Costrutta appena, vi mandò settanta infelici, legati
sotto al corpo dei cavalli, e cento incatenati; numero che poi
fu più che quadruplicato. In tal miseria vi languivano, da bere
i liquidi più schifi: che se il puzzo, il fastidio, la fame A^e gli
uccideva, senza testamento, senza sacramenti, ne venivano i
cadaveri portati sul patibolo, o trascinati per le vie sino al rogo.
Vicenza pure fu colmata di stragi pel solito pretesto delle
congiure. Tra i cacciati fu Bartolomeo da Braganze, discepolo
di san Domenico, e istitutore dei frati Gaudenti, devoti a Maria;
maestro del Sacro Palazzo, poi vescovo di Limissa , indi di
Vicenza, ove si era opposto agli eretici e ad Ezehno. Espulso,
fu spedito nunzio in Inghilterra, poi a Parigi, donde da s. Luigi,
allora reduce dalla Crociata, ebbe in dono parte della corona
di spine, che, alla morte d'Ezelino, riportò in patria, e collocò
nella chiesa che conserva questo nome.
In Verona nobili, letterati, mercanti, popolani sospetti di
di trame, andavano a eccidj atroci; e bastava l'esser parente
de'proscritti per A^enire ucciso, mutilo, accecato: fortunato chi
riuscisse alla fuga ! Tavella da Conselve , per camparsene , si
dirupò da una finestra.
I frati d'un convento a Verona lo disturbavano mattinando
di notte, ed Ezelino li fa chiuder in una cisterna asciutta per
più di quaranta giorni ^^
Che prediche? che confessione dei peccati? che devozioni?
che visita ai santi luoghi? 11 terrore gelava tutti cuori; e sotto
l'incubo di esso, il fratello, il parente al parente, 1' amico al-
l' amico davano 'accuse, credendo salvar sé stessi : ma pochi
^2 Lo tolgo dal Chronkon imaqinis mundi, ptilìhlicalo or ora noi Motìtimmfa
Hislorja patriar a Torino, dove a lungo si p;irla di llzelino, conio puro noi Chronkon
( AsUniso^ ivi stesso stampato. l
Un _ -233- p^
□ CAPITOLO IX.
giorni dopo cadeano d'egiial morte, indarno vili. Fii chi sommò le
vittime di Ezelino a cinquantacinquemila : dei quali cinquantamila
Padovani. Vedere le carni sbranate, le fiere satollarsi di pasto umano,
il sangue scorrere a rivi, consumarsi le famiglie più illustri, donne
e ragazzi gemere fra laidi ed inumani strazi, erano costui diletto :
separava i matrimoni, non amava che spie e sicari : perseguitava
inesorabile i ladri, ma ne adempiva largamente le veci. Guai a
chi non dicesse bene di lui e (adulazione più dotta) non dicesse
male de' suoi nemici! guai a chi piangesse parenti proscritti !
Tale dipintura offertaci dagli storici farebbe parerlo simile
ad una tigre, la quale ammazza non per fame ma per istinto
d' ammazzare; e che non desse al suo furore altro intervallo
che il tempo richiesto a tender agguati.
Ma possiamo credere tutto ?
E questa la domanda più insolita in tempi di partiti, quando
si deve o portar a cielo o inabissare « nel più profondo tenebroso
centro », e per prima cosa sfrattare quel senso comune, che
mostra gli uomini né interamente felloni, né compiutamente
matti; e non è bisogno d' andar molto lontano per ricordarci
di quando sarebbe stato scomunicato dalla dotta ciurmaglia chi
avesse adoperato la propria ragione per trovare, e la propria
libertà per dire che i Monita secreta e 1' altre turpitudini de'
Gesuiti erano una ciancia, un'esagerazione gli orrori dei Dieci
e degli Inquisitori di Venezia e gli annegamenti nel canal Orfano,
e repudiare altre invenzioni di partiti, che, accanniti a distrug-
gere, anticipavansi la giustificazione coli' inventare misfatti.
Quando poi il vulgo comincia, non esaurisce cosi presto la sua
immaginazione ; esecra quel ch'è più positivo, i numeri ; e ch'io
dica il vero, chiedetegli quante vittime caddero nelle giornate
di luglio, quanti ne uccise il colera, quanti il comunismo in
Gallizia o la tirannide in Polonia e a Napoli. Gli scrittori poi
se ne impadroniscono, e l'iperbole è vizio radicato negli Italiani,
e quanto funesto lo sentiamo ahi! tuttodì. Oltreché in tempi
torbidi è lecita la libertà della calunnia, non' quella della lode;
e la prima si condona allo sdegno, l'altra non si sa che at-
tribuirla a venalità.
Dopo ogni rivoluzione poi, sono a mille quelli che vogliono
comparire vittime, se anche non possono gloriarsi martiri, sia
per usufruttare la compassione, sia per l'innato gusto di aver
— 234 — D-
à
k
avuto qualche parte in avvenimenti che a tutti interessano,
non foss' altro quella d'essere scampati, o d'aver quasi corso
7'ischio di vedersi perseguitati. Finite le guerre di Napoleone,
non v'era storpio o monco che non si dicesse avanzo delle guerre
del tiranno ; gente che, se mai un qualche parente di lui tor-
nasse in auge, l'assedierebbero per cercargli posti, decorazioni,
pane, siccome antichi campioni dell'eroe. Cosi, caduto Ezelino,
tutti gli sciancati e i guerci che accattavano per Dio, ripeteano
essere stati ridotti tali da Ezelino: hacc et haec nobìs fecit
Ezelinus ^'; onde il non soccorrerli saria parso un parteggiare
pel caduto; viltà di cui pochi vogliono mostrarsi rei.
Ezelino poi non rispettò gli averi e le persone degli eccle-
siastici: onde questi, re allora dell'opinione, non solo promul-
gavano, ma fors'.anche inventavano o ringrandivano i delitti di
esso, e più dopo che fu scomunicato; onde lo sparlarne divenne
meritorio. Né risparmiò le persone in odor di santità, quali
fra Giordano e frate Arnoldo abate di Santa Giustina di Padova.
Il primo, sofferta lunga prigionia, potè ricoverarsi a Venezia
nel monastero della Celestia, ove mori il 7 agosto 1248 dopa
quattordici anni d'esilio; e i popoli lo venerarono come beato.
Prima di partir dal suo convento negli Euganei, aveva piantato
in un cortile una verghetta di corniolo, della quale solea ser-
virsi per delinear le opere; e quella tosto getta radici, frondeggia,
diviene un gran albero, E visse a lungo, e quando un ramo se
ne inaridisse, alcuno della famiglia Forzate moriva: finché nel
1597 quella casa si estinse in Claudia Forzate badessa di San
Benedetto, e con essa la pianta. Ma non andò guari che il
ceppo rigermogliò. L'albero vecchio fu ridotto in stecchi e fin
in polvere che per devozione distribuivasi e beveasi per ottener
salute: così era de' fratti. Abolito il monastero, nel 1011 si
cercò trasportarlo nel giardino Capodilista a Padova, con im-
menso apparato di storia e devozione. Allora pure il corpo del
beato Giordano fu da san Benedetto trasferito alla cattedrale
di Padova e posto sopra un altare. Frate Arnoldo fini dopo
otto anni di prigionia; ed appena esalò l'anima, due fiaccole
ardenti furono viste calar sul carcere di lui quasi doppia
13 Ventura. Cliron., e. 2.
G - 235 -
'^4
CAPITOLO IX. U
aureola di vergine e martire. Altri miracoli faceano piìi odioso
il nuovo Diocleziano.
Giambattista Verci, laboriosissimo erudito e critico co-
scienzioso ^*, pure, come fosse una gazzetta ufficiale, rovescia
la colpa di tali crudeltà sui Padovani; asserendo che Ezelino
« si era posto con tutto l' ingegno a renderli felici e fortu-
nati ^^ »: che, se non avessero fatto congiure « egli senza
dubbio gli avrebbe lasciati viver nella sua invidiabile tranquil-
lità » : che « tocca ai più deboli uniformarsi alla condizione
dei tempi »: che mal si tàccia Ezelino d'inumanità, se castigò
coloro che osarono chiamarlo un tiranno. « Si vuol conside-
» rare (egli soggiunge) che convien rispettare i principi e
» il loro governo, e che fino ai tempi presenti procedono i
» regnanti sopra di questo punto con estremo rigore ... E se
» questo caso fosse avvenuto anche nei tempi a noi più vicini,
» ognuno vede che qualunque principe si sarebbe a un dipresso
» diportato nel modo stesso ^*^, » cioè fatto impiccare o de-
capitare per aver fatta o letta una satira.
Il Verci, come suddito veneto, non doveva portar rancore
contro alcun re in particolare, ma avrebb'egli potuto fare una
peggior satira dei re del suo tempo? E se io fossi astioso ai
repubblicanti, avrei un bel tema di declamare contro costoro,
che colgono tutte le occasioni per dir male dei regnanti: ma
se anche i contemporanei di Giuseppe II e di Leopoldo di To-
^4 Leggendo nella sna prefazione la inngliis<;ima lista di quelli che lo ajutarono
(li consigli e di dociimenli, si sospira e si freme pensando ai poveri autori d'oggi,
sicuri di non avere sussidj nel fare, non condisceiiden/e dopo fallo; e condannati
ai colpi di spillo de' loro fratelli di questa dolce repubblica letieraria, e a sentire
il peso del veh soli!
^^ T. II, p. 271. E per avverso dice che i Bellunesi, perchè non si ribellarono
« non ebbero mai il minimo motivo di dolersi del dominio di Ezelino... che si
mostrò sempre verso di loro principe il più benigno e il più mansueto. Cosi avessero
seguilo questo esempio le altre i»iù potenti e più superbe cillà ! « Altrove dice
che « Ezelino, fra cosi frequenti congiure, menava una vila miserabile ed amara »
(p. 506) col|)a dei popoli.
^^ T. II, p. 239: e continua a dire che « Rolandino slesso fu coslrcUo a
confessare essere lo Sialo di Padova divenuto prospero e tranquillo oltre ogni
CREDEKE ». E cita esso Holandino, il quale dice luii'allro, ma che Padova fu,
secundum fempus^ placida el tranquilla.
H n - 236 -
DISCOLPE DI EZELINO U~^
r 1
scana avessero mai potuto temere il paragone con Ezelino ^
benediciamo Dio e gli uomini che maturarono tanto l'opinione,
da render impossibili questi atti, e da disonorare chi li scusa,
o lo scrittore che s' accosti al sacro ministero della storia
senz'essere altamente compreso della dignità dell'uomo ^^.
La difesa di Ezelino potrebbe farsi in tre maniere. La prima
per celia o paradosso, al qual modo udimmo i panegirici del
Nerone antico e di qualche moderno Nerone in pantofole. La
seconda è il giustificare i mezzi in vista del fine, teorica del
Machiavello che non era gesuita, il quale venne a dichiarar
virtuoso il famoso Cesare Borgia, e al suo principe suggeriva
crudeltà e nequizie, purché riuscisse a formar in Italia uno Stato
potente e a sbrattarla dai Barbari. Ora fra tanti mostri ch'egli
loda non trovo Ezelino, né vedo chi a costui supponga quel
concetto della monarchia d'Italia, che si trova o si attribuisce
a Federico II, a Roberto di Sicilia, a Castruccio, a Gian Galeazzo
Visconti, a re Ladislao, al duca di Modena. In lui e antichi e mo-
derni non iscoprono che avidità d' acquistare e di dominare;
né tampoco il Verci va a supporgli fine più elevato che il
miserabile di fondarsi un principato.
L'età nostra, che, a forza di luce, diviene abbagliata e fio
cieca, trovò un modo più ingegnoso di scusare non solo, ma
< di lodare, per esempio, l'umanità di Marat o la filantropia di
\ Robespierre; ed è la necessità de' loro atti, la fatalità; altro
^ felice spediente nell' odierno chiacchiericchio di libertà. Atte-
( nendoci al quale, noi pure potremmo dire che Ezelino era per-
fettamente logico: essendo entusiasta del bene, se ne trovava
impedito da altri ambiziosi; laonde li toglieva di mezzo come
ostacoli alle sue rette intenzioni, adoperando la forca, rimedio
eroico (come diceva Raleigh), ma buono per tutti i mali. Santo
Dio ! anche oggi e jeri e tutti i giorni ho inteso persone ra-
gionevoli e buone, giovinetti, damine che guizzerebbero di
17 E d'una semplicità che tocca fin all' insensato l'osservazione conclusionale
del Ycrci : « Molli esempi delle storie e' insegnano clic non v'è cosa peggiore per
B render gli uomini pertinaci e cattivi quanto la troppa severità. L'animo degli
» uomini è come clastico, che (pianto più si preme con forza, altrettanto maggiore
» risalta, sempre pronto a inferocire se non si addolcisce >.
TU
CAPITOLO IX. I^^S^
^
convulsioni se vedessero storpiare un piede; gli ho intesi ri-
petere intrepidamente che, a voler rimettere a posto le ossa
slogate, bisognerebbe far saltare due o trecento teste, far un
Vespro Siciliano o una Pasqua Veronese. Amen, amen dico
vobis che, se ne venisse il destro, sarebbero i primi a risparmiare
le uccisioni non necessarie, e si glorierebbero d' aver salvato
i nemici; ma se poi la loro causa soccombesse, tornerebbero
a dire che fu per l'importuna pietà, e suggerirebbero quel che
saria dovuto farsi; studio nel quale si ddettano molto gli oziosi.
E le ciancie degli oziosi, arcadicamente umane o patriotica-
mente feroci, son bacherozzi che mai non diventano farfalle; ma
poniamo che idee simili rampollassero nella mente di Ezelino.
Egli capitava in una età, dove i popoli inesperti abusavano
fanciullescamente delle virilmente acquistate franchigie; abbat-
tuta la tirannide forestiera, per amor della libertà medesima
assalivano *^, violenti nell'usurpare o nell'esercitare l'autorità.
Una libertà che non rispetta quella d'altri, e comincia dal pro-
scrivere partiti, persone, opinione, cadrà, perchè è un germe
sporadico , non 1' efflorescenza de' costumi e della riflessione ;
perchè si fonda sull'egoismo, che guarda a se solo e considera
come estraneo e senza diritti chi non è lui. Ne conseguiva
quel che Voltair»^ chiamò despotismo della canaglia:, e l'anarchia
faceva desiderare un ordine più stabile , un organamento più
semplice. Ecco in qual senso fu detto che l'Italia è patria della
tirannide, perchè è patria della libertà.
Un partito trionfava, e ogni partito suol darsi a un uomo, e
vuol che questo non abbia restrizione nel procacciar sicurezza e
trionfo alla causa che gli è affidata. Ma il tiranno eletto popo-
larmente soccombe presto a un . altro, che conosce le moltitu-
dini e sa adoprarne l'energia per domarle, come si adopera il
vento contrario per spingere una nave: e l'uomo egoista, che
la benevolenza sottopose alla riflessione e che sa valersi degli
uomini come stromenti, prevale presto fra le moltitudini, che
s'avventano a slanci. In prima egli si svelenisce contro nemici,
poi si converte contro gli amici; perchè le idee eccezionali
i^ Ut tmperium everterent, liberlalem proferunt; si pcrvertercn! , liberialem
r tpsam afjgredcrcntur. Tacito. Annali XVI, 22.
( — '□ DISCOLPE DI EZELINO
recano presto il loro frutto, e fan prevalere la parte materiale
della duplice nostra natura.
« Senza supporre in Ezelino virtù insigni e singolari, com'è
credibile che ei si fosse per tanti anni mantenuto, e quasi
sempre cresciuto in stato e in potenza? »
La domanda è del Denina '^. Eppure egli , storico non
vulgare, dovea ricordarsi che in Roma antica, intollerante di
ogni intacco leggiero, e mentre viveano ancora i figliuoli di
Bruto e di Catone , imperarono Tiberio e Caligola , vituperj
dell'umanità; e non tardarono guari Eliogabalo e Caracalla: e
gli aveano preceduti Falaride e Dionisio; e li seguirono Barnabò
Visconti e Cesare Borgia; e via via sino ad Ali Tebelen e
j a Rosas , e ad altri capi masnada , che gli adoratori della
forza chiamano grandi. I padri nostri hanno tremato al nome di
Robespierre, il quale (men franco di Ezelino) vedeva una eterna
cospirazione, e sovrastare il trionfo de'briganti e degli aristo-
cratici, e la repubblica perire; sicché credeva neccessario di
render possibile il proprio dominio per via dell'esterminazione,
e non rallentar 1' oppressione perchè altrimenti sbalzerebbe
l'oppressore ; e non vivea nella nazione più vivace del mondo,
nel tempo più agitato, fra uomini insorti verso la tirannide,
certo non sanguinaria, de' nobile, de' preti, di Luigi XVI;
eppure nessuna resistenza opponeasi a quel brutale macello,
fatto vile dall' ipocrisia dei giudizii ; pochi gendarmi teneano
cheta l'intera Francia, sicché lasciava fare a quei tre o quattro
assassini, i quali le avevano dimostrato che bisognava lasciarsi
scannare; anzi si arrivò a chiamar coraggio, non il resistere
all' ingiustizia, ma il subirla ironicamente, o teatralmente, o
stoicamente. Eppure saria bastata la più lieve opposizione; lo
stender la destra alla gola del tiranno, anziché ai ceppi del
boia: e per abbattere tutta quella macchina non ci volle se
non che due o tre dicessero No. Le cagioni son conosciute, e
forse la principale é l' egoismo , cioè , il non considerare torto
comune il torto fatto ad uno: sicché, mentre ciascuno non
pensa che a salvar sé medesimo, tutti soccombono.
E doloroso per l'umanità il considerare come, ne' secoli
19 Rivoluzioni <r ÌIaìia. 1. XH, e. 2.
— 23'J —
L
r— □ CAPITOLO IX,
addietro non fossero contati per nulla i patimenti dell' uomo;
e la crudeltà divenisse, se non una passione, uno spediente.
Il Vangelo aveva intimato agli uomini che tutti siamo eguali:
ma se tale verità rimaneva in dottrina e in pratica fra la
società credente e religiosa , i forti s' inebbriavano alle idee
gentilesche d'una naturale distinzione tra libero e schiavo, tra
il signore e l'obbediente, quello nato a deliziarsi al banchetto
della vita, questo, a patire e faticare pel godimento dell'altro.
La dignità dell' uomo doveva andarne smarrita: il magistrato,
il legislatore sanzionavano la disparità delle classi, quasi non
dissi della natura. Di qui l'acerbità delle leggi penali che, nella
processura come nel castigo, esacerbavano i patimenti, avvez-
zando cosi allo spettacolo de'martirii legali. Il vulgo, nel vedere
il ladro, l'omicida, il fellone terminare la vita bestemmiando e
strillando fra spasimi squisiti, si assuefaceva a veder martoriare
le vittime dei tiranni; il vulgo, io dico, tremante innanzi alla
clava della forza bestiale; il vulgo che non seppe figurarsi gli
dei se non come punitori e vendicatori.
Anco le guerre, quantunque lontane dalle carneficine di
cui si fanno gloria e su cui fondano i diritti loro gli eroi mo-
derni, incrudivano gli animi: primamente perchè accertavano
sempre i colpi ad una mira determinata, e conduceano spessis-
simo allo sperimento delle forze individuali, sicché l'uomo tro-
vavasi veramente alle prese coli' uomo; poi per gì' insulti che
prodigavansi ai vinti, grand' esca agli odii vicendevoli e stimolo
a vendetta. Già nei giorni della libertà, tra le fazioni cittadine
ricorreano frequenti atrocità, la parte che tornava in fiore
proponendosi sempre di ripagare a usura la soccombuta. Nò
raro incontrava che la vincitrice commettesse le sue vendette
ad un capitano, ad un potestà, che meglio meritava quanto
più eccedeva in sanguinose esecuzioni. Son note le scellerate
maniere di giustizia del bolognese Brancaleone nella città dove
andava in signoria. Emberra del Balzo provenzale, podestà di
INIilano, a vendicare Paganino della Torre ucciso dai nobili
Milanesi fuorusciti, fece scannare cinquantadue tra figliuoli e
fratelli degli uccisori, che teneva in ostaggio. Così l' incondita
libertà disponeva alle esecrate quaresime di Galeazzo, e alle
atrocità che diciamo di Ezelino.
Non si dà condizione si infelice di cose, di cui alcuno non
— 210
POSSIBILITÀ DE TIRANNI
trovisi giovato : e molti vantaggiavano della tirannide di Ezelino
e dei pari suoi, non foss' altro per vedere repressa 1' altrui;
ond' erano volenterosi di serbarla, attenti a rimoverne ogni
pericolo.
Stia fisso che quei castellani erano capibanda forestieri ,
accampati in mezzo ai nostri ; e finché un principotto uccideva
l'altro, e una casa sterminava la rivale, il popolo li guardava
come eventi di gente estrania. E poiché tutti questi signori
erano, poco più poco meno, d'eguale fierezza, alle plebi non ne
incresceva lo sterminio, lo guardava anzi come un giusto giu-
dizio; e consolavansi che la loro oscurità le sottraesse agli
attacchi del nuovo signore. Ma chi si abitua ad un'idea ecce-
zionale, non tarda applicarla anche generalmente, per quanto
assurda e immorale.
Intanto quel!' uno preponderava, e fosse forza, fosse la
stolta e pur generale venerazione per il fortunato, otteneva
dominio in una città. Dominio militare cioè anticristiano, e
simile a quel che oggi si soffre in Turchia. Il capo è valente?
dà luogo a tutte le virtù di mostrarsi , senza distinzione di
nascita o di partito; è ribaldo? guai ai popoli, giacché non
gli rimangono barriere.
Ma despotismo non può darsi senza esercito ; e non vi farà
maraviglia se gli imperatori romani , al par di qualche loro
odierno contraffatore , lo intitolano il fior della nazione; e se
Ezelino , al modo di Federico , raetteasi intorno masnade di
Tedeschi, di Saraceni, o anche di bravacci nostrali ; forza or-
ganizzata, la quale facilmente prevaleva alle moltitudini inermi,
e assicurava il tiranno da un attacco personale, o da quei primi
impeti popolari, cosi terribili, ma cosi transitorj.
Sottomesse poi diverse città, si adoperava l'una a reprimere
l'altra; come oggi uno Stato omogeneo non potrebbe vedere
quella tirannia, a cui può abbandonarsi chi molti Stati possieda,
e, colle forze dell'uno, l'altro sottometta.
Gli oppressi tentano rialzarsi, e le storie d'allora sono un
tessuto di trame contro questi assassini del genere umano,
pochi dei quali finivano la vita quietamente; nia molti falliscono
e, come la mina che scoppia anticipatamente, uccidono il mi-
natore. Colle uccisioni si soffocano, non si ammorzano gli sdegni:
crescono gli scontenti : anche i moderati disapprovano. Il tiranno
A
- 211 - D-
s'avvede di non trovar più dappertutto che odio e disprezzo:
vorrebbe svellerli , ma come impedire che 1' ombra seguiti il
corpo? Più teme quanto sa d'aver più irritato; con nuovo sangue
vorrebbe lavare la macchia dell' antico : non può ; ma un' in-
flessibile necessità lo porta ad atterrire, a correre d'abisso in
abisso, finché ad ogni altro e sentimento e spediente sostituisce
l'emozione dell'assassinio, che è un misto di mal umore, di
di collera, di paura.
Cosi le crudeltà prendevano alimento dalle crudeltà; dallo
scontento degli oppres=;i traevasi pretesto di opprimere mag-
giormente: circolo fatale, da cui com'è possibile uscire? e non
avvi mezzo di assodare la libertà fra le convulsioni delle re-
pubbliche e il letargo delle monarchie ?
Se lo chiedete ai manufattori e lettori di gazzette, ai di-
sertatori di caffè e di circoli, vi porteranno ciascuno un sistema,
tutti diversi, e tutti del pari infallibili: prova che nessuno è
buono. jNIa non so se frate Antonio o fra Giordano, interrogato
anch'esso su tal quistione, rispose che è libero chi ha il timore
di Dio.
Questi frati ne dicevano pur delle strane I
Anche fatta la parte dell'esagerazione, gravi erano le atro-
cità di Ezelino, e partorivano odio, e con questo il desiderio di
sottrarsene ed il coraggio della disperazione. Le spie, infame
e necessario amminicolo dei minacciosi tremanti, scopersero una
congiura, ed Ansedisio, per ciascun quartiere di Padova distribuì
piantoni, che vegliassero ad ogni movimento: giorno e notte
potessero entrare nelle case a cercare : notassero chi bronto-
lava un lamento. Costoro un giorno in Pieve di Sacco avven-
taronsi a un tal Gaggino, animoso garzone, il quale, anziché
lasciarsi ghermire, ne uccise due e si salvò. La famiglia di esso
andò a sterminio, come manutengola a chi cospirava contro il
signore. Michele da Cremona, studente in Padova, che diceasi
fosse turcimanno di società segrete e recasse da un all' altro
la formola del giuramento, posto alla tortura, lasciossi strappare
la confessione di una trama. Tali scoperte sono tanto oppor-
tune a chi vuol tiranneggiare che, quando non ne appaiono,
le inventano. Di fatti Ezelino rincalorì le persecuzioni : ogni
di nuovi tormenti e nuovi tormentati: le piazze funeste di sangue,
zeppe le carceri ; né grado, né sesso, né meriti anteriori salva-
21?
ATTENTATI CONTRO EZELINO
vano: meno infelice chi poteva essere decapitato senza i raffi-
namenti della barbarie.
Ansedisio, non pago d'infierire sui giudicati rei, ne faceva
cogliere i figli e le donne, guastarne gli occhi, il naso, il seno,
gli inguini. Albertino frate minore scrisse da Roma a suo fratello
Ottone Volpe, veronese, stesse di buon animo, il pomo essere
omai maturo : in breve il lupo sarebbe scovato. Intercetta la
lettera, fu interpretata per cenno d'una congiura: Volpe, sebbene
intimo di Ezelino, fu arrestato e morto: i parenti, gli amici,
chiunque dava ombra, gettati nelle orribili carceri.
Gran colpa era l'esser ricco: gran colpa il sospirare: gran
colpa il non far la corte al tiranno. Fin tra' maggiori amici
di lui, tra' più prossimi servidori voleansi scoprire delinquenti.
Miche, medico d'Ezeliuo, messo al tormento, confessò una trama
contro i giorni di quello, ma i complici che indicò erano persone
in grand' autorità presso il tiranno. Non importa: furono de-
capitati: e jNIiche, tratto al supplizio, presente tutto il popolo
protestò a Dio ed agli uomini d'aver accusato innocenti, e ne
chiedeva perdono per 1' anima sua.
Fra le trame sventate, non mi voglio scordare che un giorno
ad Ezelino furono condotti in ceppi Monte ed Avaldo fratelli di
Monselice, i quali a gran voci non cessavano di protestarsi
innocenti; né essi, né casa loro essere mai stati sleali a lui o
all'Impero. Ezelino, che sedeva a desco, udendo l'insistente ab-
baiare, si leva e fattosi loro incontro, con atroce ironia li rim-
brotta d'infedeltà e rie deride la sciagura. ÌNIonte a corpo perduto
gli si getta adosso, lo abbatte, lo calca, né trovandosi allato
coltello od altra arma, co' denti gli lacera il volto, poi messogli
le mani alla strozza, non lo lascia, finché trafitto da una guardia,
spira maledicendolo.
Pochi giorni dopo, il siniscalco colse un incognito che ogni
arte adoperava per insinuarsi presso Ezelino mentre era desi-
nando ; e se gli trovò soppanni uno stilo. Esaminato alla tortura
per venire all' acqua chiara , non se gli potè cavare parola ,
mostrava anzi non intendere i nostri linguaggi ; e condannato
ad essere arso vivo, incontrò, non che intrepido, ma allegro
la morte ^^.
^ ^° Nel 1288 Lamberto Bacellieri Bolognese, usando ilomoslicamentc con Obizzo /
Un . -2i;ì- n_5
d'Este, e sempre standogli a fianco, un giorno a tavola trasse fuori un pugnale e
lo feri nel viso. Obizzo impedi l'osse ammazzato, e il lece metter piìi volte alla
tortura perchè confessasse da clii v'era stalo spinto. Egli sostenne non aver complici
nò tampoco aver tra so premeditato quel colpo, ma esservi stato spinto da subi-
tanea frenesia. Alla coda di (piattro asini fu trascinato per tutta Ferrara, poi
appiccato per la gola. Ghirakdacc;. Ilist. di Bolorjna. 1. IX.
— 2it —
CAPITOLO IX. U ^
Chi era costui? forze un Lorenzino de* Medici, un Girolamo ì
Olgiato, una Carlotta Corday, un Sand, che volesse sagrificare /
la sua vita per liberare l'umanità? Più comunemente si reputò )
un inviato del Veglio della Montagna. Con tal nome i nostri l
che viaggiavano in Levante indicarono uno sceico o principe /
di piccolo Stato in Sorta, che nelle amene vallate delle montagne )
là fra Tripoli e Tolosa, erasi fabbricato dieci castelli inaccessibili; ì
abbellito il paese con ogni raffinamento di delizie, e messosi /
attorno da sessantamila sudditi, tratti dalla Persia. Con prestigi )
e con bevande medicate e col persuaderli fosse più che uomo, \
induceva costoro a tanto cieca obbedienza , che né rischi , né
morte ricusavano per lui. Aveva ad acquistare alcun novizio ?
lo inehbriava de" succhi dell'erba hascise [cauìiabis indica), dalla
dalla quale preser il nome di Assassini, e che produce visioni
ridenti e voluttuose: cosi sopito, lo faceva trasportare in
mezzo a quanto di più squisitamente bello e allettevole può
l'immaginazione figurare: svegliandosi, da donzelle, fior di bel-
lezza e di lusinghe, gli veniva imposto facesse ogni volere del
Veglio, e meriterebbe di vivere eterno fra quel colmo di delizie.
Con tali fascini ispirava loro si compiuta obbedienza, che il
Veglio stesso, per darne prova all'imperatore Federico quando
fu in Palestina, lo condusse appiè d' una torre, ed accennò a
due Assassini, che stavano sulla cima, di precipitarsi a terra:
e detto fatto furono al suolo spiaccicati. Obbedienza che molti
padri dei popoli desidererebbero.
Aveva il Veglio a'compire alcuna vendetta sua propria, ovvero
promessa a qualche grande? assegnava ad un di costoro la vittima:
il trascelto veniva ormandola per anni ed anni, finché trovasse
il tempo opportuno per ucciderla; lieto di morire esso pure della
propria o d'altrui mano.
Di secreti ministri di vendette parlano assai le storie di
tutti i paesi : son noti la santa Wehme e i tribunali secreti
f—^O GLI ASSASSINI D ^
/
di Westfalia, dove arcani giudici decretavano la morte di alcuno,
e la commettevano al braccio d'un risoluto, che non cessava
se non ottenuto lo scopo. Cosi tribunali privati compivano le
vendette degli oltraggi recati all'umanità: rimedj strani come
; i tempi cui erano destinati, e che pure oggi si vorrebbero
) resuscitare e si odano lolore. Infelici le cause che devono ri-
/ correre a tali strumenti ! ^^
^ Forse era un Assassino quel che assali il nostro tiranno,
ma il colpo non colse al segno, quasi la vendetta de' grandi
reati contro l'umanità fosse riservata al popolo intero.
Rolandino empie molti capitoli colle uccisioni o le muti-
lazioni dei poveri Padovani, A'eronesi e "S'icentini 22^ e conchiude:
) — Sia d'esempio a tutti di schivare, se sanno, il giogo servile,
( » e difendere in ogni guisa la libertà fino alla morte. Ecco a
) » che arrivano i paesi dominanti. Ov'è più l'innumerabile mol-
( » titudine del popolo padovano? ove la copia di ricchezze? ove
) » le torri, gli edifizj, i palagi, gli agiati abitari? Tutto è tolto
^ » alla Marca Trevisana: e non da Barbari 0 Giudei, da Sar-
» mati 0 Britanni. Maledetto il giorno che gonfiandosi la su-
>. » perbia, sottentrando l'invidia, forse corrompendo l'oro e
; » l'argento, nella ^larca andò perduto il vigore, intiepidirono
» la fede e la verità, si raffreddò la prudenza; e carità, retti-
» tudine, saviezza, cordialità rimasero corrotte ».
Giovino queste riflessioni, giacché sempre eguale è la sorte
dei popoli che non si difendono, 0 che della libertà non usano
se non per guastarla.
'i Alcun che di somigliante si trovò in paesi dove le leggi perdono vigore ,
e l'umanità non ha voce innanzi al'a scellerata sete dell'oro. Nel 1822 sussisteva
ancora alle Aniille francesi ed inglesi la società degli avvelenatori, tribunale segreto
d i Negri Maroni, cioè schiavi che, l'uggiti dai |)adroni, erravano pei boschi, i i\m\\
'. radunatisi, ascollavano qualuncpie schiavo si querelasse de' mali traltatiienti de' suoi
) tiranni; e s'egli giurava cpiella esser la verità, gli davano un polente veleno col
quale vendicarsi. Gli ultimi tra questi andarono al supplizio alla Guadalupa nel 1833:
Ui punito il delitto, ma né punita, né svelta la pessima ragione del loro delitto.
Cosi sogliono l'arsi le leggi. È bisogno d'accennare come oggi in Europa rivivano
i comitati segreti e i decretati assassini 'l
) 22 Dal prologo degli Statuti della frataglia de' nolaj a Vicenza appare che
S Ezelino avea proibita quella, come tutte l'altre associazioni
r^^
-n
Cantù — Ezelino.
Le crudeltà frattanto non rallentavano l' ambizione di
Ezelino, né questa le crudeltà. Udito che in Loili ( siamo nel-
l'anuo 1251) si combattevano le due famiglie Vestarini ed
Averganghi, sperò approfittarne per giungervi al dominio. E
mosse con Buoso da Duara e coi Cremonesi: ma il papa, me-
scendo improvvidamente le armi spirituali alle cose monrlane,
aveva interdetta la città in favore de' Guelfi; e i Milanesi ap-
parvero con buone armi in appoggio de' Vastarini; talché Ezelino
dovette stogliersi dall' impresa.
A danno dei Guelfi pareva dovesse tornare la comparsa di
Corrado, figlio di Federico, che, ad onta del papa e degli emuli,
ottenuto l'imperiato in Germania, scendeva in Italia per as-
sicurare la Puglia contro i continui attacchi de' pontifizi. Ezelino
il corteggiò in Verona e nel viaggio, largheggiandogli promesse
ed assicurazioni, fors' anche perchè, più presto andandosene,
gli togliesse l'incomodo d'un superiore. Corrado di fatto, a
Porto Navone imbarcatosi sopra legni veneziani, si condusse
nella Puglia; dove fra non guari morì lasciando il trono al
più forte.
ig52 Come l'imperatore comparve in Lombardia, le città guelfe,
temendo di loro franchigie, avevano posto giù gli sdegni, ed
in Brescia rinnovata la Lega Lombarda, perpetuo schermo
contro la tirannia; e decretarono di munirsi contro la parte
imperiale, e singolarmente contro i caporioni di questa, Ezelino
ed il marchese Oberto Palavicino; un esercito nella JNIarca
Trevisana soccorrerebbe Alberico, i Caminesi, il marchese d'Este,
il conte Rizzardo da Sambonifazio e gli altri lor parteggianti.
J9-5 Ma il conte Rizzardo mori poco appresso, liberando così
Ezelino da un emulo formidabile; al marchese Azzo era stato
ucciso il figliuolo Rinal'lo, quel genero d'Alberico che era stato
da Federico spedito ostaggio nella Puglia; ed Azzo, credendo
Ezelino consigliatore di tal prigionia e della morte, lo prese in
maggior ira.
Però i nemici di Ezelino giunsero a ribellargli Trento
per opera principalmente del vescovo Egnone. Ezelino, come
avviener di chi è sorpreso, sulle prime fu respinto ; ma riforni-
tosi di gente, ed ajutato dal tradimento dei signori di Castel-
barco, ebbe in potere la città: con quali vendette voglio la-
sciarvelo pensare.
- 216 —
rHn VERONA E BRESCIA ET
L'esempio è contagioso anclie quando infelice; e Verona
pure levava gli spiriti: ma Ezelino venutole sopra colla spada
in una mano, la fiaccola nell'altra, la tornò al dovere, cacciando
i rei ed i sospetti in prigione o sui patiboli, né perdonandola
pure al conte Buontraverso genero suo, che co' figliuoli lasciò
morir in carcere, ed uccidere fra i tormenti Giram ondo fratel
suo naturale ed Enrico da Egna nipote.
Rimesso il senno a' sudditi vecchi, Ezelino pensava a farne
dei nuovi, e primamente pose disegno sopra Brescia, sperando
le discordie ne agevolerebbero la servitù. Di fatto i Guelfi, che
a tutta lor possa avevano contrariato la parte d' Ezelino, ri-
masero vinti ; ma i Ghibellini vittoriosi non furono tanto ciechi
da ricevere il tiranno entro le mura. Da ]^Iontechiaro adunque,
oy'egli erasi condotto, dovette ripiegare sopra ilantova, creduta
rea d'avere istigato ed ajutato i Trentini; i suoi soldati gri-
davano, — A Mantova; andiamo a Mantova; Mantova o la
morte; perchè Mantova sola impedisce il signor nostro di aver
in pugno tutta la Lombardia »; e messo a ruina il paese,
cinsero la città, e la ridussero all'estremo.
Allora pareva Ezelino all'apice di sua fortuna: non so-
perchiato da alcun principe, non adombrato da emuli, domatore
di ogni resistenza; abituati i sudditi a soffrire e tacere; forte
d'armi, forte di credito. Ma gli oppressi sappiano che la salute
arride quando più lontana pare la speranza, e ad Ezelino arrivò
notizia che, contro di lui, come nemico dell'umanità, la religione
aveva bandito la croce ; la quale fra le bestie goffe del medio-
evo esprimeva l'accordo e il sacrificio, siccome fra gì' inciviliti
il sigaro esprime l'egoismo e l' isolamento.
-^-&][^
D"^
1^
7
CAPITOLO X,
ANEDDOTI, ASTROLOGIA.
S^
Voi che vivete, ogni cagion recate
pur suso al cielo, siccome se tutto
movesse seco di necessitate.
Lo cielo i nostri movimenti inizia.
Dakte, Purg., 16.
rima di sceneggiare l'ultimo atto, raccogliamo lena,
soffermandoci sopra alcune particolarità e sul yi-
vere domestico di Ezelino. Quattro donne egli sposò,
nel 1221 Gisla sorella del conte Sambonil'azio; nel
1238 Selvaggia, figliuola naturale dell'imperatore
\- Federico, la quale si trova scritto ma senza ap-
poggio, fosse da lui fatta uccidere, forse per quell'amore ina-
cetito che si chiama gelosia. Nel 1244 sposò Isotta, sorella di
Galvano Lancia , signore de' più ragguardevoli di Sicilia e pa-
rente dell'imperatore. Cinque anni dopo, e in quel secondo fiore
di cui sembra privilegiata la vita dei militari, conduceva Bea-
trice, figliuola di r^ontraverso conte di Castelnuovo ; egli de'
più ricchi e gagliardi , ella delle più belle del tempo suo. In
quell'occasione Ezelino ai nuovi parenti impromise amicizia,
onori, grandezza: colla sposa ragionò a lungo afi'ettuosissimo:
e i popoli ammirando quella bellezza, speravano ammanserebbe
il marito cosi, da indurlo a vivere in amore e quiete. Non ne
fu nulla.
249
Nessuna gli procacciò le gioje della paternità; ma essendo
un tal Pietro dei Donici da Padova arrestato come complice
della congiura del 1246 , Gisla , costui madre , si presentò ad
Ezelino , rammentandogli d' esserne stata abbracciata in gio-
ventù, e asserendo quello esserne un frutto. Il tiranno mutò
la pena capitale in prigionia: qui tutto.
Né di amori e libidini viene incolpato se non in una tra-
dizione , soggetto a novelle e tragedie. Più volte ricordammo
la buona città di Bassano , posta su ameno colle, dolcemente
degradante alla pianura, lambita dal Brenta che ne purga l'aria,
mentre i monti la schermono dalla tramontana. Nel secolo X
fu data ai vescovi di Vicenza: acquistò la liberta come gli altri
Comuni d'Italia, poi nel 1175 giurò fede al podestà di Vicenza,
nel qual tempo contava ottocento cittadini attivi. Ezelino il
Balbo , di cui per isventura aveva limitrofi i feudi , la tenne,
la perde, la ricuperò. Ammutinatasi contro il nostro Ezelino ,
ebbe governatore Giambattista della Porta , che dopo difesala
valorosamente , cadde combattendo. Bianca de' Rossi , sposata
a lui da appena un anno e tutta spiriti virili, volle che il suo
lutto fosse vendetta, e sottentrata alla difesa, non cessò finché
non rimase presa coU'armi alla mano. 0 del valore , o della
bellezza, o di tutt'insieme incapricciato, Ezelino la richiese d'a-
more, e rifiutato, tentò violentarla; ma la Bianca, intrepida del
pari a protegger la patria e l'onestà, balzò dalla finestra e fiac-
cossi una spalla. Guarita , il laido se ne satollò per forza ; il
quale scorno non potendo essa patire , supplicò le fosse per-
messo baciare ancora una volta nell'avello dove giaceva il se-
polto marito : e messo il capo sotto al coperchio e di colpo
spuntellatolo, si schiacciò i.
Del resto Ezelino parve avversissimo alle sciagurate che
trafiicano il corpo e ai vilissimi che ne guadagnano; e anche
ladri e traditori perseguitò. Scontrò un giorno la sbirraglia
che menava uno per debiti: e chiesto chi fosse — un ollaro »,
risposero i satelliti, volendo dire in lor dialetto un pentolaio.
Ma nella Marca uno laro pronunciasi per un ladro: dal qual
1 II fatto è dipinto a fresco nella sala sopra la loggia in piazza de' Signori
a Padova.
— 250 —
ANEDDOTI, ASTROLOGIA CT
suono ingannato, — Appicatelo )> ordinò Ezelino : e per quanto
gli si manifestasse l'errore, non volle ridirsi. Parola da principe.
Un villano querelava il vicino d'avergli involato delle ci-
liege ; e questi negava perchè il ciliegio era imprunato. Il che
visto vero , Ezelino condannò il denunziatore , perchè si fosse
fidato della siepe più che della giustizia di lui.
Sentendo tremare la mano del barbiere che lo radeva ,
Ezelino gliela fece troncare: altri dice lo facesse squassare alla
tortura, poi levatolo appena, continuò a lasciarsi radere da esso.
Passeggiando un giorno coli' imperatore , contesero quale
avesse spada migliore. L'imperatore trasse la sua, bellissima
ed ornata: ed Ezelino come l'ebbe contemplata, — Si (lisse),
bella; ma la mia, senza molto fornimento, è migliore d'assai » ;
e la snudò. Al qual atto, seicento cavalieri fecero altrettanto:
onde l'imperatore, a quella siepe di spade, si confesso vinto.
Una vecchia lo presentò d'un sacco di bellissimi noci, di-
cendogli : — Dio VI dia lunga vita, o signore ». E richiesta
da lui perchè cosi augurasse. — Perchè (soggiunse) cosi sta-
remo in lungo riposo ». Di che contento , egli le regalò un
sottano nuovo; e poich'ebbe fatte versare sul pavimento delle
) noci , e per ispasso raccorle da lei ad una ad una , la meritò
^ largamente.
•' Mandò una volta bando che il tal giorno farebbe una co-
piosa elemosina : e a ciascun bisognoso che si presentasse da-
rebbe gonnella nuova e molto da mangiare. Pensate se accor-
sero in folla in Verona ciechi, storpi, paltonieri d'ogni miseria,
; fin al numero di tremila; ed esso congregatili in una casa, vi
■ fece appiccar fuoco e bruciarli. Ottimo spediente contro il pau-
! perismo; ma mi hanno maggior aria di verità coloro che vol-
( gono a comico esito la novella, cioè che quei mendichi fossero
snudati de' loro cenci , rivestiti di nuovo , ben pasciuti , poi
) congedati. Costoro, che tra loro stracci teneano cucite molte
monete, invano li ridomandarono: Ezelino, fatto bruciare quel
ciarpame, ne ricavò un bel gruzzolo; e coloro, ben vestiti ma
senza un soldo, si sparsero pel mondo esagerando le immanità
del tiranno.
Questi aneddoti, come altri molti, sono riferiti dalle cro-
nache, e con inarrivabile ingenuità nelle Cento novelle antiche.
Dal Chronicon Imarjinis Mundi ricavo che una volta, mentre
— 251 —
|— jja^ — ^.^ — ^_^____„___„_ — -^[^
r-^ CAPITOLO X. CJH
l'imperatore era a Vicenza, un costui milite violentemente ab-
bracciò per istrada una signora , ed Ezelino senz'altro Io fece
decapitare. Federico se ne querelò, ma esso gli disse: — Avrei
fatto altrettanto a voi per uno scandalo simile ».
Premevagli di scoprire l'uccisore d'un granile, onde pro-
mise gran mancia a chi lo rivelasse. Un prete che l'avea sa-
puto in sacramento, va e glie!) manifesta. Il reo confessa, ed
Ezelino assolve lui, e fa bruciare il mal prete.
Intorno a sé raccoglieva egli volentieri buffoni , giullari ,
novellatori, coi quali passava le notti favolando. Ma singolar-
mente diede favore ai maestri di astrologia, delirio lunghissimo
nella storia della umanità , sul quale vogliamo badarci ; e chi
lo credesse superfluo non ha che a saltare alle ultime pagine
del capitolo, e non troverà pregiudicata l'integrità d'un racconto
che si poco vi pretende.
La smania di conoscere l'occulto, la quale discerne l'uomo
civile dal selvaggio , è tanto più vigoroso quanto il soggetto
cui si dirige è meno suscettibile d'essere cólto con precisione.
Più poi è angusto il campo della scienza, più largo resta quello
del meraviglioso; e in capo al meraviglioso sta il destino, col-
r astrologia e colle arti sorelle cioè , m luogo dei fatti le in-
duzioni, delle cause 1' immagin izione , dell'esame naturale la
finalità.
Antichissime quanto varie furono le maniere di pronosti-
care le conseguenze de' nostri atti e I' avvenire della nostra
vita. Grande effetto vediamo avere gli astri nelle cose più sen-
sibili di quaggiù : il diffonder la luce, produrre la varietà delle
stagioni, spargere la fertilità; la luna accompagnare colle sue
fasi importantissimi fenomeni nel mondo materiale o nell' or-
ganico; le stelle colle diverse apparenze pronunziare la muta-
zione delle stagioni, l'arrivo de' venti periodici e delle pioggie.
Se tanto operano sugli essere inanimati , quanto più devono
potere sovra l'uomo, la più nobile creatura e la più vicina alla
pura essenza e divina delle stelle? i
Il limpido orizzonte dell'Asia centrale offriva vastissimo (
campo alle osservazioni celesti; mentre l'ardore di quel clima >
eccitava le fantasie. E di là vennero nell' antichità gli studj
astrologici, studj in gran fiore quando l' imperio romano toccava )
kla maggior grandezza , e che , quando esso scadde , presero p
ai
Ne gli Ezelini rimasero estranei alla protezione dei cantori, e in loro corte visse il tro
vadore, di cui restò più elevata rinomanza, Sordello di Mantova.
Cap. XI. ras. 295,
rra ANEDDOTI, ASTROLOGIA
j vigore dai patimenti e dalla ignoranza. Gli Arabi, tratti a no-
/ velia vita da Maometto, fra le altre dottrine, parte con senno,
parte con delirio coltivate , si affissero a quella degli astri , e
\ buone osservazioni vi portarono, sino a scoprire il movimento
I dello apogeo del sole. Vi mescolarono però i delirj dell' astro-
) logia, e li diffusero nei paesi che conquistarono: onde riprese
\ voga in Europa 1' astrologia giudiziaria ; gì' ingegni, cupidi di
; palliare l'ignoranza sotto l'aspetto d'una scienza iiivccessibile
) al vulgo, le tesserono un corredo di vanità. Importando d'averne
infallibilità di risultanze , e desiderandosi applicare all' utilità
) pratica le nuove scoperte di matematica, rinfiancaron col calcolo
{ le menzogne, dimostrando i loro sogni con cifre e figure, come
altri sogni vollero modernamente puntellarsi coWa-hb.
{ Perocché i dotti sono uomini, che, come nel resto, così
ì ne' pregiudizj van più lontano , cioè s' infangano viepiù : e
I ognun d'essi vuole portarvi il suo secchio d'acqua, dimodoché
quel che era una pozza diviene un marazzo. Allora gran nu-
) mero di dotti applicarono unicamente le veglie e i calcoli loro
a questa chimera delie umane speranze ; allora libri scritti ,
stromenti inventati; allora società segrete che ne custodivano
e trasmetteano l'arcano, e pubblici congressi dove accomunare
le osservazioni: e in quello che nel 1179, tennero i più nomi-
nati astrologhi orientali, cristiani, arabi e giudei, colla solita
sapienza de' congressi scientifici fu predetto che, nel settembre
del 1186, straordinaria congiunzione de' pianeti superiori ed
inferiori porterebbe lo sfasciamento del creato per furia di tem-
peste. 11 temuto settembre giunse ; passò : nulla cadde in ro-
vina, neppure il credito dell'astrologia.
Al tempo proprio del nostro racconto, nella scienza delle
stelle s'invaghirono Federico II imperatore ed Alfonso il Savio,
re di Castiglia. Esso Federico, mostrando all'abate di Sangallo
quel che più di caro tenesse al mondo , accennò il figlio Cor-
rado ed un magnifico globo , ove il cielo era oro , gemme le
stelle. Col titolo di filosofo imperiale erasi egli attaccato maestro
Teodoro , che lautamente stipendiato leggeva negli astri l'av-
venire , indicava l'ora propizia alle imprese, e al tempo stesso
faceva siroppi e confetture per la tavola del signor suo *, il
( ' Regesta Frederici^ pag. 347.
IT]
- 253 —
ni
CAPITOLO X.
7
quale assicura non accostasse mai la moglie senza averne con-
sulta cogli astrologhi. Quando nel 1239 udì la ribellione di
Alberico da Romano,e di altri, si preparò a muovere coll'esercito
sopra Treviso , e prima fece dalla torre di Padova osservar
l'ascendente da maestro Teodoro, il quale vaticinò bene, non
avvertendo (riflette Rolandino) che lo scorpione stava allora
nella terza casa, indizio che l'esercito sarebbe offeso verso la
fine, giacché lo scorpione tiene il veleno nella coda.
Di ben altra scienza fa re Alfonso , il quale , raccolti gli
astronomi più nominati, corresse le tavole di Tolomeo , sosti-
tuendone altre, dette dal suo nome, differenti nel movimento
medio de' pianeti, ma fondate sopra il sistema medesimo ; nel
quale tanta confusione riconosceva, che esclamò: — Se foss'io
stato a' fianchi di Dio quando creaya, meglio 1' avrei consi-
gliato nella disposizione delle sfere ».
La superbia non sa se non imputare la divinità ; ove la
docile sapienza ricerca, venera ed ammira.
E tutta l'astrologia fu un delirio dell'intelletto, traviato
dall' orgoglio nel cercare la verità fuori dei sentieri che son
aperti alla umile indagine; preferendo, come troppo è costume
dei dotti, raffinare l'errore che confessare 1' ignoranza, e pre-
tendendo interrogare il linguaggio arcano della natura, invece
di chinarsi ad ascoltare le lodi che essa intuona al Creatore ,
i suggerimenti che ci dà a viver bene. Povero re della natura
che, destinato a passare una notte in questo albergo, fantastica
come accomodarsi il letto per anni ed anni; e quelle poche ore
continua a smuoverlo, rifarlo, disfarlo, invece (U a(higiarvisi il
men peggio e riposare.
L'analogia, argomento tanto erroneo quanto comune, sic-
come faceva indurre l' influenza delle stelle sulle libere azioni
umane, così facea dire che l'istante decisivo della vita essendo
quello del nascere , la congiuzione diversa de' pianeti in quel
punto prenunzierebbe gli accidenti del vivere di ciascuno. De-
duzione arbitraria da arbitrario supposto.
Ma quali saranno i pianeti di guardatura sinistra, quali di
benigna ?
Ancora per analogia inducevasi dal nome, attribuito loro
dagli antichi. Chi nasce sotto l'influsso di Venere sarà dato ai
piaceri ; Giove recherà fortuna , perchè gioviale ; Marte farà
— 254 — ,
[aia-
rr-h SCIENZE OCCULTE
inclinati al sangue; Saturno alla malinconia, e così discorrete
degli altri pianeti e delle costellazioni. Poi ciascuno di quegli
Dei aveva erbe o minerali a sé dedicati : dedicati da classifi-
cazioni affatto capricciose ; e se ne argomentava che questi
sarebbero capaci d'ajutar gli effetti di quelli.
Studiato dunque non il mondo vero , ma uno formato a
capriccio, si costituì una classe intera di scienze, chiamate oc-
culte, veneratissime perchè in ogni tempo il vulgo si quae la-
tent , ìneliora putai , e cancellate solo quando ripresero do-
minio le scienze sperimentali , cui ultimo fine 'è scoprire le
leggi de' fenomeni.
Que' sapienti vanno dunque messi in fila con altri sapienti
dei giorni nostri, che, invece di guardare se un fatto è vero
qual lo narra taluno, oppongono a questo l'essere stato narrato
diversamente dal Macchiavello , dal Giannone , dal Sismondi ;
invece di considerare se il giudizio proferito sopra un' opera ,
uno scrittore sia sagace e sincero, benché urti le loro passioni
0 i loro pregiudii-j, lo condannano d'ignoranza, di presunzione
e persino di audacia, seppellendolo sotto le autorità del Tira-
boschi, del Giuguené , perfino di Giuseppe Maffei e di.... quasi
noi dissi. Cambiata la frasca, il vino é lo stesso.
Fra le parti della filosofia e delle matematiche la meglio
coltivata era l'astrologia ; ogni repubblica aveva il suo astro-
logo, comprese la dotta Firenze e la prudente Venezia ^ ; l'U-
niversità di Bologna ne decretava uno, quem tamquam neces-
sarissimwn haberi omnino volumus; tutte le altre non vo-
leano esserne prive.
^ Marlin Sanuto, sotto il 1493, nota che Erasmo Brasca milanese e Galeazzo
Visconti erano partili da Milano per recare li stendardi al marchese di Mantova ,
uno di qual havea una croxe bianca in campo, uno corvo ed uno liatifuogo, e in
l'altro l'arma dil durha de Milan : andono con molti cavalli, ed a hors 18 partirono^
hora data par maistro Ambrosio de Zo, astrologo.
Poco prima Paolo Fantini diresse ai Veneziani un toltalo sul modo di aver
tutta Italia; e oltre ([uei canoni sempiternamente veri del tenersi in armonia col
papa, del posseder Milano, del menare un eccellente corpo di ingegneri, suggerisce
pure (piod haheat astronomos bonns. Il che vuol dire che allora, per questa scia-
gurata tela di Penelope dell'unità italiana, si credeva troppo necessario guardar
in su, mentre oggi troppo lo si è dimenticato.
— 255 —
CAPITOLO X. UH
E noi supponiamo di essere ancora a quegli anni dell'Uni-
versità, che pajono si gravi mentre passano, e che sempre si
rimembrano con sospiro dopo passati ; e di assistere alle lezioni
d' un professore , puta Guida Bonatto , astrologo di Ezelino e
d' altri nostri eroi , il quale , colla gravità onde qualch' altro
oggi vende baje a fusone, porga quasi il programma della scienza
in cui dovrà erudire la sempre egualmente attenta scolaresca.
Né credo con ciò tradire l'uffizio di storico più di coloro che
agli eroi pongono in bocca orazioni quali avrebbero potuto dire
in una data occorrenza; e tanto più che io non lavorerò di
fantasia, ma metterò quel tanto solo che ritrovo negli autori.
La sala è arredata di sfere , astrolabj , occhiali , carte a
figure strane, oriuoli a polvere, a acqua, a ruota 4, cranj, ani-
mali imbalsamati o nello spirito , specialmente mostri , alcuni
anche formati di parti sciolte da varj animali , in modo da
costituire quelle mostruosità che si nominavano il gallo basi-
lisco , il drago , la salamandra. Non mancheranno i ritratti o
almanco i nomi, e qualche libro de' matadori della scienza ,
^lercurio Trimegisto e Tot egiziani; Zamolxi , Zoroastro per-
siani; l'iperboreo Abbari ; Carraonda, Damigerone, Orfeo tracio,
dog greco, Germa babilonese; e de'filosofi che la coltivarono,
Pitagora in capo a tutti, Empedocle, Democrito, Platone, Por-
firio, Giamblico, Plotino, Proclo, Apollonio Tianeo. Il professore
è avvolto in negra zimarra , succinta d' una larga fusciacca ,
cogli occhiali e un berretto a cono, tutto effigiato di serpenti,
di pentagoni, di bizzarrie, che non solo non han un originale,
ma nemmanco un nome. L' attenzione è grande, qual suole a
tutte le chimere. Egli abbonda nell' esordio , la parte più
♦ Chi ricorda il dantesco
siccome ruote in tempre d'orinoli^
non troverà n ridire a questo passo, quand'anche non conoscesse Pacifico vescovo
di Verona, che inventò gli orinoli notturni. Quanto agli occhi.ili, ognun sa che,
nell'Adultera di Tiziano, uno scriba legge coU'occliialetto le parole scritte in terra
dal Salvatore. Il mio anacronismo è meno peccaminoso, giacché nel 130o fra Gior-
dano diceva : — Non è ancor venti anni che si trovò l'arte di far occhiali, ed io
> vidi colui che fece gli occhiali e favcUaigli » ; il quale probabilmente era frate
f Alessandro Spina pisano. ^
1^ -^ ^
SCIENZE OCCULTE
7
artifiziosa, cioè la più vana di tutte queste ventose prolusioni ;
finalmente entra in materia, ma con lingua e stile ben lontani
dalla squisitezza che noi moderni impariamo dai romanzi e dai
giornali francesi, e dai nostri che son traduzione de'francesi.
» Tre mondi vi sono, l'elementare, il celeste, l'intellettuale,
disposti in quest' ordine appunto , e in maniera che ciascuno
inferiore subisca l'influenza del superiore. A tutti sovrasta Id-
dio , il quale ci comunica le virtù di sua onnipotenza per via
degli angeli, de' cieh, delle stelle, degli animali, delle piante ,
dei metalli.
^ » Risalendo questa scala , possono gli uomini penetrare
( fin al mondo archetipo , godere non solo delle qualità che le
) più nobili cose possedono, ma attirarsene di nuove; conoscere
<. e partecipare di quella vita universale per cui e in cui tutte
; le cose sono, e che dai sapienti chiamasi anima del mondo.
I » Le virtù e le influenze de' corpi celesti ci rivelano che
/ essi donno avere un'anima, giacché niun'operazione può essere
) fatta semplicemente da un corpo. Poeti e filosofi tutti conven-
gono in ciò, oltreché la ragione stessa lo mostra. Imperciocché
; qualunque corpo imperfetto , e le particelle del mondo , e gli
; animaletti più meschini non è certo che hanno vita ed anima ?
') ben sarebbe strano non l'avessero poi i cieli, le stelle, gli ele-
\ menti. Chi mai, dotato appena di senso comune, negherà vi-
( vano la terra e l'acqua, esse che danno vita a tante piante
^ ed animali? E non solo hanno anime, ma queste anime ragio-
( nano ; e di molte si conoscono i nomi , le evocazioni de' quali
viene a tant'uopo per compiere opera di magia.
» Il nostro studio appunto verserà, in primo luogo, attorno
alla maniera onde ai chiaroveggenti si palesano le virtù del
mondo materiale, per passare poi a conoscere le virtù celesti:
in secondo luogo, attorno alle discipline degli astrologi : final-
mente al come si rinvigorisca il tutto per via di cerimonie.
In tutto ci appoggeremo all'esperienza, arte delle arti, vera
chiave di tutti i trovati, e che l'orma la gloria di questa nostra
età illuminata.
» La magia è potentissima facoltà misteriosa, che abbraccia
la cognizione delle cose arcane; è insomma la scienza vera.
Di qui lo studio che ad acquistarla e crescerla han posto i
maggiori sapienti, dell'esperienza appunto servendosi.
— 257 —
□ CAPITOLO X.
» Di quattro elementi tutte le cose sì compongono, né di
più potrebbero essere, né di meno: fuoco, aria, terra, acqua;
e ciascuno ha tre qualità ; onde risulta lo stupendo numero di
dodici, che passa pel sette al dieci, arrivando alla suprema
unità, da cui dipendono tutti i meravigliosi effetti. Le virtù
naturali delle cose, altre sono elementari, come il bagnare, lo
scaldare: altre provengono dagli elementi che le compongono,
come il far digerire, mollificare, corrodere, ecc. Oltre queste ,
ve n'ha di occulte , come elidere il veleno , attirare il ferro :
come la virtù della remora, pesciatolino, e che pure basta colla
coda ad arrestare qualunque gran naviglio.
» Al modo che nello spirito di Dio esistono le idee, cosi
neir anima del mondo vi esistono altrettante ragioni seminali,
mediante le quali Iddio fece i cieli, le stelle, le figure; ed a
quelle impresse le loro singole proprietà. Tutte dunque le virtù
e proprietà delle specie inferiori dipendono da queste stelle, da
queste figure, da queste proprietà; per modo che ciascuna
specie terrestre ha una figura celeste che le corrisponde , e
da cui trae mirabile efficienza. La figura e posizione de' corpi
celesti a molti individui conferisce singolari virtù : giacché dal
momento che uno comincia ad essere sotto un ascendente fisso,
0 dominato da qualche costellazione, contrae certa maravigliosa
particolarità d'operare e di ricevere. Ben dunque il grande fi-
losofo Avicenna ebbe a dire che tutto quanto si fa quaggiù,
trovasi già prima ne' movimenti e nelle idee delle stelle e dei
globi.
» A chi non è noto e certo che la calamita attrae il ferro,
che r|ambra confricata muove la paglia, che 1' asbesto acceso
una volta non si spegne che a gran fatica : che il carbonchio
luce nel bujo, il diaspro stagna il sangue, il fegato di cama-
leonte, bruciato alle estremità, eccita pioggie e tuoni, la pietra
elitropia rende invisibile chi la porta ? Cresce un'erba in Etiopia
che dissecca gli stagni , ed apre qualunque luogo chiuso: una
in Tartaria che, chi ne gustò, può bastare dodici giorni senza
mangiare né bevere.
> Il sangue di basilisco fa ottenere ogni desiderio beven-
done : una pietra morsicata da un can rabbioso mette resia
fra chi la beva polverizzata: se della spada onde un uomo fu
ammazzato, facciasi un morso, il cavallo per bizzarro che sia, S
_a - 258 - D^
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gjja -^ -.s^
MAGIA D "jr.
verrà domato: se s'immolli nel vino, e quel vino si mesca ad
un malato di quartana, eccolo guarito.
» Questi son fatti, accertati dall' esperienza ch'esser suol
fonie ai ?nvi di nostr' arie ^ : spetta ai filosofi l' indagarne il
perchè. E già l'analogia ne sincera che in ogni erba, in ogni
sasso risiede una virtù ed una operazione mirabile , e tanto
più in ogni stella : né si dà altra causa necessaria degli effetti,
se non l'accordo ed il legame del tutto colla causa prima , e
la loro corrispondenza con questi archetipi divini.
» Di tali occulte virtù come si viene in chiaro ? col cer-
care per via di somiglianze. Vuoisi dunque comunicare alcuna
proprietà? bisogna scegHere le cose in cui questa si ritrovi
eminente , e prenderne una parte nel luogo dove essa ha mag-
giore virtualità. A grazia d'esempio, per rendere ardito scer-
rete il cuore 0 gli occhi o la fronte d'un gallo o d' un leone.
In tal guisa è provato dall'esperienza che se alcuno ha indosso
il cuore di un corvo, o la testa d'un pipistrello legata al braccio
) destro, non può più dormire : le rane , il barbagianni rendono
\ loquaci ; anzi la lingua d' una rana, sottomessa al capo d' un
addormentato, lo fa sonniloquio, come il cuore d'un gufo messo
^ sul petto a sinistra di una donna dormente , le fa rivelare i
suoi secreti. Chi non sa che i vecchi ringiovaniscono mangiando
' serpenti ?
^ » Le virtù occulte provansi anche per via d'opposizione ,
\ giacché non v' è cosa che non abbia le sue antipatie, come il
( fuoco è avverso all'acqua: marte e venere a saturno : marte,
: mercurio e la luna al sole. La quale nimicizia fra le stelle de-
riva dallo stare in mansioni opposte le une alle altre ; lo perchè
Eraclito scrisse che quaggiù tutto si fa per contrarietà ed
amicizia''. Quaggiù la calamita ha simpatia col ferro, lo sme-
raldo colle ricchezze, il diaspro colla generazione, l'agata col-
> l'eloquenza, il bitume col fuoco : la palma femmina iimail maschio,
'; e curvansi una ver 1' altro; le viti amano gli olmi; v' è un
ì amore degli animali con esseri inanimati: così la gatta predi-
si Dante.
e Mutali i nomi, osgi diciamo por forza d'aUrazione o di repulsione.
— 25
CAPITOLO X.
lige il puleggio selvatico, e stropicciandosene, si feconda senza
maschio : e la cavalla di Cappadocia concepe e figlia di vento.
» Ai quali fenomeni prestando attenzione, gli uomini ap-
presero dalle bestie molti rimedj : e le rondini insegnarono che
l'erba chelidonia sana del mal d'occhi: molti si valgono delle
foglie di lauro; l'upupa, se trovasi male per aver mangiato
uva, guarisce coll'adianto capelvenere: i cervi liberansi dalle
infisse freccie col dittamo.
» A queste simpatie fanno riscontro le antipatie, come fra il
rabarbaro e la bile, fra la teriaca e il veleno, fra l'amatista
e r ubbriachezza , fra l'agnocasto '^ e i moti sessuali, fra il co-
rallo e il mal di stomaco; il fiele del corvo disvia gli uomini
/ dal terreno ove sia stata sepolta alcuna cosa; l'ambra attira
{ ogni corpo, eccetto l'erba detta confetto de' cavalli, e le cose
; unte d'olio , per quale ha naturale repugnanza.
) » Lungo sarà il ragionar nostro intorno a queste virtù ,
\ discoperteci dall'esperienza e dall' autorità de' savi , e che evi-
) denternente sono infuse ne'corpi mercè l'influenza delle stelle.
l Ne è cosi facile, come alcuno presume, il conoscere sotto quali
^ stelle o segni stieno le diverse cose: pure si può apprenderlo
' o dall'inclinazione dei raggi, o dal moto e dalla figura de'corpi
) superiori, o dal colore e odore, e talvolta dai loro efietti. Da
ciò si chiariscono solari il fuoco , la fiamma , il sangue e gli
spiriti vitali , perchè tendono in su ; 1' oro pel suo colore , il
carbonchio per la luce ; dalla luna ritraggono la terra, l'acqua
ed ogni corpo umido, i succhi animali bianchi, l'argento il cri-
stallo ; e via cosi discorri degli altri pianeti. Anzi, quanto si
trova quaggiù, si fa sotto la dominazione dei pianeti; e i re-
gni e le Provincie sono pure sottoposti ciascuno al proprio.
Altrettanto dicasi de' segni e delle stelle fisse.
» Vuol dunque altri conoscere la forza di qualche parte
del mondo o di qualche stella? il può servendosi delle cose che
7 Perciò se ne collocava una pianta nel chiostro dei conventi. Tal qualità
era comune al nenufar e alle orchidee, ma più bizzarra era la mia; poiché, secondo
la scuola salernitana,
ruta viris minuit venerem, mulieribus addit. p
— 260 — Q— J
. pare anelino coniiivesse a que;,'!! amori ; e forse per fare onta al Suiabouifazio , col
quale era veuulo ia rotta, indusse Sordello a rapirla
} CAf. XL l'Ufi. 300.
"H MAGIA
r
.brn
le si rapportano, e che ne subiscono le influenze. Per la con-
formità de' corpi inferiori coi superiori possono , mediante le
influenze del cielo, attirarsi i celesti ed anche gli spiriti che
informano le stelle. Chi potrebbe negare che, per via d'artifìzii
profani, possano evocarsi gli spiriti maligni, come gli angeli
per le opere buone ?
» Resteranno poi gl'importantissimi soggetti dell'avvincere
gli uomini d'amore e di odio; del produrre salute o malattie;
dell'impedire che i ladri possano rubare in un dato posto, né
un esercito passare i confini, né i vascelli uscire d' un porto ,
né un molino girare , né da una fonte attingersi acqua , ecc.
Tant'è l'importanza sociale della nostra scienza!
» Tali effettti appartengono alla magia , la quale è di
quattro sorta : la ìiaturale , che conoscendo meglio del vulgo
le forze della natura e queste simpatie e antipatie, ottiene ef-
fetti portentosi, come le fantasmagorie, i ventriloqui; \d. mate-
matica, che , dotta nelle leggi di meccanica , può congegnare
mirabili macchine e automi, o raggiungere soluzioni inarriva-
bili al comune ingegno; \^ avzelenatrice, che fa bevande por-
tentose e filtri, come quelli con cui Circe tramutava gli uomini
in ciacchi ; la cerimoniale, più dell'altre augusta e potente, che
dividesi in geozìa, che comunica cogli spiriti malvagli, e teurgìa
con genii puri ^.
» Gli incantesimi si fanno con bevande o con unguenti; i
filtri amatorj con oggetti che s'attaccano o si sospendono, anelli,
sortilegi, immagini, caratteri, incantamenti, imprecazioni, lumi,
numeri, scongiuri, esorcismi. Quanta i veleni abbiano virtù, ne
sia prova questo fatto, che in Italia v'aveva donne le quali,
dando a mangiar del formaggio, mutavano gli uomini in bestie,
e poiché se n'erano dilettate, li tornavano in uomini.
» Anche certi sufi"umigi hanno connessione colle stelle, e
sotto la influenza loro possono assai. Cosi facendone uno di
coriandro, prezzemolo o giusquiamo con menta, compariranno
i demonj: ma se vi si aggiunge succo di papavero, cacciansi
da qualunque luogo. Dove vuoisi avvertire che, se i profumi
si drizzano al sole, facciansi con corpi solari, con lunari se alla
8 La iiiaciia bianca è recente inlroihizionc de' giocolieri. }
— 251 —
ali
Cantù — Ezelino. ^"^
CAPITOI.O X. □''— ;
luna, ecc. : e che in tutte le opere buone, come sarebbe il far
amare, si usino di grato odore, di cattivo per sentimenti ma-
levoli.
» Quanto alle legature, è certo che, attaccando stella di
mare e sangue di volpe con un chiodo di rame ad una porta,
nessun filtro saprebbe nuocere, né un uomo potrà mai usare
con donna la quale tenga a lato un ago ch'ella abbia messo
in un letamaio , copertolo di fimo e ravvolto in un drappo
mortuario.
» Tanta è la virtù de' legamenti di alcune cose ; purché
non passi inavvertita l'avvertenza di farli sotto certe costella-
zioni, e con fili di metallo o seta, capelli o nervi, peli o setole,
a norma del pianeta che vuoisi attrarre. A consimile ragione (
si confezionano certi anelli, prendendo un' erba sottoposta ad (
una stella benigna, quando questa domina, e ponendola entro )
un metallo, con una pietra conveniente e con farvi certe m- )
magini, che v'insegnerò ; come vi esporrò diverse maniere d'in- ì
canti. ;
» L'osservazione dunque e l'esperienza sono i fondamenti )
della scienza nostra; e colla loro finezza si vennero a scoprire ^
rilevantissimi effetti. Vuoi sanare della quartana? attacca ra-
schiatura delle unghie del malato al collo di un'anguilla in un \
pannolino , e lasciala tornare all' acqua : oppure metti al collo |
del malato un chiodo di forca involto in lana ; oppure un pezzo >-
di forca nascondi in un buco ove il sole non penetri. Dalla
tosse si guarisce sputando in bocca ad una rana mentre monta :
sulle piante. Ed assai altre pratiche vi mostrerò, a prò dell'u- \
manità conservate dai veggenti: qui mi limito ad avvertire che }
tutti questi incanti sono più forti, quando nel farli tengansi le ;
ginocchia congiunte, e le gambe una sopra l'altra ; ragione per ;
la quale dinanzi a re e duchi non si permette quest'atteggia- .'
mento. E assicurasi che, stando in piedi avanti la porta e chia- (
mando a nome un uomo che giaccia con una donna, ed egli l
risponda, e configgendo nella porta un coltello od uno spillo , '
cui siasi rotta la punta, finché queste rimangono, i due non ^
) potranno accoppiarsi. ^
I Qui il nostro Guido Bonatto prosegue ragionando degli }
ì auguri, delle divinazioni, de' sogni, dell'estro, tutte maniere S
!; per le quali si può giungere alla scoperta del vero; poi delle \
Un - 262 - Dp9
ra^
parole e delle figure ; ed io ve ne dispenserò per giungere al
punto più nobile e sublime! — Le scienze matematiche (die egli
seguitando) tanto sono importanti che chi studia in magia senza
qu'este, a nulla di bene avanza, e scialacqua il suo tempo. Pe-
rocché tutto quanto si opera quaggiù è condotto e governato
con numero, peso, misura, armonia, moto e luce: e le scienze
ir.atematiche sole possono, senz'altra virtù, produrre operazioni
«imili alle naturali. Tutti i più famosi filosofi e i dottori di
cristianità , e gli Arabi , maestri di coloro che sanno , asseri-
scono insita ne' numeri una virtù mirabile ed efficace. E ba-
j sterebbe l'erba detta ^oenlafiton, cioè cinque foglie, a palesar
f la potenza de' numeri, giacché essa resiste a filtri e scaccia i
'. demonj ; prendendo una delle due foglie due volte al giorno
nel vino , dissipa 1' nbbriachezza ; tre foglie guariscono della
/ terzana, quattro della quartana. Cosi chi nasce al settimo mese
( risana le scrofole toccandole. Una serpe battuta una volta con
\ una canna, muore ; se le dai due colpi si fa più rubesta. iNè
i ciò deriva dal numero naturale, sibbene dalla ragione formale
\ che é in esso numero. E se mai col lasso dei secoli si arriverà
( a congiungere numeri di parole e naturali coi numeri divmi ,
( e il rapporto loro coi tempi, si potranno effettuare operazioni
non più vedute e conoscere cose stupende. Fortunati i posteri
che dal progresso vi saranno portati ! Finché si compiano i
tempi vi diviserò le proprietà di ciascun numero.
Se già questa lezione non vi fece l'effetto delle accademiche,
caschereste di sonno ov' io seguissi queste singolarità dei nu-
meri, né guari v'importerebbe sapere che, quando i maghi
fanno certi gesti da alcuno creduti ridicoli, non é se non una
maniera più sublime di numerare. Tanto diletto quanta utilità
cavereste pure dalle infinite maniere eh' egli insegnava onde
scrivere i numeri, e dalle sue spiegazioni circa il valore e l'ef-
ficacia de' segni geometrici e dei suoni musicali.
— Ala (prosegue) perchè la virtù naturale operi meravi-
glie, deve essere animata e accompagnata dall'osservazione delle
cose celesti, a cui sono suddite le terrene. Chi negasse l' in-
flusso delle stelle , impugnerebbe la sapienza di Dio e 1' espe-
rienza. Dio farebbe nulla invano ? ora il sole e la luna servono
a darci luce ma i pianeti e le stelle cosa farebbero a noi, se
( non fosse l'influir sulle cose di quaggiù? E che? i minerali, .
113 _ 2r,3 - D-il
(
\
CAPITOLO X.
"^
i metalli, gl'insetti, hanno proprietà loro, e non ne avrebbero
gli astri? Importa dunque in ogni opera magica osservare le
situazioni, i movimenti, gli aspetti delle stelle e dei pianeti ne'
loro segni e ne' gradi loro. Allora dunque che vogliate fare
cosa riguardante alcun pianeta , converrà lo collochiate nelle
sue dignità propizie, dommanti nel giorno, nell'ora e nella fi-
gura del cielo.
» I corpi celesti operano sulle cose inferiori mediante il
calore , il lume , il moto , 1' aspetto. Ora se non variassero le
cause , non varierebbero gli effetti : e chi vuol addottrinarsi
degli effetti deve guardare le cause , cioè i pianeti. Già dagli
astronomi aveste contezza del numero dei pianeti, della natura
di ciascuno, del sesso, delle passioni, della felicità od infelicità,
e come giove e venere sieno fortunati, saturno e marte infausti.
Il cielo poi dividesi in dodici case, che qui vi offro delineate :
a^-
» I quattro angoli sono le case più forti del cielo, sebbene
di fortezza differente, e la prima più forte di tutte ; se non che
la X prevale nelle cose spettanti a gloria secolare, come regni,
ducati, podestarie , ecc. La II, Y, VIII, XI, dette succedenti
— 264 —
D
rr-D OROSCOPI D H
f°. I
perchè succedono a fianco degli angoli, son men forti di queste,
se non che la XI prevale nelle cose di sperata fortuna ; lo
perchè dicesi casa della fiducia. Deboli sono la III, VI, IX, XII,
che appellansi cadenti , né promettono bene durevole , se non
che la IX si preferisce nelle dignità ecclesiastiche.
« Riservandomi ad esporre i beni ed i mali che sono signi-
ficati da ciascuna casa, secondo 'che vi si trovi il pianeta di
chi nasce, qui v'indicherò quel che ciascun pianeta influisce
sulla concezione de' fanciulli. Kel primo mese saturno coagola
la materia, senza però disseccarla ; onde, se saturno sarà ben
disposto, la forma del fanciullo resterà fovorevolmente coor-
dinata in modo che ciascun pianeta potrà operare convenien-
temente. Tsel secondo mese giove dà spirito e membra; e se
sarà ben disposto il concetto avrà belle proporzioni e abitudini
e facile respirare. Nel terzo, marte colora il sangue. Nel quarto
il sole gli tramuta le membra principali. Nel quinto , venere
finisce le orecchie, il naso, le sopracciglia, i genitah. Nel sesto
mercurio i reni, la lingua, i polmoni e tutti i fori del corpo.
Nel settimo la luna apre i spiragli del polmone : allora ogni
pianeta ha già influito, ed ecco perchè, se il fanciullo nasce,
è completo e vitale. Nell'ottavo mese torna a saturno a con-
solidare le membra: nel nono giove separa il feto dalla madre.
« Ogni pianeta ha il proprio giorno, come la luna il lunedi,
marte il martedì, ecc. ; e la propria ora, cioè alla domenica la
prima di giove, la seconda di marte, ecc ; poi delle ore stesse
la prima del giorno e della notte è maschia, la seconda fem-
mina, e così alternando ; considerazione rilevantissima a chi
specula le natività.
» E l'ora della natività è appunto la più osservabile degli
astrologi , perchè i progressi ed i fini d' una cosa stanno la-
tenti nel suo cominciamento , come nel seme ogni vegetabile'
Ma ninna cura è soverchia nel cogliere il momento preciso da
erigere l'oroscopo : cioè prendere il medio del cielo in quel
dato istante , e dietro quello cercare gli altri angoli e domi-
cilii, dai quali si trovano i luoghi, e i padroni de' luoghi dei
pianeti. In ciascuna casa sta la risposta ad un quesito. Nell'oro-
scopo cerchiamo del temperamento, delle qualità dei corpi, della
grandezza, di ciò che col corpo si fa, come mali, viaggi, ecc.:
nella seconda casa le ricchezze: nella terza brevi cose, i fra-
'□ CAPITOLO X. LT
j telli, ecc. : nella quarta dei parenti, dello cose occulte o sotter-
\ ranee, come tesori, prigioni, ecc.
') » Anco i pianeti bisogna consultare , avvegnaché il sole
^ significa gloria e dignità , ed anche padre e marito : la luna ,
) moglie, madre, anima, senso: da saturno deduconsi le cose
occulte, la pertinacia d'animo, e il padre e gli affari lenti, ecc.
La felicità poi od infelicità dell'azione si arguisce dalla condi-
zio ne e dallo stato del pianeta dominante , cioè se è benefico
^ o maligno, diretto o retrogrado, mattinale o vespertino.
j > Ma quale tra gli eventi importa tanto come la durata
{ della vita ? Ora questa si deduce dal luogo afelico , dai domi-
) nauti di quello e dagli uccisori. Cinque sono i governanti della
( vita: il sole, la luna, l'oroscopo, la parte della fortuna ed il
dominatore di quei luoghi. I posti afelici sono cinque; il mezzo
del cielo , 1' oroscopo , le case , XI , VII, IX. Se in alcuna di
) queste trovasi uno dei cinque suddetti governanti , esso indi-
cherà la vita. Dal che siete chiari che uno può avere molti
) afelici ; e molti ne hanno quelli che devono crescere , mentre
( deboli rimangono quelli d'un solo, ecc., ecc. |
) » Gli uccisori in direzione retta sono due, saturno e marte,
s e i loro aspetti opposti e quadrati che fanno sei. Ma chiunque /
) voglia guidar a bene le operazioni astrologiche deve por mente )
a due cose, o almeno ad una delle due: ciò sono i moti delle ^
stelle e il tempo. I moti , se siano in elevazione od in calo ,
essenziali od accidentali i loro angoli, e principalmente in quale
stato s'incontrino nell'ottava sfera; il che trascurando alcuni
neir erigere le figure dei corpi celesti, rimasero delusi. Il tempo
si è r ora del pianeta , intorno alla quale però gli astrologi
ancora non vanno bene d'accordo.
» La grandezza e virtù dei corpi celesti è tanta, che non
solo le cose naturali , ma anche le artifiziali , quando siano
giustamente esposte alle celesti, ricevono tosto le impressioni
dell'agente potentissimo. Per questo non solo colla mistura di
cose naturali , ma si ancora col mezzo d' immagini , suggelli ,
anelli , specchi od altro , fabbricati sotto certe costellazioni ,
ponno ricevere alcune illustrazioni dall' alto. Di qui 1' arte di
( formare segni che influiscano al bene o al male. Per esempio,
/ vuoi tu rendere alcuno felice ? è mestieri fare una immagine
> ove siano cose fortunate, come i segni e i pianeti di sua vita, ^
Lo -^00- ni
|— u OROSCOPI D
il suo ascendente felice, il mezzo del cielo e i dominanti, una
parte della fortuna, e il dominante della congiunzione; il con-
trario, se vogliasi farlo sgraziato.
» Isè l'osservare le congiunzioni delle stelle giova solo per
dare a conoscere la vita dell'uomo, ma si anche la vita degli
imperi, delle religioni, del mondo. Fra gli astrologi è celebra-
tissimo il calcolo di Albumasar , sapiente s' alcun ve n' ha , il
quale trovò che la religione di ^ylaometto non durerà che cin-
quecentoquarantaquattro anni , e quella di Cristo millequat-
trocensessanta : avvenimenti dei quali il primo pur troppo
andò fallito, forse appunto perchè egli trascurò alcuno dei più
necessari elementi del calcolo ; l'altro toccherà a' nostri posteri
il veder verificato.
> Di questa scienza tanto estesa quanto utile, oserei dire
essenziale, basti questo saggio per invogliarvi a seguirmi quando
vi mostrerò la natura di ciascun pianeta, poi i loro accidenti,
le congiunzioni, le significanze, indi le parti de' giudizi: d'onde
scenderemo ad un'infinità di quei casi pratici che più sovente
occorrono, perchè ognuno di voi se ne possa regolare ne' mille
accidenti della vita, a vantaggio del prossimo e gloria di Dio :
cose tutte che vi riusciranno ordinate e chiare non meno di
quelle divisate sin qui. •
» Ora vi darò soltanto alcuni avvisi importanti, perciocché
non di rado agli astrologi s'è visto arrivar male per aver detto
il vero, 0 per essersi ingannati. I quali pericoli causerete, ed
otterrete reputazione eguale a quella dei medici, se in primo
luogo non vi farete a indovinare , se non bene istrutti Meli a
scienza nostra, de' pianeti, della posizione; 2. rimoverete ogni
odio, amore e paura; 3. non andrete spacciando i vostri oracoli
pe' trivi, ma ne farete prudente riserbo ; 4. non indovinerete a
chi vi richiede per tentarvi, od ha 1' oroscopo dubbio , o che
paga a miseria ; 5. esaminate prima ben bene l'uomo ; 6. giam-
mai non astrologate un triste o ribaldo, come neppure uno
sconosciuto, né un principe malvagio ; 7. non rispondete se non
a chi v'interroga, e stando ai sommi capi, e in parole compen-
diose; 8. ad un principe non predite mai una disgrazia, ma solo
il pericolo di quella; 9. alle predizioni aggiungete sempre: Se
non s'imbatterà in pericoli di comuni calamità. Se non ostino
i processi intcrmerìii, ecc., ecc. »
— ?fi7 — n I
gp^ ^
■Q CAPITOLO X. D '-|
Qui basti, e già è troppo; che il vedere l'umana ragione
abbaccare a questo modo, e per le vie e colle arti per le quali
oggi ne sembra raggiungere la verità, è contemplazione che,
se da un lato scoraggia, dall'altro può infondere utile umiltà,
giacché anche quelle follie nascevano da sublime desiderio di
acquistar sapienza , e di crescerla coli' unirsi alle potenze su-
perne, per cui mezzo speravasi ricevere l'influenza divina. Chi
guardi alle opinioni su cui fondavasi il vivere e il credere d'al-
lora, non le troverà che logica deduzione : chi ne voglia trar
un poco di morale, rifletterà che la verità e la felicità, somi-
gliano alla selvaggina ; chi vi tira da ti'oppo lontano non le
coglie.
Del resto, che in tempi d'ignoranza e credulità si reputasse
miracoloso ciò che usciva dall'ordinario, dee tanto meno recar
meraviglia a noi, i quali, in tanto meriggio di dottrine, restiamo
attoniti avanti ai prodigi dell'acatalessi, dell'elettricità, del ma-
gnetismo, della galvanoplastica , della fotografìa , della chiaro-
veggenza. L' adulta ragione e' insegna a verificare i fatti , e
aspettarne la spiegazione dal tempo e dalla scienza , allora
voleansi trovar le cause, e si ricorreva alle soprannaturali ; far
patti col genio del male, e per suo mezzo dominare la natura;
od evocare i morti affinchè rivelassero i secreti, deliri che tal-
volta diventano misfatti, scannandosi persino fanciulli, onde del
sangue loro saziar le ombre , evocate di mezzo ai misteriosi
pentacoli.
Ripetiamo però come tali credenze , ben più che nel me-
dioevo, prendessero piede in quel secolo d'oro della letteratura,
nel quale il libero esame pretese aver recuperato tutti i suoi
diritti col ribellarsi alla Chiesa. Noi non abbiamo a discorrere
di quei tardi tempi ; bensì nel presente racconto incontrammo
e fatti e riflessi, che mostrano qual importanza allora s'attri-
buisse alla astrologia giudiziaria. Quel Federico, che ci voglion
dare per un tipo dei re filosofi, era sempre cinto d'astrologi,
e trovandosi una volta in Vicenza, volle clie uno indovinasse
da qual delle porte egli uscirebbe la seguente mattina. Fatti
cifre e figure e calcoli a iosa, l'astrologo scrisse il nome della
porta in una cartolina suggellata, e la consegnò a Federico, da
non aprirsi se non dopo uscito di città. L'imperatore fece la
notte abbattere un pezzo della mura , e di quivi se n' andò
— 268
Schiuso allora il viglietto, trovò scritto : — « Il re uscirà per
porta nuova. » Pensate quanta fu la meraviglia, e quanto ne
crescesse credito all'astrologia.
Assai dotta in questa vanità era la madre di Ezelino , la
quale avea predette le fortune de' figliuoli. A questi scrivendo
Ezelino il Monaco nel 1228, quando rompevano a discordia coi
Padovani, notava che la madre di essi, sapiente nel conoscere
le rivoluzioni delle stelle, le cose celesti e i giudizi de'pianeti,
avea pronunziati sopra di loro siffatti versi :
E quia fatta jparant lacrimosos 'pandere casus
gentem marchixiam fratres abolere potentes
viderit Assanum, concludent castra Zetionis.
Confessate che questi versi sono oscuri quanto qualunque
sistema di metafisica ; ma il peggio è che, secondo ogni proba-
bilità, furono inventati dallo storico Rolandino dopo gli avveni-
menti, siccome osiamo asserire dell' altre divinazioni ond' esso
lardella il racconto. Dopo il fatto ognuno è savio.
Da tal madre e di tal tempo. Ezelino restò imbevuto di
pari errori, e teneva a sua posta una frotta di astrologi ; quali
Riprandino veronese , Paolo bresciano , un Saracino di luno-a
barba e di sembiante fiero coìne un Balaam; il canonico Sa-
lione di Padova : e più illustri Guido Bonatto , e Gerardo da
Sabioneta che ci chiamano a dir di sé.
Guido Bonatto, che testé facemmo parlare, dimorò il più
del suo tempo a Forlì, viaggiò fino in Arabia, o almen lo disse :
studiò i classici d'astrologia ; e dell'opere loro diede la quintes-
senza in trattati che conserviamo ^. Nei quali — coll'aiuto di
9 Questi anni si iili.^ò sulla patria sua; titolo d'onore, liirebboro i pedanti,
senza ricordare che, ivi noi, si è disputato con tutto il calore ammoniacale delle
gazzeUe, se una cantatrice, viva e nata nel paese ove se ne disputava, appartenesse
a lina provincia o alla sua vicina. Filippo Villani, nella vita del Bonatto che sta
inedita nella biblioteca Barberini di Roma, dice: Guido Bomtti iratus, cutn e>set
florenlinus orif/inr, dr Foro Livii se matuiì appellari. ..' Fuit sano, quidquid ipse
iratus loquatur, oV oppido Coscinp orhindus. Cascia è terra del Valdarno superiore.
Non è d'onor poco argomento l'essersi, ai comincia nienti della tipografia, fatte
- 269 —
qi
Dio e di san Valeriano patrono di Forlì, discorre nel primo del-
l'utilità della scienza; nel secondo della divisione dell'erbe, dei
segni e loro disposizione e percliè sieno dodici appunto ; nel terzo
della natura dei pianeti e delle proprietà ed influenze di cia-
scuno; nel quarto della congiunzione de' pianeti; nel quinto delle
considerazioni che cadono sopra i giudizi del moto delle stelle,
e di quel che serve ad introdurre i giudizi ; ne' seguenti dei
giudizi stessi, delle case de' pianeti e del come si possano risol-
vere le varie quistioni, p. e., di dignità, di lode; se una lettera
contenga bene o male ; quanto durerà un convito e da qual
cibo astenersi ; de' viaggi, del comprare, fabbricare o diroccare
una casa, delle ore opportune pel matrimonio, per la partenza,
per la battaglia. Al primo entrare del suo libro pone che i
principii non si possono provare, ma si devono supporre : ora
nessuno dubita che il moto del cielo influisca sul mondo, o che
con questa scienza si possono conoscere i pensieri de'presenti,
dei passati e degli avvenire : concessa la qual cosa compren-
dete che tutte le trae dietro di piano e di cheto.
Pregai un astronomo volesse guardare per entro quell'opera,
tre edizioni del LHi''r introductorius ad indicia stellarum del Bonalto; la prima ad
Augusta il 1491; l'altra a Basilea il ISoO; l'altra a Venezia il 1506, die io ho
solt'occliio, col titolo Guido Bonatlus de Forlivio decem continens tradatus Astro-
nomine. È in carattere quadro in-foglio di 191 carte, con incisionettc. In fronte
v'è Urania e l'astronomia coi dodici segni dello zodiaco, e in mezzo seduto Guido,
avvolto in un vestone coirermellino arrovesciato sulle spalle, barbuto, in tesla il
berretto aguzzo, in mano un globo ed un qnadranto. il Mazzucchelli dice una
copia manuscritta trovarsene nella bii)lioteca Ambrosiana, ma in fatto non è che la
copia di 190 considerazioni de' Giudizi deWastvonomia. Francesco Sirigatti (che
nel 1500 fu astrologo della signoria di Firenze) tradusse in italiano quest'opera,
per conforti di quel valentuomo che fu Gino Capponi, e sta manuscriito nella
Laurenziana. Il 1572 fu stampato in tedesco a Basilea col titolo di Auslesung des
menschlichen Gebuii-Slunden. Fu pur messo in francese, e certo anche in altre
hngue, chi avesse voglia di cercarlo. Giacché o nominato il Siragatti aggiungerò
che nel copialettere di monsignor Goro Ghcri conservato nella biblioteca Capponi,
né una del 1" marzo 1516 al duca Lorenzo de' Medici, silfatta. El Sirir/atto mie
venuto a trovare, et decio eh' io ricordi alla Exc. V. che non faccia fatto d'arme
da V a Xll di questo mese. Ma quando venisse uno bel tracio che con racjion
si vedesse da vincere e' nemici, io attenderei a quello che io vedessi in terra el
C non in cielo.
A
"□ GUIDO BONATTO CJ L-i
r
n
10 Pars I, iract. II, png. 2, cap. 22.
— 271 —
se avesse merito scientifico ; egli mi disse già altri averlo fatto,
e mi diede libri su ciò. Il Ximenes nel Gnomone dice che « con-
tengono pregevoli no/ioni di soda astronomia: » il Montucla
che e' est un tissu de visions astrologiques, mais qui stipposerii
toujours des connaissances astronomiques : un vivente che i
matematici chiamano grande erudito e gli eruditi buon matema-
tico, v'assicura quii n'estyas douteuo: quii fut considerò cornine
le premier homme de son siede; asserzione che vi farà come
passionare il modo con cui si scrisse la storia delle matematiche;
e del resto rimarrete sicuri che nessun dei tre avea letta l'opera
che giudica ; come fossero giornalisti.
Io da povero storico racconterò siccome esso non fu sol-
tanto insigne nella scienza, ma miracoloso nella pratica dell'arte
sua. Infiniti sono i responsi che diede, invocando sempre l'aiuto
divino : anzi sostiene che Cristo istesso si servì dell'astrologia.
A Federico II a Grosseto palesò una congiura, per via dei suoi
sogni scoperta; atteso che trovò marte nel quinto grado di là
dal vertice dell'angolo della terra, ed era in capricorno, e l'ai- )
titudine sua meridionale; il che significava l'uccisione dell'im-
peratore; donde furono accusati Pandulfo diFasanello, Teobaldo,
Francesco ed altri , e uccisi : e nessun altro de' suoi astrologi
il seppe fare. Il Bonatto abbaia contro Ezelino, ci'Jus ty rannidi
non fuit inventa similis, qui nulli pepercit ordini; nidli pepercit
religioni; nidli pepercit nobilitati; nulli pepercit aeiati ; nidli
pepercit sexui ; nulli pepercit sanguini suo vel alieno ; immo
sine causa proprium fratem, proprimn nepotem propriis ma-
nibus interfecit. Vale a dire che , a guisa dei tragici e dei
romanzieri, non pago delle atrocità vere, n'inventa di false, e
aggiunge colla solita imprudenza, et ego vidi omnia haec '^^: e
le avea viste come i succitati storici della scienza aveano visto
i libri di lui. Con pari sfacciataggine asseriva d' avere fabbri-
cato una statua di bronzo sotto si prosperevole congiunzione
di pianeti che rispondeva oracoli, e di aver veduto in Ravenna
nel 1223 uno che compiva quattrocento anni, e che era vissuto
al tempo di Carlo Magno; baie che i filosofi del secolo di
Els
jT-b CAPITOLO X. ni
Voltaire si lasciavano dar a bere dal conte di Saitn-Germain
e dal Cagliostro.
Il Bonatto fu astrologo della repubblica di Firenze; e Guido
di Montefeltro, che dagli Italiani era chiamato un nuovo Ulisse,
nulla intraprendeva senza sentirlo : qualora uscisse per dar bat-
taglia, il Bonatto, salito sulla torre di San Mercuriale, con un
tocco delle campane accennava il momento di vestir l'armadura,
con l'altro quello di montare a cavallo, con un altro il partire.
E ben glien'avvenne; poiché una volta predisse sarebbe ferito
in una coscia , onde portò seco le ova e la stoppa, sicché
subito si medicò ^i.
Nelle opere di lui ricorrono frequenti invettive contro i
tunicati cioè i frati, perché deridevano le sue predizioni; pure
si congratula d'aver avuto anche fra essi alquanti fautori. Di-
cono che venuto vecchio, egli andasse frate Minore; e morì
sul declinare del secolo.
Nomina egli molti astrologi del tempo suo, Ugo Abalugant,
Beneguardino Davidbain (evidentemente arabi), Giovanni Pa-
vese, Michele Scoto, Stefano francese e Gerardo di Sabioneta
cremonese, che è cosa più nostra. Questo medico e matematico
tradusse YAhìiagesto, di Tolomeo, il trattato de' crepuscoli di
Al Hazen e un'infinità d'altre opere dall'arabo, per imparar il
quale e conoscere le opere era andato apposta in Ispagna.
Diede pure la Theorica planeiariim, la quale si leggeva nelle
Università, e fu stampata a Ferrara il 1472, a Bologna il 1477
e 1480, a Venezia il 1478. Scrisse anche una Geomanzia astro-
nomica , piena di osservazioni per conoscer le cose preterite ,
presenti e future, a vantaggio di medici, chirurgi, chimici, ar-
chitetti, cacciatori, pescatori, giardinieri, agricoli ed altri; e se
il ventre darà maschio o femmina ; e se il messo che reca no-
vella dica vero o bugia; e se si scoprirà il ladro che rubò ^2^
11 Benvenuto da Imola, commento a Dante.
1- Negli Atti deW Accademia dei nuovi Lincei, 18S1, trovo notizie intorno a
Gherardo Cremonese, pel principe Boncompagni, raccolta paziente di quanto di
lui si ha 0 si desse, ma nò esame, né giudizio. Importante è un brano inedito di
traduzione d'un trattalo d'algebra, che, se non è il più aiitico, è de' primi ove
fosse insegnala agli Europei questa scienza del raziocinio generale per via della
lingua simbolica. Ivi si trova anche il segno negativo, mentre gli Arabi e cosi il j
^ :::: ^
GERARDO DA CREMONA
Moltissimo egli era interrogato dai principi , e nella
Vaticana si conserva un codice manuscritto de' suoi re-
Fibonacci, non conosceano che quantità positive; eppure si tardò trecento anni a
dedurne l'utilissima applicazione, cioè lino a Michele Stifel. La soluzione delle
equazioni di secondo grado vi é espressa con questi versi:
Cum rebus ceusum si quis dragmis dabis cquiiin
res quadra medias quadratum adjice drarjmas,
radici quorum medias res excipe demum,
residuum qucesH census radicein osiendent.
Non v'è chi non sappia che dagli algebristi per cosa s' intendeva l' incognita, per
censo il quadrato, per numero il noto; onde coi simboli moderni si costruirebbe:
x2 + p X =z 9
Donde x =- - p -h 1/ l": p- + 9/»
Seguono gli altri casi: e ognun vede che con ciò trovasi prevenuto fra Luca
Paciolo.
Ai dilettanti di tale scienza non isgarberà veder qui un problema e la sua
soluzione.
Quwrilur qncenam sint ilice partes denarii, quarum dijferenlia^juncfa (etragonis
carundem, collige 34.
Sint una parlium res, altera IO minus re (cioè x, e 10 — x). Differentia
10 minus duabus rebus, ex qua 2 parlium tetragonis conjunclis coliigantur 100
et 2 census minus 20 rebus, quae data sunt aequalia 54 (cioè x"^ + (10 — x)^
+ (10 — x) — X = 54). Per reslaurationem itaque reruw, 2 census cum HO
equivalent o'i et 22 rebus (cioè 2x2 + li0rr=55 + 22 x). Per cjrclionem vero
abundantis numeri o6 et 2 census, 22 rebus adaequaufur (cioè 2 x^ + 56 = 22 x).
El per conversionem unus census cum 28 aequenlur 11 rebus (cioè x^ + 28 = 11 x).
Resolve par quintum modum, et re tril 4, cioè:
x=- 11+1/ -
onde i due valori
11 3
X = 7
X = 4.
4
L'autore indica solo quest'ultimo.
Se non isbaglio, ivi è un tentativo di rappresentare le quantità per mezzo di
CAPITOLO X.
^^
spensi 13, Fra questi più di uno ve n'ha diretti ad Ezelino e
ad altri personaggi di cui si occupa il nostro racconto: e ne
levammo un saggio , a mostrare come costoro procedessero
franchi a spacciare le loro fole :
« Al magnitìco signor suo signor Ezelino da Romano il
» suo devoto Gerardo si raccomanda,
» Ricevetti con devozione la lettera della signoria vostra,
» e vistone il tenore, vi rispondo breve : che il sabato 12 ago-
» sto ascendendo lo scorpione, non mi par bene eletto per fare
» esercito, né per la guerra, per ciò che marte è in angolo
» ascendente, e il Filosofo dice : — Torci gli occhi dalla figura
» ove marte sia in angolo, e principalmente se ascendente sia
» lo scorpione. » Lo stesso dice Hall filosofo nell' elezione del
» principio del movimento per vincer i nemici. È necessario
» adattar marte, o porlo a guardare l'ascendente in trino aspetto
lettere, come noi usiamo. Perocché, dove cerca qnaliter figurentur census radiccs
et dragmc/', insegna : Numero censuum lilera e, numero radicum lilera r ; deorsum
virgulas hahenfes, sublerius apponanlur. Drarjmai vero sine liter'is virgulas habeant^
quotiens hrvc sine diminuitone proponuntur. Verbi grafia duo census, tres radice,
quatuor dragmoe sic figurentur.
e
equiv
■ale
al
nostro
2x^
3
r
a
3x
d
al
numero
4
Qui
Chasles aveva asserito che l'al.^^ebra numerica fu introdotta in Europa dai
traduttori del XII secolo. Guglielmo Libri lo impugnò amaramente. Ecco chi avesse
ragione.
^^ Justicia magislri Girardi de Sablonela cremonensi super multis quaestionibus,
et certis nativitatibus, ac annorum mundi revolutionibus.
-274 -
rr^a GERARDO DA CREMONA D^T
\ » dopo che abbia in quello la massima dignità ; e meglio è che
) » abbia la casa. E Cael dice: — Convien porre ascendente al-
{ » cuna delle case dei pianeti più alti, dei quali il più forte è
< » quello di marte quando sia nel sestile o trino aspetto del-
l^ » l'ascendente. » Appare dunque pei detti dei filosofi che marte
( » non si deve porre in ascendente, ma nel trino o sesto aspetto
) » dell'ascendente, principalmente quando sia signore dell'ascen-
j » dente, od abbiavi la massima dignità. Cosi Al Kindo dice che
» lo scorpione è buono per la guerra se ivi è venere, o la luna, o
» marte in qualche casa buona: ma non che lo scorpione sia
» buono per la guerra quando marte è in esso, ecc.
» Corrente l'anno di Cristo 1255, giovedì 15 luglio, chiese
» il signor Buoso di Dovara cosa avverrebbe tra lui e alcuni
» che crede a sé avversi, e che trattino contro lui e lo Stato suo
» tutto il male che possono; se potranno adempiere il loro
» voto, se bisogni temerli, e che cosa glien'arriverà.
» Corrente l'anno di Cristo 1256, mercoledì 26 luglio,
» sendo l'altezza del sole avanti mezzodì sedici gradi e trenta
» minuti, fu domandato se il Signore (Uberto Pelavicino) per-
» severerà nel dominio in cui è , o perverrà a maggiore , o
» discenderà a minore, e cosa avverrà tra lui e gli avversari
» suoi, se egli loro od essi lui supereranno; e dell'esser suo,
» della salute o infermità, abbondanza o penuria di danaro, e
» della durata della sua vita.
» Corrente il 1258, martedì 17 settembre, interrogò 1' 11-
» lustre marchese Pelavicino, caso che il signor Ezelino da
» Romano non volesse concedergli la parte sua di Brescia che
» insieme avevano conquistata, e egli si opponesse co' suoi fau-
» tori, cosa glie n'avrebbe.
» Poi il venerdì 8 novembre ; se egli stabilisse amicizia e
» lega colla Chiesa e coi nemici del signor Ezelino , e gli si
>> opponesse cogli amici suoi, gliene seguirebbe onore e van-
» taggio 1^? »
( ^4 Codice Valicano, N. 4023, caria 20, C3 58, 59-
CAPITOLO X. □"
f
I fatti, cui tali quesiti si riferiscono, appariranno nel seguito
del nostro racconto; e Gerardo ne acquistò gran nomea, come
attesta il suo epitafio ^^.
Manfredo di Abano , potente e ricco signore della stirpe
de' conti di Padova , ebbe un figlio che chiamò Artuso , sulla
cui futura vita , mosso da un sogno sinistro , interrogò prete
Lorenzo , suo maestro di astrologia e zio del famoso Pietro
d'Abano, Alferio o Alfeo matematico padovano, e Teobaldo di
Calavenna. I tre astrologi gli dissero, uno che perirebbe ca-
dendo da un albero , 1' altro per fuoco , 1' altro per acqua. Il
giovane, cresciuto e promesso sposo a una figlia di Rarabaldo
da CoUalto, stava a caccia, quando il suo falcone, spaventato
dal turbine, gli sfuggi dal pugno e s' appoggiò s'un albero. Il
giovane vi s'arrampico per pigliarlo ; ma in quella scoppia il
fulmine e lo abbrucia mezzo , ond' egli cadendo dall' albero ,
s'afi'oga in un sottoposto stagno.
II fatto cadrebbe nel 1161, ma è raccontato solo da cro-
nisti posteriori, i quali aggiungono che Manfredi ebbe un'altra
figliuola di nome Cecilia, sulla quale pure interrogò Alferio, e
questi gli rispose :
Nascitur Euganea bellorum causa virago
impia cognatas motura in praelia dextras;
franguntur populi, et canibus lacerantur iniquis;
tertia nunc Ilelenae vastabit moenia Trojae
unde cadent orbes et yaspidis arva colentes,
seque secant miseri, et saevis cruciantur in armis.
E costei fu la Cecilia da Paone, che vedemmo quanti guai
cagionasse a Padova.
18 Gerardiis nostri fons lux et gloria cleri,
actor consilii, spes et solamen egeni,
volo carnali fvil hoslis, spiritvali
applavdens, liominis splendor fvit intcrioris.
Facta viri vitam studio llorente perennant.
Viventem faniam libri qvos Iranslvlit ornant.
Hvnc sine consimili genvisse Cremona svperbit.
Tolecli vixit. Tolectvm reddidit aslris.
Dco gralias.
À
jT] ■ -27 -
GERARDO DA CREMONA
Fra tanto chiacchierare di indovinamenti sarebbe ommis-
sione ingiusta il non toccare dell'abate Gioachino , conosciuto
da tutti non foss' altro per le sue predizioni intorno ai papi ,
le quali ben o male si vanno acconciando fin oggi a ciascun
nuovo eletto. Visse egli sulla metà del secolo xii in Calabria,
si professò cistercense, faticò molto nelle controversie religiose
d'allora , dando anche in eresie, compatibili però, giacché avea
sottomesse le sue opinioni alla decisione della chiesa. 1 con-
temporanei raccontano molti miracoli di lui e molte predizioni,
singolarmente intorno a pubblici avvenimenti , per le quali
anche Dantelo disse
di profetico spirito dotatola
Le predizioni non acquistano credito se non dopo verificate;
donde la gran difficoltà di scernere le vere dalle posteriormente
inventate. Certo allora si spargevano gli oracoli di lui a sfogo ;
di passioni ; e se voleasi incitare alla crociata, diceasi egli avesse (
predetto fra sette anni sarebbe espugnata Gerusalemme: se gli
Svevi spiaceano , si dicea che l'abate Gioachino rivelò ad En-
rico VI che la vecchia sua moglie Costanza era incinta, e par-
torirebbe un demonio , cioè Federico II. La frase non disono-
rerebbe troppo, chi pensi che i frati non portavano alle corone
quel rispetto, per cui ne' secoli civili si dissimula ad esse, anzi
si mente la verità , e qualche confessore domanda — Quante
volte Vostra Maestà si degnò fare il tal peccato ? » Anzi un
cronista racconta che Costanza , piena di venerazione , pregò
Gioachino venisse a confessarla : e lui v'andò ; e perchè l' im-
peratrice stava sulla consueta sedia , la ammoni che 1' umiltà
di penitente richiedeva la si sedesse per terra. Abbiamo poi a
stampa una lettera che nel 1191 egli dirigeva ad un suo amico
di Messina , il quale avealo avvertito che re Tancredi stava
forse crucciato contro di lui: e un'altra del 1193 a quel re che
avea minacciato distruggere tutti i conventi di cistercensi. Or
Gioachino predice senza ambagi la ruina della dinastia normanna;
e nel 97 ad Arrigo VI , chiamandolo vipera , vaticinava che ,
i'- Paradiso, XII, 14
Cantù — Ezelino, 18
« — h CAPITOLO X. CJH^
alla morte di lui, due emuli si disputerebbero l'Impero; uno
prevarrebbe, che ben tosto sarebbe spossessato da un altro ^'^ ; ;
come in fatto avvenne di Ottone vinto da Filippo, e Filippo da \
Federico IL Su quest'ultimo poi, che allora aveva appena tre \
\ anni , segue a dire che volterebbe il dente contro alla Chiesa >
e al papa , dopo averli blanditi ; si abbandonerebbe al vizio ; )
farebbe ontosa pace coi Saraceni ; sarebbe colpito dalla sco-
munica; infine la casa sveva resterebbe ridotta al nulla dalla
spada della parola i^. \
Quelle profezie si avverarono ; ed erano più chiare che non )
quelle con cui designò Pio IX e il suo successore coi titoli di )
Criia:) de cruce e di Lumen de coelo. ì
Poco poi gran celebrità acquistò Pietro d'Albano medico |
e filosofo, chiesto professore a gara, e persino da Costantinopoli ;
d' onde lo richiamarono onorevoli lettere de' suoi Padovani.
Scrisse il Conciliatore, pretendendo metter d'accordo ducento-
nove opinioni discordi di medici e filosofi, e spesso ricorre al-
l'astrologia. Aveva trovato una congiunzione cosi destra di
pianeti, che tentò persuadere i Padovani ad abbattere la loro
città per rifabbricarla sotto quell'oroscopo, che l'avrebbe portata
alla sublimità. I Padovani, non essendo scienziati possedevano
il buon senso, e non accettarono l'insigne progetto.
I costui libri pizzicano anche d'eresia , e se non impugna
i miracoli di Cristo , parla della risurrezione di Lazzaro come
d'un prodigio, ma non divino. Però là dove insegna che pregar
Dio quando la luna è in congiunzione con Giove nella testa
^' Vide atiiein tu (jui Vipera dicfris, ne, le percunle, mortcque praevenfo^
Iiiiprrii Intera disrumpaiìtur; et aliqui quasi duae viperae ad apicem potestatis
asceitdant; et quasi alter Krìlmerodac unus eoruin obtineaf, qui in brevi tempore a
inorsu rer/ali retro cadef.
18 Sane ipse rerfaìus altius rolahit el latius, ut per cunclam Imperli latitudinem
affìigat Eeclcsiam... Hic tamen interim blandietur [ade in principio ortus sui; sed
tempore procedenti-, vcluli alter Ballhassar^ abuletar, in fmminarum concupiscentiis,
templi, scilicet Eccksiae vasis. Nani volatus ejus, elsi culpam insinuet, tamen dolose
el invide ipsum inuit esse vcnturum... Cadci in gladio non viri, et (/ladius non
hominia vorahit eum... gladius scilicet non humanus, sed gladius spirilus verbi.
\ Vedi Papkbrocchio, ;icla SS. l. VI, aJ (lem 29 maji: Salvatore Spiriti,
\ Memoria dci,'li scrjllori cosenliiii.
fi]
in_n
a - 2TS -
del dragoue è modo infallibile di ottenere ogni grazia, mi pare j
non faccia che riferire un'opinione di Albumazar. Fatto è che l
i suoi libri seppero d'eretico all'Inquisizione, onde dopo morto |
gli fece un processo, il qual non tolse che i Padovani tenessero {
in chiesa il suo cadavere, e gli ergessero una statua nel Prato (^
della Valle.
Là intorno fu famoso professore d' astrologia a Padova |
stesso Guglielmo da Montorso modenese, di cui l'epitafio diceva: (
Quem Mutinse rupes genuit Montorsia Castri (
Gulielmus jacet hic, nunc veri cognitor astri. {
('
È pur noto Cecco d'Ascoli, che spiegò astronomia in Bo-
logna e come mago fu arso a Firenze il 1328.
) Certamente il buon senso v' era , ma stava nascosto per
\ paura del senso comune; e vedemmo i monaci e fra Giovanni
'" da Schio disapprovare gli strologamenti, e il 7 gennaio 1303
il celebre fra Giordano da Pv.ipalta sulla piazza di Santa Maria
) Novella a Firenze predicò contro chi prestava fede agl'influssi
I delle stelle ^K
/ Giovan Villani, mercadante positivo e di buon senso, a cui
{ il maneggiare il braccio e le bilance non toglieva d'adoprarsi
\ nei primarj uffìzj della patria, vedendo la grandezza di Ca strucclo
) signor di Lucca minacciare di servitù l'intera Toscana, ne scrisse
a fra Dionisio di San Sepolcro, maestro a Parigi in divinitaie
e filosofìa per sapere che cosa gliene dicessero gli astri. E quello
gli rispose : Io vedo Castruccio morto. Arrivò la risposta quando
Castruccio era nel più vivo delle vittorie , onde il ViHani la
tenne celata, e ne rescrisse al frate, il quale rispose : lo raf-
fermerò ciò che io scrissi per l'altra lettera. Se Dio non ha
mutato il suo giudizio e il corso del cielo, io veggo Castruccio
morto e sotterrato. E quando la lettera capitò a Firenze, Ca-
struccio appunto era cadavere; e il Villani la mostrò a' priori
suoi comj>agni, i quali convennero che « di tutte le sue parti
il giudicio di maestro Dionisio fu profezia ^o. »
19 Vedi le sue prediche, ed. da! Maiini, po;i. 98-105.
. 20 Ut, Fior. 1. X, So.
CAPITOLO X. LJ H
Del suo tempo , un incessante piovale ingrossò le acque ^
dell'Arno per modo, che copri tutto il Casentino e il pian d'A- (
rezzo e il Valdarno superiore e le campagne attorno a Firenze ;
la città stessa credette arrivato l'ultimo suo giorno. Cessato il
flagello , i savi posero in disputa se fosse venuto per giudizio
di Dio o colpa degli uomini ; e il Villani, prendendo l'opinione
media che è sempre la più cauta e non di rado la vera, crede
che il corso del sole s' accordasse in ciò a punire i peccati
dei Fiorentini. E soggiunge: « La notte che cominciò il detto
» diluvio, uno santo romito nel suo solitario romitorio di sopra
» alla badia di Yallombrosa istando in orazione, senti e visi-
» bilmente udì un fracasso di demoni e di sembianza di schiere
» di cavalieri armati che cavalcassero a furore. E ciò sentendo
» il detto romito , si fece il segno della santa croce , e fecesi
» al suo sportello, e vide la moltitudine dei detti cavaheri ter-
•» ribili e neri , e scongiurando alcuno dalla parte di Dio che
» gli dicesse, che ciò significava, e' gli disse: Noi andiamo a
» sommergere la città di Firenze 'per li loro peccati, se Id-
» dio il concederà. E di questo io autore, per saperne il vero ,
» ebbi dall'abbate di Valloml)rosa , uomo religioso e degno di
» fede, che disaminando l'ebbe dal detto romito 2». > I Fioren-
tini riconoscendo il giudizio di Dio, pensarono a migliorarsi,
lasciando i mali guadagni, l'avarizia, la vanità, i soprusi fatti
ai vicini.
Quel fra Dionisio che sopra nominammo fu in molta grazia
a Roberto re di Napoli, che lo pose vescovo di Monopoli ; e in
molta stima al Petrarca, che morto lo pianse in versi, lodan-
dogli sopratutto la sapienza nel leggere degli astri 23 .- il Pe-
trarca che pur derideva finfandwnlj i medici e la medicina.
Ma Dante, che rappresenta la più avanzata dottrina del-
l'età che immediatamente succede alla da noi descritta, fidava
egli nell'astrologia?
21 hi. Fior. 1. XI. Spesso i periodi del Villani zoppicano. ;
*2 Ouis teciim co sulet astra \
factorum secreta niovens, aut ante nolabit /
successus belli diibios miindique Uimullus, ^
fortunasque ducum varias?
— 280 —
Egli teneva l'opinione de'Platonìci, che alle intelligenze, o
vulgarmente agli angeli , s' addicesse non pur la vita contem-
plativa, ma ancora l'attiva, facendoli motori e regolatori delle
sfere, non già per via di moto, ma di puro intendimento ^3.
Esse stelle diventano cosi agli occhi suoi altrettante intelligenze
ministre della Provvidenza , mosse dall' Amore 24^ che penetra
per r universo e splende dove più dove meno. Il qual amore
volgendo il cielo empireo, diffonde di sfera in sfera fino alla
terra il moto suo , che disposto invariabilmente , dispensa ai
mortali diversi gradi delle virtù divine, onde le stelle sono su-
pernamente dotate. Tale influenza non porta necessità, altrimenti
sarebbe tolto ogni merito e demerito ^5 ; soltanto inizia i movi-
menti, senza impedire che l'educazione, la ragione, il libero
arbitrio li dirigano , e molto ancora i casi , cioè secondo che
natura trova la fortuna, discorde a sé o favorevole.
Alle stelle concederebbe dunque soltanto potenza sui tem-
peramenti , ossia sulla potenza vegetativa, nella quale , unita
colla sensitiva e colla razionale, dice, nel Coìivivio, consistere
l'anima dell'uomo. Quando adunque si congratula seco stesso
di riconoscere dalla costellazione dei gemini tatto il suo ingegno
qual egli sia, può intender solo l'influsso che questa costellazione
ebbe sul suo nascimento in conformarne gli organi, dai quali
son modificati il pensiero e la volontà, per le arcane vie che
l'intelletto umano non potrà mai scandagliare. Quando si fa
dire da ser Brunetto Latini suo maestro che se segua sua stella,
non può fallire a glorioso porto -^, conformasi al costume di
quel suo maestro, dedito all'astrologia, e che dicono avesse
formato l'oroscopo di Dante al suo nascere. E quando nel xxvi
dello Inferno dice , « Si che se stella buona o miglior cosa
-^ Voi che intendendo il terzo ari nìovetr. Il primo, o dei primi a negare
anima ed intelligenza agli astri fu il FracasLoro di Verona, il quale pure pel
primo notò la diuiinuziono costante deirobli(iirnà dell' ocliltica, e siccqjiie due
vetri messi l'un sull'altro facciano parer più grande l'oggello, primo passo verso
il leloscopio.
24 L'amor che muove il sole e Callre ftelk.
; 2!5 Se cosi fosse^ in voi fora dislrullo, ecc.
( 2(i Inferno, XV.
CAPITOLO X. Q ■— I
m'ha dato il ben , » la dubitazione esclude 1' assoluta podestà
delle stelle. Anzi Cecco d'Ascoli cita una lettera diretta a lui
dal poeta contro l'influenza dei pianeti 2"^.
Lo stesso suo sistema teologico e filosofico elimina tale
necessità; pure a tratti egli sembra incliinarvi, fosse per l'ab-
bellimento poetico, che a tante irragionevolezze è scusa ; fosse
per le solite incoerenze del giudizio umano.
Le scienze occulte ebbero gran potenza per tutto il me-
dioevo; quando l'energia delle credenze imprimeva un carattere
grandioso a deplorabih superstizioni, e l'immaginazione acquistava
prodigiosa vigoria nell'esercizio di riti misteriosi che isolavano
l'uomo fra gli uomini, e faceangli sdegnar il mondo reale per
uno immaginario. Proibite dalle leggi, condannate dalla Chiesa,
queste arti si ridussero secreto, e perciò furono circondate di
orribde corredo; fantasmi, spettri, folletti, orchi, vampiri popo-
larono la natura; donde venne più tardi la caterva delle streghe,
quasi ignota al medioevo, e suscitata dal leguleio farnetico del
secolo XV, che il mondo contaminò di roghi a gara coll'intol-
leranza religiosa. Tanto la ragione umana ha bisogno di sal-
darsi su basi immobili, onde, dal più nobile distintivo , non si
cangi nel più sciagurato dono della Divinità.
Eppure le scienze vere ebbero giovamento anclie da quelle
fallaci, perchè tutto veniva opportuno in tempo che tutto era
a creare. E il secol nostro, che, come i vecchi, scambia le pro-
prie infermità per virtù , innanzi deridere i delirj dei padri ,
mediti i suoi, e come, in mezzo a tanto positivo, e dopo aver
ridotto il ben essere al ben nutrirs-i, ben vestirsi e affidare al
Governo la cura di educarci, d'impiegarci, di difenderci, di di-
vertirci, di moralizzarci, il mondo corre affamato a certe spe-
culazioni, che presso gli avvenire non avranno maggior valuta
che presso noi l'astrologia. La quale se non altro alzava le menti
alla contemplazione delle cose superne , e alle fantasie apriva
tanto campo, che fin i moderni vi stesero vantaggiosamente le
ale. A chi non è noto quanto partito dalla credenza nell'astrologia
ÉL.-
27 r Acerba, 1. HI, e. iO.
— 282 —
DANTE E l'astrologia CT
sapesse trarre Schiller nel suo Wallenstein? E un gran poeta,
che fece sforzi anche per essere grand'uomo, faceva esclamar
dal suo eroe: — Stelle, poesia del cielo! Se noi tentiamo
» leggere in questa brillante pagina del gran libro della crea-
» zione i futuri destini degli uomini e degli imperi, perdonate
» all'orgogliosa nostra ambizione, che osa trascendere la sfera
» mortale, aspirando unirsi a voi. Tanta misteriosa bellezza vi
» ammanta , tanto amore e venerazione ci ispirate dall' alto
» della celeste volta, che la fortuna, la gloria, la potenza, la
» vita, assunsero una stella per emblema "^s. »
28 Bykon. (Mde Uarold, III.
Ma il doge armo e pose il fuoco a quella lune sicché i pagani che s-eiano su appre-
sere a Tolarc....
cap. xii. pag^sia ja
"^
CAPITOLO XI
I TROVADORI, SORDELLO, CUNIZZA.
Le donne, i cavalier, Tarme, gli amori
le cortesie, l'audaci imprese io cauto.
Ariosto.
Rime d'amor trovar dolci e leggiadre.
Dante.
^%\ li accigliati, che all'acquisto della libertà, più
ykìf. che le ditirambiche parlate e le decasillabe
invettive, troverebbero opportuno il costringere
la gioventù a quella lettura riposata e attenta
che invigorisce la facoltà del pensare, quanto
la snerva l'uso del leggere e scrivere in fretta, pretenderebbero
forse noi conducessimo a conoscere anche le altre scienze di
quel tempo: una logica, che, invanendo della propria potenza,
e prendendo la disputa e l'argomentazione per iscopo anziché
per mezzo, piacevasi a cavillare, sbriciolava il pensiero, eppure
con ciò lo analizzava: una filosofia, che confondeva il metodo
colla sostanza, e che adagiandosi ad autorità e commenti,
impastojava la ragione perchè non camminasse che sulle orme
di Aristotele e de' suoi voluminosi chiosatori: una giurispru-
denza di interminate, capricciose, complicate, incoerenti chiose,
intralciate di decreti canonici, statuti municipali, leggi romane.
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rrn capitolo xi. m
barbariche consuetudmi , sicché faceva sempre più ardua la
cognizione del diritto e l'amministrazione della giustizia, e
produceva i litigi, inevitabili ogni qualvolta all'esame dei fatti
si surroghi il puntiglio della parola: una teologia scolastica,
che, senza conoscerla, si suol qualificare di arida, spinosa,
cavillatrice, tacciandola che con impalpabili distinzioni produ-
cesse frequenti eresie, e invece di chiarire la religione del-
l'amore, sconnettesse i credenti e fomentasse l'intolleranza, ma
che se tale è ravvisata da chi non guarda che alla gamba
storta, va in ben altro conto presso chi ricorda come le sue
lotte impedissero quel torpore, ch'è la malattia più incurabile
sì nel fisico come nel morale, e a qual altezza allora la levasse
uno de' maggiori pensatori d'ogni tempo, Tommaso d'Aquino. (
Di queste serietà ragionino i volumi in-folio; noi cono-
sciamo l'obbligo, che il luogo e \d. dolce stagione c'impongono,
d'esser leggeri ; onde ci limiteremo a discorrere della genìa più
rumorosa e più innocua, i poeti.
L'amor del canto non crederò io sia morto mai, neppure
quando la soverchiava il barbarico ululato , ma delle lingue
apparse al declinare della latina, le tre che dalla particella di
affermazione son dette lingua d'oc, à!ui e di si, erano non solo
parlate, ma coltivate al tempo che discorriamo. Nella francese
si stendevano romanzi che correvano per tutta Europa, e fra
gli Italiani stessi la preferirono jNIarco Polo per raccontare i
suoi viaggi fin nella Cina e nel Giappone, Brunetto Latini per
esporre l'enciclopedia d'allora, e il Da Canale per la storia di
Venezia. La provenzale, nel paese che ne trasse anche il nome
di Linguadoca , fu coltivata dai trovadori , poeti della gaia
scienza, che non adopravano la poesia come adesso a produrre
clorosi ed epatiti, ma a divertile, sicché oggi ancora ricreano
quei tempi di forza con ricordi d'amore, di prodezza, di galanti
solennità, di gare d'ingegno.
Quella lingua , non ricca e corretta come divennero poi
l'altre due e la spagnuola, ma pari, e alcuno dice superiore in
dolcezza, per due secoli fece la delizia del mezzodì d' Europa ;
finché i terribili fatti che altrove accennammo la soffocarono
in torrenti di sangue, e coll'unità amministrativa imposero colà
anche la lingua francese.
La versificazione, che i letterati latini imitarono dai greci,
236 —
mai non divenne popolare, né il genio indigeno vi si acconciò ;
colla rima e con versi sillabici, anziché metrici, si componeano
le canzoni militari e vulgari; onde, appena la aristocratica col-
tura diminuì, queste forme presero il sopravvento, l'orecchio
neglesse la ditferenza di quantità , e in compenso volle essere
accarezzato dalla rima. Questa novità abbellì le poesie de' Tro-
vadori, le quali erano o brevi componimenti, denominati cans,
cansons, cantar els, lays, so7is, sonyiets, pastourelles ; o com-
ponimenti serj, detti serventés, destinati a servar memoria de'
fatti insigni in lodi o in satire.
Ma quando tu ragioni della poesia provenzale , ti spoglia
affatto delle idee nostre: non ti figurar più l'assiduo cancellare,
limare , ricopiare d' alcun impallidito cultore delle muse, che
medita nel silenzio sulla struttura dell' arpa sua , sul tessuto
delle sue corde, sulla forma de' bischeri e sulla forza de' pedali,
prima di mettersi a sonarla ; analizza insomma , col pensiero
della gloria in capo, col rimario alla mano, e davanti agli occhi
la befana del giornahsta che gli rivedrà il pelo e l'esporrà al
ridicolo della dotta ciurmaglia se osa esprimere sentimenti di-
versi 0 in modo diverso da quel che i giornalisti hanno dichiarato
essere l'unico buono e legale; e dimostrerà al mondo che ha
torto di ammirare e di lasciarsi commuovere da componimenti
contro le regole, appunto come il medico Botta dimostra che
Buonaparte ebbe torto in tutte le sue vittorie.
Allora la poesia non era, sto per dire, l'emuntorio di tutti
i genj incompresi, ma un'occupazione della vita; era mestiere,
0 almeno professione. Non diverso dai ì-'aiosodi, che cantando
vagavano per la Grecia antica , il trovadore menava vita er-
rante ed avventurosa, traeva seco l'intera famiglia, che talora,
ad esempio del capo, tutta sapeva poetare; secondo le circo-
stanze 0 il capriccio scorreva d'un in altro di que' castelli ove
s'annidavano la guerra e i piaceri , la ferocia e la cortesia ;
non mancava a' tornei , alle corti bandite ; ed ivi dai oniìie-
strelli faceva cantare sull'arpa, sul liuto, sulla mandòla i versi
da lui trovati. Altri, venivano novellando d'avventure proprie
0 d'altrui; altri rappresentavano rozzi drammi; altri, in tenzoni
gareggiavano d'ingegno, talora lanciandosi ingiurie grossolane,
tal altra proponendo dilicate quistioni di amore e di filosofia,
e il migliore n'andava colla lode e col guiderdone. Chi sappia
— 287 —
CAPITOLO XI.
f° _
figurarsi il vivere isolato de' castellani, sequestrati colla loro
famiglia, divisi dai pari loro, più divisi dai dipendenti, avendo
scarsissime quelle occasioni di colloqui, di ritrovi, di divertimenti
che ora tornano ogni dì , intenderà quanto festeggiare vi si
dovesse 1' arrivo d'una banda di trovadori ; e come questi po-
tessero in cento luoghi ridire la canzone e la storia medesima,
senza produrre la noia della ripetizione.
Fatti d'amore, cortesie, imprese de' cavalieri davano sog-
getto al canto loro : talvolta ferivano la vigliaccheria e la sle-
altà, coperte pur fossero di corazze rinterzate, di cappe vene-
rande , d' insigni diademi. Può dirsi insomma una cavalleria
poetica : giacché del pari trovadori e cavalieri si professavano
devoti ad una dama ; faceano prove questi di valore , quelli
d'ingegno; pari culto della religione, della guerra, dell'amore;
difendere il fiacco, resistere al burbanzoso, questi con le armi,
quelli coi versi : tutti del paro anziosi di dar prova di sé : tutti
erranti ed ospitati nelle ròcche , ove trovavano compenso nei
regali de' baroni e ne' favori delle castellane ; non separando
mai neir intelletto e nelle opere Iddio e la dama , 1' onore e |
l'amore, la gloria e la ricompensa. /
Avvi egli poeta senza presunzione? La differenza che noi
mettiamo fra verseggiatore e poeta, voleasi fra giullare e tro-
vadore ; e Bordello , trovatore lombardo che fra poco ne darà
a discorrere, così insulta ad un giullare.
■ — Esso né ferì , né toccò mai colpo ; di quale bel fatto
» può vantarsi? Pessimo poltrone, non sa impugnare le armi
» che non tremi. E chiama me un giullare ! Tale nome a lui
» solo s'addice, a lui che cammina dietro gli altri, mentre gli
» altri vengono sulle mie tracce. Esso riceve, e non dona mai:
» io dono, e non ricevo nulla. Esso si vende a chi vuole pa-
» garlo ; io non ricevo cosa che mi possa venir rinfacciata ;
» vivo delle rendite mie , né accetto da chicchessia. In luogo
» del giaco esso veste una camiciuola a maglia : in luogo di
» destriero, un ronzino che va all'ambio: in luogo di caschetto
» un cappuccio crespato : in luogo di scudo un mantello. Si
» può bene imputar 1' amore dì tradimento se con ciò esso
» guadagna l'afietto pur d'una donna ». (
Eppure i trovadori degenerarono presto in bufi'oni e gio-
colieri : perocché vedendoli blamHti e regalati dai principi , s
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^
1 Anclie Dalile iiilcrpone versi Ialini a' suoi.
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I TROVADORI
troppi entravano a quella vita, capaci o no, scapitandone la )
poesia buona e la buona opinione. Essi poeti medesimi , non i
paghi d'aver trovato tante vaghezze di versi e di strofe, vollero )
aggiungere difficoltà a difficoltà, sottigliezza a sottigliezza: onde )
facilmente diedero in istravaganze ed in concetti lambiccati. Di ^
fatto , mentre la loro parrebbe a credere un' arte meramente ì
distinta, peccava non solo d'eccessiva prolissità e di monotonia >
noiosa , con pochi pensieri rifritti , tra i quali ravvisi la fan- |
ciullezza dell'arte e la licenza de' costumi, ma rinfronzivasi di )
artifizi , giuochi di parole , sensi ambigui , freddure galanti , i
gergo convenzionale: i vizj insomma della vecchiaia, in vece (
dell'ispirazione franca e semplice, del fervido linguaggio del /
cuore ; e pochissime individualità si discernano fra que' suoni ^
di comuni pregi e comuni difetti. Sostenere , come fu moda ^
testé, che quei frammenti son capolavori, è un tema opportu-
nissimo agli amatori del paradosso ; ma non pochi son quelli
che imitano il Bernini, quando asseriva che la statua più bella
di Roma è Pasquino. )
Venne poi quel gran delitto della crociata contro gli Al-
bigesi: la nuova Arcadia fu contristata di eserciti, di micidj ,
di roghi, di stato d'assedio ; e fra questi come potea più farsi
intendere il canto delle Muse, che amano orecchio pacato? Non
mancò allora chi cantasse i trionfi dell'intolleranza, fra i quali
un frate domenicano Izarn che vogliam qui compendiare, men
tosto per dar saggio di cotesta poesia, che a corredo di quanto
sopra scrivemmo intorno ai Catari.
In un serveniese egli verseggia il dialogo con un Valdese,
press'a poco in tal modo :
— Dimmi , eretico , ragiona con me : ma tu noi farai , a
quel che intendo, se non vi sei forzato. Tu ti ridi di Dio; fede
e battesimo hai rinnegato , per credere che il diavolo t' abbia
creato e possa salvarti. Iddio solo è creatore dell'uomo, secondo
è scritto : Manus luce fecerimt me et plasmavernint me i.
» Questo testo chiarisce che Dio, non il diavolo fece l'uomo
e dopo lui la donna. Né il diavolo ha potenza di far nulla e
nulla dir bene. Or come avrebbe fatto l'uomo, che è maggiore
[^p^ . — --^m
j— '□ CAPITOLO XI. Cn=7
di lui? come avrebbe potuto dargli la salute? T'avrebbe dunque
dato più di quanto ritenne per sé? Io non credo tu abbi cen-
V anni : e sou oltre cinquemila anni da che il diavolo , padre
tuo , da cui ti dici formato , non potè ottener grazie. Tu che
sei pieno di Spirito Santo, e che a tuo grado lo distribuisci ai
discepoli , come non daresti salute al padre tuo ? No , io non
crederò mai che 1' uomo sia nato da un si tristo padre ; ma
vero padre suo è Dio: Formami hominem ad imaginem et
sim ilitudinem suam.
» Ecco due grandi testimonianze per convincerti : non ti
bastano? dovrai renderti vinto al un terzo argomento. Salomone,
nessun profeta, né apostolo mai, né papa non disse che la salute
sia venuta per opera del diavolo : né lo Spirito Santo è si da
poco da voler stabilire sua dimora nell'edifizio del diavolo. In-
tanto tu prodighi questo Spirito Santo come se fosse lardo, e
pretendi cosi salvare il tuo confratello.
» Tu predichi tua dottrina nelle chiese e nelle piazze, ne'
boschi , nelle selve , tra le macchie , ove le signore si stanno
intente al fuso ed al pennecchio ; e mentre le une filano , le
altre tessono, ecco loro spiegato il vangelo, e cantati i sermoni.
Quando mai fu veduta una congrega di gente che non sa scri-
vere né leggere, pretendere di spogliar Dio de' suoi diritti ? Ma
che serve se una serie di testimonianze prova che esso formò
il cielo, la terra, il sole, la luna e le stelle, e le chiama figli
e fratelli secondo l'ordine di creazione? onde su ciò il profeta
David disse : Filii tui sicut noveìlae olivarum.
» Or vediamo se perfidii, o eretico, chiamando l'uomo fi-
glio adulterino di Dio e dandogli altro padre che il vero. Tu
menti come un ladrone, e ladrone dell'anima se' in fatto; ma
io ti ridurrò alle strette con quest'altra interrogazione. 11 dia-
volo ha fatto r uomo , esso dunque fece pure il Dio che mori
in croce e che avanti la passione fu chiamato uomo : Ecce
homo. Che più fa di mestieri per convincerti, se già l'altre mie
prove non t'hanno riscosso? Ne vuoi una ancora? eccola. Se
tu hai podestà di togliere i peccati dell'uomo, e il diavolo non
l'ha, come la concesse a te ?
» Rispondimi due o tre parole : o sarai gettato nel fuoco,
0 ti porrai dalla parte di noi che avemmo la fede pura coi
suoi sette gradini, cioè i sacramenti del battesimo, confessione,
— 290 —
L INQUISITORE TROVADORE
matrimonio, ordine, estrema unzione, confermazione, eucaristia,
il più di tutti importante, innanzi al quale ogni creatura deve
incliinarsi profondamente, e che ogni di gran miracoli compisce.
Perciò sia il prete virtuoso o reo , il sacramento s' opera del
pari: quando il prete comincia la consacrazione e il vere di-
g num et justmn est , quando sull' ostia e sul vino nel calice
pronunzia le sante parole ordinate da Dio, infallibilmente vi fa
discendere il corpo di G. C. morto per noi. L'ostia diviene sua
carne e suo sangue il vino. Che? indocile a tutte queste au-
torità di Dio e di san Paolo non ti vuoi arrendere? Ma il fuoco
ed i supplizi ti attendono, già già vi sei gettato.
» Prima però che tu vada arso, io ti vo' commiatare con
un'altra questione sulla risurrezione dell'uomo e della donna,
che tu nieghi al pari del giudizio universale. Su ciò la parola
di Dio è infallibile ed immutabile, talché se la testa d'un
) uomo fosse oltre i monti, un suo piede ad Alessandria, l'altro
\ al Calvario , una mano in Francia , 1' altra ad Altoilla-rd e il
tronco in Ispagna, infine tutte le sue parti bruciate e ridotte
^ in cenere, si ricongiungeranno, ecc.
() -p 0 maledetto, che pensi rimettere l'amministrazione de'
sacramenti a vili laici che non sanno cosa siano, tolti agli ar-
menti e non pratici che di lavorar in terra e cianciare empietà,
e non adoprano nò acqua, né crismi, né incenso! Non così fu-
rono battezzati madonna santa Fede , né santa Catarina , né
sant'Agnese patrona degli Albigesi, né tanti santi martiri, che
\ ad ogni di fanno miracoli. Chi non crede ciò, nessun lo com-
( passioni se è preso e bruciato... »
Qui il convertito risponde :
— Isarn , datemi sicurtà ch'io non sarò arso, nò impri-
gionato, né maltrattato; e mi sommetto a qualunque penitenza vi
piacerà. E vi narrerò gran cose, giacché, per quanto gl'inqui-
sitori abbiano scoperto, e' non sanno la decima parte del fatto...
Dacché io venni eletto vescovo , consolai di queste mani che
vedete almen cinquecento uomini. Se gli abbandono, son anime
perse al diavolo e all'inferno. Che fora di me se mi scontrassi
in alcuno de' loro amici , e voi non mi deste asilo ? Perderei
la dignità , e diverrei oggetto di spregio al nostro concistoro.
Un , - 291 -
À
CAPITOLO XI.
\b^
ì Non fame o sete o indigenza m' indussero a qui venire : che
( a noi è vietato obbedire alla citazione. Venni di buona grazia.
Molti amici ho io e ben agiati, e ognuno stimasi beato di darmi
quanto denaro desidero : tengo in deposito tutto l'avere de' miei
religionarì : quantità di abiti, camicie, calze, panni ben lisciati
e bianchi , coperte , nappe , serviette per li amici quando loro
do a maDgiare : fo buona tavola, con cibi squisiti, salse di ga-
rofani e buoni pasticci. Il pesce scusa bene la cattiva carne^ :
buon estratto di garofani scusa il vin da taverna: pan di fior
di farina scusa la pagnotta di convento.
» Mentre voi passate le notti al vento, alla pioggia, e tor-
nate fradici, io stommene ben tappato e in riposo coi confra-
telli a ber che mi piace, a fare che m'aggrada con mio cugino
e con mia cugina. Poiché io posso darmi quante assoluzioni
voglio ; né v'ha peccato da cui non mi purghi o per me stesso,
0 pel primo diacono in cui m'imbatto. Tale è la felice vita che
io meno... Pure mi do vinto a tante buone ragioni. Se vi chie-
dono chi sia il novello battezzato, potete rispondere, è Sigerio
di Figueiras , che abiurò gli errori , e che quanto fu nemico
della Chiesa romana, altrettanto diverrà persecutore degli ere-
tici e degli infedeli : senza pace o tregua con essi ; io che ben
li conosco, farò prenderli, ne ruberò i poderi, ecc. »
Il frate dimenticavasi un altro testo, cioè che « la giustizia
di Dio non si opera per ira d'uomini ^ » : vero è però che egli
finisce benedicendo al convertito *.
In questo curioso poema di ottocento versi alessandrini ,
volemmo dar saggio men tosto della poesia provenzale che del
predicar d'allora : perocché, se Izarn potè far parlare debole e
ridicolo l'avversario , come si pratica ne' dialoghi , possiamo
credere che a sé medesimo avrà messo in bocca le ragioni che
meglio credeva calzanti, qual é la replicata minaccia delle fiamme.
Già di qui comprendete come d'ogni sorta persone pizzicas-
2 Molti non mangiavano grasso.
3 Iram viri juslitia Dei non opcratur, Jac, I, 20.
♦ Questa scena del frale caitolico è lima; ma è storico che Enrico Vili di^piiiò
cinque ore con Lamberto Simncl, il quale negava la presenza reale, e al line gli
propose di cedere o di morire. Lamberto preferì la morte, e l'ebbe a lento fuoco
— 292
— Or che nuove rechi ? » (Idiiiandù il tiraiino.
E quegli : — Pessime, signore •. l'aUova e [lerduta >».
Gap, XII. i'aif. 324.
^^. ^ ^^
17^111 TROVADORI ITALIANI D^-1
F ^
^ sere la mandòla provenzale ed in ogni paese: Federico Barba-
> rossa, Riccardo Cuor di Leone, Federico III di Sicilia, Guglielmo
di Poitu, leggiadre donne, inesorabili inquisitori. Anche ne* pa-
) lazzi e nelle corti d'Italia i trovadori erano ricevuti orrevolmente,
{ fors'anco per simpatia verso le opinioni albigesi, e non si tardò
' ad emularli. Perocché antico è nei genj italici il vezzo d'imitare,
e quel che l'uno fa, far gli altri. Cosi trent'anni sono, tutti i poeti
si rifacevano di ombre e di Dante rigentilito: poi vennero tutti
devozione ed inni; oggi eccoli tutti broncio e bestemmie contro
gli uomini e il cielo: domani forse saran tutti inni e baccanale
e adulazioni.
Folchetto da Marsiglia genovese, grand'amico di san Dome-
nico, fu il primo italiano che verseggiasse in provenzale; altri
gli tennero dietro d'ogni contrada ; e Genova intese Percivalle
e Simone Doria , Ugo de' Grimaldi , Jacopo Grillo , Lanfranco
Cicala; Pietro della Carovana clie in un componimento esorta
i Lombardi a non si fidar de' Tedeschi: e più illustre Bonifacio
Calvi, che andato giovinetto in corte di Castigha il 1248, s'inva-
ghì di Berlingcra nipote del re, e compose una canzone in pro-
venzale, in spagnuolo e in toscano per eccitare a guerra contro
il re di Navarra , e poco stante morì. Il Piemonte ebbe Pier
della Rovere, iNicoletto di Torino, che disputò con Ugo di San
Ciro, e poeticamente morì nel 1225 dal rammarico di non ve-
dersi corrisposto in amore ; Albenga ricorda il suo Alberto Qua-
glio: Nizza Guglielmo Brieva : la Lunigiana Alberto de'marchesi
Malaspina: il Monferrato Pier della Mula: Pavia un Lodovico:
Possano un monaco: il veneziano Bartolomeo Zorzi , in viaggio
preso dai Genovesi e tenuto in prigione sette anni, avventò un
serventese contro Genova; poi liberato, fu messo castellano a
Corone, ove mori. Un Siccardo lombardo è l'originale di qualche
nostro contemporaneo clie « dà del poltrone a tutti i vicini suoi,
ad ogni pericolo è il primo a fuggire; s'insuperbisce delle arie
grossolane che adatta a parole le quali non hanno senso '\
Costoro, che sono i più, appartengono all'alta Italia , ove
il contatto co' Provenzali e il parlare men addestrato faceva
meglio disposti a quel verseggiare. Però sono ricordati Paolo
r s Pietro d'AlviTiiia piTSSo Millot. >
,la
Cantù — Ezelino. 19
de'Lanfranchi di Pistoja, Ruggerotto da Lucca, Migliore degli
Abati da Firenze, Rambertino Bonarello in Bologna. Ai quali
sorvola Ugo Catola, perchè, in luogo di futili galanterie, dar-
deggiò la corruzione de' signorotti.
Splendido mecenate di tali Grazi fu quell'Azze d'Este signor
di Ferrara che tante volte ci tornò sotto la penna : e lui e le
figliuole sue troviamo spesso esaltati come un paragone di cortesia
e di virtù nelle canzoni di poeti, liberali di lode a chi è liberale
di doni. Anzi una raccolta di poesie provenzali conserva la bi-
blioteca di Modena, esemplata fin dal 1254 e al fine del libro
una annotazione legge cosi :
« Maestro Ferrari fu di Ferrara, e fu giullare, e s'intendeva
meglio di trovare ossia poetar provenzale che altro uom che {
fosse mai in Lombardia. E meglio intendeva la lingua provenzale, (
e sapea molto bene di lettere, e nello scrivere persona non ^
aveva che il pareggiasse. Fece molti buoni libri e belli. Cortese j
uomo fu di sua persona; andò e volentieri servi a baroni e (
cavalieri, ed a' suoi tempi stette nella casa d' Este; e quando ^
occorreva che i marchesi facessero festa o corte, vi concorrevano l
i giullari che s'intendeano della lingua provenzale, e andavano )
tutti a lui, e il chiamavano loro maestro. E se alcuno ci veniva )
che se n'intendesse meglio degli altri, e che facessero questioni >
del trovar suo e d'altri, maestro Ferrari gli rispondeva all'ini- |
provviso, in maniera ch'egli era il primo campione della corte
del marchese d'Este. Quando era giovane attese ad una donna
che avea nome madonna Turca, e per quella dama fece molte
buone cose. E quando arrivò ad esser vecchio, poco andava
attorno: pure si conduceva a Treviso a messer Gerardo da
Camino ed a' suoi figliuoli, che gli faceano grande onore ed il
vedeano volontieri, con molte accoglienze, e il regalavano lar-
gamente. »
Tra i figliuoli del buon Gherarilo da Camino ora accennati
va distinta la Gaja, che prima favori e coltivò la poesia italiana.
Dante la nomina nel XVI del Purgatorio, ove fra Giovanni da
Serravalle commentando, dice com'ella fosse prudente donna ,
letterata, di gran consigho e somma bellezza, e seppe dir bene
in poesia volgare ^.
•» Uno di coloro die la storia concepiscono solo col disprezzo di liiLlo e di )
rz-Q SORDELLO [J t
Amatore e cultore delle muse era anche un fratello del
marchese Uberto Palavicino , nostra conoscenza ; e più ancora
Bonifazio III marchese di Monferrato , alla cui corte venuto
Rambaldo di Vaqueiras , e con lui condottisi in Terrasanta ,
s'innamorò di Beatrice, sorella di esso e moglie del signor di
Carretto. Dallo stesso marchese del Carretto e da Federico II
ebbe cortesie l'altro poeta Folchetto di Romans.
Né gli Ezehni rimasero estranei alla protezione dei cantori;
e in loro corte visse il trovadore di cui restò più elevata ri-
nomanza, Sordello di Mantova, che accoppiò la palma de'guer-
rieri, il mirto degli amanti, l'alloro de'poeti. Su lui strani rac-
conti cumulò la tradizione il poetatrasformando in uno spadaccino,
con avventure dedotte evidentemente da que'romanzi d'esagerato
eroismo che allora la Francia ci mandava , come ora ce ne
manda di putida sensualità. Aliprando Buonamente, che, sul-
l'entrar del XV secolo, in rozzissime terzine italiane espose la
storia di Mantova, racconta siccome questo cavaliero di gran
paraggio nacque da ricco padre della famiglia de' Visconti, in
G(5ito potentissima ; studiò e ben giovane scrisse il Tesoro dei
tesori, compendio delle imprese de' più famosi governatori di
regni e repubbliche. A venticinque anni si diede tutto alle armi,
e divenne leggiadro assalitore , il più destro al bagordare , e
riportò l'onore di molte giostre. Mezzana statura, bell'aspetto,
agile e durevole alle fatiche. La fama di sue straordinarie
prodezze arrivò al re di Puglia (che doveva essere Federico II),
il quale inviò Lionello, il più prò' guerriero del suo reame, perche
del valor suo facesse sperimento con Sordello; promettendogli
gran mercè se lo vincesse. Lionello viene a Mantova, trova
Sordello che piazzeggiava, gli espone il motivo di sua venuta,
e accordano fra dieci giorni la battaglia. In quel mezzo arriva
pure il cavalier Galvano , spedito da Luigi re di Francia per
invitar Sordello a quella corte, con promessa di mari e monti
alla francese. Indugia a rispondere fin dopo la battaglia. Nella
quale, combattuta cogli estremi dell'arte, Lionello rimane di
tulli, e presumono correggerla coi punii esclamativi e interrogativi, asserì che la
Gaja era tutt'allro, e cli(3 Danio la lodasse per ironia, e lo prova col dar del-
( r ignorante pel capo e chi disse diverso. — Siile d'oggi
I — \2 CAPITOLO XI
(
sótto, e il Lombardo, curatene le ferite, lo manda con Galvano
in Francia, testimonio di sua valentia.
Egli stesso accingevasi a partire per colà, quando Ezelino,
informato dei meriti d'un nostrale dalla stima che ne faceano
i forestieri come non di rado avviene, volle conoscerlo. Bordello
Ya a lui ; è ricevuto con grande splendidezza ; poi è chiesto a
Padova da Alberico. Quivi trova Corrado cavaliere del duca
d'Austria, venuto per seco provarsi, lo combatte, lo vince, e sì
lo manda in Francia, testimonio di sue prodezze. Alla pugna era
presente Cunizza (1 testo la nomina Beatrice), sorella di Ezelino,
la quale, presa da tanto valore, ne perdette il sonno, e strug-
geasi pel cavaliero,ma non gliel'aveva ancora potuto manifestare.
Confidossi alfine, alla sua nutrice la quale andò ed avvisonne
Bordello, e come la fanciulla desiderasse parlargli e divenir sua.
Bordello, parendogli slealtà, sulle prime ristette, e riparti per
Mantova, carico di regali da Ezelino. 11 rifiuto irritò l'amore di
Cunizza, la quale travestita d'uomo, /ugge a Mantova e interpone
Pier degli Avogadri parente suo. Questi scrive ad Ezelino come
la sorella di lui fosse con seco e perchè ; e fa che Bordello passi
tosto ad Ezelino. Questi al primo vederlo gli si fa incontro ,
dicendogli, come soleva a' suoi più intimi. — Addio, Bordello,
fratelmo. » E quegli comincia a balbettare sue scuse ; udite le
) quali Ezelino voltosi ad Alberico. — Che ne senti fratelmo?»
— Io dico (soggiunse questo) che la sorelhx , cui Dio mandi
il malanno, conculca l'onor suo e il nostro. »
— Io al contrario (replicò il tiranno) sostengo ch'ella lia
ragione d' amar Bordello , uom si valente e d' ingegno e di
braccio. »
E senz'altro gliela consenti; si fecero gli sponsali, poi le
nozze, con balli e suoni e corte ban(hta per tre giorni : dopo
dei quali Bordello partì per Francia, fra i lacrimati congedi dei
nuovi parenti. Per viaggio sfidato in Lombardia da un Giacchetto,
il vince, e anche lui manda innanzi al re di Francia. Ove giunto,
ed accolto come suol quella gente , eh' è sempre charmce di
vedervi la prima volta, avendo un certo Grisolfo cortigiano
motteggiato sulla corta e lacera veste di lui, esso lo sfida e
vince; e vince due Inglesi, un Borgognone, tutti quegli insomma
con cui s'affrontò ne'quattro mesi ch'ivi si tenne. Poi, per quanto
il re lo pregasse a rimanere , risoluto di tornare a casa , da
n
— 290
@3^
BORDELLO
questo viene armato cavaliero, donato di tremila lire, d'uno
sparviere dorato , privilegio dei cavalieri reali, e ripassa le
Alpi, gridato da tutti i gazzettieri d'allora come il più segna-
lato campione di Lombardia. E i nostri, che credono uom grande
anche un compatrioto quando gliel dicano i forestieri , fecero
della sua tornata un continuo trionfo; da per tutto la gente
affollata incontro al miglior cavaliere d' Europa , che seco
portava l'onor di Francia. Che festa poi fecero Ezelino, Alberico
e la sua Cunizza! che festa i Mantovani quando condusse fra
loro la sposa!
Fermato piede in patria, tenuto come il primo cittadino,
avvenne che Ezelino bramasse soggettarsi quella città, e spe- (
rava riceverne aiuto dal cognato. Ma s'ingannava: perocché il
buon patrioto amava la libertà più che il parente, e guidò egli
stesso i suoi ad assicurarla. Fece ventitré battaglie, né una
sola ne perdette: altrettanto rimase sempre superiore in lotte,
in giostre, in trar pilei, in tornei. Cantore, sonatore, cacciatore,
visse sin agli ottant'anni, fu sepolto in San Pietro: la sua anima
sia con Dio, e preghiamo la Madonna che altrettanto avvenga
a noi pure.
Cosi il rustico Aliprando, tutti questi racconti affastella con
tale incongruenza di luoghi, d'accidenti, fin di persone, da di-
sgradarne le odierne gazzette. E il Plàtina, in fama d'eccellente
critico perché denigrò i papi, se li bevve come di fede, e ne
rimpolpettò la sua stona di Mantova.
Realmente mancano d'ogni appoggio. L'accademia di Mantova,
una delle poche che non s'attenne all' antico offizio di cotesti
corpi, qual è d'immiserire gl'ingegni, elevare le mediocrità e dar
importanza alle frivolezze, nel 1773 avea proposto per concorso
di un premio « l'elogio di Sordello Visconti di Gcnto principe
» di Mantova, guerriero e letterato rinomatissimo del secolo XIII,
» in cui desidererebbe che spiccasse principalmente l'idea degli
» all'ari politici, l'indole dei costumi e lo stato della letteratura
» di que' tempi ». Se alcuno l'avesse fatto, era bell'e preoccu-
pato l'arringo, nel quale noi ci facciam adesso onore '^. For-
7 Nel 1783 fu stampala a Cremona una dissertazione intitolata Sordello, ano-
nima ma da aiiril)iiirsi al conte G. H. D" Arco, ove sono discnssi i latti relativi
al nostro trovadore. Snlla ledi! di Riccardo di Modi.^liana, dice che Sordello tra-
V dusse tre volle i Commentari di Cesare, due le storie di 0. Curzio.
r=l-P
— 297 —
CAPITOLO XI. Q I— I
^
tunatamente ci fu lasciato il campo, e poiché egli si lega con
Ezelino suo cognato ben altrimenti che il confessionale con
san Giuseppe, andrem cercandone ne' vecchi, e più negli scritti
suoi. Nostradamus, storico de' trovadori , il fa di quindici anni
chiamar alla Corte da Raimondo Berlinghieri conte di Provenza ;
e soggiunge che riuscì il più elegante dettatore di poesie pro-
venzali italiane , che non trattò mai d'amore , ma di filosofìa
solamente. Forse allude al Tesoro dei tesori, dove cercava
instaurare la morale pratica degli Stati ; e Benvenuto da Imola
lo cita, senza averlo potuto vedere. Suoi canti però e piagnu-
colamenti d'amore ci restano a bizzeffe, e ne produciamo una
strofa :
• — Ohimè! che mi valgono gli occhi miei , se più non
» vedo quella che desidero, or che la stagione si rinnovella ,
» e si veste di fiori e di foglie? Poiché la mia donna mi prega
» ch'io non canti lai di duolo, solo d'amore canterò. Io muoio
» perchè tanto lealmente amo, e si poco vedo colei che adoro :
•» ohimè! a che mi valgono più gli occhi? »
Se fosse ancora la stagione che i poeti disarmavano le
belle con si fatto morire per metafora, mi crederei in dovere
di metterle sull'avviso contro tali poetiche asserzioni, giacché
questo Sordello appassionato mostrasi poi vagheggino incostante
in un'altra poesia, che esala più le follie di don Giovanni che
non il platonismo del Petrarca.
— Tutti si querelano meco per gli amori miei e per le
» dame che ho: questi per invidia, quelli perchè disturbo i
» parenti loro: e mi consigliano a cangiare stile, e mi dipin-
» gono i perigli cui m'avVenturo. Ma di nulla tem'io ; vivo al-
» legro senza impacciarmi dell'altrui malevolenze. Che siano
» gelosi di me qual meraviglia ? Si ben mi conosco in amore :
» non v'è virtù di dama la quale dalle dolci mie persecuzioni
» si possa difendere. I mariti è ben dritto se si crucciano qual-
» volta alle lor mogli io m'accosto : ma che m'importa lo sdegno
» loro e il male che me ne vogliono, purché io giunga a'miei
» piaceri? Io son dotato dalle fate cosi, da ottener in amore
» tutto quanto bramo. Onde la stizza loro , i loro gridi non
» m'impediscono di soggiogar le dame ».
Perchè non si creda troppo neppure a questi vanti, giovi
avvertire ch'erano d'uso, siccome fu poi d'uso che chiunque
ai
'H — 29S —
faceva sonetto o canzone , fosse vecchio o giovane , soldato ,
frate o cardinale, dicesse d'essere innamorato, e cantasse bionde
trecce e pupille di fuoco e cuor tiranno. I trovadori poi pare-
vano altra vita non vivere che d'amore, e la storia di essi e
le poesie loro sono un tessuto di avventure. Ed è proprio un
dolore che lo fren dell'arte mi rattenga di far qui uq romanzo
coi romanzetti raccolti dal Nostradamus, dal Crescimbeni, dal
Millot, dal Raynouard : ma nulla mi terrà dal rammentar qui
Guglielmo della Tprre, che a Milano rubò la moglie d'un bar-
biere e la condusse a Como, seco beandosi in quelle amenità,
che incomparabilmente deliziose rende l'amore. Ma la morte
colse la donna, e Guglielmo non seppe più darsene pace, e de-
lirante stette dieci giorni interi sul sepolcro di lei, e la notte
ne la traeva guardando fiso se risuscitasse, e almen pregan-
dola a dirgli quali pene soffrisse, che ne 1' avrebbe redenta a
messe e limosine. Si trovò in fatto chi gli die a credere che,
se per intero un anno egli recitasse ogai giorno tutto il sal-
terio e centocinquanta paternostri , e desse mangiare a sette
poveri, la donna sua tornerebbe in vita, senza però né mangiar
più, né bevere o favellare. Guglielmo si consolò d'aver trovato
questo rimedio, e la speranza il tenne vivo , e quando questa
cessò, cessò pur egli dal vivere ^.
Né Sordello era diverso da'suoi confratelli. Ch' esso abbia
amato la suora d'Ezelino pare dai cronisti : e raccontano (ve-
dete baja) che per trovarla in Verona, egli si conducesse , di
fìtta notte, lungo un viottolo schifo, per attraversare il quale
montava in spalla d'un servo che stavalo poi attendendo. Ezelino
n'ebbe avviso, e un bel giorno si postò in A'ece del servo, tolse
in ispalla il poeta, lo portò, indi lo riportò, e depostolo gridogh :
— Ormai ti basti, Sordello, né voler più per luogo si sozzo a
più sozza opera passare ». Cosi le cronache vulgari associavano
il lepido al terribile , sino a far del diavolo un non so quale
dabben essere, che vien ingannato mille volte, e prestasi a
mille burle e piacevolezze.
Cunizza, l'amasia di Sordello, nacque intorno al 1189, e
ricca e delle belle donne d'allora, andò sposa a Rizzardo conte
8 Crescimbeni, Giunte alle vile dei podi provenzali, p. 197. Il più recente
scrillorc di tal materia è Diez, Lehen une! Werhe der Trouhadours. }
299 - nJil
CAPITOLO xr.
^
di Sambonifazio avendo ventiquattro anni. Né quest' età era
tarda pei maritaggi nel tempo che, come Dante ricorda, non
uscivano di misura il tempo e la dote. Ezelino a sua figlia
Palma diede in dote mille lire fra denari e roba : e Speronella,
che voi conoscete, nel suo testamento del 1199 disereda la fi-
gliuola Zamponia perchè ita a marito avanti i venticinque anni ,
non le lasciando che le milletrecento lire ond'era stata dotata.
In corte del Sanbonifazio viveva Sordello, divertendo i
principi colle canzoni e coi racconti. Cunizza se ne invaghì : e
pare Ezelino connivesse a quegli amori: e forse per fare onta
al Sambonifazio, col quale era venuto in rotta, indusse Sordello
a rapirla, e in sua corte die ricetto ai due amanti. Cunizza
aveva dal marito un figliuolo, Leonisio o Loisio, che poi guer-
reggiò da prode. Infine essa fece divorzio dal conte, e quando
Ezelino cacciò Sordello di corte , ella si volse a cercar altro
amante, e prescelse il cavaliere Bonio di Treviso. Benché am-
mogliato , ella prese accordo di fuggir con esso e andarono
pel mondo cercando divertimenti , e facendo le ricche spese.
Tornarono poi in Treviso quando vi dominava Alberico ; né in-
termisero 0 velarono la loro tresca. Bonio nel difendere Treviso
da Ezelino fu morto: ed ella, vedovata, tornò ad Ezelino, che
le procurò nuove nozze con Raineri conte di Breganze , uom
ricco, nobile e reputato assai, e che pure non si recò a disonore
lo sposare una donna vissuta in famigerato adulterio. Ezelino
però venne inimico ai Breganze, e li mandò a morte tutti, an-
che il cognato : eppure Cunizza dimorò alcun tempo col fratello ,
poi a Firenze , e dopo la catastrofe de' suoi trovò in Verona
altre nozze.
Mentr'ella stava a Firenze in casa Cavalcante de' Caval-
canti, nacque Dante Alighieri, quegli che doveva fra non molto
sorgere gigante a capo della nuova letteratura , cacciare di
scanno i poeti vissuti prima di lui, e all'alta Italia e al mondo
dar esempio d'una non più udita né più imitata poesia. Ed egli
collocò Cunizza niente meno che in paradiso nella sfera di Ve-
nere ^, indulgendo troppo alle colpe d'amore, cui egli stesso
Cunizza son chiamata, e qui rifulgo,
perchè mi vinse il lume d'essa stella.
Paradiso^ IX.
^
— 300 — D-— I
-^s
jjt] SORDELLO Cn^
inchinava, e fa da lei predire le sanguinose rotte che i Guelfi
della Marca toccherebbero dallo Scaligero. I commentatori an-
tichi non dubitano di darle il titolo che ben le sta di magna
meretìnx; e le congetture moltiplicate dai moderni per ispiegar
questa incongruenza di Dante, poeta storico e distributore se-
vero delle lodi, han poco peso. Ugo Foscolo uom d' ingegno
quantunque erudito , in quel suo bizzarro commento suppone
che Dante ponesse là il nome di Cunizza finché gliene sovve-
nisse un altro più acconcio, lo che non fece poi per morte i'^:
altri asserisce trattarsi d'una tutt'altra Cunizza: e Benvenuto
da Imola , tanto per iscusare il suo poeta , dice che costei fu
pietosa, benigna, misericorde verso gl'infelici dal fratello tor-
mentati. Di lei abbiamo un atto del 1 aprile 1265 fatto ap-
punto a Firenze in casa dei Cavalcanti, ove rende la libertà a
tutti gli uomini di masnada del padre e de' fratelli , eccetto
quelli che aveano tradito Alberico, i quali tutti coi loro eredi
presenti e futuri, manda in corpo e in anima a mille dia-
voli
; il
10 Discorso sul testo della divina Commedia. CLXIII.
11 Anche dopo abolita la servitù rustica, la servitù domestica durò molto
tempo nelle parli dove accaddero i fatti del nostro racconto.
Francesco Novello di Carrara, sul fine del suo principato, ricompensò maestro
Giovanni da Genova del servizio prestatogli come medico donandogli una schiava
nera di vent'anni, che chiamavasi Epi, e dopo il battesimo Maria: e più tardi
l un'altra di ventiqualir'anni, prima India, poi chiamata Barbara.
) Il 20 ottobre 1400 il provido uomo Pietrobon, figlio di Tommasino de'Bel-
} domandi, padovano, vendette al banchiere Nicolò q. Prosdocimo da Rio una schiava
( tartara di 22 anni circa, senza diletti visibili né occulti, pel valore di 50 ducati
d'oro. Gennari, Ann. di Padova al 1156. Nel 1447 Francesco Sforza, presa Vi-
cenza, vendeva 10,000 cittadini al miglior olTerente. Sismondi, l. IX, e. 72.
Nel 1501 il Valentino fa vendere a Roma le campane prese. Guicciardini, 1. V, e. 2.
Ma perchè neppur in ciò l'orgoglio dell'età nostra possa ingigantire a con-
fronto della passata, adesso appunto (1855) leggo su giornali della libera Nord-
America questi annunzi:
« Venti dullari di mancia. E fuggita una giovane negra chiamala Molli, di 16
» in 17 anni; figura snella; di recente marchiata sulla guancia sinistra con un R;
» un pezzetto dell'orecchia sinistra tagliato. La stessa lettera è segnata all'interno
» fra le due gambe.
« Dieci dollari d'argento a chi prenderà o mi ronderà il mio negro Mosé che )
-301- d3
Degli amori di Sordello con Cunizza fa pur menzione una
vita di esso poeta, manoscritta nella Vaticana, ove è soggiunto
che dopo « e' se n'andò nel Cenedese ad un castello di quelli
» d'Este, dai seri Guglielmo, Enrico e Valpertino molto amici
» suoi, vi sposò celatamente una sorella di loro per nome Otta,
» fuggi a Treviso. Il che come seppero i signori d'Este, volevano
» offenderlo nella persona , e così pure que' di Sarabonifazio :
» laonde egli stava armato in casa d'Ezelino *^ ». Segue raccon-
tando come, allorché andava per la città , cavalcava su buon
destriero e gran compagnia di cavalieri. Per paura degli avver-
sarj si parti, ed andò in Provenza dal conte di colà, ove amò
una gentile e bella donna, per la quale fece di molte canzoni,
in cui la chiamava dolce nemica i^.
E basti degli amori di Sordello : or vediamo del valor suo.
Non che lo ostenti nelle sue poesie, in una anzi prega il conte
signor suo che noi voglia menare alla crociata: e (
— Signor conte , non esigete da me ch'io vada a cercar /
» la morte. Volete un marinaro ben esperto ? eccovi Bertrando (
» d'Alamanon, che conosce i migliori venti, e nulla più agogna /
» che di seguitarvi.... Ognuno pel mare va a guadagnar salute )
» eterna. ?^Ia io, io non ho fretta di salvarmi, e voglio arrivare \
» più tardi che posso all'eterna vita; onde non m'imbarcherò |
» giammai. » (
» fuggi stamattina: ovvero cinque volle tal somma a chi mi darà la prova positiva ';
» ch'ai fu ucciso: e non s'indagherà chi Tabhia l'alio.
« Cani da negri. Il sotloscrillo avendo comprato una muda compita, si assume )
» d'inseguire i Negri fuggiaschi. Prezzi: 3 dollari il giorno per la caccia, 15 per
» la presa » . ;,
12 Un commentatore antico, inedito, al VI del Purgatorio di Dante, pone: |
» Sordello, del Mantovano, d'un castello che ha nome Goito ; gentil cattano; fu (
avvinente omo della persona e grande amatore. Ma molto ei In scaltro e falso (
verso le donne e verso i baroni, da cui elli stava. E s'intese in madonna Cunizza ""
sorore di ser Kccelino e di ser Alberico da Romano, ch'era mogliera del conte (^
di Sambonifacio. E per volontate di ser Eccelino elli involò madonna Cunizza e ^
menolla via » . ^
13 Piacque poi quest'antitesi al Petrarca, che cantò: « Della dolce ed acerba
mia nemica — Gli orecchi della dolce mia nemica — M'oda la dolce mia nemica
anzi eh' io moia — Della dolce ed amata mia nemica » ed altre volle ; poi dietro
lui i Petrarchisti d'ogni età e sesso.
I — '□ SORDELLO
Questo Bertrando d'Alamanon era prode cavaliero ed in-
sieme trovador valoroso: e da Sordello è indotto a seco dialogare
in una tenzone, che è siffatta :
Sordello. « Se tu avessi a perdere quanta gioia d'amanti
» e di amiche avesti o sei per avere , oppure sagrifìcare alla
» dama di cui ardi quanto onore acquistasti o sei per acquistare
» nella cavalleria, quale sceglieresti?
Bertrando. « Tanto a lungo fui rifiutato dalle dame che
» amai , si scarso bene ne ricevett i , che preferisco la gloria
» acquistata nella cavalleria. Lascio a voi la follia d'amore, ove
» gioia non v' è giammai , perchè più se n* ottiene e men ne
» rimane; quando nei campi delle armi sempre nuove conquiste
» restano a farsi, nuova gloria ad acquistare.
Sordello. « Non v'ha gloria senza amore. Tristo partito
» abbandonar il godimento e la galanteria per guadagnar
» colpi; soffrire fame, freddo , caldo. Tutti questi vantaggi di
» buon cuore io cedo per le supreme gioie che aspetto dal-
» amore.
Bertran'DO. « E come osereste comparir innanzi all'amica
» vostra, se non osate brandir l'armi per combattere ?>>'on v'è
» piacer vero senza la gagliardi.i. Essa eleva a più grandi onori:
» ma le pazzie e le gioie d'amore traggono dietro lo svilimento
» e la caduta di chi se ne lascia sedurre.
Sordello. « Purché io sia prode agli occhi di colei che
» adoro, che mi cale dello spregio altrui? Lieto vivrò 'con
» essa, né ad altra felicità aspiro. Voi andrete ad abbattere
» ogni cosa, mentre io andrò ad abbracciare il mio bene ; voi
» godrete la stima de' grandi baroni francesi , io godrò dolci
» baci, che mi valgono meglio che i più bei colpi di lancia.
Bertrando. « Amico Sordello , 1' amor vostro è fondato
» sull'inganno. Io non vorrei aver conseguito quella che amo
» d'amor sincero per mezzo d'una fama che non meritassi. Un
» bene si mal acquistato mi renderebbe infelice. Lascio a voi )
» le frodi d' amore, io non voglio che l'onore dell'armi. Gran
» follia é la vostra di mettere in bilancia una falsa felicità con
> una gioia legittimamente ottenuta.
V'ha chi si gloria in verso di vizj, di cui arrossirebbe in
prosa ; perchè non crederemo che Sordello qui pure fìngesse
soltanto per arte, ovvero col fine di pungere altri trafìggendo
— 303 —
r— n CAPITOLO XT.
sè stesso ? Certo il più delle volte egli si eleva a subietti ge-
nerosi, e a tacer anche una sua canzone sul vespro siciliano,
dei trentaquattro componimenti che di lui ci arrivarono^ quin-
dici sono amorosi, i restanti di più elevata sentenza , e sovra
tutti è celebre il suo Serventese in morte del trovadore Bla-
casso : ove finge di spartir il cuore di quel prode fra coloro
che men ne hanno, ^togliendone occasione a tartassare i principi
d'allora.
• — Primieramente ne mangi, perciocché grand'uopo ne ha,
l'imperatore, s'ei vuole per forza conquistare i Milanesi, che
lui tengono conquiso, sicché vive disertato, malgrado de' suoi
Tedeschi. Ne mangi poi il re francese: e ricupererà sua terra,
che perde per negligenza. Ma s'ei crederà a sua madre, non ne
mangerà punto, perchè ben ella desidera ch'ei non faccia cosa
che vaglia.
» Del re inglese, perché poco coraggioso, mi piace mangi
assai di quel cuore, e diverrà valente e buono, e ricovrerà la
terra che gli tolse il re di Francia , perchè il sa negligente.
E il re di Castiglia tengo che ne mangi due porzioni, perchè
tien due reami, e non basta per uno. Ma s'ei ne vuole mangiare,
se ne mangi di nascosto, che se la madre il sapesse, batterialo
col bastone
» Il conte di Provenza tengo che ne mangi , che uomo
diseredato dal regno, se vive un'ora, non vai più nulla. . . ,
» T baroni mi vorranno male perchè dico il vero; ma ben
sappiate ch'io li prezzo tanto poco, com'essi me.
» Donna, mio bel ristoro, sol che da voi possa trovar mercè,
sfido chiunque non mi tien per amico » '*.
In un altro serventese, di ben minor nerbo, Bordello morde
i crociati contro gli Albigesi: in un altro esorta i baroni a non
lasciarsi conculcare e tórre gli Stati ; in un altro sferza i prin-
cipi che mentono la promessa. Tradusse le storie di Cesare e
14 L'imperatore é Federico II: il re di Francia, Luigi IX: d'Inghilterra,
Enrico III; di Catiglia, Ferdinamio III; di Navarra, Tibaldo conte di Sciampagna.
Cesare Francesco Balbi, patrizio veneto, fece uitimanienle una novella in quattro
canti sopra il faito del Oislcllo d'amore, da noi pure enunciato nel Capo I, pag. 33,
e ne fa eroe Sordello.
— 301 —
'^ Cioè poetare: donde Irovadore.
sl^.
[ap^ E^
r-t] SORDELLO ^ ^
di Curzio, e scrisse al consiglio della sua patria sull'arte di di-
fendere le città forti. Tutto ciò in provenzale; ma anche in
italiano egli dettò: giacché non avrete tardato finora ad accor-
gervi che, insieme colla poesia provenzale, era sorta l'italiana.
Quel sommo pedante di Mario Cresciml)eni , dietro all' E-
quicola e al Bembo deduce questa da quella ; e anche testé ,
dimostrato che era follia il sostenere che avessimo imparato a
poetare dagli Arabi alcuno protese l'imparassimo dai Proven-
zali, e ripeterono quei molti che, come le tarine , prendono il
colore dal drappo che mangiano , e giudicano la libertà una
servilità nuova, o verità un nuovo errore.
Il fatto sta che, come alla lingua nostra non fu mestieri
d'innesto forestiere, ma solo nella naturale evoluzione per pas-
sar dal latino parlato al vulgare odierno , cosi la poesia ab-
bandonata dalle Muse, cioè dai cultori eruditi, depose i metri
fondati sopra la quantità delle sillabe , per attenersi a quelli
già popolari, che badavano solo al numero di esse, e ne ven-
nero i ritmi o le rime nuove.
Basta ricordare gl'inni della Chiesa per veder come le
parole fossero latine, vulgari le forme; e su quel fare andavano
le canzoni, e ce ne resta una che Buoncompagno fece contro
fra Giovanni da Schio, entrambi a voi noti:
Et Johannes johoannizzat
et saltando choreizat :
modo salta, modo salta
qui ca^lorum petis alta.
Noi, che diciamo un Pater nostro ad ogni grano che ci
corre sotto le dita, abbiamo qui e là recato saggi di poesia
italiana, ed altri ne potremmo addurre, stando anche solo
alle persone nominate in questo scucito racconto. E sia primo
l'imperatore Federico, il quale celebrando la donna sua le diceva:
Poiché ti piace amore
che io deggia trovare ^^,
CAPITOLO XI.
farò Oìine mia possanza
che io vegna a compimento.
Dato aggio lo mio core
in voi, madonna, amare
e tutta mia speranza
in vostro piacimento
e non mi partiraggio
da voi, donna valente,
eh' io v' amo dolcemente...
Valor sor 1' altre avete
e tutta conoscenza ^^:
nuli' uom non porria
vostro pregio contare,
di tanto bella siete !
Anche Pier dalle Vigne non trovò che d'amore, e nelle
canzoni introdusse l' invio, cioè 1' apostrofe finale alla canzone
istessa :
Mia canzonetta, porta i tuoi compianti
a quella che in balia ha lo mio core:
tu le mie pene contale davanti,
e dille com'io moro per su' amore;
e mandami per suo messaggio a dire
com'io conforti l'amor che le porto.
E se io ver lei feci mai alcun torto.
Donimi penitenza a suo volere.
Certo ben son temente
di mia voglia mostrare:
e quando creo ^"^ posare
mio cor prende arditanza:
e fa similmente
come chi va a furare,
16 Anche Danto elisie conoscenza per sapienza:
Falli non foste a viver come bruti,
ma per seguir virinde e conoscenza.
17 Credo. 1 Siciliani proniinciano anche adesso IV per ?, onde si trova scritto
eo, meo, ove noi mettiamo /o, luio. ^
rOETI ITALIA^'I
che pur veder gli pare
l'ombra di chi ha dottanza,
e poi prende ardimento
quant' ha maggior paura.
Cosi amor m'assicura
quando più mi spavento
chiamar mercè a quella a cui son dato,
ma poi la veo ^^, oblio ciò ch'ho pensato.
È di lui il primo sonetto; forma aggentilita tanto dal
Petrarca, abusata dai cinquecentisti; a torto vilipesa oggidì,
perchè gli è più facile deridere che farne. E un sonetto ab-
biam pure di Enzo re di Sardegna, figlio naturale di Federico,
che daremo meno malconcio che non gli editori ordinarj.
Tempo viene a chi sale ed a chi scende,
e tempo è da parlare e da tacere;
e tempo è d'aspettare e da imprende '^,
tempo da minacciare e non temere.
Tempo è da ubidir chi ti riprende;
tempo è di molte cose provedere:
tempo è di vengiare chi t'offende;
tempo da infinger e di non vedere.
Però io fengo saggio e conoscente
quegli che fa suoi fatti con ragione,
e con il tempo si fa comportare;
e mettesi in piacere della gente,
che non si trovi nessuna cagione
che lo suo fatto possa biasimare.
In questi primi voi riscontrate un parlare ancora lattajuolo,
più improntato del latino; un costrutto perplesso; e in uno
stile prolisso gittati pensieri di scarso vigore, e quasi unica-
mente rivolti alla più comune delle passioni. Ma aveste anche
letto soltanto questo racconto (che poveri voi!), già saprete
che m Toscana si usavano e lingua e poesia siffatta ; onde
1** Poiché la vedo.
\ 19 Imprendere.
Jl
20 Vulgare eloquio, 1. I, e. ì'2-
21 È assunto di Gabriele Uossetli ne' suoi Misteri dell'amor platonico.
CAPITOLO XI. D 'ri
non crederete all'altro specioso paradosso che fa l'italiano \
nascer in Sicilia e alla corte di re tedeschi; ma insieme ri-
fiuterete il ginnasiale dettato che Dante creasse la lingua,
lingua in cui si scriveva a questo modo un secolo prima. Il
qual Dante la fa nascere in Sicilia perchè v'era il seggio
reale; adulazione da ghibellino, dietro aUa quale disse che
« tutto quello che i nostri precessori composero in vulgare si
» chiama sicihano; il che ritenemmo ancora noi, e i posteri \
» nostri non lo potranno mutare ^^ », come ciascuno può )
vedere verificato. ^
Che se ci piacesse portar titoli di passione anche in tale
materia, denomineremmo ghibelline le lingue dei dominatori
d'origine tedesca; mentre le latine guelfe eransi formate in
Sicilia colla dominazione normanna, in Toscana colla repubblica,
in Roma coi papi. E que' piaggiatori dei re che fanno autori y
della poesia e quasi della favella nostra Federico II ed Enzo , )
dimenticano che questa non era la loro e non poteano che >
averla imparata qui. ^
E mi perdonino i sopracciò se non credo che da quei te- >
deschi principi avessero imparato a poetare i non pochi che già i
il faceano ai tempi d'Ezelino, e che potrebbero paragonarsi ai '
muschi, i quali a poco a poco s'un arido sasso formano col loro )
detrito uno strato di terra, bastante poi a nutrire querce ed abeti. ì
Se volessimo far valere la nostra merce, vi dimostreremmo )
air evidenza che, cantando d'amore, costoro intendevano tut- (
l'altro ; e volevano esprimere il loro affetto per la liìiertà re- (
ligiosa e l'avversione alla corte di Roma'^^. E se procedendo |
voi trovaste che Federico e Pietro dicevano spiattellatamente >
e la verità e le ingiurie ai papi, e quindi domandaste clie bi- (
sogno e' era di quel linguaggio massonico che per sei secoli ;
rimase incompreso , noi faremmo spallucce , conchiudendo non \
darsi paradosso, né assurdo che non trovi appoggi ed esempi e ì
credenti. ;
Fra quei primi poeti italiani accenniamo un marchigiano, \
buontempone che, dimentico di so e ignaro di Dio , s'era dato
alla vanità, ed era chiamato il re dei versi perchè nessuno lo
nra POETI ITALIANI W
2- Sui oblitus ri Dei nrsriiiSj se tolum /irosli/ucrat vnnilali. Vocabatur rex
versuum eo quod princeps foret lasciva contanliuin , et rnvenlor srcularinm can-
tionum, eie. Fra Tommaso da Cklano, che scriveva nel iVi't.
2^ Tanltis eloquenliae vir exislens^ non soluin in poetando, sed quomodolibel
< loquendo patrium vulvare deseruit. Vulg. eloq. 1. I, e. lo.
rarf • ''''" ^'
Cantù — hzelino. 20
agguagliava nel cantare amori , aveva inventato canzoni po-
polari ^^ì^ e tanto si levò la sua gloria che Federico II pompo-
sissimamente gli cinse quella corona di poeta, che fu poi tanto
ambita dal Petrarca fino alla Bandettini. L'ambizione lo traeva
in carrozza a perder l'anima, quando la divina misericordia il \
fece imbattere in san Francesco, che lo converti, lo vesti frate, ì
e trattolo alla pace di Dio, lo intitolò fra Pacifico ; di che venne \
maggiore l'edificazione, quanto più scorretta viveva la brigata \
dei suoi compagni. )
Di san Francesco come poeta ho dato un saggio; ma per )
quanto di Padova abbiamo in queste carte ragionato , nulla ì
potrei recarvi di Brandino padovano , che Dante ha « veduto i
partire dal suo materno parlare e ridursi al parlar cortigiano ».
Di questo parlar cortigiano, sul quale ne disser delle belle
i pedanti, che ammirano i classici non percliè li conoscano, ma
perchè sono canonizziti classici , 1' Alighieri dà lode al nostro
Sordello , dicendo nella prosa non men che nel verso si fosse
scostato dal dialetto mantovano, il quale troppe voci ricevette >
dalle vicine città di Cremona, Brescia, Verona '^^.
Più splendida testimonianza gli rese nella Divina Commedia,
ove, tra coloro che si purgano dell'aver fino a morte indugiato
a pentirci , colloca quei!' anima lombarda , che stassi altera e
disdegnosa , ed onesta e tarda nel muover gli occhi. Non cu-
randosi di curiosità, essa lascia ire Dante e Virgilio, solo guar-
dando a guisa di leone quando si posa: se non che interrogato
da Virgilio sulla miglior salita, prima di indicargliela, l'inchiede
di che paese sia. E come quegli rispose Mantova , gettasi al
collo di lui, esclamando; — 0 Mantovano, io son Sordello della
tua terra ». Tanto valeva in lui il dolce nome della sua patria!
Al qual atto il poeta ghibellino esce in quelle sacrosante parole
contro le discordie d'Italia, che tutti sanno — e tutti inutilmente.
Al nostro proposito serve indurre di qui, primieramente
che Dante aveva in alto concetto Sordello , se lo pose attore
CAPITOLO XI.
della stupenda scena, se lo fece abbracciarsi tre o quattro volte
con Virgilio, se lo tiene coaipagno a sé ed al Latino per buon
tratto di via nel purgatorio, e fa che gli dimostri ombre non
di privati, ma di gran re, un Rodolfo imperatore che per ne-
cflisrenza avea sofferto che l'Italia andasse deserta: un Ottochero
di Boemia, prode padre di figlio pasciuto in ozio ed in lussuria;
un Filippo di Francia che morì disfiorando in fuga il giglio, e
che con Arrigo di Navarra sospira dell'aver dato vita al male
della Francia : Lodovico il Bello e Carlo di Puglia, i cui eredi
possedono il regno, ma non il retaggio migliore. Uffizio vera-
mente degno del trovadore che, già vivo , non avea temuto
cantar la verità in faccia ai re.
Da quel passo ancora siamo avvertiti siccome Sordello fosse
amantissimo della patria , e siccome , vissuto con indifferenza ,
finendo poi di morte violenta si volgesse a Colui che prende
ciò che a lui si rivolge. Ma le storie non ci soccorrono ; solo
narrando come, dopo le vicende accennate, Sordello andasse in
Corte di Provenza, ove dal conte e dalla contessa ebbe onoranze,
e un castello e ricca sposa ^'*.
Quanto ad Ezelino, farete le meraviglie che, fra tanta con-
suetudine di corrucci, pur ricevesse con cortesia Sordello ed
altri trovadori? Era usanza del tempo: poi la paura, siccome
ingrandisce le atrocità , così giudica amorevolezza e cortesia
una crudeltà risparmiata. E qual altra cosa se non paura e
rabbia rimane ai popoli oppressi?
Ah! rimane la speranza; e noi passiamo ormai a vederla
adempiuta, senza più scostarci da Èzehno ed Alberico.
2* Di Sordello racconlu aliiiianto (lilTorentenionte Ballista Frcgoso, che fu doge
di Venezia, e composi» nn libro Dei dclli e falli memorabili. Lo fa dei Visconti
e dei dintorni di Coito nato il 1189. Accennato allo sue imprese e all'aver com-
battuto corpo a corpo con ventitre foriissimi cavalieri e rimastone vincitore,
soggiunge che la sua prodezza apparve principalmente a Parigi, dove lo stesso
giorno combattè con Giachelino e Leopardo inglesi, e con Frassato borgognone.
Di Cunizza (e' la chiama Beatrice) narra clic s' invaghi delle prodezze di lui, ma
egli non le rispose d'amore, ncppiir (piando, travestila da uomo, fuggi a lui; non
volendo mostrarsi ingrato verso Ezijliiio, se questi non gliela concedesse in moglie;
•{ l'oneslà dovendo curarsi piii che la bellezza e la passione. )
\^u -3.0- nJ
CAPITOLO XII.
LA CROCIATA.
Quante volte sull'Alpe spiasti
l'apparir d'un amico stendardo'....
Ecco alfln dal tuo seno sboccati
stretti intorno a' tuoi santi colori,
forti, armati dei proprj dolori,
i tuoi figli son sorti a puornar.
Oggi, o forti, sul volto baleni
il furor delle menti segrete :
per l'Italia, si pugna : vincete '.
il suo fato sui brandi vi sta.
Un Innaiuolo 1.
neir autorità religiosa che , di mezzo ai rancori
inesorabili, sorgeva ad intimar la pace, non man-
cava pure di proteggere la libertà e i concultati
diritti degli uomini. Deh stata non fosse mai
abusata per ambizioni e per malevolezze!
Ora che a danno degli uomini inferociva uno
de' peggiori principi che la storia rammenti, il pontefice ira-
pugnò°contro di lui le armi sue , che non sono di ferro e di
fuoco, segregandolo dalla comunione dei fedeli. Ezelino, come
quei forti che non vedono potenza se non nelle spade , poco
1 Si sa che questo titolo è dato dali'Emili:tni fiiiiilici al Manzoni.
— 311 —
mia"
I — \2 CAPITOLO xir
badò alle citazioni, rinnovate sotto il 15 febbrajo 1251. Inno-
cenzo IV , annunziandole al vescovo di Treviso ed a Rolando
da Cremona, priore dei Domenicani, ordina loro che, quando
il reo non obbedisca alla chiamata , di autorità pontifizia in-
giungano ai podestà, ai consigli ed ai Comuni di tutta la Marca
1254 Trevisana e del patriarcato d'Aquileja di evitare ogni contatto
con Ezelino come eretico e nato da eretici, gli ricusino l'ob-
bedienza, e procurino catturarlo; se noi facciano, tengasi per
bandita anche contro di essi la croce , quali fautori dell'e-
retica pravità ^. ÌSè perciò lasciava di richiamar all'ovile la
pecora infellonita ; e invitò Ezelino a stabilire un luogo, qual
più gli paresse sicuro e comodo, ove al tribunale ecclesiastico
scagionarsi. Quegli non ascoltò al comandamento ; anzi sappiate
che colmava il sacco specialmente rincrudendo contro gli ec-
clesiastici sì nella roba, si nella persona. Parve dunque ora
e tempo di rivolgere contro costui un'arma ancor più terribile,
la crociata; e papa Innocenzo da Anagni scrisse agli inquisitori
in siffatto tenore ^:
« La malizia umana in diverse parti, ma specialmente in
Lombardia, portò corruttela di costui, talché peggio che mai
infierì la peste ereticale. Per estirparla , i fedeli del vangelo
sorgano nosco ; e ciascuno di voi pubblichi la crociata contro
gli eretici e loro fautori ; chi assume la croce, acquisti le in-
dulgenze stesse di chi passa in Terrasanta e voi potrete as-
solvere da venti a quaranta giorni di penitenza chi vi ascolterà
contrito e confessato. Che se alcuno vi si opponesse e non vi
aiutasse a tutta possa, senza ostacolo d'appellazione procedete
contro di esso come fautore d' eretici. Noi a danno loro invi-
teremo , i re , i principi, i crociati per Terrasanta, giacché il
serbare la fede ne' luoghi vicini non importa meno che il di-
fenderla nei lontani. Chi toglierà la croce, sia per voi assolto
da ogni interdetto, sospensione, scomunica, principalmente da
quelle incorse per incendi , rotture di Chiese , violenze contro
ecclesiastici. Cosi dispensate i cherici dalle irregolarità, commu-
tate i voti , se non sieno i perpetui per Terrasanta , nissuno
2 Rainaldi, ail ann.
3 Coiiiiìcndio la bolla drl 50 luglio 12o4 dal Bollarlo Romano.
312 —
LA CROCIATA
eccettuando , fuorché Ezelino da Romano , Umberto marchese
Pelavicino, ed i magistrati e le città che incrudelirono contro
le Chiese e gli ecclesiastici; occupandone i beni ».
1255 II papa moriva il dicembre di quell' anno , ma Alessandro
IV successogli s' infervorò a repressione di Ezelino e a difesa
della conculcata umanità ; ed esortato dal marchese d' Este e
dai primati della Marca Trevisana ad efficacemente togliere di
mezzo il comune nimico, deputò legato nella Lombardia, nella
Marca e nella Romagnola Y onesto e paziente Filippo Dei, eletto
arcivescovo di Ravenna, ingiungendo a tutti i vescovi gli dessero
mano per ben cominciare una guerra di tanto momento contro
Ezelino « figlio della perdizione , uom di sangue ed inumano
» agli uomini, il quale colle scellerate stragi di nobili e di plebei
» avea rotto talmente il patto sociale e la legge dell'evangelica
» libertà che sembra ogni spirito di confidenza essersi spento
» in coloro che la crudeltà sua lasciò per residuo pascolo della
» crudeltà » "*.
Questo legato è un altro carattere opportuno a farci co-
noscere il tempo. Oriundo di Pistoja, da giovane andò a Toledo
per imparare necromanzia, e un soldato in cui s'imbattè lo
raccomandò a un vecchio che n'era maestro. Ma questi gli
disse: — Voi altri Lombardi non siete fatti per quest'arte:
lasciatela a noi Spagnuoli, simili al diavolo in fierezza. Va a
Parigi; studia la sacra Scrittura e diverrai grande nella Chiesa ».
Cosi fu. Di grande intelligenza riusci ben addottrinato nelle
questioni teologiche che avea studiate con san Tommaso; rac-
coglieva attentamente le dettature di Pier Lombardo, di san Bo-
naventura e degli altri scolastici e mistici ; conoscevasi d'affari,
e teneva poi per astrologo frate Everardo de' Predicatori ^,
nativo sassone, lodato da Guido Bouatto come molto discreto.
Divenne vescovo di Ferrara, poi arcivescovo di Ravenna; andò
legato in Germania per maneggiare l'elezione d'un nuovo im-
peratore, del che tutto c'informa fra Salimbene ^ che lo conobbe
di persona, anzi lo praticò. E dice ch'era uom terribile e fiero;
* Rolla 30 dicembre ISoo ria! Latorano. ("Ili storici chiamano Fontana il legato
» Nicola Smekkgi. Rer. il. Srr. VIK, 101.
^ Clironica, Fr. Svlimbknk parmensi^, l'aniia, 1837.
— 313 —
rpH CAPITOLO XII.
menava sempre 40 nomini armati a custodia della sua persona,
ed era temuto poco men di Ezelino. Cotesti suoi satelliti teneva
in freno con rigore atroce: uno fé gettare legato nel padule, e
la barca se lo tirava dietro come un pesce; un altro pose a
dondolare sopra un fuoco ardente; lasciò mangiar dai topi in
prigione un gastaldo infedele. Benevolo con alcuni, con altri
era furibondo così che niun poteva parlargli. Aveva un figliuolo,
bello come Assalonne, e una figliuola che offri sposa ad un
signore, il quale la ricusò perchè illegittima, e perchè non
volea sterponi di preti. Gran bevitore, l'estate teneva sempre
fiaschi in fresco ad ogni angolo della villa che godeva sul Po.
Amò gli onori più di chi si sia; e più di chi si sia seppe do-
minare e baroneggiare. In un concilio provinciale, i preti
faceano lamenti contro i frati, perchè adempiendo essi gli uffizi
ecclesiastici, non restavano proventi pel clero secolare. Filippo
lasciolli dir un poco e un poco; indi proruppe: — Miserabili! a
» chi affiderei le confessioni se non le ascoltassero i Minori e i
> Predicatori? affiderei a don Gerardo cli'è qua di confessar
» le donne, a lui che ha piena la casa di figli e figlie? e così
» fosse egli il solo! »
Tutto ciò dal Salimbeni; il quale pure racconta come, de-
stinato legato nella Marca contro Ezelino, convocò in San Giorgio
di Ferrara il popolo, ma invece d'una lunga orazione, si spicciò
dicendo esser inutili le parole dove bisognano fatti; prendessero
la croce per rimpatriare gli esuli padovani e abbattere Ezelino;
né paventassero, giacché coi soli orfani e pupilU e vedove e
altri offesi dal tiranno poteva formar un esercito bastante a
vincerlo. Il popolo accondiscese: molti preser la croce, e fra
Garello, laico de' Minori, tolse un cavallo a un villano, e cac-
ciossi innanzi colla bandiera; mentre un altro frate, ch'era un
tempo ingegnere di Ezelino, era chiamato a preparar macchine
d'assedio.
Il legato, per ben riuscire nella spedizione, conobbe ne-
cessario il volgersi da prima a Venezia.
Venezia! Vi fu mai paesista o romanziero che lasciasse
sfuggirsi l'occasione di ritrarne qualche parte o qualche av-
ventura? Donde nacque che la bella ed infelice Eva dei mari
sia conosciuta da tutti in quel miserabil modo che la danno
romanzieri e paesisti. Ma io promisi non far più digressioni;
_n - 314 -
j — '□ ALESSANDRO IV 1-1 'rn
sicché devo accontentarmi di dire come allora ci vivesse uno
che, cittadino o no, la amava assai, e ne scriveva i fatti nella
lingua stessa onde un altro insigne veneziano dovea poco dopo
narrare i proprj viaggi fino alla l]ina. — Venezia (diceva costui
» in francese) è di presente la città più bella e meglio piacente
» del secolo, colma di beltà e di tutti i beni, e le mercatanzie
» vi affluiscono come fanno l'acque delle fontane; da tutti
» luoghi concorrono merci e mercanti che n'acquistano d'ogni
» maniera e le fanno condurre in loro paese. Dentro vi si trova
» vittovaglia ad abbondanza, e molto grande gentilezza di
» vecchi, di mezzani, di damigelli, che fanno assai lodare loro
» nobiltà, e cambiatori di moneta, e cittadini di tutti i me- (
>? stieri, e marinai di tutte guise, e navi per condurre in tutti
» i luoghi e le galee per danno degl' inimici; e belle dame e
» damigelle e pulcelle in gran numero, molto riccamente ad-
» dobbate » '^.
Coloro che imputano le sciagure d'Italia all'esser allora \
il più costituita a repubbliche, o ne' principati non avere un 1256 )
regolato ordine di successione, potrebbero ricordarsi della stu-
penda prosperità di Venezia; e insieme che essa non ricono-
sceva alto dominio di signore tedesco, e trovavasi scevera di
nobiltà castellana. Dal che passo passo potrebbe venire a un
confronto che molto gioverebbe alla bandiera, la quale portiamo
sul cuore quando non possiamo sventolar nella destra. Ma è
meglio lasciarlo nella penna; e dir soltanto che il nostro cro-
nista tocca naturalmente dei fatti onde ci occupiamo, e delle
nimicizie del papa e di Venezia con Federico II ed Ezelino; e
come, ogniqualvolta Ezelino guastasse le biade dei Trevisani,
il doge soccorrevali di vittovaglia, nel che Venezia spese più
che una buona città non possieda in beni mobili. Federico
mandò Saracini a danneggiarla, i quali a Sant'Ilario sopra una
) 7 La nob'.e cito que l'on apele Venise, qui est orendroit la plus belle et la
{ plus pluisant Jou siede; pleine de biaule et do los biens. Les marcandies i corent
5 par cele noble cito, come fall Teive des fonlaines... L'eii irouve dedens cele vile
ì la vitaille a grani piante, le pam et le vin, le gelines et oi>;aus de rivere et la
) char fresche et salée et li gran poisson de mei- et de lliins, ctc. La cronique
/ des Veniciens de maistre Martin de Canal, scritta nel 1267
rrij CAPITOLO XII
casa di religione fabbricarono una fortezza, e come ladroni
assalivano Venezia, e qualunque pescatore cogliessero l'obbli-
gavano a riscattarsi con sale; perchè Padovane difettava. Ma
il doge armò e pose il fuoco a quella torre, sicché i pagani
che v'erano su appresero a volare ^, essendo stati costretti
dal fumo a perigliarsi dall'alto.
Esso doge era Jacopo Tiepolo, fortunato di continue vittorie
sopra i nemici; se non che suo figlio, essendo podestà dei
Milanesi, era stato preso alla battaglia di Cortenova, e vilmente
appiccato da Federico II. Pensate s'egli vacillasse nello spingere
a vendetta i suoi; indi per dolore abdicò. Marin Morosino
succedutogli, mercè le vittorie del predecessore, potè usare
sua vita in pace, e Venezia tenne abbondevole di vettovaglie
e di tutti i beni e di gioja e letizia 9. In breve ebbe succes-
sore Ranieri Zeno, al quale appunto si diresse il legato pontifizio.
Uno così potente come Ezelino, accampato sul margine
proprio della laguna, e donno della città che era sempre stata
emula sua nel commercio di terra, dovea recare grand'ombra
a Venezia: quando anche i molti che dalla dominazione del
tiranno si erano ricoverati sulle sue isole, non fossero stati
mantici continui di paure e di vendette. A gran devozione vi
fu dunque accolto il legato, che cantò messa in San Marco
assistito dal patriarca d'Aquileja e dai Vescovi di Venezia,
Ferrara, Treviso, Caorle, Jesulo, Torsello, Cittanuova, Cioza, da
molti abati e prelati e da tutta la chieresia di Venezia, colle
croci d'argento avanti, e popolo e donne e frati Minori e pre-
dicatori e di tutte le religioni. Appresso la messa, uscirono sulla
mirabile piazza, dove allora appunto erano state fabbricate le log-
gie, le quali vedeansi affollate di dame e damigelle, e il legato sa-
lito s'un pergole, cominciò a predicare la croce, e chi la pren-
desse fosse prosciolto dalla pena di tutti li peccati.
Il doge attestò quanto riverente figliuola di Santa Chiesa e
del papa fosse sempre stata Venezia; soggiunse le lodi del legato,
8 Et piiis fierent ce Venisiens la fumèe dedens li clochcr, dont li paiens
aprisliont a voler: que il se geierent de li soiiiet dou cloclier a lere. '^ GXXII,
CXXIll.
k9 3 CXXVII.
- 316 -
Assalta il castello di Trezzo, che gli darebbe modo di traversarsi ancora.
Gap. XIII. Pag. 343.
rr-Q LA CROCIATA
uscito di nobilisimo lignaggio, molto lodevole per gentilezza,
prode di suo corpo e savio s'altri mai *^; rammentò quanto i
Veneti operarono in Soria ed a Ferrara per servigio di Cristo,
e promise dare, a spendio del Comune, il naviglio, le armi, lai256
vettovaglia, le balestre e ogni altro occorrente.
Come tutti i gravi convergono al centro della terrari, cosi
da ogni parte v'accorsero infiniti ad assumere la croce, chi per
religione, chi per vendetta, chi per dare sfogo a quella necessità
d'azione, che era bollente allora negli Italiani quanto ora è
accidiata. Maggiori in numero ed in ardore vennero i Padovani
fuorusciti, ai quali, costituiti in una specie di comune, il legato
pose a capo Marco Quirin, « prode uomo e savio, stratto d'alto
lignaggio », mentre maresciallo sopra tutta l'oste fu messo
il lodato e nobil uomo Marco Badoer ; Tommasino Giustinian,
« prod'uomo e savio a meraviglia e di alto paraggio, » guidava
i Veneti con mille balestrieri sotto lo stendardo di San Marco;
il vessillo della croce fu consegnato a Clarello di Padova frate
minore.
Torre delle Bebbe fra l'Adige e il Brenta, presso Cioza, fu
il punto assegnato ove ritrovarsi al cominciare di giugno. Queste
imprese popolari paiono sempre numerossime, ma al rettificar
delle somme vi si trovano troppi zeri: e Rolandino li ridurrebbe
a duemila appena quando in barca mossero sopra Castello di
Brenta. La scarsezza naturale delle acque, e le roste fattevi da
Ansedisio, impedirono di rimontare il fiume: e i crociati, tra-
gittatisi a Correggiola , dispersero la resistenza , e si unirono
ad un grosso di persone uscite da Padova, ai Carraresi e a
Tisone, unico rimessiticcio della divelta famiglia di Camposam-
piero, giovane d'età, maturo di senno, sicché non si esitò ad
•10 11 est ostrait de si liaiit lingnage, qiie miilt fait alocr sa gentilesse: et
puis ost si prudome de son cors et si sage, qiie en tos leiis lo peut i'on aparilier
a prudome et a sige. § CXXXV.
^1 La simililudine non è nostra, e Rolandino dice preciso: Ttinc risa est
gens Lombardorum tota prompla ad locuin concurrore, ubi rrrditur E.telinus; non
alitrr qnam ad ptinrlum tcrrac medium, qtiod philosophi centrum, dicunt^ pondera
cuncta tendere naturaliler elaboranf, I. XII, e. 9.
Ecco noia comunemente l'attrazione di centro della terra, nei tempi d'igno-
ranza, sei secoli avanti ai tempi della presunzione.
- 317 —
j—L] CAPITOLO XII. '"ni
eleggerlo gonfaloniere, invece di fra Clarello, perchè guidasse
l'esercito contro colui che aveva sterminata la sua casa*'^.
Ezelino accampava allora all'impresa di Mantova, guastagli
dal patriotismo di Sordello: e avuta notizia del movimento, non
mostrò farne gran caso ; in tanta confidenza era venuto di sé
0 degli oroscopi presi dagli astrologi suoi , o totalmente di-
sprezzava questi accordi popolari, che pur troppo prontamente
sogliono dar luogo a litigi. Adempiva bene le sue veci il nipote
Ansedisio, che fortificò i castellari circostanti , singolarmente
Conselve, divertì le acque del Brenta e del Eacchiglione : poi
col grosso di sue genti appostò i crociati a Montelungo. Ma
che? non appena questi comparvero, i soldati del tiranno volsero
le spalle ; i crociati presero a forza il castello di Condalbero ,
bruciarono Bovolenta e Conselve, e mossero ad assediare Pieve
di Sacco, in cui erasi afforzato Ansedisio. La riuscita sarebbe
stata difficile né pronta, se il legato, vòlto allo stratagemma,
non avesse finto dirizzare sopra Padova. Ansedisio ingannato
volò per difendere la città ; e i crociati ciuffarono Pieve di
Sacco, per tal guisa assicurando la comunicazione col mare.
125(3 II primo successo crebbe coraggio ai federati, che cresciuti
di sempre nuove genti, voltarono sopra Padova sulla diana del
19 giugno. 11 legato, il quale ribenediva i luoghi man mano che
venivano riconquistati , procedeva innanzi col clero , cantando
Vexilla regis prodeunt ; e l'esercito rispondeva a coro, e molti
piangevano, dice il cronista, veramente come Israeliti marcianti
contro i Filistei. Il provvedimento d' Ansedisio di deviare il
Bacchigliene e il Brenta gli tornò sul capo, giacché tolse di
far resistenza alla villa di Roncaglia ; e la fossa medesima di
Padova rimase in asciutto ; onde i crociati s'impadronirono dei
borghi con sì poco sforzo, che non morirono più di cinquanta
ambe le parti.
La notte s'accolsero i crociati nelle case, ricevuti quasi da
cielo, e raccontando le imprese compiute, benedicendo un giorno
di così insperata ventura, un migliore domani prevedendo ed
augurando.
12 Questo Tisone non era già figliuolo di Guglielmo, come lo fa il Sisniondi,
ma, quaniunfiue si garzone, era zio di questo, nascendo da un altro maritaggio
C di Tisone, avo di Guglielmo, con Guardionessa di Peraga
L_n - 318 -
LA CROCIATA
^
Nell'interno i Padovani, benché la paura impedisse di mani-
festare il voto comune, guardavano ansiosi all'ajuto esterno, ad
armati che erano i loro liberatori. Ansedisio co' Pedemontani girò
tutta notte a tentar egli stesso i serrami , badare alle saracine-
sche e ai caditoj, steccare e affossare ove maggior uopo, ristau-
rare quel che si fosse guasto , murare le più delle porte, recar-
sene le chiavi dell'altre, distribuire balestrieri e fanti su pei
merli e le torri. Ma altri movimenti che d'armi voglionsi ad
assicurare una città; e 1' amore dei popoli mancava a quella
causa. Che anzi Ansedisio aveva in si gran punto, esacerbati
gli animi coll'estorcere danaro, e cacciar prigione gli esattori
che non trovavano modo di pagargli fra tre giorni dugento
mila lire.
Alla nuova alba , salutata dalle preci devote , corsero i
crociati all'assalto, fra le grida di Croce, Croce, San Marco,
San Marco attaccando la città dal Ponto alla chiesa di San
Michele. « Allora se là foste stati, o signori (è quel Da Canale
» che parla) potreste avere veduto ^^ prodi uomini muovere alla
» città da tutte le parti, ebbene la battaglia fu cominciata do-
» lorosa e fiera: quelli delle città si difendeano bellamente pet-
» toreggiando i veneziani ; ma i balestrieri cominciarono a gittare
» dagli spalti quadrella sì spesso e sì puntualmente, che quelli di
» dentro non osavano metter il capo oltre i merli ». La guar-
» nigione, e principalmente Pedemontani, devoti a meraviglia
al tiranno, armati di palvesi, lance, e balestre, con valor grande
respingevano i crociati ; ma questi con non minore coraggio gli
investivano, e bolzonando e manganando pertugiavano la mura-
glia, e abbattevano le lizze. Gli inanimavano i frati, che, misti con
loro, gli esortavano a comportarsi virilmente, a vincere o morire
per Dio; e non contenti a parole, si erano armati come in guerra
contro infedeli, ed avevano tra loro costruito un gatto, ingratico-
lato di legnami che proteggeva gli approcci da superiore offesa.
Sotto di questo poterono gli assalitori avvicinarsi alla porta di
Ponte Altinate; ma di dentro si traboccava tal rovescio di pece,
olio, altre materie ardenti, che la macchina prese fuoco. Se non
13 Lors, se la fussics, seif/nors, pcussirs avoir veu. Qnfslo inodo è nojosamente
Consuelo al narratore, e jiii'i (iiioH'allro, Que vos dirojc jc?
n
— 319
m^
-ej:E'
r— □ CAPITOLO XII.
che, donde parea dover il danno, venne la salute; giacche la
fiamma si appiccò ai battenti della porta, e gli incenerì '■*.
A questo accidente Ansedisio si die per perduto. Avendo
1256 un Padovano osato consigliargli di capitolare col legato, per
redimere la città dal saccheggio, esso lo trapassò d'una stoccata.
Ma conoscendosi incapace a reggere contro quel turbine, monta
a cavallo e via per porta San Giovanni scampa, co' suoi, nell'i-
stante che i collegati entrano per le porte Santo Stefano e
Altinate. E gridavasi miracolo 1' aver lui disviate 1' acque del
Brenta come quelle del Giordano ; miracolo 1' avere Ansedisio
lasciata una città, che le donne, non che i suoi prodi sarebbero
bastate a difendere.
Tisone da Gamposampiero corse sulle pedate del fuggitivo;
ma non arrischiandosi più avanti per non rimanere disgiunto
(oggi si direbbe) dalla sua base d'operazione, fece alto, sfogando
la rabbia contro la gente più pigra al fuggire. Ansedisio quel
giorno stesso accampò a Vicenza.
Cosi, per modo al sentir d'ognuno miracoloso, essendo presa
Padova, tutte le porte si spalancano, tutte le case mettonsi a
festa, tutti gli abitanti escono incontro ai liberatori, ai crociati,
ai santi. A sentire fra Salimbene, i crociati neminem ledere
voluerunt, nec inierfecerunt, nec ceperunt, nec expoliaverunt,
nec aliquid ahstulerunt, sed ommhus pepercerimt et Ubere
permiserunt ahire: però non solo gli storici, ma la conoscenza
dei tempi ci assicura che i più di questo esercito erano schiuma
delle varie città , insofferenti della disciplina meno ansiosi di
liberar un popolo oppresso che di bottinare ; ovvero persone
indurate nella guerra; o che inviperite dagli oltraggi sofferti
anelavano il ristoro de' tristi , far ad altri patire quel che
esse aveano patito. Quindi , appena entrati in città , si pre-
cipitano sulle abitazioni e sugli abitanti, e cominciano un or-
ribile saccheggio. Dovunque credono sia denaro o merce , ac-
corrono ; chi resiste è morto: chi è trovato, viene, a furia di
tormenti, costretto a rivelar tesori che forse non conosce. Mi-
sere donne, povere fanciulle, che osavano finalmente mostrarsi
e sperare , cadono in quella sfrenata liì)idine. Ululi di miseri
torturati, supplichevoli voci di canuti padri, strida di amanti
** Deinde cum gatlo stipponunt ignem portne Altinati. Dandolo,
— 320 —
PADOVA LIBERATA
r
e di mariti, offesa e resistenza, feroci Ijraverie di quella bru-
talità vulgare che prorompe appena una persona o una setta
è indicata al suo odio; spietate canzoni di vittoria, e tra queste,
inni devoti e ringraziamenti al Cielo, facevano un misto orribile
che stracciava il cuore. (Jtto giorni interi quello scempio durò;
né i capitani seppero o vollero porvi modo; e una guerra as-
sunta colle sacrosante parole di libertà, d'umanità, di religione;
bandita a nome di Dio contro il nemico degli uomini , veniva
contaminata non solo con superstizioni, ma colla viltà, col di-
sordine , colle atrocità; Padova da una pessima tirannia ca-
scava ad orribile saccheggio.
Fu l'unica volta che i liberatori guastasser peggio del nemico?
Pure riusciva di consolazione il respirar finalmente: il mu-
tare quel sordo e trepido gemito degli oppressi in fremito schia-
mazzante ; poter ridire ed esagerare le sofferte crudeltà ;
veder rimesso in onore il carroccio che tutto quel tempo era
rimasto squallido ed avvilito : e le madri ai bambini in braccio
insegnara ripetere, Viva Padova, — Can d' Ezelino. Bisognava
vedere come impazzivano dalla gioja quelli che meno aveano
bramato la caduta d' Ezeliuo ; come ripeteano, — • Noi fummo,
Noi soffrimmo » coloro che più erano rimasi inerti e paurosi. i256
Che dirò poi di quando furono aperte le orribili prigioni, e
sei case destinate a quell'uso ? Trecento miserabili erano chiusi
in Santa Sofia , altrettanti nella Malta in cittadella , quattro-
centosessantaqaattro nelle Zilie. Con gran maniere di giubilo
spalancate quelle tane , usciva gente accecata , storpia ; chi
si levava il suo caro in collo : chi carpone sulle monche
braccia e sui piedi incancreniti; chi senz' ocelli addomaudava
la guida d'un figlio; — ■ ahimè! il figlio era perito sul patibolo.
Quegli vorrebbe rispondere all'affetto de' ricuperati parenti, ma
gli fu mozza la lingua: quest'altri in lunglie torture o a lento
fuoco perdettero le membra ; alcuni vi furono posti fanciulli
ancora in fascie, e crebbero ignari delia luce. E al trovarsi
fra le braccia de' loro cari, dei cittadini, de' liberatori, era un
pianger di dolore e di contento, un premersi al seno, ese-
crare il perfido tiranno, benedire il papa, i frati, la croce,
la libertà, ed esuberare in quelle esultanze in cui s'ubbriacano
i popoli al primo respirare della servitù.
Il legato prosciolse la città dall'interdetto, ove era incorsa
— 321 —
rr-b CAPITOLO xir. u 'ri
obbedendo ad Ezelino : allora, riaperte le chiese, non è lingua
d'uomo che possa descrivere il nuovo giubilo al vedere , dopo
tanti anni, rinnovarsi que' sacri riti, che dalla fanciullezza toc-
carono di devota compunzione ; e ancora serenarsi ai cantici
sacri , tornare a' sacramenti dismessi, udire grosse compagnie
girar per la città cantando le laudi del signore che aveva redento
il popolo fedele. Dalle città, dai villaggi circostanti traeva gente
a torme per baciar i piedi al legato, ai frati, e farsi mettere
sul petto la croce quando la croce era vincitrice ; e tutte le
terre e i castelli del padovano ritornarono volenti ad obbe-
dienza della santa Chiesa, cioè alla libertà.
Attraversava la piazza del palazzo un Padovano , fuoru-
scito sin dal principio della guerra, e cui nell'esilio era nato
un figliuolo; il quale vedendo il carroccio rotto e disformato ,
— Babbo (domandò), che arnese è cotesto? Alla forma so-
» miglia un carro; ma cosi grande, due pardi bovi noi tire-
» rebbero. 0 forse è vero che una volta animali e uomini fos-
» sero più grossi, talché ogni utensile facevasi più massiccio ? »
Cui il padre: — ■ Questo, vedi, è il carroccio di Padova,
» tenuto come una fortezza , e che con solennità ed onore si
» trae fuori allorché la città muove ad oste. Sovr'esso in an-
» tenna sublime si spiega il vessillo rosso trionfale, a cui tien
» dritti gli occhi l'esercito tutto. Non v'è castello del distretto,
» in monte o in piano, a difesa del quale i Padovani volessero
» combattere con tanta fermezza, quanto per questo: giacché
» in esso son posti l'onore, il vigore, la gloria del nostro Co-
» mune. Ma que' di Romano; per vilipendio , da sedici anni e
» più lo lasciano qui al sole, alle pioggie, ai vermi. Un tempo
» era bello a meraviglia , distinto a preziosi colori , splendea
» come argento ed oro , ed incutea paura ai nemici quando
>> movendosi, come il tuono, faceva tremare la terra. Vuoi tu
x> sapere onde traesse origine? Guarda sopra l'altare della chiesa
» maggiore, ed ivi, bello ed artificiosamente ritratto in pittura,
> vedrai Milone vescovo di Padova, e re Corrado, e Berta sua
» donna, la quale impetra dal marito che ai Padovani sia con-
» cesso d'aver carroccio i"\ E questi ottenutolo, il fecero quel
■"^ Se più ne occorro, ceco \in nitro esninpio clie pittura sussisteva avanti
Gioito. Questo racconto è da Ilolaiidino. 1. IX, e. 2.
— 322 —
"l] festeggiamenti
» più splendido che seppero e per gratitudine lo denominarono
>f Berta, nome che serba anche oggi e serberà in eterno, giac- 1256
» che eterna fia la libertà di Padova ».
Marco Quirin fu gridato podestà; si fece decreto che tutti i
beni, le cose e gli uomini, da Ezelino posseduti nel Padovano,
si vendessero per risarcire la città dei danni patiti, e dar premj
a quelli che meglio avevano giovato alla causa comune. Fu poi
preso il partito che ogni anno il 19 giugno fosse feriate, e il
podestà colla corte e colle fraglie del popolo andassero a visitar
la chiesa del Santo: al domani il vescovo col clero, e il po-
destà colla sua famiglia, tutti con ceri accesi vi tornassero a
sentir messa , e vi si regalasse dal Comune tredici braccia di
panno scarlatto, uno sparviere del valor di sessanta soldi, un
par di guanti che fossero premj a tre cavalieri, i quali vincessero
alla corsa del pallio in Prato della Valle; né fosse ammesso
alla gara cavallo che valesse meno di lire cinquanta i^. Per
compenso dei Veneziani il papa confermò i loro privilegi, ed
aggiunse la facoltà di eleggere i vescovi in tutti i paesi che posse-
devano in Driente.
Divulgandosi frattanto la fausta novella, il marchese Azzo
d'Este, con molta gente sua e di Ferrara, s'affrettò a Padova;
v'accorse Bianchin da Camino con bella compagnia ; v'accorsero )
i fuorusciti di Vicenza e di A'erona; v'accorsero altri Veneti e )
Ciozotti e Romagnuoli e i tanti che fanno da eroe al domani ì
di una vittoria , fra cui grande stuolo di Bolognesi, guidati da i
un' antica nostra conoscenza , da quel fra Giovanni da Schio \
domenicano, una volta apostolo di pace, e allora ricomparso ad )
animare alla guerra. Pero que' suoi , venuti al trionfo, non alle )
battaglie, appena si trattò di marciare contro il nemico, si ì
posero al no, e tornarono a casa, né di fra Giovanni é più )
parola. l
Ezelino, all'udire le mosse del nemico, a vero dispetto (
erasi tolto dall'assedio di Mantova, ed affrettava sopra Verona ;
quando a Valleggio, sul passare il Mincio, vede venirsi incon-
tro un messo tutto spericolato e trafelante.
^<' Gennari, Annali di Padova, tóm. IH, pag. 19. — Vedi pure Bonaven- \
(^ TURA Sbkrti, Spellacoti e feste che si facevano in Padova, 1820. ,.
rr-Q CAPITOLO xir.
— • Or che nuove rechi? » domandò il tiranno.
E quegli: — Pessime, signore: Padova è perduta. »
— Tu menti per la gola. Sia costui appiccato a quest'al-
bero », ordinò Ezelino, e come detto, cosi fattola. Ma poco
stante , ecco un altro , il quale pure interrogato che novità ,
chiese di parlare ad Ezelino in disparte. Questi accoltolo, per
quanto cruccioso, udì con apparente calma la presa di Padova,
che i capitani della guarnigione sopraggiunti confermarono, e
senza un riposo continuò sua marcia sino a Verona. Colà ra-
dunato il consiglio generale ed esposto il caso, domandò che
dovesse fare de'Padovani che traeva seco nell'esercito. Questi,
che i cronisti sommerebbero a dieci in dodici mila, erano stati
congregati senz'armi in un recinto, sotto specie d'ascoltare
qualche comunicazione ; ma poiché troppo eonoscevano 1' effe-
ratezza di Ezelino , non era male che non s'aspettassero. Per
allora fu deliberato solo di tenerli custoditi in Verona nelle
carceri di San Giorgio.
1256 Intanto il legato pontifizio , munita Padova e ingrossato
di balestrieri e pedoni veneziani, spiegato lo stendardo , volse
coi più animosi e meglio in armi sopra Vicenza, sperando age-
volmente ridurla a obbedienza. Faticava Ansedisio per tenere
i Vicentini in soggezione; e li costrinse ad uscire in armi: si
fé giornata ; i cittadini restarono colla peggio : e l'esercito del
legato, rotte a Longarò le diglie fatte per impedire che il Bac-
chiglione scorresse a Pa<lova, vi s'accampò, adagiato in abbon-
danza d'ogni ben di Dio. Gli abitanti apersero i molti còvoli
0 grotte in cui serbavano i vini, e massime uno lungo un miglio,
e mescendone ad abbondanza, giocondarono l'esercito.
Il bastone del comando fu consegnato al marchese d'Este
come il più savio di guerra, sicché colla croce d'oro sventolava
r aquila bianca , che Rinaldo suo antenato aveva adottata in
opposizione alla nera di Federico II. Ma l'annunzio che Ezelino
sopravveniva con formidabile esercito mise i brividi a quello
stormo di crociati, che più ad empito che a ragionamento si
conduceva; e che inavvezzo all'obbedienza, e alla prima
17 Abbiamo visto coi nostri occhi scannarsi da cittadini i cittadini che an-
nunziavano esser stata Milano resa agli Austriaci il 5 agosto del 48.
— 321 — Q.
-Jq riscossa li ezelino
r
qualità d'un soldato, la disciplina, al solo udirlo diede le spalle ;
molti anche disertarono: talché il marchese ed il legato, non
vedendovi riparo, giudicarono meglio ritirarsi in Padova.
Ezelino di fatto s'avvicinava. Mosso ad oste bandita da
Verona a Vicenza, ivi con gioia ebbe contezza dello scompiglio
dei crociati , e rincorò i Vicentini , che di grado o per forza
promisero aiutarlo alla vendetta. Uscente agosto ebbe dunque
all'ordine un grosso esercito, che gridava A Padova, A Padova.
Aveva in quello le milizie di Verona, Vicenza, Feltre, Belluno,
molti bergamaschi e Bresciani, Cremonesi, Piacentini, Pavesi,
Vercellesi: maggior conto però faceva de* Bassanesi e degli
Asolani, fedeli mercenari, e de'Tedeschi, dei quali teneasi ben
allestito chiunque volesse spegnere la libertà. Con questi prese
Ezelino la campagna: a Longarò steccò di nuovo il fiume, ri-
prese i castelli caduti ai collegati, e fra questi Montegalda, che
erasi arresa al legato, ove i più rei della dedizione fece appic-
care, i meno accecare. Il 27 agosto accampava a Villavieta ^
(che fu poi detta Chiesanuova) presso un raigho a Padova. De- ]
solate le campagne ed i villaggi intorno , convocò il consiglio )
di guerra per decidere sul da farsi. I Padovani a lui venduti, s
che aveva nell' esercito , consigliarono bloccasse la città e lo ì
spaldo esteriore: tanta gente concorsavi, fra non molto n'an- >
drebbe disciolta, come avviene di queste masse; ed egli correbbe (
cosi la vittoria senza pericolo. Ma ad Ezelino tardava l'ora della '
vendetta, e sentendosi superiore di forze disciplinate, avventurò ^
l'assalto. (
In effetto l'esercito del legato, benché fosse cresciuto dai ?
soldati del patriarca d'Aquileja, dai Caminesi, da tutta la ca- >
valleria di Ferrara, da molte milizie padovane, da nuovi rin- ì
forzi sopraggiunti, sommava poco meglio che ad un terzo di )
quel d'Ezelino : tant'è più facile avere soldati per forza che per >
devozione , tant'è ragionevole il creder giuste le cause che rie- (
scono trionfanti nelle battaglie ! Che dirò poi della disciplina e
de'provvedimenti ? Gridar morte e cantare inni, nessuno il fa-
ceva meglio, assicuravansi che una buona causa non può soc-
combere, e tanto meno questa, benedetta dal pontefice; onde,
invece di allestire tutti i mezzi al vincere, con insensata pre-
sunzione si esponevano al pericolo senza calcolare i ripari;
andavano sguarniti di provvigione, per attenersi letteralmente
r— b CAPITOLO xir. ^ "rj
al consiglio del vangelo; non si brigavano d'avere i più abili uffiziali:
1256 Dio farebbe miracoli; Dio che attraverso al deserto guidò le
migliaja d'Israeliti, e li nutricò di manna e di starne. Sbandati,
inobbedienti, battevano la campagna saccheggiando, stuprando,
poi ubbriachi si riducevano sotto la croce, cantando il Vexilla
regis prodeunf.
iSon è da questa ridicola baldanza che nascono i pronti e
irreraediabili scoraggiamenti ?
All'accostare del pericolo, rigorose provisioni aveano man-
date fuori i capitani; nessuno ardisse varcare la trincea, per
non trovarsi costretti ad accettare battaglia in posizioni ad
Ezelino vantaggiose : stessero ben all'erta vigilando il nimico,
e disposti a respingere l'attacco a fine forza ; i sacerdoti comparti-
vano le consolazioni sacramentali, che per molti doveano essere
le estreme. I Padovani In quella difesa adoprarono l'ardente
coraggio d'uomini che hanno testò ricuperata la libertà e ne
sentono il pregio; tanto che Ezehno, perduti i convogli de'viveri,
tentati invano tre assalti, dovette togliersi dinanzi alla città ,
e bestemmiando Ansedisio perchè non avesse almeno conservato
il castello, bruciò gli accampamenti; e codiato sempre dall' e-
(j sercito crociato, ardendo le ville che scontrò sul cammino, tornò
?ett. smaccato a Vicenza.
Quivi radunati i cittadini , e raccontata l' impresa colla
veridicità d'un bullettino, esagerò la viltà dell'esercito crociato:
— ìS'ò per ingiurie di parole, né per provocazione d'arme osarono
» uscire delle trincee, mostrandosi quali sono veramente, persone
» disutili e vigliacche, soldati d'antifone e di messe. Voi all'in-
» contro (soggiungeva) mostrerete il coraggio vostro collocandovi
» tutti nei borghi della città, ed accogliendo ivi i nemici com'è
) » degno di voi ».
\ Quest'era un pretesto per farli uscire tutti dalla città,
e stanziarvi in loro vece una guarnigione fedele , nel timore
che, appena partito, i Vicentini non s'arrendessero al le-
gato. Lo scherno seppe di si atroce, che molti fuggirono a
Padova.
Allora il tiranno si rese a Verona, dove licenziò parte di
sue truppe, affine eh mostrare quanto poco diffidasse, e tenne
quattromila cavalieri a cavalli covertati, tremila altri assai ben
montati, non contando gli uomini a piede, di cui poco caso si
— 320 —
PROCEDIMENTO DE GUELFI
faceva 1'. E tornò a mettere in consulta la sorte de' tanti pri-
g-ionieri padovani, che, come dicemmo, ivi erano custoditi. Ese-
crabili ministri secondavano un esecrabile tiranno: l'assicuravano
che quei miseri ogni di imprecassero alla sua impresa ; aver
l'uno colla geomanzia predetto che Padova non si poteva espu-
gnare; un altro, consultate le sorti in un libro detto Archa-
lendrino, averne avuta risposta infausta ali' impresa di Ezelino.
Lunga non durò dunque la quistione, e si fermò che con ferro,
fuoco e fame venissero tolti di vita.
Comincia a domandar quelli del borgo di Sano, ove il legato
avea raccolto i crociati, e i compagni li consegnano volentieri,
sperando così salvare sé stessi. Uccisi loro , Ezelino domanda
quei del castello che prima accolse il legato; poi quelli del
sobborgo, poi della tale strada o della tal altra, ovvero tutti
1256 i nobili, o tutti gli artigiani: e mentre ciascuno spera salvar
sé colla ruina degli altri, tutti invece periscono. Anche un
gran numero di frati mandò al supplizio Ezelino , fidando in
quel terrore panico delle moltitudini per cui non si oppone
all'assassino governativo la resistenza che si farebbe all'assassino
di strada.
Chiese poi al cancelliere se avesse il nome di tutti i rin-
chiusi.
— Messer sì (rispose colui): tutti gli ho qui notati s'un
libro ».
— Ebbene (soggiunse l'atroce): ho stabilito ofifrire tutte
» quelle anime al diavolo per molti favori che ne ricevetti. Tu
» vanne all' mferno con essi , e da parte mia ghene rassegna
» la nota ». E lo fece scannare. Orribile carnificina, che fa
inorridire anche fra le atrocità onde va contaminata ogni pa-
gina di que'tempi. Eppure comepotrà il secolo nostro rinfacciarla,
il secolo nostro che vide scene somiglianti rinnovate dal bascià
di Giannina, e dal gransignore contro i Giannizzeri: e quel che
è peggio, non che vedere brandite le armi contro que'carnefici,
intese riprovare e disprezzare coloro che con isforzi di sangue
sottraevano il collo alla vergognosa tirannia?
Almeno ne' tempi antichi la politica non aveva soffocato
^s Da Canale, Z CXL.
— 327 -
ni
-^-Ejt9
CAPITOLO xir.
'"^
il sentimento naturale : un comune fremito si propagò : trecento
sfuggiti alla morte ma inutili e sfiniti, passavano di terra in
terra e fra gli stuoli dei crociati, aizzando vie più l'odio contro
del maledetto*^. A lungo i popoli con orrore guardarono la
spianata, ove tanti miserabili furono tradotti a carnificina : e
dicevasi che fil d'erba non germogliasse più sovra il suolo
contaminato.
Tanta crudeltà aumentò il numero e l'ira degli insorgenti:
ed incalorì il legato a giocare l'ultima posta. Fattosi a Mantova,
procurò ogni via di togliere Brescia ai Ghibellini , fautori del
tiranno , i quali avevano destra la fortuna. Si affidò per tal
uopo al domenicano Everardo, uno de'tanti frati che mestavano
nelle politiche faccende, e che in Mantova coU'eloquenza e colla
destrezza, aveva restaurato la parte guelfa. Con pari prudenza
in Brescia ottenne che ai Guelfi cacciati od imprigionati fossero
rese la libertà, la patria, gli averi.
1257 Tenne a lui dietro con poca scorta il legato, e saldò nella
concordia quei cittadini. Cosi in Pavia, così in Piacenza scadde
la bandiera ghibellina: nel Padovano, .Cologna si ribellò ad
Ezelino, Legnago gridò Viva il signor Azzo d' Este , il quale
potè a gran contento ricuperare le fortezze da Ezelino tenute.
In quella che più gl'importava, Monsélice, riuscì ad entrare per
tradimento di Gerardo e Profeta capitani d'Ezelino: ma questi
due non tenendosi forse paghi del premio, o disleali come sono
sempre i traditori, si ritorsero ad Ezelino, esibendosi di dar
morte al marchese. La trama fu scoperta ; Gerardo, guasti il
naso e gli occhi, fu rinviato ad Ezelino, e Profeta tra festevole
cantar di Te Deum fu decapitato in Monsélice, ove di assai
crudeltà erasi diffamato.
Continuavansi intanto dagli eserciti vicendevoli le stragi :
i fuorusciti vicentini corsero saccheggiando fin nei sobborghi di
19 € Airaniiiinzio di ciò (scrive il Bernini nella a torto lodata Storia delle
eresìe) corse saiii'Anlonio di Padova al tiranno, con acerbe parole gli rinfac-
ciò, ecc. » — Sant'Antonio era morto venlicimiue anni prima. Come avviene dei
fatti di rivoluzione, variano assai le relazioni sul numero. Il Da Canale dice: 1 avoil
en sa comparjnie XI mil Pavens: si les fisi mainlenan! prendre et (jeller en charcre,
doni il moururent ileuc Ics 17 partics.
— 323 —
ni
PROCEDIMENTO DE GUELFI
Bassano, ma nelritorno soprarrivati dai Tedeschi presso Cittadella,
perdettero la preda, e molti la vita o la libertà. Per vendicar-
sene, quei della croce malmenarono le terre d' Ezelino e bru-
ciarono Villanuova, ed essendo egli per soccorrerle volato con
quattrocento Tedeschi, n'ebbe la peggio; egli medesimo, uccisogli
sotto il cavallo, andava preso o morto, se non fosse rimasto
sconosciuto.
Che faceva intanto Alberico?
Era costui uno di que' caratteri a mezzo che, non osando
apertamente mal fare , riescono funesti agli altri non men di
coloro che son del tutto ribaldi, mentre per sé non hanno tam-
poco i vantaggi di chi, propostosi un fine, vi adopra risoluta-
mente tutti i mezzi. Già vedemmo come si fosse inimicato al
fratello, e specialmente stabilito dominatore di Treviso. Il Verci
chiama soavissimo il giogo ch'esso imponeva ai sudditi , e che
« tutto applicato alla felicità de' suoi popoli, studiava di con-
» tinuo i mezzi onde procacciarsi l'amore, la stima, il rispetto
» d'ognuno 20 ». Tutt' altrimenti il Monaco padovano asserisce
che la tirannia di esso in Treviso non fu per nulla diversa da
quella di Ezelino , anzi gli entrava innanzi perchè univa alla
barbarie una rotta libidine. Né i tremanti Trevisani ardivano
opporsegli, e solo coi gemiti sfogavano l'amarezza. — Disonesto
> senza vergogna (seguita il cronista), senza misericordia inu-
» mano, superava in ferità di vendette tigri e leoni ; non pianti
» o gemiti di donne e fanciulli lo toccavano. E basti per saggio,
» che, avendo ordinato s'appiccassero per la gola certi cava-
» lieri , prima che il carnefice stringesse il laccio , fece con-
» durre le mogli (U essi, affinché assistessero all'orribile spet-
» tacolo : indi alle misere fé mozzare i capegli , recidere le
» vesti dal seno in giù, e poi ch'ebbero veduto impesi i mariti,
» le cacciò in tal arnese dalla città ». Ne vedremo presto
» un'orribile vendetta.
Il peggio é che costui dava voce di far tutto ciò per van-
taggio di santa Chiesa; sicché egli puniva i traditori di questa
colhi ferocia onde Ezelino giudicava i traditori dell' impero.
Tanto quei nomi erano idoli senza soggetto 2* !
20 Voi. II, p. 38 e p. 506.
21 Anche il Da Canale .scrive di Alberico El sacliies que il avoit gardée ?
- 329 — n — •
CAPITOLO XII. □ H"
Come dei tentennati, è difficile il giudicarlo né accertarne
i motivi, pure sembra volesse tenere il piede su due cavalli, e
vantaggiare della grandezza come della ruina del fratello. Udito
che il papa fosse per venire ad accordo con Ezelino, gli scri-
veva lamentando d' esser abbandonato finché il pontefice 1' as-
sicurava che col tiranno non patteggerebbe mai: e in ogni caso
non lascerebbe pregiudicare i diritti già a lui conceduti. Con
tal modo Alberico mirava non solo a campare i propri beni
dall'Inquisizione, ma a potere accrescerli colle spoglie fraterne.
A chi la va destra per savio , e l'odio che egli portava e mo-
strava al fratello valevagli per mille virtù sulla bilancia dei
Guelfi: onde sterminate lodi gli profusero i papi; Gregorio IX
lo chiamò « dilettissimo figliuolo e nobil uomo, pieno di virtù,
» cui non verrà meno giammai il favore dell'apostolica sede;
1257» e tornerà a perpetua gloria l'essere zelante della fede orto-
» dossa e persecutore dei nemici della Chiesa, mostrandosi fi-
» gliuolo di questa d'ogni laude degno ». Pei quali meriti toglie
la persona e i beni di esso in protezione , e minaccia di sco-
munica chi lo molesterà. Cosi Innocenzo IV nel 1250 lo diceva
devoto nostro e della romana Chiesa ; Alessandro IV sog-
giunse aver lui, per la costanza di sua fede, meritato la spe-
ciale benevolenza della santa sede sovra gli altri grandi d' I-
talia ; lo ringrazia di quanto egli e Treviso suo patirono a
prò della Chiesa romana , perché abborrendo la fraterna em-
pietà, ruppe i legami di natura, e si chiarì nemico d'Ezelino ,
di che indelebile memoria sarà conservata.
Quando fu bandita la crociata, Alberico le diede favore, ed
allorché il campo stava a Longare , esso vi si recò a fare
omaggio al legato co' suoi Trevisani. Ma a non pochi parea
finta r inimicizia di lui col fratello , e concertata per meglio
riuscire ai loro fini ambiziosi : onde al venir suo levossi un
bisbiglio pel campo, e gli si fecero accoglienze men che cortesi,
tanto che egli reputò savio consiglio di ritirarsi di celato. In
pour Sainte Jglise XVU ans et plus: et avoit fall si felenesse juslise en Tervise,
come de (aire treitchier et pies et mains, et ile trcnckier mamclles et nes a femes ;
et de abalre tors et maisons a terre ; et disoil que ce fesail il a^ trailors de sainte
Jfjlise: et mesire Ecelin fasoit faire autretel, et disoit que ce fasoit il as traitors
de la corone. § CXLII.
— 3*1 —
^:=LL FINE DI .^NSEDISIO LJ ^
f^ _.__^™-..— — -^^ ^__,™^._™-™ H^
Via , presentatosi a Padova , non fu voluto ricever dentro ,
sicché la notte serenò a disagio. 0 fosse veramente traditore,
0 l'irritassero questi portamenti, egli stabili buttar giù la buffa
e rinnegando la lega , ricongiungersi col fratello. Per inter-
posto d'uomini creduti, e persino dell'abate di Santa Lucia, po-
terono i due accordarsi, e dopo diciott'anni si rividero m Ca-«iag->
stelfranco , si baciarono , si promisero benevolenza ed amistà ,
della quale quanto si fidasse Ezelino il mostrò col chiedergli
in ostaggio tre de' suoi figliuoli. Alberico , che alle sue ini-
quità neppur univa quella risolutezza che le fa men vergognose,
glieli diede, scavando la fossa dove miseramente egli e tutti i
suoi non tarderebbero a precipitare.
Papa Alessandro, che prima l'aveva colmo di lodi, allora
lo proferisce scomunicato insieme col Pelavicino e con tutti i
fautori d'Ezehno, quale scandalo della fede, morbo d'Italia, con-
taminazione del popolo cristiano: sospende ogni benefizio a loro
ed ai figli e nipoti cherici ; cassa qualunque privilegio ad essi
conceduto; comanda ai vescovi di Treviso e di Vicenza rendano
in libertà i servi, le serve, gli nomini di masnada, i quah de-
testassero l'empietà dei due fratelli; i fautori di questi siano
infami, non ammessi a deporre testimonio, non ad eleggere od
essere' eletti a qualunque carica, non a testare; né tampoco
siano ascoltati in giudizio, nò valgano la sentenze a favor loro.
Le scomuniche papali e l'esempio della vicina Padova mos- 1257
sero i Trevisani ad insorgere contro Alberico, che, secondando i ""^^
fraterni consigli ed esempj , tentava comprimerli col terrore.
Molti fuggirono dalla patria; altri rimasero nell'intento di li-
berarla ; e chiesero a' fuorusciti facessero una punta sopra la
città , ch'essi di dentro leverebbero a rumore. E i fuorusciti ,
attestatisi in buon numero a Cittadella , nottetempo mossero
sopra Treviso ; ma un traditore n'avea recato spia ad Alberico,
che co' Tedeschi suoi gli attese in agguato. Alcuni pedoni ed
arcieri avanzatisi per sorprendere le scolte, entrano nelle sbarre
per porta Santiquaranta, ma subito hanno addosso i Tedeschi ;
ed avanti che giunga il grosso, sono presi e morti: quei che
seguivano, si ritraggono a precipizio. L'alba, quando schiarì la
spaventata città, mostrò impiccati ai merli gli sperati liberatori,
e le teste de' congiurati confitte alle lancie su per le torri. Ma
t il sangue versato da' tiranni è semenza di libertà
CAPITOLO XII.
Ezelino a sicurezza del fratello inviò cento Tedeschi e
cento Italiani: ma scontrati per via dai Padovani, furono rotti
e in gran parte uccisi. Per vendetta i presidj d' Ezelino gua-
stavano il Padovano, ma anche qui sopraggiunti, andarono in
fuga , lasciando trentaquattro prigionieri cui furono cavati gli
occhi. Così le due parti gareggiavano in violare i doveri del-
l'umanità.
Ezelino dovea però sentirsi in male peste , i nemici suoi
crescendo di forze alla giornata, e ormai solo il terrore tenen-
dogli i sudditi in fede. ?suove congiure scoperse in Verona ,
per le quali Bonifazio^^» e Federico della Scala {famiglia allora
appena sorgente, ma che poco poi riuscì dominatrice di quella
Città) furono, tra il suono delle campane, strascinati per le vie
a coda di cavallo e bruciati vivi.
Ezelino fu dunque anche stolto, perchè non perdonò, che
è il primo dovere come il primo artifizio dei restaurati. Rima-
neva che Dio lo toccasse col flagello che serba ai tiranni; ed
egli in fatto prese in sospetto quel suo nipote Ansedisio; fedele
sino a farsi esecrare, e ricco di quel coraggio da soldato che
sta nel braccio anziché nel cuore : chiamando tradimento la
mala riuscita, come suole il vulgo dotto e il vulgo ignorante,
l'incolpò d'aver resa Padova, e gli fece a brani a brani lace-
rare le viscere. Il terrore panico spinge al sangue la plebe
come i suoi oppressori.
22 Un aliro Bonifazio della Scala esulò allora, e anelato a Perugia, fu inca-
ricato (la quel Comune di scriverne la storia, cli'ei foce col titolo di Euìistoa. in
versi, poi la ridusse in prosa latina, e fu in parte stampata n&W Arckivio Storico,
voi. XVI. ^eW'Eulistea egli scriveva per sé quest'epilaflio :
Me Verona tvlit: me repulit inde tyrannus
Ecelinus atrox. Aqvilas et lilio scripsi,
divinos apicc>; Griphonis et arma poKMitis,
gcslaqve mvltorvm qvorvm sva lata peroibcm;
e con una vanità che almen oggi si dissimula, chiedeva gli fosse posta nel teatro
di Perugia una veneranda figura con questi versi :
Hic est (|vi cecinit pervsinac prtelia gentis :
gloria Verona» nvsqvaiu nioritvra, si^d ;evo
perpetvo virens, Griphons svperslite sccura.
— 332 —
ma assalito e i^reso in mezzo, si dovette ai rendere.
CAr. XIII. Pag. 345.
CAPITOLO XIIL
LA CATASTROFE.
Non di sperar si stancliino
né di sperar ancora
gli oppressi: né mai dicano,
più non verrà quell'ora...
Pace, lombardi popoli,
pace, fraterne genti
Vinto è l'inferno in guerra :
Ezelin non è più : pace alla terra.
Marengo, Tragedia.
tante minacce Ezelino opponeva quella fiera virtù
che non si frange alle traversie, e insieme i ma-
neggi d' una politica scaltrita e ricca di ripieghi.
Gli elettori dell'impero germanico non erano mai
potuti accordarsi nello scegliere un successore agli
imperatori svevi ; temendolo robusto , e noi vo-
lendo fiacco: e divisero i voti tra Riccardo conte di Cornova-
glia e Alfonso di Castiglia, quel re astronomo che altrove ab-
biamo menzionato di transenna. Questi, bramoso di fare una
comparsa in Italia , procurava acquistarsi partigiani : e cono-
scetido di quanto peso sarebbe Ezelino, ne scandagliò le inten-
zioni. Ezelino, che nulla meglio desiderava d'un imperatore, il
quale, colla prepotenza dell'armi e dell'opinione, comandasse la >
CAPITOLO xiir.
quiete, e allora e altre volte sinonimo a servitù, gli rescrisse,
promettendogli tutto sé stesso purché accelerasse la calata.
I Cremonesi non aveano mai potuto darsi pace della scon-
fitta toccata sotto Parma nel 48 ; pertanto elessero podestà il
marchese Oberto Pelavicino, ghibellinissimo, che condusse l'e-
sercito contro Parma, accompagnato dai faorusciti , e vi potè
entrare , far molti prigionieri e ricuperare il carroccio. I pri-
gioni furono rilasciati ma senza brache; è da questo fatto, che
fra' i Parmigiani fu detto la mala zobia perché cadde in un
giovedì, comincia il credito del marchese, che si formò un vasto
dominio fra 1' Adda e 1' Oglio. Appoggiato pure ai Ghibellini
erasi innalzato Buoso di Dovàra, che capitanando i Cremonesi,
alla battaglia di Fossalta era rimasto prigioniero de' Bolognesi,
e solo dopo due anni liberato ad istanza d'Innocenzo IV. Col
Pelavicino divideva egli il dominio del Cremonese ; ed Ezelino
fece con lui appuntamento d' alleanza , e scagliossi alla spe-
ranza di signoreggiare insieme con essi l'alta Italia.
A tale intento conosceano importantissimo l'occupare Bre-
scia. Questa città
ricca d'onor, di ferro, di coraggio,
fu troppo spesso il campo di fraterne guerre ; sicché sul mau-
soleo di Gian Galeazzo Visconti fu scritto :
Brixia, civili nec enervata duello.
1258 Fra Giovanni prima, poi il legato pontifizio ne aveano un
) aprilo tratto sopito le fazioni, ma tornarono a tempestare i ghibel-
lini Rodenghi, Gescherj , Tengattini, Federici, Otanoni, Oldo-
fredi d' Iseo , Bocacci , Pregnacchi , INIandaguseni , Fregameli ,
Gigli, contro i Guelfi Lavelongo, Bornato, da Palazzo. Vi sof-
fiava Ezelino, dal cui fiivore preso animo, e dall' avere della
loro il podestà Griffo, i Ghibellini assalirono gli avversar] ; com-
battuto r intera notte , rimasero al di sotto , e camparono a
Verona e Cremona, lasciando molti prigionieri, e fra questi il
podestà.
Chiamar ingiuria il non lasciarsi vincere è tema antico ,
per lo meno quanto la favola del lupo e dell' agnello : e tale
( pretesto ghermirono i tre alleati ghibellini per assalire Brescia
m
ILn
O - 33i -
LA CATASTROFE
Mossi d'accordo, a Gàmbara scontrarono l'esercito de' crociati, 30 {
e lo sconfissero, si che caddero in mano di Ezelino il vescovo **°*'*>
di Verona, i podestà di Mantova e di Brescia, il fiore de' no-
bili di queste città , ed il medesimo legato Fontana , insieme
col suo astrologo Everardo. Cavalcano da Sala vescovo di Bre-
scia, consigliato da' canonici e da' cittadini, aprì le carceri a
Griffo e agli altri Ghibellini , forse credendo (ignaro della na-
tura de' faziosi) che a questi più starebbe a cuore la libertà
della patria che il trionfo del proprio partito : ma essi tosto
schiusero la città ad Ezelino, al Pelavicino e a Buoso.
Brescia era distinta in quartieri, separati da fortificazioni.
Sulla collina che la signoreggia stava il castello , con doppia
mura e torri assai vicine: in sulla dritta la cittadella nuova,
spettante a porta Pila , e un altro ricinto chiamato città de'
Ghibellini ; a mancina diceasi città Guelfa il quartiere della
città bassa.
I tre nuovi padroni se la spartirono in modo , che metà
toccasse ad Ezelino, metà fra gli altri due ; allora confìsche di
beni, nuovi statuti , demolire le torri , empier le prigioni, uc-
cidere i capi a sé contrari, fabbricare fortini. Ci vivea proba-
bilmente queir Albertano Giudice, il quale, vent'anni prima, al-
l'assedio di Gavardo era rimasto prigioniero di Federico II, e in
carcere scrisse tre trattati, Dell'amor di Di) e del prossimo e
della forma della vita onesta; Del dire e del tacere; Del con-
siglio e del consolamento , opere di dottrina più che di forza
e di originalità, ma prestamente diffuse, e tradotte in italiano,
in francese , in inglese , in fiamingo , per i primi tentativi di
queste inesperte favelle : ci viveva un certo Bartolomeo, pro-
babilmente di casa Avogadro , celebre canonista , carissimo a
Gregorio IX, ad Alessandro IV, a san Domenico, cui diede al-
loggio in casa sua: e non volendo soscrivere le condizioni im-
poste da Ezelino, fu ucciso di ottantaquattro anni. Il vescovo,
per non partecipare con iscomunicati , e perchè mal visto da
entrambe le parti, si cansò coi più del clero a Lóvere , dove
mori 1 : e i Guelfi sparsero per ItaUa la notizia del fatto e i
1 II catalogo de' vescovi bresciani meltc Cavalcanus de Salis... fuil cjcclus a
pessimo Ecelino.
— 335 —
nrb CAPITOLO XIII. Q '-i
lamenti della soggiogata patria. — Oh imparino (esclama Ro-
» lanrlino) , imparino i Bresciani ad abborrire i tiranni , e fin
» all'ultimo sangue difendere la libertà. Non v'è diluvio , non
» incendio, non peste, non inferno, che rechi a tanta miseria,
» quanta la privazione della libertà , la quale da prezzo nes-
» suno può esser compensata ».
125S Ezelino in Brescia era circondato da' suoi astrologi , e
principalmente dal Bonatto ; e una volta sognò esser uscito
dalla sua ròcca di Romano ; e andato in una vastissima fo-
resta dandosi alla caccia, aver ordinato ai servi corressero in-
nanzi a preparar da cena e da dormire , ed essi così fecero.
Svegliato , e' ne volle la spiegazione , e gli astrologi , chiesto
una giornata a pensarci , gli dissero che era nunzio di futuri
trionfi, e che gli sarebbe tocco il principato di tutta Lombardia^.
Quando l'esito usci tanto diverso, dissero aver parlato cosi
per paura del tiranno: ma quel tiranno lasciavasene lusingare;
e godendo i frutti della vittoria , precorreva colla speranza il
momento che, debellati i nemici, spegnerebbe nel sangue l'ec-
citata ribellione.
Un giorno volle seco a pranzo il legato prigioniero. Erano"
gli ultimi del carnovale, quando si suole scialar più profuma-
tamente , in rimpatto della penitenza, che allora con rigoroso
digiuno si esercitava la intera quaresima. Allo splendido ban-
chetto Ezelmo trattò con isquisitezza il legato, amico del ben
pasteggiare, e caduti d'un in altro discorso, ■ — Come mai (gli
domandò) la Chiesa, comune madre, patisce che, sotto al suo
» manto, un cristiano rechi danni ed ingiurie ad un altro? che
» i ministri suoi prorompano alle rapine ? che sotto gli sten-
» dardi della croce siasi, nella presa di Padova, ecceduto cosi
» scelleratamente, vantando che il santo padre permetteva ed
» assolveva que' misfatti , e clie teneva dispensati dal resti-
» tuire? Certo v'è un Dio che non lascierà impuniti costoro >.
Il legato si scusò allegando i divieti rigorosi, ma che non
aveano bastante vigore a frenar la baldanza della vittoria;
sarebbe però cura pressante de' ministri della Chiesa l'obbligar
ciascuno a restituire il mal tolto.
2 Malvech C/tronicon. Disliiictio Vili, e. 2^.
— 336 — n "i
i
■Euifl
BRESCIA ^]
Lega di volpi è tribolo di galline ; ma neppure i tre ti-
ranni di Brescia poterono durare in unione , agognando cia-
scuno di possedere da solo una cittcà cosi bella e generosa. Vi
si aggiungeano le istigazioni di Manfredi, figliuolo d'amore di
Federico II , che amministrava il regno di Sicilia a nome di
Corradino suo nipote, e capitanando i Ghibellini di tutta Italia,
avea concetto il pensiero di spodestare il proprio nipote, farsi re,
e forse l'intiera penisola ridurre a un solo dominio; pensiero tante
volte germogliato in anime or tirannesche, or generose, e sempre
sventato da una serie di follie e di colpe, lo studiar le quali sa-
rebbe di somma importanza, quant'è puerile il trattarlo di caso o
il giudicarle con epigrammi.
A ^lanfredi aderivano strettamente il Pelavicino e quel da .
Romano • ma allorché questo seppe come , spargendo la falsa
notizia della morte di Corradino, Manfredi ne aveva usurpato
lo scettro, — che ? (esclamò) vive la prole di Corrado ; ed ogni
poter mio 'farò » perchè torni in possessione del regno paterno,
» cacciando questo bastardo, che regna indebitamente 3 ».
Il detto fu rapportato a Manfredi, che d'allora s'adopro a
staccare da lui il marchese Pelavicino; Ezelino invece mostra-
vasi grande amico a questo, e tentava avversarlo al Dovara;
e gl'insinuava: — Quest' è l'unico che, per le ricchezze e il i25s
» poter suo v'impedisca di diventar donno e padrone di Cre-
» mona: perchè dunque noi togliete di mezzo? »
Sono in piccolo que' garbugli, che in grande si ammirano
come politica della sopraffina. Il marchese però, o indovinasse
l'insidia coperta, o in realtà non credesse maturo il pomo, nego
ascolto alla suggestione. Per allontanare il Doyara, Ezelmo gli
propose la podestaria di Verona : ma né esso pure aasciossi
pigliare a quell'esca : ed egli e l'altro temettero, o s'accorsero
che Ezelino rogumasse qualche spediente più compendioso. Non
u^^civano dunque mai per la terra se non armati e con buona
scorta • poi ravvicinatisi , a vicenda si palesarono le ambigue
soggestioni di Ezelino, e conoscendo non poter reggere alle
arti di lui, e ripetendo quel verso di Virgilio,
hcu furje crudeìes ierras, fuge Uius amrwn.
3 Fb. PiiMM Cliroììicon.
— 337 -
CAPITOLO xiir.
deliberarono partirsi da Brescia. Cosi Ezelino, se restava in
dominio di quella città, s'era però tratto sulle spalle due po-
tenti nemici.
1259 Essi in fatto si buttarono con Azzo d' Este , col conte di
( Sambonifazio , co' Ferraresi , Cremonesi , Padovani , Parmensi ,
Mantovani, per difendersi reciprocamente omnibus virihus et
posse ; sbaldanzire ed abbattere ad ignem et sanguinem Ezelino
ed Alberico da Romano e loro fautori; dar opera cum oìnni
suo sforerò a liberar de dominio et jìo testate et forcia 'perfidi
Ecelird Brescia e qualunque luogo i «iue fratelli tengano nella
Marca, nel Veronese, nel Feltrino, nel Bellunese ; per la costoro
uccisione e per favorire Manfredi di Sicilia si assoldino mille
ducento cavalieri, tra cui ducento balestrieri a cavallo ; pagati
da quelle comunità , comandati dal Pelavicino , che in tutta
quella lunga stipulazione '^ mostra l'intento di surrogarsi nella
dominazione ad Ezelino , e che intanto si era fatto costituire
perpetuo podestà e signore di Cremona.
In quel mezzo i Padovani aveano mandato a sacco altre
terre di Ezelino , bruciato Tiene , preso la Friola. Accorso ad
arrestarne i trionfi, il tiranno riebbe la Friola, e presone i
presidiali, fece tutti legare, e chi uccidere, chi mutilare, ac-
cecare , evirare , rimandandoli poi così a dare di sé orribile
spettacolo. Abbandonò quindi la Marca, stampata a tante orme
di sangue, e che piìi non dovea rivedere : e posto quartiere in
Brescia, preparò nuove forze a nuovi intenti; ed alla lega dei
nemici ne oppose un'altra.
Due città vicine chiamavano l'attenzione e la cupidità di
Ezelino : Bergamo e ]Milano. In Bergamo erano prevalsi sempre
i nobili, discendenti la più parte da stirpe longobarda, quali i
Suardi, i Coleoni, i Rivela, i Lazzaroni, i Capitani di Mozzo.
Costretti, attorno al 1221, a cedere i castelli forensi, accasarsi
nella città, e giurar il Comune, teneano quasi soli le cariche,
onde non vi appare la lotta de' patrizj co' plebei , bensì fieri
dissidj fra i nobili stessi , pei quali la città andò a sperpero.
Esacerbavano il male i molti Patarini , difi'usi nella città
e nel contado, per cui colpa furono scomunicati i Suardi, i
* È prodoUa dal Campi, Si. di Cremona, lih. IH.
a — 33S- —
ni
r— □ DOVARA E PELAVICINO SI SEPARANO
) Rivola e lor fautori, e la diocesi rimase interdetta per oltre
; venti anni.
( Fra gli eretici del Bergamasco non vogliamo tacere il conte 1259
l Egidio di Cortenova, il quale, nel castello di Mozzànica, posto
\ fra le mose del Serio, aveva raccolto un centinajo di Patarini,
) dando loro sussidj e difesa. Reo di ciò e di tenere alleanza con
f Oberto Pelavicino , i papi lo perseguitarono; e con bolla data
da Assisi il 22 luglio 1253, e con altra del 23 marzo anno se-
( guente, Innocenzo papa, chiamandolo vir nahilis genere, fide
tamen ignohilis, es(*rta il podestà e il consiglio di Milano, di
Crema, di Bergamo a osteggiarlo , prenderlo e consegnarlo a
; fra Ranerio e fra Simone inquisitori^.
■^ Con simil pasta potea sperare di far prò Ezelino ; ma il
\ marchese Oberto quando se gli avversò , trasse seco anche il
■ conte di Cortenova. Inoltre avversissimo gli si professava uno,
( famoso nelle cronache bergamasche , Enrico Rìvola , il quale
; comandava Mantova quando la guerreggiò Ezelino; ed allora
{ infervorava la patria contro di questo.
l Meglio riuscì il tiranno coi Cappellazzi, come erano detti
i nobili di Milano. In questa città ferveva la briga fra plebei
e patrizj , 0 vogliam dire fra proletarj e possidenti; volendo i
/ primi ricuperare i diritti della libertà naturale, conculcati dagli
) altri a segno che avevano decretato, un nobile, quando uccidesse
) un popolano, potesse riscattarsene pagando un'inezia di sette
'( lire e dodici soldi di terzoli. Eransi adunque i plebei collegati
l nella Credenza di Sant'Ambrogio, una di quelle società popolari
l che nelle repubbliche italiane si tenevano a salvaguardia della
■ libertà; dovea vigilare sugli abusi di Stato, eleggendo consoli,
) anziani, podestà suoi proprj, che elidessero la potenza de'ma-
( gistrati d' egual nome, eletti dal Comune de' nobili; e se mai
,j contro un popolano venisse commessa alcuna soperchieria, ne
j curassero presso i magistrati la riparazione 0 la vendetta.
( iSel 1256 il Comune dei nobili tolse a podestà Guglielmo
da Soresina : e la Credenza de' popolani si elesse Martin Torriano.
] Questo signorotto della Valsassina, fedele alla bandiera guelfa,
erasi amicato il popolo quando, dopo la rotta di Cortenova che
^ Dullarium Itomauum, 1. I, p. 2'i,0.
Un - 33-.) -
I — '□ CAPITOLO xiir. D '-i
l indicammo, lo raccolse verso Lecco e lo nutrì ; e col blandire
( alla plebe cercava grandezza, già forse fantasticava il dominio,
come spesso fanno i poco disinteressati demagoghi. La plebe
vuol essere adulata, come tutte le podestà ; e Martino mostrò
tanto reputare la podestaria da essa attribuitagli, che per questa
ricusò la carica di senatore di Roma.
Sotto le due bandiere trambustavano allora peggio che mai
i Milanesi; e singolarmente i monsignori del duomo non voleano
compatire che sedesse sui loro stalli se non chi fosse scritto
in un ruolo di famiglie patrizie, allora compilato, e che è il
più antico libro d'oro della nobiltà milanese. Ne sosteneva le
pretensioni l'arcivescovo Leone da Pérego, di spiriti secolare-
schi , e ambizioso di signoreggiare la città insieme coi nobili
suoi pari.
Quando lo scontento è esteso, basta una favilla a farlo
prorompere. Un tal Guglielmo da Salvo, popolano di porta Ver-
cellina, dovea avere non so qual somma da Guglielmo di Lan-
driano patrizio. Ne lo richiese, e questi, mostrandosi disposto
a soddisfargli, lo invita alla sua vilhx di Malnate , e quivi ]>
ammazza. L'indegno fatto viene in luce, il cadavere è portato
a Milano: e il popolo, levatosi a tumulto, distrugge le case
de'Landriani, espelle i nobili che seco parteggiavano e l'arci-
1259 vescovo. Si ritrassero questi nel Varesotto, che allora dicevasi
( contado del Seprio , donde, sostenuti dai Comaschi, più volte
ritentarono invadere la città, e sempre furono respinti dal po-
polo, capitanato da Martin della Torre. Interpostosi papa Ales-
sandro , fu conchiusa la pace di Sant' Ambrogio , che dovesse
durare cento anni. Durò tre mesi, e tutto fu di nuovo baruffe
e avvisaglie. Martin Tornano, eletto anziano, ricaccia di città
l'arcivescovo, reprime gli emuli e signoreggia. Il legato Filippo
Dei, che ancora non era caduto in mano di Ezelino , accorre
per rassettare la pace in Milano ; ed ai due capiparte Martin
Torriano e Guglielmo di Soresma intima vadano entrambi ai
confini. Il Torriano, come i prudenti, ammainò la vela sinché
passasse la prima bufera : ma non era uomo da piegare age-
volmente a comandi di preti^, e tornato vigoroso , fiaccò la
6 Lo mostrò più apertamente pochi anni appresso (1261) quando il cardinale i
— 310 —
. si comincia un assalto, e fra un jjridare Aììmiazza, ammazza ; il jiaradiso a chi gli
uccide, un popolo di nemici avventasi contro il castello.
Gap, Xlll. Pacr. 352.
potenza de' patrizj, ne espulse la parte più poderosa coll'arci-
vescovo e con quel di Soresina.
I vinti, non sentendosi pari agli avversar], ebbero ricorso
ad Ezelino ; si poco i partiti sono scrupolosi nei mezzi di trion-
fare! ed esibirono dargli a furto la signoria della loro città,
consegnandogli per ostaggi i propri figliuoli.
Quest'era la sciagura delle repubbliche d'allora; l'essere
pòste all'arbitrio de'faorusciti, i quali, sempre avversi alla pace
da cui nulla potevano sperare, e coll'avventatezza di chi non
ha cosa da perdere , pretendevano esser essi soli i generosi ,
essi i patriotti, essi la patria ; di conoscere soli e soli volerne
il meglio , e deciderne le sorti. Che 1' esperienza mostrasse il
contrario , lo diceva il popolo con un proverbio che non ha
perduto ancora la verità : — Mai sbandito fé buona terra. »
Ezelino accolse, pensate come volonteroso, l'occasione di
ciufi"ar la prima città di Lombardia, la quale saria bastata non
solo a rimettere, ma cingere d'inusato splendore la sua fortuna,
e forse consolidare un dominio qual poi l'ebbero i Visconti e
gli Sforza.
Prese dunque appuntamento 'coi Ghibellini di cavalcare 30
sopra Milano: e per meglio riuscire al disegno col tenerlo ce-^^ositti
lato , finse voler andare a oste sopra Orzinovi , la sola terra
del Bresciano che non fosse in suo potere, tuttavia restando
occcupata dai Cremonesi. Da Guido Bouatto fece prendere di-
( ligentemente l'oroscopo, e quegli trovò che avea stupenda ec-
cellenza: avvegnacchè ascendente fosse il segno del sagittario,
il sole stesse nella vergine, la luna nello scorpione, saturno in
acquario ; giove retroguardando, era diretto nella libbra, marte
nel leone, il capo e la coda del dragone in segni fissi. Dispo-
sizione opportunissima a vittoria come ognuno comprende ; ma
agli astrologi sfuggi una piccola eppur rilevantissima osserva-
Ubaldini venne per introdurre alcune novità in Milano. Questi una mattina intende
sulla piazza di Sant'Ambrogio, dove alloggiava, gran fragor d'armi, di trombe, di
cavalli, cliicde clic sia; ed eccogli alcuni messi di Martino,- tutti cortesia, a dirgli
che, avendo ii signor loro inteso come e' l'osse in sul partire, mandava per accom-
pagnarlo sin inori di ciilà il più presto die potesse. Il cardinale inlese il latino,
e voglia 0 no die ne avesse, aggradi ipiest'allo di violeiila onoranza, 0 se n'andò.
341 —
Cantù — Ezelino.
CAPITOLO xiir.
zione, qual era che la luna, astro di capitale influenza, toccava
lo scorpione ; e lo scorpione tiene il veleno nella coda. Chi
non avrebbe capito da ciò che l' impresa sarebbe proceduta
col vento in poppa da principio , ma alla fine tornerebbe in
peggio? _ .
1859 Sorriso dalle prospere ominazioni, Ezelino cominciò sua
marcia, ed entrato sul terreno degli Orzi, lo mandò ad orribile
guasto ; e incendiò Quinzano, che aveva ardito fare alcun mo-
vimento. I Cremonesi , condotti dal Pelavicino e da Buoso di
Povara, non tardarono a muover l'esercito, e si posero a Son-
cino, paese sulla destra dell'Oglio , quasi equidistante da Cre-
mona, da Brescia e da Bergamo, partito anch'esso fra i Barbò
e i Fondulo, e nemico degli Orzinuovi pel passo del fiume. Di
qui voleano tener d' occhio Ezelino , accampato sulla sinistra
dell'Oglio, sul quale pure a Marcaria attendeva il marchese
d'Este con Ferraresi e Mantovani.
Martin Tornano ignorava il divisamento di guerra di Eze-
lino ; ma per dar favore ai Guelfi e per tener testa ai nobili
milanesi che stavano a campo con Ezelino, usci di città coU'e-
sercito , si spinse fino a Cassano , dove 1' Adda contermina il
contado milanese e il bergamasco : quivi librandosi sull' ale ,
pronto ad accorrere ove accadesse bisogno. E appunto Ezelino
avea fatto calcolo di trarre il Tornano fuor di città, per potere
girivoltargli alle spalle, e improvviso piombare sopra Milano,
di cui le precorse intelligenze gli avrebbero reso facile l'acquisto.
Il diavolo è sottile e fila grosso. Di fatto i nobili che, rimasti
dentro o nelle campagne circostanti, non cessavano di corri-
spondere co' fuorusciti, dubito diedero avviso della mossa ad
Ezelino , che , congedati i fanti bresciani , i quali diceva che
« hanno la fede nella falda degli abiti, » cioè che trovava inetti
a un tradimento , e tenendo seco da cinque a sei mila uomini
tutti di cavalleria ,
Exigui numero sed hello vivida viì^tus,
colle genti sue di Vicenza, Verona, Asolo, Bassano, e co' Te-
deschi e Padovani rimastigli, levò il campo dagli Orzi, e senza
che niun ne sentisse, rimontò lungo l'Oglio sulla sinistra per
Roccafranca , liudiano , Urago, Pontoglio, fino a Palazzuolo, '^
S n - 3*2 - q-3
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rrn I MILANESI UT
terra succeduta a Cividino, e che allora già era fortificata su
entrambe le rive. Tutto quel confine era munito coi castelli di
Paràtico, ove poco poi alloggiò Dante , di Vanzago, Capriolo ,
Mussiga, cui Bergamo contrapponeva Tagliuno, Caleppio, Ram-
pino, Montecchio di stupenda vista, Merlo, Sàrnico sul lago
' d'Iseo, da cui l'Oglio deriva.
Ezelino, tragittatosi sul ponte che accavalcia quella tanto
pittoresca vallata, e passato anche il Cherio, traverso al Ber-
gamasco giunse all'Adda, la guadò alla Canonica, e sulla riva
destra ch'è già milanese, prese la borgata di Vaprio, benché
munito da un castelletto e dalla propria postura su quel ci-
glione; e potea già dirsi alle porte di Milano. I nobili del contado
non istettero colle mani alla cintola ad aspettar il liberatore,
ma accorsero a fargli omaggio: e già l'assicuravano che la gran
città era senza riparo sua. Diceano trentuno prima d'averlo in
sacco. Perocché ad ogni passo del tiranno avea tenuto occhio
il bergamasco Enrico Rivola e come fiutò qual direzione l'e-
sercito prendesse , ne avvisò per istaffetta Martin Tornano,
Fortuna volle che questi non avesse ancor varcata l'Adda: onde
all'inaspettata novella, subito fece voltafaccia, a marcia forzata
giunse a Milano, fé dar nella campana a martello, tromba del
popolo, e il popolo a stormo saltò all'armi e alla difesa.
Ezelino, che si vede sguizzar la preda quando già la cre-
deva adunghiata, dà nelle smanie, e colla peggior rabbia mette
a guasto il Milanese : s'avventa per sorprendere Monza , ma 1
prodi abitatori barricatisi lo respingono: assalta il castello di 1259
Trezzo , che gli darebbe modo di traversarsi ancora sulla si-
nistra dell'Adda, ma di là pure vien ributtato: onde a ferro e
fuoco indietreggia nel bel munito borgo di Vimercate '^ per
rinfrescarvi la gente sua, abbattuta e svilita some suole un
esercito perseguitato in terra nemica e che non sia poltrona.
Al volto l'avresti detto sicuro, alle parole baldanzoso ; talmente
7 Fra le poche reliquie di antichi castelli, rimasi nella pianura lombarda, è
delle più pittoresche il casllole di Trezzo, che in paese più voglioso di tali scene
trarrebbe a torme i curiosi per la postura non meno che per reli(iuie. Vimercate
conserva ancora una porta e un ponte sulla Mólgora, opera di quel tempo. Meglio
conservato e là vicino il castello di Sulbiate, che già fu degli Olgiati.
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jp - 343 -
^^U^. ^^^ Eira
I — '□ CAPITOLO xiir. ni
parlava con dispregio de' nemici , con certezza della vittoria ; )
ma avea troppo senno per non conoscere che navigava in pes- l
sime acque. Un grosso fiume, e che a Napoleone parve il più
difendibile della Lombardia gli interdiceva il ritorno: di qua nu-
merosi e risoluti i Milanesi, di là i collegati si venivano atte-
stando all'Adda , e cacciate le squadre che per assicurarsi la
ritirata avea spinte ad occupare il ponte di Cassano, aveangli
tolta queir unica via di scampo : per soprappiù i Milanesi gli
intercettarono il convoglio dei viveri. Una battaglia sarebbe
stato il suo desiderio, ne Martin Torriano mostravasi restio ad
accettarla, se i collegati d'oltre l'Adda non gli avessero fatto
sentire come fosse pericoloso il venir alle braccia con gente dispe-
rata; temporeggiasse, senza molto sangue prenderebbe l'inimico.
Il Tornano s'attenne al consiglio: onde Ezelino, pertluta
l'occasione di combattere, determinò di navigare per perduto;
e di ricapo diffilò sopra Cassano, per forzare serrato quell'unico
varco. Benché già oltre di tempo, a pochi e' la cedeva in ga-
gliardia di corpo, a ninno in fermezza di cuore. Squadrona le
truppe , le conforta con parole e promesse, le spinge a corpo
perduto contro i difensori ; un lampo di gioia feroce spiana la
corrugata sua fronte al vedere benavviarsi l'impresa: corre qua,
là, dove più ferve la mischia; quando una freccia scoccata da
una balestra gli si conficca nel piede.
Il suo fermarsi lento l'impeto de' soldati : onde, per quanto
egli stesse in coraggio, non riusci a meglio che a raccorrò le
truppe in buona ritirata. Cosi ridottosi a Vimercate, si fa ca-
vare la freccia che erasi infissa nell'osso : e il di seguente trova
nuovo ardore per ispingersi ancora all'Adda verso Vaprio, s'av-
ventura al guado, e comincia a tragittare i suoi squadroni. Egli
medesimo , sovra generoso destriero pomposamente bardato ,
incoraggia i deboli, loda gli animosi, dà ordini e disposizioni :
e se r abilità delle ritirate bastò a far gloriosi alcuni eroi da
Senofonte fino a Ney, non può negarsi lode alla posata marcia
con cui Ezelino riguadagnava il Bergamasco. Ma ecco sulla si-
nistra riva compaiono il marchese d'Este, il Pelavicino, il Do-
vara e gli altri alleati , i quali abbarrano il passo , talché è
costretto schierarsi in battaglia.
0 sia vero, o perchè ogni sconfitta vuoisi dalla grossola-
nità ignorante o dalla orgogliosa finezza attribuire a tradimento, j
314 —
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□ SUA MORTE D ■'— j
alcuni, invece d'obbedirgli, disertarono al nemico: laonde, se )
gli bastava il coraggio conobbe non bastargli più 1' esercito , sett. )
non che a vincere, né tampoco a difendersi. Mescolata la bat- 1259 \
taglia, più volte egli vide i suoi scompigliati, più volte li ran-
nodò, soldato a vicenda e capitano; ma il numero prevalse, e
l'esercito suo andò rotto, le bandiere a terra, tutto in iscom-
piglio; mentre sulla dritta del fiume già si vedevano arrivare
freschi i Milanesi ; e ognun sa che le riserve son quelle che
vincono le battaglie. Data allora perduta la partita, con cinque
Adattissimi tolse a guadar il fiume, ma assalito e preso in
mezzo, si dovette arrendere ^.
Altri narra che Mazzoldo de' Lavelonglii nobile bresciano
lo ferisse sul capo tra il combattere: altri che, mentre veniva
trascinato fra gli scherni e i Mora , Mora della soldatesca e
della ciurma, senipre coraggiosa contro chi più non si difende,
un villano, cui Ezelino avea fatto mutilare un fratello, gli desse
d' una falce in sul capo : « viltà (esclama Rolandino , benché
nimicissimo del tiranno) , poiché sempre è delitto il ferire un
prigioniero , nobile 0 ignobile che sia , come il ledere un ca-
davere ».
La plebaglia, che testé sbigottiva pur al suo nome, allora
accorreva, superba di poter insultarlo. Cosi a chiaro giorno gli
augellini provocano la civetta, da cui sfuggivano spaventati la
notte; così a' miei giorni ho veduto un elefante infuriato cor-
rere le vie di Venezia , e porre a scompiglio la gente , che
lungi fuggendo non osava tampoco guardare ; poi quando stra-
8 Non ppr ponlcm, ut venerai^ sed per inexpertum fntmjnis raduni. Giovan
DA r,EBM ETATE. — Per medium raduni qiiaerens evasionetn , safjilln vuln>ratus
est. Bknvenuto da imola. — Passando el dito fiume, Boxio de Doara... s'il ferì
in mezzo della dita acqua, e... fo preso e menato fora del fumé. Pietro Zagata.
Girolamo Baris, soncinatc, vissuto a mezzo il xvi secolo, che scrisse la storia
(Iella sua patria, parla dei commeiiiarj di un Giulio da Caravaggio, die militava
in (pipir impresa sotto Marlin Torriano, e che descrisse le imprese cui ebbe parte.
Chi sapesse trovarli! Tretende il liaris aver tratto di là che Giovan Trucazzano,
di casa Belinzonese stabilita da un secolo in Soncino, vincesse Ezelino in conflitto
singolare, e lo menasse prigione nella sua patria. Paolo Ceruti, nella Biofjrafia
Soncinatc, a ccumula prove di questo fatto, ma si riducono ai non trovarsi chi vi
contraddica espresso.
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345 —
mazzo a terra, e, strana impresa ! con un colpo di cannone fu
morto, tutti sino i fanciulli, volevano avergli percosse 1' aspre
cuoja.
Il ferito venne tradotto nottetempo a Soncino e nel padi-
glione di Buoso da Dovara, trattato coi riguardi che la sven-
tura, anche meritata, richiede dalla cortesia cavalleresca e dalla
fratellanza d'armi : e che la religione comanda verso chiunque
sta per affacciarsi al giudizio di Dio.
È scritto che , allorquando egli udì chiamarsi Cassano la
borgata presso cui erasi combattuto, rabbrividisse : poiché, anni
prima avendo interrogato il demonio sul luogo di sua morte ,
questo gli rispose, si guardasse da Assano, Egli credette fosse
indicato Bassano, e per questo evitava di dimorarvi; ma come
allora udì quel nome, veniva brontolando: — Ah! Cassano,
Assano, Bassano ! »
Né di minore maluria gli era Soncino ; perocché , pochi
mesi avanti, mentre dimorava in Brescia, aveva sognato essere
a caccia ne' bochi di Soncino, e un cinghiale feroce l'affrontasse,
ed uccisi i cani, si diffilasse contro di lui, e diffendentesi invano
il trafigesse in una gamba. Alla ferita sognata egli mise un
acuto strido, sicché accorsero i suoi valletti, ai quali raccontò
la visione, voltandola in celia sì, ma pure conservandone sini-
stra apprensione.
Inesorabile sempre, egli non sperava pietà, la sua superbia
non gli permetteva di sopravvivere alla fortuna , né l'empietà
di ricorrere a quel Dio che avverte e che perdona. Adunque
in minaccioso silenzio rifiutava ogni medicina del corpo e dello
spirito, fin il mangiare; in ogni atto esprimeva la rabbia della
delusa ambizione. Se ne rincrudivano le ferite : sinché , senza
deporre gli odii terreni, senza ricovrarsi nelle braccia della mi-
sericordia, privo di consolazioni e di speranze , mori il giorno
de' santi Cosma e Damiano ®, avendo sette mesi sopra i ses-
santacinque anni.
Le esequie a lui rese furono quali convenivano a principe,
levatosi pel proprio valore al primato fra i signorotti lombardi ;
9 La data del 28 seitembre é certa ; e sbaglia il Muratori ponendo al 27 la
battasrlia.
— 846 —
SUA MORTE
e al quale, se riusciva conquistare Milano, non vedremmo qual
nome poter bilanciarlo fra i contemporanei. Ma cos'è mai, o
Buonapartisti, il valore separato dal suo scopo? Ed Ezelino non
adoprò il suo se non a danno della patria: dimenticò che le
ragioni dell' umanità non impunemente si conculcano ; e che
viene un' ora , in cui coloro stessi che unico diritto conobbero
la conquista e la forza devono render conto ad un tribunale ,
innanzi a cui il gemito del soggiogato ha forza contro il pre-
potente che lo cagionò.
Gli onori militari sogliono rendersi al proclamato eroe ,
come al coadannato traditore: ma la scomunica impediva di
seppellirlo in luogo sacro; onde fa sotterrato presso la torre
di San Bernardino, vicino al palazzo pubblico: e l'epitafio
ricordava come fosse là rinchiuso Ezelino da Romano , ter-
rore un giorno dell'Italia, prostrato dalla valentia di quei di
Soncino ***. Che se quest'iscrizione è delle poche che di ipo-
tetiche virtù non adulino l'estinto, è però scevra di codardo
oltraggio per parte de' vincitori. Ma la plebe, che non conosce
misura negli odj come nell'amore, disse che, appena spirato il
tiranno, la camera di lui ingombrarono volumi di fumo denso
e fetente: era il diavolo, venuto a portarsene il fìgliuol suo:
e inventò un epitafio, villano perchè ingiuria al sepolcro, e
che si traduce così :
Dà sepolcro Soncino
a quel can d' Ezelino ,
cui lacerano i Mani,
ed i tartarei cani ^^
10 Clavditvr hoc gelido qvondam svb marmore terror
Italiae de Romano cognomine clarvs
Ecclinvs qvem prostravit soncinea virtvs.
Moenia teslantvr caedis, Cassane, rvinam.
11 Terra Svncini tvmvlvs canis est Ecelini
qvem lacerant manes larlareiqve canes.
11 diavolo, eb!)C l'anima sua: e per questa morte sia glorificato Iddio per
tutti secoli e pili ». Smekego. Chron. Rerum Italie. Script. Vili, 101.
— 347 —
4
Il tempo colle sue fredde ale spazzò fin le ruine di quel
sepolcro, ma nella torre, che fu mozza dopo il memorabile
tremuoto del 1802, ti mostrano due ferri confitti, come se
l'uno indicasse la statura di Ezelino in piedi, e l'altro a cavallo.
E' saria stato un vero gigante, mentre i contemporanei ce lo
danno per mediocre; né questi parlano che fosse gobbo, come
1259 alcuno posteriormente asserì, si.i perchè, d'una ferita tocca
alla spalla nella battaglia di Cortenova, dovette in fatto alcun
tempo soffrire; sia per la plebea abitudine d'associare la de-
formità morale colla corporea. Ninna moneta ci trasmise l'ef-
fìgie di lui; e i ritratti che se ne hanno nella cappella del
beato Luca in Sant'Antonio ^^ e in altri luoghi di Padova, e
quella divenuta comune, che il Campi pose nella sua storia di
Cremona, son ideali.
Chi di voi, 0 lettori, dimenticherà l'esultanza di tutta
Italia, quando si sparse la voce che i Milanesi, con magnanima
imprudenza insorti, avevano in cinque giornate vendicato tren-
taquattro anni da svilimento, e che il formidabile esercito
austriaco, davanti a un popolo inerme, si ritirava disfatto da
una terra che non gli era patria, sicché finalmente l'Italia
diveniva indipendente? — bel sogno, e fugace come un sogno !
Figuratevi altrettanta, ma cresciuti in ragione dell'entusiasmo
proprio di quei tempi, la gioja di quando si seppe eh' Ezelino
era perito. Dapprima penavasi a credere cosi inaspettata ven-
tura; poi confermatasi, fu un respirare, come di cui sia levato
enorme peso dal petto, un narrarselo, un festeggiare, un rin-
graziar quel Dio che tutti i vincitori credono d'aver per se ^'.
Papa Alessandro, in lettere, circolari, invitava ad esultare con
lui, ringraziando la mano di Dio, che, se si posa sul malvagio,
il malvagio dov'è? « Le campane sonarono per tutta Venezia a
Dio lodiamo, come elle sono accostumate sonare alle feste dei
santi, e la notte appresso montarono i chierici sopra i cam-
12 Opera di Giusto Fiorentino de' Menaiiuoi, scolaro di Giotto.
1' Le vittorie dell' imperatore di Russia sopra gli Ungheresi nel 1849 erano
annunziate colle parole Mohiscum Deus; audile populi: vicimus quia nobiscum Deus.
Negli avvenimenti posteriori si fece un tale abuso della parola Dio, che non ci
resta di che rimproverare i nostri vecchi. a
in -3«_ n|
SUA MORTE
p
panili, e per tutte le torri allumarono ceri e torce, e fecero
sì grandi luminarie e scampanj sì lieti che fu una grande
meraviglia del vedere e dell'udire; e fu bene a diritto, perchè
messer Ezelino avea avuto le rendite delle religioni di Venezia
e de' Veneziani, che tutte hanno in Padovano, sino dal tempo
che messer Federico lo imperatore donògli la signoria della
Marca Trevisana ** ». Le città soggette ad Ezelino alzavano
il capo svegliate, e si chiedevano una all'altra perchè avessero \
una contro l'altra combattuto, e gridavansi libere, e si credeano )
riamicate. Verona ripatrió i fuorusciti, ed elesse a podestà
Mastino della Scala, la cui famiglia dovea poi stabilirvi una
tirannide più salda di quella d'Ezelino, perchè più mascherata.
Feltre e Belluno si diedero reggimento proprio. I Bresciani
aveano fatto voto di erigere, se si redimessero da quella ti-
rannide, un tempio a san Francesco, e lo fecero magnificamente;
pure i Ghibellini non vollero ricevere i Guelfi cacciati; ed il
marchese Pelavicino, entrato a titolo di comporre le discordie,
se ne fece gridar signore, e rifiutò di lasciar libero il legato
Dei, il quale però riusci a fuggire. I Padovani corsero sopra \
Vicenza per toglierla ai luogotenenti d'Ezelino, e non profittando
colle buone, bruciarono i borghi, e tornaronsi a casa; ma
bentosto gli Ezelini, conoscendo non potere sostenere, fuggirono;
e la città abbandonata fra mille tripudj, si mise sotto la pro-
tezione de' Padovani, formò nuovi statuti, uno de' quali metteva
al bando i parenti d'Ezelino, chiunque fossero; se mai capi-iseo
tasserò, sarebbero tratti a coda di giumento, poi impiccati. I
Vicentini, col loro ajuto cacciata la guarnigione tedesca, ga-
vazzarono e stabilirono che il giorno di san Michele, anniver-
sario della ricuperata libertà, si corresse ogni anno da cavalli
una pezza di scarlatto. I Bassanesi posero in disputa se ap-
partenessero a Vicenza o a Padova: ma quest'ultima ebbe
r accorgimento di dichiarare , non apparteneano a nessuna , e
poteano far di sé secondo lor voglia: ed essi gridarono popolo
e promisero obbedire alla repubblica padovana in ciò che con-
cerne i tre punti più importanti d'un governo, i dazj, gli eser-
citi, le pubbliche cavalcate, salvi tutti gli altri diritti : dichia-
rarono i beni di quei di Romano appartenere al Comune , né
5_ 14 Da Canale, § CIL. ?
in -«- oS
CAPITOLO xiir.
f
doversi ragione a chi li domandasse per titolo qual si fosse ;
riformarono anch'essi gli statuti, dei quali uno imponeva che,
se alcuno mai trattasse di dare un signore qualsiasi a Bassano,
fosse decapitato , e i beni suoi messi al fisco : e chi osasse in
consiglio muover parola a sgravio del reo, dovesse cento libbre
al Comune. Venne poi tempo che lo statuto si dimenticò, e
senza esserne richiesti, furono mutati di servitù in servitù.
Quanto ai Milanesi, Martin Tornano, saputo che i nobili ,
dopo caduto Ezelino, eransi riparati a Lodi, andò a com-
batterli; e snidatili, sottomise quella città. Poi, per dominare
senza invidia col non prenderne il nome, propose a signore per
cinque anni Oberto Pelavicino, il quale applicò tutta la sua
possa a deprimere i Torriani , ma dovette in fine lasciarli si-
gnori di quella città.
A chi scorre le storie italiane troppo spesso incontra di
vedere mancate di efi'etto, o riuscite a scelleraggini le imprese
meglio e più santamente auspicate. La libertà de' Comuni im-
bozzacchisce in reciproche schermaglie fraterne: la Lega Lom-
barda s'a'ddormenta nella tirannia: i Vespri siciliani non fanno
che mutare la servitù angioina in servitù aragonese: e questa
guerra santa terminò in assassinj e negli atti brutali d'una so-
cietà ineducata.
La gioja universale metteva il colmo al terrore d'Alberico,
che si sentiva solo contro un furore armato e vincente. Treviso già
trambustava, e la repubblica veneta l'incitava sott'acqua: onde
egli senti la necessità di provvedere come meglio alla salvezza
di sé e casa sua. Aveva esso , fin dal 1220 , sposata la bella
non meao che illustre donna Beatrice; poi velovato, sugli ul-
timi anni coudusse Mirgherita, bella ma triste. E n'ebbe i-iiii
figliolanza: cioè Giovami, Alberico, Ronmo, Asolino, Ezeliuo,
Tornalesce : e tre fiaciulle di cui, una chiamita A lelaiile, sposò
Rinaldo d' Este , e andata compagna alla prigionia di esso in
Puglia, ivi con lui fiai : le altre due chi le nomina Griselda ed
Amabilia, e chi Lisia e Palmeria. Infelice dovizia di prole, che
non dovea se non crescergli il dolore di vederne il miserabile
strazio !
1260 Con questi uscito nottetempo di città, Alberico si ridusse
a San Zenone, terra che, a chi va da Asolo verso Bassano, si
presenta ndentissima, colle case scaglionate alle falde del colle
— 350 —
r ESULTANZA GENERALE |_i L,'
quasi a spettacolo, tramezzate da fiocchi d'alberi ^^. Sull'altura
della Madonna , dominando il pianerotto superiore , sorgeva il
castello, fabbricato da Ezelino il Monaco allorché cominciò ni-
micizia con quei di Camposampiero per 1' oltraggio recato a
Cecilia di Baone sua donna: Ezelino il tiranno avealo ridotto
in miglior essere, nulla trasandando perchè l'arte crescesse quel
che già dava la natura, cosi da farne il castello più forte della
sua dominazione. Macchine d' ogni maniera v' erano attelate :
grossa ed alta muraglia lo abbracciava tutt'intorno, distinta da
robuste torri; nel mezzo a quella sorgeya il girone, abitato dai
signori. Unica porta yi dava accesso, traverso a massiccio tor-
rione; quel torrione che i pacifici tempi tramutarono in cam-
panile della parrocchia.
Alberico con tutta la famiglia ed i tesori suoi si ridusse
in questo rifugio, unico rimasto ad una famiglia testé in pro-
cinto di sottomettere tutta Lombardia : e colà afforzatosf , si
lusingava, se non di restaurare le proprie fortune, almeno d'ot-
tener comportevoli accordi , e salvar sé dal naufragio di sua
casa. Ma gli pesava sul capo 1' esecrazione popolare : ed egli
stesso l'accresceva con frequenti sortite saccheggiando il paese, j
e singolarmente giovandosi de' Tedeschi, che teneva al soldo. [
Coi quali , anche nel fitto verno , più d' una volta tornò alle
mani coi Bassanesi nella campagna di San Zenone, e li costrinse
alla ritirata.
Viepiù se n' esacerba lo sdegno de' popoli della Marca;
Treviso, chiaritasi libera , toglie a podestà il nobil uomo ve-
neziano Marco Badoero, al quale il doge di Venezia avea dato
l'insegna di San Marco e la capitananza dell'esercito: poi pub-
hlica nel maggior consiglio una sentenza qualmente « Alberico,
» infedelmente sottrattosi al servigio ed alla volontà della
» Chiesa romana , avea guasta la città di Treviso , e gli abi-
» tanti, facendo acceccare fanciulli, mandando preti, cherici,
» ed altri religiosi al supplizio colle cotte e i paramenti sa-
» cerdotali, in obbrobrio della santa madre Chiesa; per questo
18 Bortolomeo Burchelali, Ritrailo del hello, orrevole e vistoso colle di San Ze-
none ricino ad Asolo di Treviijiana, sovra il quale fu già il fortissimo castello di
Alberico da Romano ; con varj passaggi ben curiosi e con la tragica morie di
Alberico; ottava rima. Trevigi, i63l, in-8".
U--
— 351 —
CAPITOLO XIII. D^Er
?
» ne confisca i beni, sottopone a perpetuo bando Alberico ed
» i suoi , in modo che più non si possano reintegrare o per-
» donare; che se Alberico o sua moglie od i figli capitassero
» in forza loro, esso ed i maschi vengano trascinati a coda di
» cavallo poi appiccati per la gola, la moglie ed i figliuoli bru-
» ciati: bando e confisca a chiunque movesse parola in loro
» favore o ne chiedesse la grazia ».
Per dare corso alle minacce, si collegarono con Padovani,
Veneti, Vicentini, Veronesi, Friulani, Bassanesi, insouima con
quanti voleano o vendicarsi dell'antica grandezza, o insultar
alla presente depressione della casa di Romano. Entrando giu-
gno , uscirono a campo, cinsero d'ogni lato il castello di San
Zenone , e ne cominciarono l'attacco.
Alberico , munito d' armi e di viveri , eludeva gli assalti ,
ma è fatalità delle cause perdute che qualunque passo, per
prudente , per meditato , non fa che accelerarne la ruina. Di
singolare giovamento gli tornava la perizia di Mesa da Porcilla
ingegnere, che assai destramente dirigeva le opere di difesa e
di offesa, e singolarmente avea tolta in custodia tutta la cerchia
esteriore, munendola di bertesche, di manganelle, di petriere ,
di quell'altro armamento che facea difficilissimo espugnar qua-
lunque bicocca, prima che l'artiglieria desse superiorità all'offesa
sopra la difesa. Ma questo valente non possedea quella virtù
cosi rara della fedeltà verso la sventura : udiva il suo nome
maledirsi come sostegno de' tiranni , come avverso alla causa
1260 italiana ; e credette forse acquistar benemerenza presso i cro-
ciati e lode presso i posteri col tradire il suo padrone. Tant'è
vero che in tempi agitati è men difficile far il proprio dovere
che conoscerlo. Adunque si lasciò corrompere da' collegati , e
promise rendere la forte/za se promettessero lasciarlo andar
salvo con armi e cavallo e colle paghe e un buon gruzzolo di
denaro. Tratti nel suo consiglio alquanti Tedeschi, e ogni cosa
disposto, il 13 agosto si comincia un assalto, e fra un gridare
Ammazza, ammazza; il paradiso a chi gli uccide, un popolo
di nemici avventasi contro il castello.
Alberico e la sua famiglia dall'alto del torrione stanno os-
servando l'esito, se impauriti per la foga de' nemici, confortati
però nella robustezza del luogo e nella valentia de' propugnatori.
Ma perchè agli assalitori non escono addosso i prodi Tedeschi?
— 352 —
PRESA DI SAN ZENONE QHi
forse è imo scaltrimento di Mesa per tirare i nemici nel di- )
sposto agguato. Pure i nemici continuano ad avanzarsi : la di- )
fesa più sempre illanguisce: ad un tratto si spalancano le porte, ''
si calano i ponti: — non era un sortita a difesa: era il tra- )
ditore Mesa che apriva il recinto ai nemici. (
Quali a tale spettacolo divennero i rinchiusi ! E come il f
sangue allo sfuggir della vita ritirasi verso il cuore, cosi Al- )
berico co' suoi più fedeli si raccoglie nel più addentro della (
fortezza, determinato di perigliarsi all'estremo, e intanto lasciar (
tempo al tempo. Ma la sete struggeva i miseri : talché giunti )
al terzo giorno, più non potevano durarla. ^
Chi ritrarrà l'anima d'Alberico ? A'edevasi intorno la moglie,
caramente diletta ; otto figli, de' quali alcuni capaci di sentire
tutto il peso della sciagura , altri più compassionevoli perchè \
ignari : tutti nati alla speranza, tutti educati a brillare un giorno
fra gli agi , a fianco ai principi del bel paese. Ed ora mirarli S
estenuati , non potere soccorrerli , e preveder 1' avvenire colla \
disperazione della ciurma d'un vascello, che calcola quante ore )
j, mancano prima che la scassinata nave coli a fondo. Gli ere- <,
l sceva terrore la fierezza de' nemici che lo circondavano : ne {
avea viste e udite le crudeltà: gli sapeva infelloniti dagli ol-
traggi di lui e della propria vittoria ; ne intendeva le minacce,
più formidabili perchè ispirate da un sentimento di giusta ven-
detta e di liberalità religiosa e cittadina. Avria potuto sperare
nella generosità di cavalieri, ma non di turbe concitate a guerra
popolare; onde raccolse i desolati suoi cari, e cosi ragionò:
— Figliuoli dilettissimi, a che noi siamo precipitati da tanta
» altezza , non è mestieri il divisarvelo. Ecco io vi do la be-
» nedizione paterna e l' estremo abbraccio. Il signore Iddio
» ascolti la mia preghiera, e vi conceda senno, copia di beni,
» costanza d'amici, prospera vita e lunga. Che che ne sia di
» me , voi eredi di nobilissima prosapia vivrete ; e se tanta
» forza il cielo vi comparte, procurate, com'è dovere d'ogai
» ben nato, vendicare la infelicissima fine del padre e dello zio.
» In Lombardia, nel Pedemonte v'abbondano partigiani : dalla
» Toscana non vi mancheranno d'aiuto i conti di Mangone pa-
» renti vostri, valorosi e potenti. Ahi, ahi! Adelaide madre mia,
» quanto verace mdovina voi foste, allorché presagivate le scia- )
» gure che m'avrebbero giunto in questo castello ». \
353 - n Jj
{2 CAPITOLO XIII.
I'] gettossi sul letto piangendo, ed intorno a lui la moglie,
i figli inconsolabili. Dimentico delle antiche crudeltà e come l'ira
1260 d'un popolo sollevato sia in proporzione degli oltraggi sofferti,
sperava che a satollarla basterebbe il sangue suo : e però chia-
mati i più domestici suoi, — Meglio è (disse) che muoia io solo,
» anziché voi tutti finiate con me. Itene pure, ve lo consento,
» a' miei nemici, e trattate di salvezza, i^la deh vi prego, pre-
» sentatevi in nome mio al marchese d'Este, ricordategli l'ami-
» cizia nostra antica, i nodi stretti fra il suo Rinaldo e la dol-
» cissima nostra antica, i nodi strotti fra il suo Rinaldo e la
» dolcissima figliuola mia ; raccon. andategli me ed i miei fì-
» o-liuoli, che mi tolga in protezione e mi scampi dalla ferocia
» de' nemici ».
Lodoviso , uno de' più intimi di Alberico , andò proporre
patti agli assediatori ; ma i sacerdoti, che doveano bandir la
pace e la misericordia, non sapevano se non ricordare le parole,
onde Samuele impose a SauUe che tutti, fino ad uno, stermi-
nasse gli Ammoniti. Adunque, disperato d'ogni sosta e condizione,
e inabile a più tener saldo, Alberico si rese a discrezione.
Misero chi deve commettersi a una folla irritata! Non sì
tosto egli fu nel campo, gli venne messo uno sbavaglio perchè
non parlasse ; indi si chiamò un frate Minore, che acconciasse
dell'anima lui e gli altri, destinati ad orribilissima tragedia. I
figliuoli furono fatti a pezzi ed, aggiungono alcuni, gettatine i
brani di carne palpitante sul viso del padre, presente allo
spettacolo, poi spartiti fra le città di Padova. Vicenza, Verona.
Sulle donne si cumularono oltraggi e danni, quantunque belle,
quantunque giovani , quantunque innocenti : con mozzate le
vesti , furono ad obbrobrio menate in giro fra 1' esercito , che
applaudiva come a giusta retribuzione delle donne trevisane ,
d'egual ingiuria offese da Alberico : poscia raso loro il seno e
il naso, furono vive gettate nelle fiamme. Per onore della uma-
nità speriamo che queste sieno esagerazioni degli scrittori , i
quali piaccionsi di conservarsi feroci anche in secoli di sdilin-
quita umanità ^^.
*6 Abbiamo alla mano un libro" di persona civilissima (Giuseppe Ricciardi),
dove un simile trattamento é proposto pel principe, che poco poi fu preconizzato
magnanimo e martire della causa italiana.
FINE D'ALBERICO
7
In San Zenone stava rinchiuso Giacomino de' Tebaldi bo-
lognese, giudice e consigliero d'Alberico. Chiese egli di uscire
cogli altri domestici: ma Alberico — No, gli disse, rimani a
mangiar meco le vivande che meco ammanisti: tu che quand'io
incrudeliva , non mi persuadesti al bene ». Anch'esso fu fatto
a brani.
Alberico, dappoi ch'ebbe veduto le turbe sfamarsi in quel-
r orrendo strazio; dappoi che ad uno gli spasimi de' cari suoi
dilaniarono il cuor di esso, che pur era cuore di padre, venne
a coda di cavallo trascinato pel campo, e su pei dirupi, e dopo
tormentosa agonia ucciso e fatto a brani i'^. Compiva i sessan-
taquattro anni ; ed era stato meno sanguinario di Ezelino, ma
più di lui ingiusto ; tiranno ipocrite , come quelli del cinque-
cento che offersero il tipo a Macchiavello: quello assomiglierei
alla tigre che sitibonda di sangue, assale drittamente la preda ;
questo alla iena che l'aspetta negli agguati, vilmente crudele;
se non temessi far torto alle belve col paragonare i loro istinti
irriJflessivi colla cupa malvagità dell'ente ragionevole.
Questa tragedia fu consumata il 26 agosto del 1260, ed
è per filo e per segno divisata dai croiMsti, non uno de' quali
vi aggiunge una parola di disapprovazione. Treviso nel palazzo
del gran consiglio fé' dipingere il fatto, e come davanti al po-
destà fossero sbranati quei tapini e Alberico trascinato e l' i-
scrizione tragico Alberici de Romano tyranni uxoris et fìlio-
rum excidio, respullica farvi sana liane horam exjnavii A. S.
MCCLX. Perocché questi sfoghi contro gli oppressori sogliono
applaudirsi dai liberalastri come atti di vigore e d'intenso sen-
timento; eppure le più volte sono viltà e debolezza, prorompendo
quando non v'è più pericolo , assalendo chi più non è capace
di difendersi. Il castello di San Zenone, quelli di Fonte, di Ro-
mano , gli altri del Pedemonte furono diroccati dalle fonda-
menta ; le città collegate si spartirono gl'immensi beni di quella
famiglia straniera, che pagava tanto caro l'essere discesa a
dominare e a gustare la patria nostra.
17 In frusta secalur. Ricobaldo.
— 335 —
flìi3^~
CONCLUSIONE.
Principale condizione nell'uomo a divenir
felice parmi il nascere e vivere in città li-
bera. . . . Chi la dà in mano all'uomo, la
lascia in potere d'una fiera bestia.
Paruta, Perf. della vita civile. L. III.
n ^luesto "secondo periodo della vita de' Comuni
vedemmo dunque svilupparsi, progredire, declinare
la libertà municipale. Que' padri nostri uscivano
da un'antichitcà che avea sconosciuta la dignità
dell'uomo, da una barbarie dove erano sinonimi
uomo e servo *; dove, eclissata la razza vinta,
più non apparivano che i conquistatori, o al più i preti, che
rappresentavano il popolo, e che lo elevavano col loro elevarsi.
Eredi però de' miglioramenti tramandati dagli avi, lottarono
colla prepotenza degli armati, coli' inerzia dei vulghi, colla
esorbitanza degl'insorgenti, per giungere a quel punto, ove
potessero, sotto le leggi fatte da loro medesimi, avviare il
perfezionamento individuale e pubblico. Ottenuta la libertà in
prima come usurpazione, poi come privilegio, infine come di-
ritto, combatterono per sistemarla e per conservarla contro
quelli che, in differenti modi e per fini differenti, vi attentavano.
Pel primo scopo, che è sempre difficilissimo, vedemmo i loro
* Ancora vulgarmenle diciamo il mio uomo per indicare il servo domestico.
— 3JT —
Cantù — 1 .zelino.
&t9
CONCLUSIONE
sforzi, inconditi, ma generosi. Per l'altro nacquero lotte varie,
lunghe, parziali, sconsiderate, perchè non ne erano bene de-
terminati i motivi né gl'intenti, e perchè mosse sovente da
passioni esuberanti, da un convulsivo punto d'onore, da spirito
di parte: lotte che devono bensì con crepacuore ricordarsi da
coloro su cui ne ricaddero le conseguenze; che possono con
ischerno esserci rinfacciate da quelli che ne colsero un frutto
inumano, ma che certo non costarono né tanto sangue, né
tante amarezze, quanto le guerre agitate da un capriccio di
re, 0 per toglier qualche gomito o qualche seno in un territorio .
lotte ove si combatteva la causa deirumanità,'ila quale ne usciva
sempre con alcun acquisto, se non altro di esperienza.
Quelle bestie del medioevo erano giunte a intendere che
ottima forma di governo è quella, ove ad ogni uomo sia as-
sicurato l'esercizio de' suoi diritti personali e reali, e dove egli
contribuisca al mantenimento della sicurezza in proporzione
del suo interesse. Il qual principio ampliando, credettero ne-
cessario 0 utile che tutti partecipassero egualmente alla sovranità
e Popolo, 2)opolo era il grido onde si chiamava a libertà. Conscj
per istinto se non per raziocinio che la libertà non è durevole
se non quando meritata, volevano rendersene degni coll'adde-
strarsi nelle arti belle e nelle utili, supremo mezzo di perfe-
zionamento, eccellente via di assicurare i diritti.
Ma una nobiltà costituita, cioè l'ufficialità di un esercito
forestiero che per secoli mantenne l'Italia (come oggi si direbbe)
in istato d'assedio, lungamente usata a comandare, persuasa
che la forza ne dia il diritto, e la sconfìtta non lasci al vinto
che l'obbligo d'ubbidire, battendo il pugno sulle spade giurava
conservare o racquistare i privilegi, che credea venutile col
sangue, e sanciti dall'usurpazione. Per lo sciagurato contagio
delle idee eccezionali che altrove notammo, propagavasi il
sentimento della disuguaglianza, e perfino il proletario che era
divenuto uom del Comune, guardava con disdegno a chi di
fresco vi entrasse, e non gli concedeva le ragioni di cittadino
che a misura, e le negava afi'atto al campagnuolo.
Formavansi dunque tante società privilegiate, ove rispetto,
benevolenza, giustizia non si accordava che ai consociati. L'e-
lemento teocratico, il monarchico, l'aristocratico, il popolano,
r il feudale, il municipale cozzavano fra loro; e l'impossibilità S
r VICENDE DELLA LIBERTA U U
che l'uno escludesse tutti gli altri manteneva quell'equilibrio,
che non è l'essenza ma la salvaguardia della libertà; insieme
però toglieva di costituire sodamente lo Stato. Poiché di continuo
la classe più vicina alla dominante voleva prevalere, finché la
plebe, cresciuta d'intelligenza e men gravata di bisogni, volle
partecipare al governo.
Di qui i disordini dei Comuni e l'acerbità delle fazioni e
gli esagerati ricambi de' prevalenti; non aveasi una patria
comune , ma società parziali e locali ; tradivasi il paese al
forestiere per abbattere la fazione avversa ; consorterie, trame,
intrighi si drizzavano ad escluder gli altri ; osservavasi il vicino
per abbatterlo: ciascun partito si mostrava violento nell'usurpare
e sconsiderato nell'esercitar l'autorità; e come sempre, l'anar-
chia portava la tirannide. Nel cuore stesso della pace i tracotanti
pretendeano sottrarsi alle leggi, dettate dal voto comune :
ricorrendo sempre a quella superiorità della forza, che anche
oggi è il tribunale de' duellanti e dei napoleonisti. Ne dovea
venire l'astio contro i nobiU, che volea dire contro gli stranieri
possessori del terreno, e correva come assioma che, tolti i
nobili, Italia godrebbe una pace imperturbabile. S'ingannavano,
ma sul punto stesso e per gli stessi raziocinj onde s' ingannano
anche oggi que' molti, le cui dispute mostraao quanto l' ingegno
umano armeggi volentieri sulle quistioni mal posate.
Non trovando l'elemento della ricomposizione in sé stessi, ,
lo cercavano di fuori. Il papato aveva atteso a fondere le idee )
salvando le persone; allo straniero conquistatore intimò, la forza
non essere la ragione di Dio ; agli Italiani persuase la pace, la
fratellanza attorno all'altare; istituì un imperatore purché
romano, purché eletto dal popolo, purché salvasse questo e la
Chiesa dai baroni forestieri: nell'unità della fede e della morale
nuove riconcihò i vittoriosi e i conquistati; sicché il barbaro
si faceva italiano, e l' italiano papale. Ma quando gli imperatori
furono germanici, le volontà si divisero, e si importarono i
nomi esotici di Guelfi e Ghibellini. Questi ultimi desideravano
l'unità italiana mercé la vigorosa dominazione degli imperatori ',
2 Si Ics cmpcrcurs eussent pu s'(UaI)lir à Romo, Ics papcs ii'cussont ótó
que leurs cliapclains. Voltaire , Essai sur les mccurs, e. 57. — 1 Ghibellini
— 359
■v-elL§
[aj^^. , ^ E^
1 — \^ CONCLUSIONE □ •— i
ma la spinsero fino allo stupro della nazionalità. I Guelfi vo-
leano la paterna tutela dei papi; il patronato morale, non già
la loro dominazione «; li amavano come freni del principato
guerresco: tant'è ciò vero, che la città di Roma stava sempre
in contrasto coi papi perchè colà riducevano in propria mano
i diritti sovrani ; tant'è ciò vero, che anche le città più guelfe
afirontavano le scomuniche quando fosse in giuoco la propria
libertà. Ma, come avviene de' principj assoluti, le realtà si
risolsero in utopie, e quei nomi non espressero due forme di
libertà, ma due titoli di setta.
Fra questi litigi, le città credeano sempre raggiungere il
meglio col cambiare, come l'infermo sul letto de' suoi dolori;
e i mutamenti di costituzione erano così rapidi e talora così
insensati, come quei della Francia odierna; l'opinione non avea
tempo di formarsi, perchè la democrazia la convertiva subito
in legge: mutavasi partito, secondo che une fazione o l'altra
saliva al dominio, né la turbolenza rivoluzionaria aveva bastante
contrappeso di poteri tradizionali o di idee convenute. Quindi
uno stato di incessante rivoluzione, e la rivoluzione, sia fatta
dai popoli 0 dal principe, è prevalenza della forza sopra l' in-
telligenza, uccide la libertà sopprimendola se trionfante, se vinta
invocandola con ruggito spaventevole; prepara i popoli alla
tirannia col renderneli meritevoli, e induce a rassegnarvisi per
timore di peggio. lU fatto l'ardore di libertà e l'abborrimento
alla servitù s'intepidirono; e quando le arroganze esorbitassero,
antichi furono la causa principale della rovina d'Italia; i GbibelJ^imoderni, senza
volerlo e saperlo, continuano la loro opera ». GioBERTr, Proafu^elPJnlroduzione
allo studio (iella filosofia. ^ 's^'"
Nel 185Ó un signore piemontese, Ferd. Dal Pozzo, suggenva/^i lasciare sot-
toporre tutta Italia all'Austria, mostrando i meriti della sua amministrazione, e
come unicamente la potenza di essa potesse elTeltnar l'unità e la libertà del bel
paese. Nid 1816 un li!)erale di Romagna scriveva: « Italia con Austria! chi po-
» Irebbe opporsi loro ? Ah se l'osassero ! Ben potrebbe qualche remota terra
> rivedere ancora una volta le aquile di Cesare, le aquile di Trajano... Io sono
» Italiano; ma se pur fossi Ghibellino, lo sono con Farinata e con Dante».
5 Nò mai l'hanno voluta, e il piij accannito sostiMiilore delle ragioni papali, il
Rellarmino, scriveva : Licei resistere pontifici invadenti aniinas vel turbanti rempu-
hlicam... licei ci resistere non facendo qnod jubet, et impediendo ne cxequatur
volunlatein suam. De Romano Pontifice, 1. II, e. 29. >
^-^_______ j^ ^
iD
1^4
DISU^■IONI DEGLI ITALIANI
la repubblica rimetteva in un uomo i poteri popolari. Questo
uomo abusava del potere, allettato al mal fare dal poterlo
impunemente; avvezzavasi al comando, mentre i cittadini s'a-
bituavano all'obbedienza. Le repubbliche, più intente ad acqui-
stare che accorte a conservare la libertà, più diffidenti del
potere che degli ambiziosi, non conoscevano ancora gli abusi
e neppure que' ripari che vagliono tanto quanto adesso; e il
despotismo livellatore sottentrava alla democrazia livellatrice,
mercè dei magistrati popolari in prima, poi dei tirannelli.
L'uomo egoista, che la benevolenza sottomette al calcolo, e si
vale degli uomini come di strumenti, prepondera sempre fra
le moltitudini, operanti a slancio; ed è in questo senso che
fu detto l'Italia esser la patria della tirannia, perchè patria
della libertà.
Questi eletti dal popolo cedeano presto il luogo ad altri,
che, conoscendo gli uomini, sapeano adoprar l'energia del popolo
per domarlo, come si adopra il vento contrario per ispingere
il vascello. Questo nuovo egoista, non trovando più ostacoli,
sevisce contro i nemici, poi passa a sevire contro gli amici, e
la sua fidanza principale sta nell'egoismo delle moltitudini, che
guarda a sé solo, considera come estranio ciò che non è lui,
né crede fatto a tutti il torto fatto a un chicchessia.
Per abbatterli, qual altro mezzo restava che la forza? e il
più deliberato tentativo fu quello che descrivemmo contro i
signori da Romano.
Ezelino aveva adoperato una lunga vita, straordinarj ta-
lenti, sommo coraggio a stabilire una tirannide non più veduta.
Col chiamare assurdo, barbaro stolto un dominio non si spiega
come sussista; al più, si mostrano più barbari e stolti e assurdi
quei che il comportano. Noi cercammo spiegare l'ezeliniano; e
del resto il tremare tutti davanti a uno è effetto consueto
della credulità rivoluzionaria, per la quale di tutto si spera o
di tutto si diffida; tutti insieme sbraveggiano, o tutti i singoli
s'avviliscono contagiosamente, e perduta la misura di ciò che
si può fare o che si può soffrire, ogni cosa si vuole ed ogni
cosa si soffre senza idea di giustizia o d'onore.
In simili disastri delle nazioni, v'è taluni che soccombono
ai mali bestemmiando, fremendo, esagerando, pur non dando un
passo per riscattarsene; solo sperando arrivino a quell'eccesso,
— 361 —
rrin CONCLUSIONE
t
dopo il quale (dicono essi) nou potranno che diminuire. Questi
sciauratl abbondano ne' tempi della decadenza decorata, cioè
ciancerà, quando si desidera gloria di generosità, ma non com-
promettere sé, né i parenti, né l'ora del pranzo e del teatro.
Polvere, che dalla prima pioggia è convertita in fango.
Altri, stomacati a quello spettacolo, diffidando della bontà
in faccia alla ribalderia, dell' intelletto in faccia alla violenza,
si ritraggono dall'operare, disperano del mondo, del quale de-
plorano la irreparabile decadenza con tono elegiaco o sardonico,
e prevedono sempre peggiori guai. Di loro cantava un poeta
del mio paese ducent'anni fa :
Or che oppur si dovrian saldi contrasti,
accusando si sta sorte nemica :
par che nel mal comune il pianger basti.
V'ha altri che soffrono, ma stando in fede, si mescolano
alle cose, osservano; s'accostano all'idolo del giorno non per
incensarlo, ma per accorgersi del momento in cui lanciare il
sassolino a' suoi piedi di creta.
Quella volta i popoli conobbero che la forza de' despoti
non deriva tanto da proprio vigore quanto da disaccordo dei
sottoposti; uniti, e delle croci fatte else di spada, infransero
il giogo, e lo batterono sulla nuca del tiranno: e credettero
che ad espiare tanti delitti non bastasse altra ostia che il reo.
Caduti gli Ezelini, chiedeansi perchè stassero nemici fra loro,
e comprendeano a prova che la morte d'un solo potea rimetter
in pace tutti.
Al vedere l'ardore e la costanza onde fu compita questa
impresa, vorrebbesi esclamare: • — Ecco quanto i Comuni ama-
vano la libertà ; ecco siccome la Chiesa li sapeva accordare in
un pensiero ».
Ma la Chiesa, sciaguratamente avvoltolata negli interessi
mondani, si diede ben tosto ad altre scomuniche, ad altre
crociate. Gli imperadori svevi avevano creduto consolidarsi
col divenire sovrani dell' Italia, ma la loro contesa coi papi
mutò di carattere, e vi si complicò l'indipendenza e la servitù
del nostro paese. Con Federico II perì quella supremazia im-
^ periale che il Barbarossa avea fatto a Roncaglia proclamare \
NUOVI DISSIDII
sovra i principi e i potentati tutti; e l'epopea delle grandi
lotte fra la tirannia e la libertà si risolse in quistioni fiscali
di dominio sopra la Sicilia. Se questa fosse stata essa pure
temperata a repubblica, la Santa Sede avrebbe conservato la
primazia morale in Italia; costituita a monarchi, fu disputata
da re, e re stranieri. Nella contesa de' Comuni, Alessandro
aveva adoperata la Lega Lombarda; nella contesa di principi,
il papa non potè che preferir. le uno, e Carlo d'Angiò, venuto
coU'assistenza de' Guelfi, aggravò colla tirannide francese la
tirannide tedesca. Questa puzzava agli Italiani in modo, che
esultarono quando videro Manfredi, usurpatore della corona
sicula, soccombere nelle battaglia di Benevento, e Corradino,
ultimo rampollo degli Svevi, terminare sul patibolo.
Quel sangue preparò i Vespri Siciliani, e per l'avvenire
interminabili gare fra due potenze straniere, che si disputarono
il bel paese coll'empirlo di ruine e di guai, i quali fin ad oggi
non sono terminati. Carlo d'Angiò, convocate le città dell'antica
Lega Lombarda, chiese eleggessero lui per re. Alcune assen- (
tirono, ma le più rifiutarono d'aver un padrone; e straniero ; i
e preferirono darsi una dopo una in servaggio de' tirannetti, l
che, facendo profitto del livellamento introdotto dalla demo- ì
Grazia, regnassero senza contrasto, benché ancora come cit- )
tadini, e poc' a poco spegnessero le virtù sviluppate al tempo {
de' Comuni. )
Però al primo momento dopo il trionfo sopra Ezelino,
quando l'entusiasmo fa credere possibile ogni sacrifizio e comuni
le virtù più rare, abbonacciarono le battaglie cittadinesche ; lofi»
Verona, Vicenza, Padova, Treviso, congregatesi in Padova ., ;fj^
avvisarono le guise di conservare la libertà e la pace; fecero
giuramento di tenersi in ferma e perpetua concordia, società,
amicizia, fratellanza; non sopportare più dominio di un solo,
difendersi reciprocamente con denaro e uomini afferro e fuoco
e sangue, perseguitare a vicenda gli infestatori delle strade.
La qual lega doveva essere giurata da tutti i cittadini fra i
quindici e i settant'anni ; eccetto i cherici ed i conversi; poi
ripetersi il giuramento ogni anno nel consiglio generale, ed
ogni tre da tutte le città congregate.
Ahimè! queste leghe generali, di fine indeterminato, riu-
scirono mai a togliere le discordie? Poco andava, e le città, che
n
— 3(53
all'istante del trionfo aveano a scialacquo proclamato l'unione
e la fratellanza, trovarono nuovi attizzamenti di sconcordia,
dieronsi sulla testa le une alle altre: e Padova e Treviso, in
gran caro di viveri, negavano di fasciarne trasportare alla
liberatrice Venezia. Onde il Da Canale esclamava: — Molto
» mi meraviglio de' Padovani, che non si ricordino dei ventidue
> anni ch'e' furono nelle mani di messere Ezelino da Romano,
> il quale danneggiavali si crudelmente, allorquando egli loro
> facea troncare le teste, "^ e facevali impendere, e scliizzape
» gli occhi dai capi, e troncar piedi e mani e coglie ai fìgliuoh
» loro, e loro donne faceva menne o sceme delle mammelle e
» del naso, ed abbatteva a terra loro case, sfacendole sino
» delle fondamenta: ed erano fatti si ciechi e si dissennati che
» il padre domandava a messer Ezelino distroncasse il proprio
> figliuolo, ed il figliuolo il padre, e l'uno fratello l'altro: e i
> Veneziani ajutaronli a cavarsi di quest'ultimo servaggio.
» Ancora mi meraviglio io più de' Trevisani, che elli non si
» ricordino di messere Alberico da Romano, come ben di tempo
> tenelli in sua suggezione; e diceva ch'egli era della parte
» di santa Chiesa, e frattanto faceva loro troncare le teste
» ed abbattere le case a terra, e li cacciava di Treviso, ed a
» molte belle dame fece egli tagliare le treccie e scorciare le
» vesti davanti e di dietro sino al ventre, e gittarle cosi fuori
» di Treviso; e la donna di messere Alberico guardava quelle
» dame e rideva, e potea dire che rassomigliavan camozze: ed
» a tanto furono ellino e loro donne ricevuti in Venezia, do-
» nato loro fu a mangiare ed a bere, e drappi per covrirsi, e
» danari per ispendere. Tutto ciò che Veneziani lor fecer di
» bene hanno elli obliato, né più ricordano chi ajiitolli e pren-
» derne messer Alberico, allorquando egli si parti di santa
> Chiesa; d'onde poi i Trevisani fecero di lui e di sua donna
> e di suoi figliuoli crudele giustizia, ardendoli e distroncan-
» doli tutti ».
Allora i popoli, precipitati in quella sfiducia della libertà,
ch'è la più funesta conseguenza delle rinnovantisi rivoluzioni,
disperati di soccorsi umani, si voltarono al cielo, e cominciarono
a vagare per l'Italia bande di persone devote, che si flagella-
vano a sangue, donde il nome di Battuti o Disciplini. Prima
i Perugini presero ad avviarsi due a due in processione, fla-
— 361 —
ni
Adunque, disperalo d' ogui sosta ei condizione , e inabile a tener più saldo , Alberico si
e se a discrezioue.
Gap. Xni. Pag. 354«
I BATTUTI Cl&r
gellandosi le spalle e le reni, gridando misericordia è perdono
dei peccati; i Romani, poi tutti gl'Italiani li imitarono colla
rapidità con cui si comunicano le novità buone e le stolte.
Scalzi, nude le spalle, irte le barbe, spettinate le chiome, stretti
da cilizi, prendeano una croce, e dietro a quella cantando il
Miserere o lo Stabat mater ,- giorno e notte, con ceri ardenti,
d'ogni sesso, età, condizione, sin pargoli di cinque anni, quasi
ignudi valicavano di città in città, traendosi dietro sempre
maggior folla. Trentamila di Bologna tragittaronsi a Modena,
e incontrati da' Modenesi a Castellone, giunti a San Geminiano
si flagellarono, e avuta ospitalità tornarono alle case loro.
Altri proseguivano, e talora fin centomila fra terrieri e fore-
stieri si congregavano in qualche città. Tacquero le musiche,
tacquero le cantilene d'amore, né più altro che canti di pe-
nitenza sonavano per le città e le ville; molte discordie furono
rimpaciate; usurieri e rapitori restituivano; peccatori invecchiati
tornavano a resipiscenza; resa la libertà ai carcerati, la patria
agli sbanditi. Era una gara di alloggiarli e nutrirli, ma mol-
tissimi doveano serenar sulle piazze o sotto i portici; e in \
quella rimescolata d'uomini o donne, vecchi o fanciulli, è più" ^
facile immaginare che onesto il dire quanti disordmi corressero. ',
Molti signorotti li respinsero risolutamente, e Oberto Pe- \
lavicino, Obizzo d'Este, i Torriani di Milano, re Manfredi di
Sicilia piantarono forche per farli malarrivati se vi capitassero :
altrove lasciarono traccie del loro passaggio nelle compagnie
de' Disciplini, che con vessilli e divise proprie continuavano atti
di penitenza, finché si trovò ai di nostri che era prova di li-
bertà il proibirli.
Mentre il vulgo pregava, i cittadini contendevano, gli
ambiziosi continuavano i loro macchinamenti. Oberto Pelavicino
erasi unito un istante alla lega guelfa per abbattere quell'Ezelino
che non volea partire le prede con esso. Il papa permise al
vescovo d' Embrun di rilevare dalla scomunica lui, Buoso da
Dovara e il comune di Cremona, purché si staccassero da re
Manfredi ; ma essi negarono , onde di nuovo i Guelfi si sepa-
rarono dai Ghibellini con cui si erano alleati, e che si strinsero
viepiù col re di Sicilia. Esso Pelavicino aveva aria di aspirare
a sottentrar agli Ezelini; cercò ritenere prigioniero il legato
pontifizio, ed era tacciato di patarino. Eccellente capitano, fu
365 —
CONCLUSIONE
il primo che raccogliesse un numeroso e potente stuolo di
cavalleria mercenaria, da lui solo dipendente, colla quale poteva
andare in appoggio di varie città, e facendosi pagar il valore,
divenne signore di Piacenza, Parma, Novara, dominando con
ambizione meno violenta che quei da Romano. Dicemmo come
era già capitano generale di Milano e signore di Brescia: ma
Brescia l'ebbe cacciato ben presto, e riformò il governo e gli
statuti a libertà: da Milano egli dovette uscire allo scadere
del quinquennio prefìnito alla sua capitananza, e lasciarvi si-
gnori i Torriani: di Cremona venne soppiantato da Buoso da
Dovara.
Neppure Buoso vi pose radici, sebbene, al soccombere degli
Svevi, sostegno de' Ghibellini, egli si buttasse cogli Angioini
loro nemici, fin ad agevolare a Carlo d'Angiò il passo dell'Oglio
(come si credette) per tradimento, e così aprirgli la Lombardia *.
Né per ciò ebbe sostegno dai Guelfi, anzi la loro lega abbattè
la Rocchetta, ultimo asilo di lui, il quale allora girò per gli
Appennini, abborrito dai Ghibellini, come traditore sprezzato
dai Gaelfi. Così de' due compagni d'Ezelino, il primo, ritiratosi
ne' suoi castelli, finì i giorni quieto, ma spodestato: Buoso
morì poveramente: né l'uno, né l'altro tanto risoluti nell'am-
bizione e ne' delitti da consolidar un dominio, e potere, come
Ezelino, difenderlo in lunga guerra.
I nobili milanesi si collegarono con Bergamo , ma furono
snidati dal Tornano, che molti ne cacciò prigione. Consigliato
da alcuno a sterminarli, egli ricusò, dicendo : — ■ Non seppi
mai procreare un uomo, non sarà che ne ammazzi alcuno ».
Eletto anziano e signor del popolo di Milano, presto aggiunse
al dominio suo Lodi e Novara: indi i suoi discendenti acqui-
starono Como, Vercelli, Bergamo; bella signoria, che fu loro
strappata dai più fortunati Visconti; a questi dagli Sforza, agli
Sforza da chi ebbe più astuzia o più ferocia.
La casa d'Este fu quella che meglio vantaggiò della caduta
Dante ritrovava
quel di Duera
là dove i traditori stanno freschi.
C là dove i traditori stanno freschi. >
GLI ESTENSI
di Ezelino, e (ciò che qui importa) per le virtù religiose che
mancarono a Federico e ad Ezelino. Un. monaco padovano riferì
gli eventi da noi esposti, con supreme lodi di quella casa e
delle due Beatrici, una sorella, l'altra figliuola di Azzo VII,
entrambe riverite col titolo di beate. « Iddio campò il marchese
» da gravissimi pericoli, cioè non solo dalle mani del magnifico
» Federico, che tutta la Marca aveva insudiciato di Tedeschi,
» Saraceni, Pugliesi, per abbattere lui capitale nemico all'im-
» pero, ma anche dalle continue insidie di Ezelino, dalle fin-
» terie di Alberico, dalle astuzie dello scaltrito Salinguerra. I
» quali d'accordo, comejeoni ruggenti alla preda, si sforzavano
» ingoiarlo e sbriciolarlo: ma i gravissimi loro urti il prod'uomo
» rintuzzò, aiutante Dio, evitò gli scaltri loro lacciuoli, dissipò
» gli iniqui divisamenti, sempre conservando la costanza d'animo
» né declinando mai dal sentiero della verità. E sebbene l' iniquo
» imperatore tenesse in carcere il figlio di lui, e gli promet-
» tesse liberarlo, e fargli immensi benefezj per istornarlo dalla
» devozione della romana Chiesa, il principe costantissimo, qual
» colonna immobile e impenetrabile muro, non atterrito da
» pericoli, non allettato dalla dolcezza d'imperiali promesse, e
» in Dio solo fidando, non potè esser divelto dall'ossequio alla
» Chiesa; e stabile aiutator di questa durò nelle tribulazioni
» e nelle angustie sino alla fine. A ragion dunque il Signore
» lui custodi dagli avversarj, e dai flutti d'un mar procelloso
» dirigendolo al porto della salute, gli fece vedere la mirabile
» vendetta de' fortissiad suoi nemici ; l'eccellentissimo Federico
» privato dell'onor imperiale, l'astuto Salinguerra imprigionato,
» il tronfio Ezelino ucciso di mazza, l'anguillante Alberico
» trucidato orribilmente sotto i suoi occhi. Principi d'iniquità,
» costoro, come quattro venti pestiferi, s'erano avventati contro
» la cattolica casa Estense per dissiparla dalle fondamenta ; ma
» essa non crollò perchè attaccata alla santa madre Chiesa,
» che è fondata sopra pietra irremovibile. ».
» Rerum, hai. Seript., l. Vili.
Fr. Patrizi senese nella Deca istoriali' poetica lodando gli Estensi, dà merito
- 367 - p uj
--ere]
à
CONCLUSIONE
E lo fa morire da santo, esortando il figlio di suo figlio
a non declinar mai dalla giustizia, né dalla devozione verso
la Cliiesa, seguendo gli' esempj degli avi. Anco Ricobaldo lo
chiama uom liberale, innocente, alieno dalla tirannide, vergo-
gnoso di non concedere a chi lo pregasse; e che ne' funerali
suoi fin gli avversar] non ritennero le lacrime e i gemiti (*).
E avversario gli era l'autore della piccola cronaca di Ferrara,
partigiano di Salinguerra, eppure anch'esso conchiude che
< lutto e lacrime non finte rigarono le gote degl' intristiti cit-
tadini ; e que' medesimi ch'erano stati di fazione avversa,
con lacrime e gemiti deploravano Azzo , dicendo : E' non fu
crudele , ma henevolo e pio ». In prova degli umori liberali
di questo cronista, diremo come poco dopo soggiunge che ad
Obizzo d'Este, di diciasette anni , il sindaco eletto in Ferrara
deferi il pienissimo dominio , talché a volontà sua potesse e
il giusto e r ingiusto , onde il nuovo signore è più potente
che non Dio eterno , il quale non può f^ir le cose ingiuste *.
Di fatto Azzo fu il primo 'che in un Comune libero otte-
nesse dominio perpetuo , che trasmise ad Obizzo , natogli da
una figlia di Alberico da Romano.
Verona, mezzo tedesca e sempre caldeggiante pe' Ghibel-
lini , continuava guerra a Lodovico conte di Sambonifazio, che
ad essi per tanti poeti fiorili a Ferrara, dove nacque la commedia per opera di
Pandolfo Collenuocio e Lodovico Ariosto, fu perfezionata la tragedia da G. B. Gi-
naldi ; la poesia latina fu coltivata dai due Strozzi; l'italiana dal Guarini, dal
Tasso, dal Molza; e ben sei poemi eroici vi nacquero, il Maiiibriano di Francesco
Cieco, VOrlaitdo innamoralo del Dojardo, la continuazione dell'Agostini, il Rinaldo
e la Gerosalemme del Tasso, il Furioso dell'Ariosto.
(*) Questo passo ha servito in questi giorni appunto (dicembre 1865) in una
strana causa che un dicentesi principe di Crouy Chanci, ungherese, intentò contro
il duca di Modena, pretendendosi unico legittimo successore dogli anticlii marchesi
d'Fsie. Insigni giureconsulti piemontesi lo sostennero; ma come mancassero e alle
ragioni giuridiche e alle storiche lo mostrarono avvocali inodejesi, e nominatamente
Bartolomeo Veralli, il quale convinse come, tra altre aulorilà falsamente citate, male
slesse quella del Cantù, t autorità sempre rispellahile, e più in materia nella quale
lia fatto molte indagini, cioè la storia d'Ezelino ».
Gli Editori.
e dir. parvum ferrar.., p. 487, t. Vili, Rerum llal. Script.
— 308 —
L AVVENIRE
nel 1261 coi fuorusciti e col signore d'Este tentò sorprenderla,
ma non riuscì. Elevavasi intanto Martin della Scala , già
soldato e castellano di Ezelino ; ottenne fra breve la signoria
della città , e gran tempo stette capo a' Ghibellini dell' alta
Italia.
Che i Comuni, rotto appena un giogo, ne invocassero un
altro , non farà meraviglia a chi conosce la storia , fosse pur
solo quella de' nostri giorni.
Padova e Bologna sole rimanevano omai con franco stato.
Padova, in lunga e florida pace, sottomise Vicenza, e capi-
tanava i Guelfi della Marca : poi Vicenza venne preda di Can
della Scala: e Padova anch' essa si sottomise ai Carraresi. Cosi
i Comuni perdeano il libero stato senza accorgersene , come
senza accorgersene 1' avevano acquistato, e le armi cittadine
custodi di quello , davan luogo a bande mercenarie che lo di-
struggevano.
I principotti non fondavano la tirannide sopra ferma co-
stituzione ; laonde non veniva consolidata dal tempo e dall'opi-
nione , non trasmessa per regolare successione : non appog-
giavasi al popolo , non ai nobili , ma solo alla forza ; abbat-
tevano i corpi per gelosia , invece di fasene appoggio ; ogni
vacanza apriva il campo ad ambiziosi , che credeano aver ti-
toli purché potessero farli valere; e dell' osare era sanzione il
riuscire. I cittadini godeano di vedersi disarmati per vaghezza
della pace, quantunque senza decoro; i migliori cittadini, sen-
tendosi incapaci di frenare la prepotenza, scomparivano dalle
assemblee, e ritiravansi in violenta pace ; quei che fidavansi
nel braccio tentavano sommosse , che o fallendo consolidavano
il tiranno , o riuscendo ne surrogavano un altro.
Una libertà che non rispetta quella degli altri, che co-
mincia dall' esihare, dal proscrivere partiti ed opinioni, non
attecchirà, perchè con ciò palesa d' essere un accesso momen-
taneo, non un' efflorescenza de' costumi e della riflessione.
Gli Italiani ne mancarono , e deh fosse solo nel passato !
Quella potente individualità che gli fa orgogliosi e fidenti di sé
toglie che s'accomunino per rinvigorirsi tutti insieme ; dà pre-
valenza ai sentimenti e alle passioni, donde riasce la volubilità;
e lascia che soperchi una prepotenza organizzata o risoluta ,
come fecero gli Ezelini , come poi sperava il Machiavello nei
— 369 —
j
CONCLUSIONE U i-.
Borgia ; e fa credere che la libertà consìsta nel non obbedire
a nessuno , mentre consiste nel non esservi nessuno che non
obbedisca.
Né la parte guelfa, né la ghibellina aveano dunque otte-
nuto trionfo; non si garantì la libertà e si compromise l'indi-
pendenza. Allora la storia , non più scritta da Maurisio sen-
z' altro precetto che 1' impressione istintiva , ma dal Guicciar-
dini coir indagine delle cause e 1' antiveggenza dei fini , non
trovò degli Ezelini, ma neppur dei sant'Antonio; da grandiosi
e generali interessi si ridusse a parziali vicende di famiglie ,
ad emulazioni di tirannetti , né tampoco potenti a stringer in
un solo queste divisioni col concetto magnanimo o coll'istinto
della nazionalità; non descrisse il popolo , ma i re; i quali non
versavano brutalmente il sangue , ma sapientemente soffocavano
lo spirito e spegneano la reciproca confidenza. Le guerre non
cessarono neppur colla libertà del popolo, sibbene colla borsa
e col sangue del popolo; 1' intelligenza s'invigorì, ma scemò
la carità ; e quella scompagnata da questa ; 'credette che il
mondo potesse regolarsi unicamente a calcoli, a sillogismi , a
teoremi, a statistiche. Invece delle eresie , insurrezione d'una
minorità sediziosa contro la maggiorità costituita , che eserci-
tando gì' intelletti , inaspriva i cuori, pure generava energia
di sentimenti, profondità di fede, sincerità di voleri , sotten-
trò r indifferenza che produce l'inattività: e la polemica poli-
tica, mutabile, individuale, mancante di scopo elevato, si ri-
dusse ad una abbaruffata tra persone che aspirano al potere
e persone che vogliono conservarselo.
La chiesa , tutrice della libertà perchè depositaria della
morale , usufruttando le cose sacre per interessi terreni, sì con-
taminò , e diede ragione a chi la rimbrottava con voci bene-
volmente austere dapprima , poi ironiche , poi resistenti , poi
protestanti ; laonde essa ebbe a combattere per la propria esi-
stenza, e, come avviene degli spedienti , non sempre scelse i
più opportuni ed incolpevoli. Un potere contestato non eserci-
tava più queir intero dominio sulle credenze , sugli interessi ,
sulle dottrine, sui forti, sugli oppressi, sui vulghi; e quando
i principi tiranneggiavano , il povero popolo non era più certo
d' un ricovero sotto la stola ecclesiastica ; e quando la patria
periva, gli sguardi non si sollevavano più con fiducia incon-
, . n - 370 -
7 ~
cussa a quel!' altra patria, in cui sono concittadine tutte le
nazioni , ma dove anche i prepotenti vedranno rigiudicate le
giustizie.
Così dall'illanguidirsi delle credenze derivò il vacillamento
del dubbio, da questo la lentezza delle opere, lo scoraggiamento;
e spentesi quelle virtù attive, disinteressate, svoltesi nelle re-
pubbliche, si imparò non la nobiltà dell' obbedire razionale,
ma r ignavia del servire; ogni idea più elevata che non il fatto,
si venerò dai magnati e si accettò dai popoli il brutale diritto
della forza , della conquista , del numero : si contò la felicità
dai quattrini che si tributano o dall' accidia che si permette;
a quella generosità che appare quando 1' uomo opera per fede,
non per decreti , succedette il dovere di obbedire a poteri cen-
trali: l'esercito fu una forza, non più una volontà; alle in-
surrezioni per acquistare franchigie si surrogarono le trame ,
che, fallendo, le diminuiscono; alla confidente e svelata op-
posizione i susurri scontenti o le sonore ciancie d' un liberalismo
cui rode l' invidia e pesa il rispetto e che sa soltanto indebo-
lire e impacciare; l'Italia fu divisa fra principi che volevano
far danaro, e papi che voleano crear domini ai nipoti; e a
quel bello stato apphcarono il nome di pace , e a quei tempi
titolo di secol d' oro.
E a noi v' è chi domanda , — Perchè occuparvi sempre
del passato , mentre tanto presente incalza ? » Intanto alcuni
ci appongono di farci adulatori delle repubblichette, altri di
non saper che rimpiangere i Comuni: perocché di trovarsi sotto
r impero di passioni generose e di nobili sentimenti è chia-
mato delirio da' corpi invecchiati e dalle nazioni logore; e in-
tanto una critica che ha fegato , non cuore , e prende sempre
il suo livello dal basso , dimentica che la storia non è un de-
siderio 0 un' ipotesi , ma un fatto ; e che perfino un dei meno
filosofici nostri contemporanei ha detto che « il passatosi trova
non s' inventa ». E fu con profondo amore che noi trattammo
il nostro tema , senz' altro odio che pel delitto , senz ' altro
favore che pel bene, senz'altro disprezzo che per la viltà, e
col proposito di cercar la verità, non di farci applaudire dai
folliculari. Che se questi , con un articolo scritto tra il cafi"è
del dopo desinare e il tè dell' avanti dormire, annicliileranno
queste povere pagine, forse ci avrà qualche non miope a cui
— 371 —
f-t] CONCLUSIONE
vi apparirà uu ordine e un' intenzione traverso allo svago e
allo scompiglio apparente.
Ritraendo il secondo periodo de' Comuni italiani, quello
ove le plebi s' accomunano per abbattere gli accomunati si-
gnori , non ci femmo piacentieri, non detrattori , cercammo esser
veri: professammo fedeltà a una causa, che più ci è sacra
perchè momentaneamente eclissata: de' fratelli che combatte-
vano per noi posteri ammirammo le virtù , non ^tacemmo le
colpe, e quella suprema di non sapere accordarsi alla difesa,
mentre i loro nemici s'accordavano all'oppressione. Quella nau-
seabonda leggerezza che sostituisce gli epiteti all'indagine delle
cause , cianci pure che noi vogliamo ridestare il medioevo e
gli sfrazionati popoletti; la libertà del pensiero, la libertà or-
dinariamente operosa è quella che andiamo a cercare senza
distinzione di tempi; e la troviamo non nel denigrare o ab-
borrire il passato, ma nell' umiltà d' accettare le tradizioni e
farne prò.
Cotesti continui raffronti , di cui 1' arte ci darà colpa, risul-
tavano naturalmente dallo studio di un' epoca d' ignoranza ,
che produsse san Tomaso e Dante, di un' epoca di violenza ,
dove un frate inerme faceva impallidire il catafratto paladino;
di un' epoca di schiavitù, la quale non solo proclamò ma ap-
plicò, che nessun'imposta è legittima e nessuna legge obbiga-
toria se non consentita da chi deve subirla: epoca la quale
non avrebbe mai pensato che 1' educazione, la carità, la pre-
ghiera , il lavoro , il leggere , quasi il pensare dovessero esser
permissioni clementi d' un ente ideale, intitolato il Governo ;
epoca di attività e forza , che non avea le gemebonde con-
templazioni e gli isterismi della sensibilità, proprj di un viver
molle e di una civiltà viva e insieme infingarda , dove le anime
si trovano senza riposo e insieme senza occupazione forte e
obbligata; sicché vi predominano la nausea de' beni attuali ,
una passionata sensività ai mali inseparabili dalla condizione
umana , una falsa stima delle cose in generale e dell' uomo in
particolare; e fra 1' illusione impaziente e il malcontento
astioso, una collera erudita contro 1' ordine dell' universo e
l'ordine sociale; una insofferenza dei mali insieme e dei rime-
dj. Si avventino pure invettive ad un' età che non si è stu-
diata , e contro cui si sfogano gli odj del presente ; ma il po-
— 372
L AVVENIRE
polo italiano, ogni qualvolta rialzò la testa, il suo grido fu la
Chiesa; si dedicò a san Giovanni, alla Madonna, a Cristo; e
fin nel secolo, la cui eresia consiste nel mutar la ragione in
passion di partito , e la passione eriger in principio di ragione,
quando volle rigenerarsi lo tentò nel nome di Pio IX. E la
memoria dei Comuni, per quanto mal compresa, rimane da
secoli, perchè opera de' secoli , non di radicali subitaneità; e
le istituzioni da essi introdotte sopravvivono a riparare la sba-
data insolenza francese , la fastosa negligenza spagnuola, l'e-
rudita oppressione moderna; a mantenere 1' alito della vita in
Italia, per rianimarla allorché le sventure (terribile cura con
cui Iddio rigenera le nazioni) le avranno insegnato qual fosse
a condizione che mancava alla Lega Lombarda.
FINE. —
- 373 -
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Caktò — Ezelmo.
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K-J D I e
\^d-<"
Proemio Pag.
poscritta »
Seconda poscritta »
Capitolo primo — ■ Generazione di Ezelino ... »
» secondo — Prima età di Ezeliuo ... »
» terzo — Guerre municipali »
» QUARTO — Pace »
» QUINTO — I tiranni »
» SESTO — Padova ^^
» SETTIMO — L' imperatore »
» OTTAVO — Eresie, Inquisizione, Scomunica »
» NONO — Crudeltà d' Ezelino »
» DECIMO — Aneddoti, Astrologia. ...»
» DECIMOPRIMO-I trovadori, Sordello,Cunizza »
» DECiMOSECONDO — La Crociata .... »
» DECIMOTERZO — La Catastrofe .... »
Conclusione *
5
12
14
15
51
67
75
115
127
145
171
221
249
285
311
333
357
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